Capitolo 51: Rifulgente nelle tenebre

I quattro cavalieri che erano riusciti ad avanzare lungo le caotiche vie dei fabbri, costruite da Efesto stesso nell’era del Mito presso il Vulcano Etna, in cui il dio aveva posto le proprie fucine, si trovavano ora dinanzi ad un labirinto oscuro.

Ben poche luci illuminavano di fatto la grotta naturale dinanzi alla quale Lorgash di Capricorn, Golia del Toro, Shiqo della Lontra ed Elettra del Cavallo s’erano fermati; solo un muro, che pareva interminabile ai loro occhi e genesi di diverse biforcazioni, s’apriva, indicando che, in quel luogo, il loro percorso sarebbe stato più incerto, poiché, già sull’uscio di quella sala di pietra, erano costretti a scegliere fra tre percorsi diversi.

"Cavalieri, sembra che dovremo dividerci…", osservò il Sommo Sacerdote, avanzando verso il percorso sulla sinistra, "il primo di noi che troverà l’uscita dovrà continuare, ricordate: il nostro fine ultimo è raggiungere la Bestia e fermarla!", esclamò con decisione il Santo del Toro, prima di voltarsi verso i suoi interlocutori.

"Bene, sommo Oracolo, allora io e l’amazzone prenderemo la strada centrale." , suggerì Lorgash, trovando in un gesto del capo di Elettra l’assonanza delle loro idee, "Dunque a me resta una sola scelta, la accetto con piacere… forse potrò ora dimostrare il mio valore e vendicare la caduta del divino Mudjekwis!", esclamò l’Hayoka della Lontra, entrando nel terzo percorso, mentre gli alleati facevano altrettanto.

Nessuno dei quattro, però, s’accorse di alcune coppie d’occhi sottili che, dalle mura di pietra, li osservavano con attenzione, prima che dei serpenti di roccia scaturissero dalle pareti, seguendo i diversi cavalieri nei loro distinti percorsi.

"Steno, l’ultima delle Gorgoni, sorella di Medusa ed Euriale e figlia dei miei stessi genitori, Ceto e Forcide… non può contare certo su un cosmo vasto come quello di Medusa, la Sovrana fra le tre Gorgoni, né è dotata delle possenti ali di Euriale, ma, in compenso, ha saputo mutare il proprio cosmo per usarlo al meglio sotto le proprie spoglie di donna umana ed è dotata di una forza impareggiabile, fisicamente parlando…", con queste parole Echidna parlò della loro alleata allo sposo Tifone.

"Ti fidi di lei? Credi che possa vincere sui cavalieri nostri nemici, capaci di abbattere i nostri figli?", domandò l’essere chiamato la Bestia, "No, non la penso capace di vincerli tutti, ma alcuni di loro sono feriti, inoltre il percorso in cui la affronteranno, li rallenterà di certo; questo concederà alla mia sorellastra il tempo di abbatterne alcuni, ma gli altri saranno la nostra vendetta, avranno modo di pentirsi d’aver tolto la vita alla nostra amata prole!", ringhiò l’Echidna, passando una mano nella folta chioma dell’amato, che la cingeva a se con forza.

"Berremo del loro sangue e pasteggeremo delle carni di quei vili uomini che hanno osato spegnere la nostra progenie; poi renderemo cenere il mondo degli dei e ridaremo forma alla nostra vera essenza, richiamando di nuovo a noi i figli che tanto amiamo." , sussurrò in un sadico sorriso Tifone, mentre l’Echidna si allontanava da lui.

"A me spetta per prima la vendetta, come madre!", esclamò la mitologica creatura, mentre lo sguardo dello sposo s’accendeva di un’ira ancestrale e devastante, "Non posso rischiare che quei vili abbiano ragione di te, che mi sei sposo e signore; troppo vasto è il tuo cosmo perché sia già completamente tornato a te, quindi combatterò contro di loro da sola, per darti il tempo di riprendere a pieno quel potere che distruggerà l’Olimpo, il Vahalla ed ogni misero rifugio degli dei!", concluse la creatura, allontanandosi, mentre già il mantello lasciava intravedersi le vestigia e dei sottili e sinuosi oggetti prendevano forma sugli avambracci.

"Echidna!", urlò allora Tifone, "Ritorna da me, vincitrice." , ordinò l’essere mitologico, ma in quell’ordine, così spietato e duro era celata un’emozione che nessuna delle due creature era capace d’esprimere in altro modo, né avrebbe mai voluto.

La corsa attraverso il labirinto di pietra era iniziata da poco per Elettra e Lorgash, i due guerrieri avanzavano in silenzio lungo il percorso, malgrado l’amazzone, ancora visibilmente ferita, rallentasse la loro corsa, finché, d’improvviso, la guerriera del Cavallo, non si fermò.

"Che succede, Elettra?", domandò il cavaliere d’oro, sorpreso da quella pausa, "Va avanti da solo!", fu la secca risposta della guerriera; il santo d’Atena, però, non si mosse: conosceva abbastanza bene il temperamento dell’amazzone e sapeva che, tali parole erano dettate dal suo orgoglio, che le impediva di vedersi come un freno in quella corsa.

La mano destra di Lorgash allora si mosse, portando dinanzi all’amazzone ed invitandola ad alzarsi, "Non posso continuare senza di te; ormai non posso far a meno della tua presenza nemmeno sul campo di battaglia…", accennò con velata ironia il cavaliere d’oro, cosciente dei rischi che avrebbe corso Elettra, ferita, se avesse incontrato il nemico che li attendeva in quel labirinto di pietra e desideroso di impedire che le accadesse altro, dopo lo scontro con la Chimera, che lo aveva preoccupato oltremodo.

L’amazzone, forse convinta da quelle parole, forse cosciente della preoccupazione che attanagliava il cavaliere d’oro, avvicinò la propria mano a quella del santo di Atena e quasi stava per toccarla, quando un sibilo, ai lati dei due, li portò a guardarsi intorno. Decine di serpenti di pietra presero forma dalle pareti, scagliandosi contro i due con furia, ma ben più veloce di loro fu il cavaliere del Capricorno che con un secco movimento del braccio sinistro divelse tutte le serpi su quella parete, avvicinando poi a se l’amazzone, per spostarla con una veloce rotazione dei loro assi, dinanzi a se, così da variare la propria posizione di un angolo piatto e dilaniare in tal modo anche l’altra metà delle creature avverse.

"Elettra, corri!", esclamò Lorgash, notando altre serpi che prendevano forma dai segni che la sacra lama Excalibur aveva inciso sulle pareti; non ci volle molto perché anche l’amazzone si rendesse conto dei serpenti che continuavano a crearsi intorno a loro, quindi scattò in avanti, lasciando libere le mani del cavaliere d’oro.

Il santo di Capricorn poggiò con secca determinazione il piede sinistro in avanti, portandovi al di sopra tutto il proprio peso, per compiere così un lieve salto con piroetta, ottenendo un movimento ondulatorio nell’esecuzione di due fendenti portati con le braccia, che distrussero tutte le pietrifiche bestie intorno a loro, creando però dei nuovi solchi nelle pareti, da cui ancora più numerosi uscivano i serpenti.

Elettra, nel frattempo, avanzava senza sosta, non notando, nell’oscurità di quella grotta, un percorso che s’apriva alla sua sinistra, tanto da trovarsi, dopo pochi minuti, dinanzi ad un vicolo senza uscita; voltatasi, l’amazzone vide Lorgash avanzare, continuando a scagliare fendenti in ogni direzione possibile, "Dobbiamo indietreggiare, questa parete è bloccata!", osservò la guerriera di Artemide, "Affatto!", replicò il cavaliere d’oro, compiendo un lieve balzo in avanti, mentre incrociava le braccia dinanzi al petto, "Golden Cross!", esclamò il santo di Atena, distruggendo il muro che bloccava loro la strada e continuando a correre con la compagnia, mentre i serpenti di pietra continuavano ad aumentare, apparentemente incontenibili.

 

Shiqo della Lontra avanzava in silenzio lungo il percorso che aveva scelto come proprio, osservando le pareti che lo circondavano, quasi vedesse attraverso queste ciò che accadeva. Sicuri erano i passi del guerriero pellerossa, mentre voltava ad ogni curva gli paresse più appropriata a raggiungere la sua meta, quasi non avesse incertezza in quel complesso labirinto, mentre una luce, brillante d’energia cosmica, irradiava dal suo pugno destro.

L’Hayoka, d’un tratto, si fermò, voltandosi verso la parete alla sua sinistra, "Questa è dunque la tua tattica? Cercare il momento migliore per attaccare… l’attimo in cui ognuno di noi si dimostra più scoperto è quello che usi a tuo vantaggio? Rivelati, seguace della Bestia, poiché non ho timore di affrontarti, come non ne avevo per i tuoi pari che non ho potuto combattere precedentemente. Sono giunto fin qui per servire ed onorare le divinità cui sono consacrato!", esclamò Shiqo, mentre la sua voce tradiva tutta la preoccupazione del guerriero, preoccupazione d’essere incapace in combattimento come lo era stato per i compagni caduti finora e per la divinità che non aveva saputo salvare.

Alcuni serpenti di pietra presero quindi forma attorno all’Hayoka, lanciandosi contro di lui all’unisono; Shiqo, inizialmente sorpreso di non aver intuito che non il nemico era a lui prossimo, bensì un’arma di questi, fu scosso dalla visione di quei serpenti, del tutto simili agli stessi che lo avevano imprigionato, impedendogli di aiutare il divino Grizzly pellerossa durante l’invasione nemica. Quella distrazione fu fatale all’Hayoka, che, ben presto, si trovò intrappolato nelle spire di decine di serpenti, che s’avvinghiarono attorno a lui, cercando di soffocarlo nella loro presa distruttrice, costringendolo a lasciar esplodere il proprio cosmo.

 

Oltre il ponte di pietra dove poc’anzi avevano combattuto Daidaros e l’Idra, già le figure dei quattro guerrieri alleati avanzavano, seppur il santo d’argento rendeva quell’incedere più lento, a causa delle sue condizioni.

"L’Idra di Lerna parlava poc’anzi di un labirinto, pensate che siano riusciti a trovare un modo per oltrepassarlo senza perdersi? Solo il Sommo Sacerdote di Atena, il cavaliere del Capricorno e Shiqo sono le nostre speranze di fermare il cosmo della Bestia che, se già era enorme quando quell’essere si è presentato a noi, adesso è addirittura immenso…", osservò preoccupato Bow dello Storione.

"Una tale domanda avrei potuto comprenderla se fatta dai cavalieri nostri alleati, ma non da te, che come me sei uno dei quattro Comandanti Hayoka…", esordì impassibile Ash del Corvo, "poiché dovresti sapere, come e meglio di me, che non può certo essere un labirinto ad oscurare il percorso a Shiqo, che fra noi è il più alto in grado e forse uno dei più potenti!", osservò il guerriero pellerossa.

"Questo è vero, amico mio, ma Shiqo è altresì insicuro: non è il gran valore che dà alla vita umana a fermare il suo pugno, come accade con me, bensì il dubbio che lo attanaglia di non essere degno del titolo di comandante Hayoka: lui che dovrebbe essere il nostro comandante non è nemmeno capace di dominare le proprie paure…", osservò preoccupato l’altro nativo americano.

Quando però l’altro guerriero pellerossa stava per ribattere, un’esplosione d’energia cosmica poco distante attirò l’attenzione dei due consacrati alle divinità native americane, "Shiqo!", dissero quasi all’unisono, riconoscendo il cosmo del loro compagno d’arme espandersi, segno che una battaglia stava per interessarlo.

Golia del Toro avanzava con sicurezza lungo il percorso preso; il Sommo Sacerdote era silenzioso, attento ad ogni possibile movimento che rivelasse quel cosmo che aveva sentito aleggiare nella galleria da lui presa fin dall’inizio, un cosmo oscuro e carico d’odio.

L’Oracolo di Atena era cosciente che la presenza dell’immensa aura di Tifone rendeva quasi impossibile avvertire chiaramente qualunque altro cosmo avverso, tanto era pregno di sentimenti contrastanti e forti quello della creatura mitologica; in alcuni momenti Golia era arrivato a lamentarsi con se stesso della poca concentrazione che era capace di raggiungere, insignificante rispetto a quella che era stata la capacità di percezione di Tok’Ra di Virgo, ma anche quella era una delle innumerevoli critiche che muoveva continuamente a se stesso, ponendosi come paragoni i passati Oracoli della dea ed i cavalieri d’oro che con lui avevano combattuto innumerevoli battaglie e nelle stesse erano periti, da Kiki dell’Ariete, che lui non aveva saputo salvare, fino ad Odeon di Leo che nel vincere la Morte si era sacrificato durante lo scontro con l’ultimo degli Horsemen.

Sapeva, dentro di se, il Sommo Sacerdote di non essere poi così dissimile da Shiqo e di provare gli stessi timori, ma, al contrario dell’Hayoka, lui capiva quando era il momento di esternarli e quale non lo era.

Quelle riflessioni furono però interrotte dall’esplodere dei cosmi di Lorgash e dell’Hayoka, che preannunciarono al Sommo Sacerdote l’inizio di una battaglia che non tardò a presentarsi ai suoi occhi, sotto la forma non di serpenti di pietra, com’era accaduto ai compagni di Golia, bensì con le fattezze di un’ombra, che lo attendeva lungo il percorso.

"Ti sei dunque deciso, mostro, a rivelarti?", domandò con sicurezza l’Oracolo di Atena, mentre una lieve variazione d’energia cosmica nemica ne rivelava le fattezze, già note al santo d’oro, poiché appartenenti a colei che lui vide guidare i figli di Tifone durante l’assalto all’accampamento pellerossa.

"Steno, la Gorgone, se non sbaglio…", la riconobbe prontamente Golia, "Esatto, cavaliere d’oro, l’ultima delle tre Gorgoni, giunta fin qui per avere vendetta contro la tua dea, i cui seguaci uccisero le mie sorelle!", ribatté la creatura mitologica, le cui dita erano saldamente conficcate nella parete di pietra.

"Sia dunque! Accetto di affrontarti, seguace della Bestia!", esclamò con sicurezza il santo di Atene, espandendo il proprio cosmo dorato. "Sbagli due volte, mortale! Non sono seguace della Bestia, bensì mi sono piegata allo sposo della mia sorellastra perché questo mi avrebbe concesso di affrontarvi; non confondermi con quei fanatici, che reclamano una nuova genesi per i mostri come noi! Non sono tanto folle da credere in tali stupidi sogni! Inoltre, non sarà con me che combatterai, bensì con il mio Serpentario di Pietra!", tuonò la Gorgone, mentre l’energia cosmica scorreva fra le dita conficcate nella parete rocciosa, dando forma a decine di serpi che, uscendo ai piedi di Golia, iniziarono a bloccarne i movimenti, risalendo lesti il corpo mastodontico del cavaliere d’oro.

Il cosmo del Toro, però, non tardò a rivelarsi, esplodendo con violenza e riducendo in macerie quei serpenti che s’erano avvolti attorno al cavaliere di Atena, che prontamente si mise in guardia contro la propria nemica, "Grande e potente, ma altresì incapace di bloccare i miei serpenti! Finché avrò pietra attorno a me potrò dargli forma!", tuonò Steno, mentre altre decine di serpi energetiche prendevano a circondare Golia, che, nuovamente, lasciò esplodere il proprio cosmo, per allontanare quelle creature di pietra.

Una nuova presenza, però, si rivelò nella sala di pietra, frantumando il muro alla sinistra di Golia e lasciando apparire una nuova figura, che si frappose fra i due contendenti; grande fu lo stupore della Gorgone nel vedere un nemico che pensava sconfitto giungere fin lì, nel vedere Shiqo della Lontra interrompere la battaglia.

"Sommo Sacerdote di Atene, questa battaglia è mia, concedetemela!", esclamò il guerriero pellerossa, espandendo il proprio cosmo, che risplendeva di magnifici riflessi fra il dorato e l’arancione, "Sia pure, comandante degli Hayoka, a te la battaglia con la Gorgone che ha ucciso Mudjekewis." , concordò anche l’Oracolo di Atena, mentre una risata prorompeva dalla fredda maschera di Steno.

"Il Sommo Sacerdote? Tale nemico ho trovato sul mio percorso? Proprio il primo fra i seguaci della vile Atena? Pensate forse che, avendo avuto questa notizia, io lo farò scappare? Mai! Lui sarà il mio avversario! E tu, piccolo seguace di insulse divinità, preparati ad essere schiacciato, cosa che non ho avuto voglia di fare la prima volta, ma che adesso compirò senz’altro!", tuonò la mitologica sorella di Medusa, mentre da tutte le direzioni dei serpenti di pietra s’avvinghiavano sul corpo di Shiqo, nascondendolo, in pochi attimi, fra le loro dure spire.

"Ora, a noi due, Oracolo di Atena!", minacciò la Gorgone, mentre già s’agitavano nell’aere i suoi lunghi capelli, simili ai serpenti che sapeva richiamare dal terreno.

"Quartz reflect!", urlò proprio in quel momento una voce, soffocata dalla moltitudine di serpenti che ne circondavano il corpo; in pochi attimi quei serpenti di pietra iniziarono a risplendere d’un colore diverso, più brillante, mentre la loro stessa struttura molecolare cambiava, circondata ed intrappolata dalle splendenti schegge di quarzo che, come una nuova pelle, s’impossessavano di quelle spire.

Quel cosmo in espansione, però, non si fermò: ben presto il terreno ai piedi di Shiqo, quello al di sotto di Golia e persino le pareti che li circondavano, per poi continuare lungo l’intera caverna, iniziarono a rifulgere, come se centinaia di serpenti fosse stati mutati in altrettante lanterne di quarzo, che brillavano di luce propria, illuminando ai viandanti la via in quell’oscuro labirinto.

Steno stessa dovette ritrarre il braccio dalla parete, poco prima che dei piccoli pezzi di quarzo iniziassero a prendere forma sul suo arto superiore, "Maledetto…", ringhiò la Gorgone, "Come hai potuto?", continuò a chiedersi.

"La luce del Quarzo che proviene dal cosmo della Lontra può mutare ciò che è inanimato, rendendolo simile alla fonte che ne è genesi. Nessun ostacolo, che sia prodotto dal cosmo, o generato dalla sorte, può bloccarmi, tutto si piega dinanzi alla rifulgente Lontra!", avvisò con voce secca Shiqo, sollevando il pugno destro dinanzi a se.

"Non ho bisogno di piegarti, piccolo uomo, mi basta schiacciarti!", replicò infuriata Steno, scattando rapidissima contro il nemico e colpendolo con un pugno alla bocca dello stomaco; quell’attacco, all’apparenza privo di violenza, risultò talmente potente da sollevare l’Hayoka da terra e farlo schiantare contro una parete rocciosa a diversi metri di distanza.

"Ora, servo di Atena, nessun altro ci interromperà." , esclamò Steno, voltandosi di nuovo verso Golia, che, con un sorriso accennato, indicò qualcosa, alle spalle della Gorgone, "Nessuno, se non il Comandante dei guerrieri pellerossa." , avvisò il Sommo Sacerdote, mentre già Shiqo si rialzava in piedi, apparentemente illeso.

"Tu? Come puoi? Il mio attacco era limitato, ma sufficientemente potente da spezzarti come un fuscello!", ringhiò Steno, "E ne ho subito gli effetti, poiché immane è il dolore che ho all’addome, ma, per quanto fosse potente quel pugno, le difese della Lontra lo sono ancora di più. Difese che, secondo gli antichi dettami, furono quasi del tutto distrutte durante la guerra con il dio Inti, per poi essere nuovamente forgiate dal supremo Fabbro del Manto Rosso d’Occidente, che le rese le più resistenti fra le dodici vestigia del pantheon Hayoka, capaci di fronteggiare, grazie alle difese di quarzo che il mio cosmo continuamente anima, qualsiasi confronto fisico!", avvisò il guerriero pellerossa, mettendosi poi in posizione di guardia, con le gambe divaricate, il braccio sinistro dinanzi al viso ed il destro all’altezza del fianco. "E se lo splendore del cosmo e la resistenza delle vestigia sono virtù difensive della Lontra, nel pugno di Shiqo sta tutta la potenza offensiva che il quarzo riesce ad ottenere!", avvisò l’Hayoka, scattando con un violento gancio allo stomaco della sorella di Medusa, tanto violento da schiantarla contro la parete che la creatura aveva sulla propria destra.

"Ora, Sommo Sacerdote, andate! Seguite la via che il quarzo ha illuminato lungo questo labirinto!", suggerì il guerriero pellerossa, mentre Golia scattava in avanti, "Ci rivedremo dinanzi alla Bestia, ricordalo Shiqo!", esclamò il cavaliere d’oro, allontanandosi verso l’uscita dalla grotta.

 

Il bagliore prodotto dall’espandersi del quarzo lungo la galleria aveva raggiunto anche Lorgash di Capricorn ed Elettra del Cavallo, che continuavano a correre, distruggendo i muri che trovavano lungo la loro strada e cercando, quasi inutilmente, una via di fuga da quell’oscuro baratro. Quando però la luce rischiarò la via, i due furono inizialmente perplessi; "Com’è possibile? Che può essere successo?", si domandò l’amazzone, mentre il cavaliere d’oro osservava due serpenti di pietra, ridotti in quarzo mentre ancora si trovavano a mezz’aria.

"Non so cosa sia successo, ma di certo è a nostro vantaggio… penso che anche l’ultimo degli Hayoka sia sceso in campo, poiché non penso che Golia abbia sviluppato un potere simile; ad ogni modo, questa fonte d’immensa luce ci permette ora di trovare più rapidamente l’uscita." , ipotizzò il santo di Capricorn, che riuscì, di fatto, a trovare il giusto percorso ed allontanarsi dal labirinto assieme all’amazzone di Artemide prima ancora del Sommo Sacerdote, dirigendosi insieme alla compagnia verso il successivo ostacolo.

 

Non ci volle molto perché Steno la Gorgone si rialzasse in piedi, trovandosi ora sola dinanzi al suo nemico, Shiqo della Lontra, che con sguardo impassibile la osservava.

"Tu, piccolo servo di divinità minori, mi hai impedito di ottenere la vendetta che le mie sorelle reclamano! Loro, Medusa ed Euriale, potenti e sagge, incapaci di conoscere la sconfitta, furono uccise dai vili servitori di Atena ed ora, dopo aver dovuto rinunciare a massacrarli nell’accampamento di voi, piccoli uomini d’oltre Oceano, non potrò farlo nemmeno qui, in questa sala dove avrebbero conosciuto il terrore dello smarrimento, prima della disperazione eterna della pietra! Ti rendi conto di cosa hai fatto?", ringhiò furiosa la Gorgone, scagliandosi con incredibile furia contro l’avversario.

Un diretto destro alla bocca dello stomaco fu prontamente parato dalle braccia di Shiqo, che, poste in parallelo, a simulare la guardia di un pugile, decrementarono la potenza offensiva del colpo nemico, ma non fermarono l’assalto di Steno che subito continuò con un gancio alla spalla destra, tanto violento da scuotere la posizione dell’Hayoka, permettendo così alla sorella di Medusa di poggiare al suolo il piede sinistro e darsi con questo lo slancio per un violento calcio a spazzare destro, tale da sbalzare indietro di diversi passi il guerriero pellerossa.

"Patetico omuncolo…", osservò Steno, mentre il nemico già si rialzava, pronto a continuare la battaglia, seppur già i primi segni del precedente attacco iniziavano a mostrarsi sul suo corpo.

"Pensi di essere l’unica a muoversi perché spinta da chi è caduto prima? Pensi di avere solo tu il fardello di perdite importanti, Gorgone? I miei compagni Hayoka, il divino Mudjekwis che tu stessa hai ucciso, ognuno di loro reclama per quella giustizia che la nostra meditazione non ha saputo portare!", esclamò Shiqo, scagliandosi contro l’avversaria.

Un veloce affondo con il pugno sinistro portò la Gorgone a spostarsi di alcuni passi verso la destra dell’avversario, che, nel frattempo, aveva già trovato la posizione per un potente e deciso gancio destro al fianco nemico, ma quando l’attacco fu effettuato, già le difese di Steno erano sollevate e la creatura mitologica poté parare il colpo utilizzando la spalla sinistra, che si storse per l’impatto, tanto da lasciarle scappare un urlo di dolore, mentre veniva schiantata contro una parete di pietra.

L’assalto dell’Hayoka, però, non si fermò e subito Shiqo fu addosso alla nemica con un altro potente diretto, che andò affondando nel muro, penetrandolo con l’intero braccio, a pochi centimetri dalla Gorgone, che prontamente s’era spostata.

"Dunque così combattono gli uomini giusti? Pensavo che solo noi, creature dalla forma demoniaca, coloro che voi chiamate Bestie, fossimo capaci di tanta furia e malvagità…", rise la sorella di Medusa, trovando un barlume di perplessità nel suo interlocutore, barlume che prontamente usò per colpirlo con un violento calcio allo stomaco, scalciando indietro Shiqo.

"Ti riempi la bocca parlando di vendetta… attacchi con una ferocia che non si addice a quelli che l’Imperatrice Oscura, la mia sorellastra, aveva definito degli sciamani, più che dei guerrieri, custodi di Pace e non portatori di guerra; inoltre il guerriero di Atena ti ha definito comandante delle tue schiere, il che fa capire come tu ti possa sentire avvilito per ciò che è successo ai tuoi compagni ed alla divinità che seguivi… ad ogni modo, se tutto ciò ti permette di ottenere una tale ferocia e potenza, allora tienitelo stretto, piccolo uomo, perché solo così riesci a sembrare un po’ più grande di quanto tu non sia." , affermò queste parole Steno, prima di scoppiare in una gustosa e sadica risata, mentre ancora il suo nemico titubava, dinanzi a parole che parevano averlo colpito ben più duramente dei pugni subiti.

La Gorgone s’avvide dell’attimo di smarrimento nemico e lesta prese un proprio capello, lanciandolo contro l’avversario; il crine, una volta a mezz’aria, prese la forma d’un serpente di pietra, ma lentamente divenne più affilato risultando quindi simile ad una lancia dall’aspetto di rettile, che saettò accanto a Shiqo, ferendone la guancia sinistra ed aprendo una sottile ferita sulla gola, prima di conficcarsi nella parete dietro il guerriero pellerossa.

Prima ancora che l’Hayoka potesse rendersene conto, però, quello stesso capello si mosse dal muro dove s’era schiantato e lesto si legò attorno al proprio bersaglio, proprio com’era accaduto non molte ore prima nell’accampamento pellerossa.

"Ancora una volta, piccolo uomo, hai mostrato il fianco… ti sei rivelato ciò che effettivamente sei: un codardo e dubbioso guerriero, incapace di combattere scatenando tutto se stesso in battaglia. Cosa sai fare? Spiegami, le tue uniche virtù sono vantarti e lagnarti… come molti altri uomini in tutti i secoli che ho vissuto, nascosta in queste spoglie umani, mutando il mio corpo affinché quei cavalieri tuoi pari non mi cercassero, maturando ed attendendo il momento più consono per ottenere vendetta. Tutto questo tempo a disgustarmi della vostra esistenza, voi che avete il dominio su questo mondo siete solo folli, o deboli, incapaci di utilizzare al meglio le vostre capacità, oppure troppo timorosi di farlo!", ringhiò Steno, colpendo con un violento calcio la gamba sinistra di Shiqo, tanto da spezzargliela; ma l’Hayoka non ebbe il tempo di cadere verso il basso, poiché un violento diretto alla base del collo gettò indietro il guerriero pellerossa, lasciandolo senza fiato.

Tossì sangue il comandante degli guerrieri pellerossa, mentre già la mano della Gorgone lo sollevava per il collo, "Ora, piccolo uomo, avrai modo d’essere utile per qualcosa: la tua insulsa vita sarà libagione per i miei fedeli compagni…", sussurrò Steno, mentre, come già era accaduto dinanzi al divino Grizzly, ancora una volta i suoi capelli sembravano prender vita e la verde chioma si tramutava in un groviglio di serpenti.

"Crini delle Gorgoni, azzannate!", tuonò la sorella di Medusa, mentre le decine di serpenti affondavano le zanne nell’armatura e nel viso di Shiqo.

Sentiva le forze venirgli meno l’Hayoka della Lontra: quello che stava subendo era un colpo pari per effetti al famoso sguardo di Medusa, ma ben diverso per le modalità con cui s’espandeva nel corpo della vittima: non era infatti lo sguardo a pietrificare, bensì erano i serpenti, che succhiavano via la forza vitale dal corpo morso, iniettandovi dentro il cosmo di Steno, che tutto pietrificava. Avrebbe anche potuto abbandonarsi a quel sonno di pietra, Shiqo, ma, in se stesso, il guerriero pellerossa sapeva che non quello sarebbe stato il modo per onorare Big Bear, Taimap e Firon, né quello per rendere giustizia alla caduta del divino Mudjekwis, né, tanto meno, avrebbe giovato a chi sarebbe giunto dopo di lui ad affrontare la Gorgone; nessuno avrebbe trovato giovamento in quella sconfitta… ma tutti avrebbe avuto un supporto dalla vittoria della Lontra sul suo nemico. Con questi pensieri nel cuore, l’Hayoka, espanse il proprio cosmo, tutta la forza che aveva ancora dentro di se, "Quartz Light!", urlò a pieni polmoni il guerriero pellerossa, prima che un fascio di luce, proveniente dal quarzo, esplodesse nello spazio fra lui e Steno, scagliando indietro la creatura mitologica e liberando il nativo americano dalla presa del serpente attorno al suo corpo.

Shiqo ricadde quindi al suolo, la gamba sinistra non riusciva a reggere il suo peso, mentre parte del corpo era sotto l’effetto del cosmo nemico, "Hai anche un colpo del genere?", domandò in quel momento la voce della Gorgone, mentre osservava il guerriero ferito, "Ma in quelle condizioni hai solo allungato la tua agonia!", osservò decisa la creatura mitologica, colpendo con un violento pugno il muro accanto a se e sviluppando delle crepe tanto profonde da far crollare la parete al di sopra dell’Hayoka, che rischiava di finirvi schiacciato.

"Quartz Reflect!", tuonò Shiqo, mentre le rocce che gli franavano addosso mutavano in quarzo, evitandolo, quasi che il prezioso minerale non volesse volutamente danneggiare colui che l’aveva richiamato, ma, oltre ciò, Steno notò un secondo effetto in quella tecnica che già aveva visto: l’effetto del suo cosmo sul nemico pellerossa stava lentamente svanendo, come se anche in lui il quarzo prendesse il posto della pietra.

"Tu, piccolo maledetto uomo, sei riuscito a curarti dagli effetti dei miei serpenti!", esclamò stupita la Gorgone, chiaramente poco convinta di ciò che stava osservando, "Esatto, seguace della Bestia, il cosmo della Lontra è capace anche di questo, mi pareva d’averti avvisato di ciò…", avvisò l’Hayoka, mentre già il braccio destro rifulgeva d’energia cosmica, "Quartz Light!", tuonò Shiqo subito dopo, scagliando un’altra concentrazione di luce, scaturita dal quarzo sul suo pugno, contro l’avversaria, che ne fu investita e travolta, subendo una ferita al fianco tale da trapassarla da parte a parte.

"Non demordi malgrado tutto, sei riuscito a ferirmi e continui ancora a mostrare uno spirito combattivo come pochi, forse è tempo che io usi l’ultima tecnica di cui sono padrone ed allo stesso tempo la più antica di tutte, è tempo che ti mostri il mio vero volto!", esclamò una sanguinante Steno, mentre a fatica si rialzava, portando una mano dinanzi alla maschera che ne celava il volto, togliendola.

Ciò che apparve poi agli occhi di Shiqo fu orripilante: il viso, per quanto avesse i contorni ed i lineamenti di una fanciulla, non era composto di carne, bensì di serpenti che, aggrovigliati fra loro, s’agitavano con impazienza per trovare una via di fuga, ora che gliene era stata data la possibilità e, oltre quelle schiere di serpi, un volto, quasi inciso su una superficie di carne, lineamenti in parte umani, in parte bestiali, mentre delle sottili ed affilate labbra s’aprivano in un sorriso; "Considerati onorato, piccolo uomo, potrai vedere il mio viso, cosa che non accadeva dai tempi del mito, e gustare del mio sguardo!", tuonò Steno, mentre due occhi dorati puntavano sull’Hayoka, che, come ipnotizzato, non poté evitare di confrontarsi con quelle iridi gialle.

"Sguardo della Gorgone!", tuonò la sorella di Medusa, compiendo il medesimo maleficio perché già la Sovrana fra le tre era nota: tramutando Shiqo della Lontra in pietra.

 

Ash del Corvo, Bow dello Storione, Botan di Cancer e lo svenuto Daidaros di Cefeo, raggiunsero infine l’ingresso al labirinto dove si stava svolgendo la battaglia fra l’Hayoka e la Gorgone; per tutto il periodo della loro corsa, il gruppo aveva seguito l’evolversi dello scontro, avvertendo l’indecisione nel cosmo di Shiqo e la furia in quello della sua avversaria, ma solo in quel momento, dinanzi a quel sentiero di cunicoli, ora illuminati dal quarzo, i due guerrieri pellerossa avvertirono il cosmo del loro compagno sopirsi, in modo innaturale. "Shiqo! È stato…", balbettò appena Bow dello Storione, "No, non ancora. La sua anima non ha varcato il limite per il mondo dell’Oltretomba," , analizzò Ash del Corvo, "ma non vi è in lui volontà di riprendersi e reagire. Non la forza del corpo lo muove, né quella dello spirito: l’una sottomessa da un cosmo superiore, l’altra abbattuta da pesi che non dovrebbero appartenerle." , analizzò prontamente l’Hayoka dalle oscure vestigia.

"Tutto ciò è assurdo! Fra noi, lui dovrebbe essere quello con il cosmo più potente, la forza della Lontra dovrebbe essere accecante come il quarzo che fa scaturire; l’unica motivazione per questo può essere la debolezza della mente." , ammise preoccupato l’altro guerriero pellerossa, "E noi cosa possiamo fare per aiutarlo? Anche solo trovarlo ci impiegherà del tempo in questo labirinto." , osservò Botan, mentre ancora reggeva lo stremato Daidaros.

"Non servirà trovarlo! Sarà lui a venir da me ed altri gli daranno quel supporto di cui ora ha bisogno. Adesso, però, allontanatevi." , ordinò deciso Ash, compiendo alcuni passi in avanti, prima di allargare le braccia lungo i lati del corpo ed iniziare a recitare dei versi in una lingua persa negli annali del tempo… parole che presto presero forma, come il tetro cosmo del Corvo, che avvolse il suo padrone, animandone i capelli ed oscurandone le pupille.

 

Per degli interminabili secondi, Shiqo della Lontra si lasciò cadere; questa volta l’effetto del cosmo di Steno pareva decuplicato, sentiva l’Hayoka tutto il peso di quell’essenza, vecchia di millenni, schiacciarlo, come una frana fa con tutto ciò che trova sul suo percorso ed in quel momento non sapeva se la sua forza fosse sufficiente a vincere tale schiacciante possanza.

Quella sensazione, però, fu interrotta quando un cosmo, freddo e vasto come pochi, lo tirò a se; inizialmente il guerriero pellerossa pensò fosse parte dell’attacco nemico, ma solo dopo poté notare come quella presenza non fosse ricolma della furia della Gorgone, bensì quieta, quasi indifferente, ma, allo stesso tempo, in qualche modo, preoccupata.

Andata via quella presenza, fecero ben presto la loro comparsa altre tre, molto più deboli, ma colme di una voglia di vita che ormai era sfumata, vite cadute nel baratro dell’oblio, come il guerriero pellerossa stesso capì subito, prima ancora che queste gli parlassero.

"Ci abbandoni così, Shiqo della Lontra? In tal modo desideri onorare gli dei che ti hanno concesso il più grande dei poteri?", domandò la prima delle tre voci, alta e massiccia, come il suo fautore.

"Dunque la resa è l’unica cosa che ti rimane, mio comandante? Una scelta che io ho rifiutato, anche dinanzi alla superiorità del mio nemico?", incalzò un secondo, ben più ardente nelle parole, come lo era nel cosmo infuocato.

"Rinunci a vincere una battaglia che ti darebbe prestigio e, ancora di più, sarebbe d’aiuto alle divinità che serviamo?", continuò una terza presenza, il cui tono tradiva come la calma fosse soffocante per il suo animo desideroso di combattere.

"Big Bear, Firon, Taimap...", balbettò l’Hayoka, riconoscendoli, "amici miei… mi dispiace, io… sono stato un incapace, indegno del titolo di Comandante, inadatto a servire sotto il diretto seguito del potente Waboose." , sussurrò disperato Shiqo, incapace di esprimere in altro modo i propri sentimenti.

"Perché dici questo? La battaglia non è ancora conclusa! Tu hai di certo la forza di vincere questo oscuro maleficio." , suggerì Firon del Puma, "Sì, esci da questo sonno senza sogni e schiaccia quell’orrida creatura che vive in questo mondo da fin troppe ere!", esclamò Taimap del Castoro.

"Non ho il diritto, né la forza di vincere la mia nemica. Io sono un incapace, non ho avuto le abilità per salvare voi, o il grande Mudjekwis, io sono stato solo un debole… inutile all’ordine degli Hayoka…", ripeté fra se Shiqo, sempre più incerto delle proprie capacità.

"Non un debole, né un incapace, bensì un comandante! Come tale sei costretto a fare delle scelte, a seguire un piano, un percorso per giungere al fine più grande: la vittoria della Giustizia e della pace! Vedi come agisce il Sommo Sacerdote e ti metti in paragone con lui, lo so, anch’io ho avuto il desiderio di confrontare le mie virtù con quelle dei nostri alleati, da sempre volevo dimostrare di non essere solo un custode, ma anche un degno combattente, ma non per questo mi sono mai fermato e nemmeno tu devi farlo!", esclamò l’Hayoka ucciso da Cerbero; "Nessuno di noi, Shiqo, ti dà la colpa per la propria morte: abbiamo fatto la nostra scelta, abbiamo combattuto per qualcosa che va oltre le singole vite, qualcosa che meritava di rischiare e sacrificarsi, se necessario." , continuò colui che era caduto vincendo con se Aoshi del Kappa.

"Come potete non accusarmi? Le vostre morti sono legate alle mie decisioni di comandante…", affermò con rammarico Shiqo.

"No, le battaglie singole sono legate alle azioni del singolo, non alle decisioni che riguardano il gruppo… se tutto questo fosse inutile, se noi perdessimo e le divinità che serviamo venissero sconfitte, allora tu potresti darti colpa di ciò! Ma finché continuiamo a combattere, finché non vi è sconforto, né indecisione nelle schiere dei Cavalieri, degli Hayoka e di tutti i loro alleati, allora, mio Comandante, non vi è sconfitta, bensì vi è solo da lottare ancora ed ancora!", esclamò con decisione il primo dei guerrieri pellerossa ad essere caduto.

"Io non ti accuso, poiché ho scelto di sacrificarmi per il bene del nostro accampamento, ho voluto combattere per onorare le divinità che ci guidano e se anche qualcuno di voi, miei compagni, avesse cercato di fermarmi, sarei stato sordo alle sue parole. Solo di una cosa mi rammarico: d’aver fatto soffrire Peckend, amico d’infanzia che ora non potrò più rivedere, ma di cui sarò sempre un ricordo." , affermò con voce pacata Big Bear dell’Orso.

"Ho scelto di combattere contro il Portatore di Luce che dominava le acque ed il gelo non perché tu, o Hornwer, me lo aveste ordinato, bensì perché i miei compagni erano stati catturati, il nostro cammino sembra rallentare e non potevo lasciare a Lihat ed al Comandante del Cervo una battaglia che non gli apparteneva; inoltre ho avuto modo di dar finalmente forma a quel vigore che dentro di me sentivo da tempo. Non sono mai stato tanto fiero di me stesso come in quello scontro e so che le mie azioni sono servite, poiché attraverso quel sacrificio il Falco Rosso ha vinto sulla sua nemica, trovando in se la forza ed il Cervo è riuscito a raggiungere l’ultimo dei Portatori di Luce, avendone ragione." , continuò con una punta d’orgoglio Firon del Puma.

"Proteggevo la mia zona del nostro accampamento, compiendo il mio dovere di Hayoka della Primavera e ho scelto una via differente da quella di Bow dello Storione, ma simile a quella intrapresa da Vake del Serpente: anch’io ho scelto di combattere per rallentare l’avanzata dei nemici, ma al contrario del guerriero dell’Autunno, l’ira della battaglia ha offuscato la mia mente, portandomi alla sconfitta. Non ho rimpianti però su ciò che è avvenuto: ho combattuto con tutto me stesso, mostrando di cosa la nostra gente è capace per il bene superiore che perseguiamo." , concluse Taimap del Castoro.

"Amici, non so come ringraziarvi…", ebbe appena il coraggio di dire Shiqo della Lontra, il cui spirito era ricolmo di commozione per quelle parole di conforto che i tre spiriti gli avevano detto, quando una nuova presenza li circondò, ben diversa da tutte quelle che erano state fino a quel momento attorno a lui, ma altrettanto nota.

"In un solo modo potrai ringraziarci, Shiqo della Lontra, vincendo il tuo nemico, sconfiggendo colei che mi ha tolto la vita in una leale battaglia, dimostrando a me ed alle altre divinità che segui, che non abbiamo sbagliato a sceglierti come Primo Comandante; poiché tu hai il potere degli Hayoka, capace di purificare i cosmi corrotti, scacciandoli. Dunque liberati, mio guerriero! Lascia brillare il Quarzo della Lontra in tutto il suo splendore!", esclamò con decisione la voce divina, mentre il legame con quell’oblio diventava sempre più flebile, riportando il guerriero pellerossa alla realtà.

 

Steno la Gorgone aveva avvertito un cosmo intromettersi, dopo la pietrificazione del nemico, ma l’unico effetto di quella presenza era stato l’allontanarsi repentino della fiamma di vita dal corpo dell’Hayoka suo avversario, il che non aveva sconvolto più di tanto la sorella di Medusa, almeno non come avvertire quella stessa energia vitale riprendere forma dentro il proprio involucro, riscaldandolo con un fuoco nuovo e più acceso che mai.

Il cosmo del guerriero pellerossa divenne sempre più accecante, aprendo delle crepe nella dura roccia che lo chiudeva come un guscio, facendosi spazio fra le oscure tenebre di quella prigione eterna, fino a frantumarle, riducendo in miseri lapilli quella statua e lasciando uscire il corpo che da questa aveva preso forma ed in essa era rinchiuso, il corpo di Shiqo della Lontra.

"Tu? Come puoi essere vivo? Chi ti ha aiutato in tale fuga?", tuonò infuriata la Gorgone, "L’unico aiuto che ho ricevuto sono state parole veritiere, che mi hanno aperto gli occhi verso quella che è la realtà dei fatti." , affermò secco l’Hayoka, la cui voce era ormai priva di ogni titubanza.

"Aprire gli occhi dici? Ebbene, forse è l’unica cosa che non avresti dovuto fare, poiché non potrai sfuggire allo sguardo che tutto pietrifica!", minacciò Steno, mentre già gli occhi iniziavano a brillare sinistri.

"Al contrario, creatura mitologica, non avrò bisogno di celarmi al tuo sguardo, poiché tu eviterai il mio e quello della tecnica più potente della Lontra!", esclamò con sicurezza Shiqo, mentre già la luce proveniente dal quarzo sul pugno destro andava a circondarlo completamente, prendendo le magnifiche forme del suo animale guida, forme sempre più luminose, che ormai circondavano per intero il guerriero pellerossa, celandolo in una luce tanto brillante da soffocare chiunque ne andasse a contatto.

"Shininq Quartz!", tuonò la voce lontana dell’Hayoka, mentre lo sguardo di Steno si perdeva in un giorno senza tenebra, nell’eternità di un cielo di stelle e la sua essenza affogava nella luce.

Pochi attimi, un interminabile lasso di tempo in cui la luce affogò in se stessa l’intera caverna, avanzando verso i quattro che ancora dovevano entrare nel labirinto, e raggiungendo i due che vi erano usciti e colui che stava per farlo; un lasso di tempo alla cui fine solo Shiqo era cosciente di ciò che era successo, mentre di Steno, la sua avversaria, non restava che una statua di quarzo, un magnifico e rifulgente minerale dalle fattezze quasi umane, se non per l’orrido viso della Gorgone.

"Così tu, che per secoli hai reso gli uomini pietra, gusterai dell’eterno abbandono nella luce, eterna reliquia di quarzo che perdurerà, rifulgendo al solo fine di segnalare la tua passata esistenza, cercando di trovare un bagliore di speranza per te stessa, oltre le tenebre che avevi nel cuore, oltre la luce in cui ti ho per sempre rinchiusa." , con queste parole l’Hayoka si congedò dalla sua nemica, allontanandosi, verso il percorso lungo il quale i quattro compagni sopraggiungenti lo avrebbero incontrato.

Due soli nemici restavano ancora da combattere ed altri guerrieri erano andati ad affrontarli, di ciò Shiqo era cosciente, ma altrettanto era certo che tutti loro sarebbero stati necessari nello scontro finale con la Bestia.