Capitolo 53: Tifone, la Bestia Indomabile

Nelle vaste lande della Cina, fra le immortali montagne di quei luoghi sconfinati, la pace della piccola casa di Mamiya, Runouni di Giada, dalle insigne del Topo, era ormai stata interrotta per il ritorno dei due gruppi di guerrieri che, fino a poco prima, avevano combattuto nel vicino Giappone e fra le rovine della perduta isola di Mur.

Dorton del Cinghiale, sposo di Mamiya, era disteso all’interno della loro piccola casa, riposava, dopo essere stato curato dalla moglie stessa, accanto all’Hayoka che alcune ore prima era stato portato in quei luoghi dispersi, Vake del Serpente.

La guerriera di Giada, però, non era dentro la capanna con lo sposo assopito, bensì, osservava, ed aiutava, nelle cure di chi si trovava all’esterno della stessa: una zona ormai molto più simile ad un ospedale da campo, che ad una vallata pacifica.

In un angolo riposava, distesa sul duro suolo, Sekhmet di Bastet, in cui ormai stavano scomparendo gli effetti del veleno nemico, insito negli attacchi del Portatore di Luce da lei affrontato; accanto alla guerriera egizia, si trovava Kano del Pavone, cavaliere d’argento, intento in una profonda meditazione, fra l’egiziana alleata e le due sacerdotesse sue parigrado, che riposavano entrambe poco lontano, dopo essere state curate da Mamiya stessa, con l’aiuto di una degli Hayoka.

Accanto al cavaliere del Pavone vi era anche l’altro suo parigrado: il cavaliere della Lira, Real, che, pizzicando il proprio strumento musicale, cercava d’allietare la degenza dei compagni feriti presenti nella vallata. Un sorriso, a quel suono, si dipinse sul volto della Runouni del Topo, ripensando a Koga della Scimmia, suo antico parigrado ed amico del santo d’argento che rallegrava la landa con le sue dolci note.

Poco lontano, un ben più impegnato Bifrost di Megres, incurante delle proprie ferite, si occupava di vegliare su Freiyr, Re di Asgard, ferito nel suo scontro contro il comandante dei Generali Oscuri. Proprio uno di questi seguaci dell’Erebo, Blat, assieme al celtico Taranis del Nocciolo, che si era riunito ai passati compagni per questa battaglia, si preoccupava ora di aiutare il guerriero asgardiano nelle cure del suo sovrano, dopo che le più rilevanti medicazioni erano avvenute, per mano della guerriera pellerossa.

Oltre a quel Generale Oscuro, un’altra si era ravveduta fra le schiere dell’Erebo, come poté scoprire la stessa Mamiya, quando vide arrivare quei due inaspettati ospiti, assieme a quelli attesi: Schon della Manta Nera, che, assieme ad Esmeria di Suzaku, Regina di Cartagine, ed all’ultimo dei Goshasei, Joen del Pavone, si preoccupava di vegliare su Kain di Shark, l’unico mariner sopravvissuto alle passate guerre ed ora gravemente ferito a causa della battaglia intrapresa contro Zahn di Black Tiger Shark.

Ben distanti dagli altri, invece, si trovavano i quattro Hayoka presenti nella vallata; avevano detto di chiamarsi: Whinga dell’Oca Polare, Lihat del Falco Rosso, Kela dell’Alce e Peckend del Picchio. Questo era tutto ciò che la Runouni sapeva di loro, oltre che la prima delle due guerriere pellerossa aveva grandi doti curative; ma più di questa notizia, Mamiya era sorpresa da ciò che in quel momento i quattro stavano facendo: un qualche rituale, composto di versi nella loro antica lingua, mentre i loro cosmi sembravano fondersi, per distribuire nell’aria circostante una pace incredibile.

Solo tre dei compagni sopravvissuti alle due battaglie non s’erano fermati in quel luogo: i due santi d’oro, della Bilancia e dell’Acquario, e l’ultimo degli Hayoka, Hornwer del Cervo. Dopo delle rapide quanto generiche cure da parte dell’altra guerriera pellerossa, questi erano subito scomparsi dal cinese suolo, guidati dalle due divinità native americane verso lo scenario in cui si sarebbe conclusa l’ultima battaglia, lo stesso in cui stavano, a detta del divino Shandowse, combattendo tuttora gli altri compagni dei cavalieri: il Vulcano Etna.

Golia del Toro, sommo Sacerdote di Atene, aveva continuato la propria corsa, avvertendo silenziosamente l’evolversi dello scontro fra Lorgash e l’Echidna, fino al suo triste epilogo; malgrado fosse cosciente di quanto il suo parigrado stesse rischiando e perdendo, l’Oracolo di Atene non si fermò, né tornò indietro per soccorrerlo, poiché ben più grande era il pericolo che la minaccia, l’ultima, alla fine della corsa, rappresentava: Tifone, la Bestia.

Il Custode della Seconda Casa, nonché occupante della Tredicesima, varcò con passo sicuro la soglia che lo inserì in un ben più ampio ambiente, una cavità quadrangolare dove Golia poté vedere sia il baratro da cui il cosmo della Bestia era stato estratto, sia colui che ora subiva la sorte di essere posseduto dall’ancestrale mostro: un giovane che, seduto sullo stesso trono di pietra, da cui aveva seguito le diverse battaglie, ora osservava l’antistante comandante delle schiere di Atena.

Per alcuni attimi rimase il silenzio fra i due; Tifone non parlò, né si mosse, osservando semplicemente, analizzando quasi la figura che aveva davanti, restando celato nel lungo mantello, mentre in una mano, poté notare il Sommo Sacerdote, stringeva i resti di qualcosa molto simile ad un cranio umano.

Fu proprio il cavaliere d’oro il primo a compiere un passo, facendosi avanti, "Io sono Golia…", ebbe appena il tempo di dire, prima che lo sguardo dell’altro s’accendesse in una vampata d’immensa energia, come il cosmo stesso, "Silenzio, pulce, non è con te che devo scontrarmi." , sentenziò secco Tifone, mentre la maestosa figura del Primo Cavaliere di Atena veniva sbalzata indietro da quella semplice ondata energetica; allora l’ancestrale mostro si alzò in piedi.

"Non te osservavo, pulce, né mi curavo del tuo arrivo, bensì di quella divinità, il cui fetore è giunto a questo umano naso fin dalla vostra comparsa nella mia prigione." , spiegò Tifone, avanzando verso Golia, "Ai tempi in cui calpestava questo mondo, nella mia vera forma, era abitudine che chi osasse sfidarmi, una volta arrivato al mio cospetto, si presentasse… si vede che il tempo ha reso anche le divinità d’oltre Oceano maleducate, come già quelle elleniche lo erano… o forse lo siete sempre state tutte, voi insulsi dei?" , osservò, corrucciando la fronte, e scuotendo il capo, la mitologica creatura.

"Ad ogni modo, giacché sento il tuo fetore, divinità straniera, direi che è tempo che tu ti presenti a me, è già la seconda volta che te ne do possibilità, malgrado tutto, tu qui sei l’ospite…", affermò con estrema cordialità Tifone, alzando il capo nell’osservare con fare distratto la stanza in cui si trovava, "e per quanto io, più che il padrone di casa, sono colui che l'ha usurpata ad un’altra vigliacca divinità, saprò comunque come trattarti." ,concluse con sarcastico sorriso, mentre un cosmo bianco si materializzava nella sala.

Lentamente quella bianca aura prese forma, rendendosi umana agli occhi dei due presenti, prendendo l’aspetto di Waboose, il Bianco Bisonte dell’Inverno.

"Finalmente!", esclamò con un largo sorriso Tifone, "Ora vedo il volto della formica, nascosta fra le pulci, l’animaletto che Zeus mi ha mandato contro, temendo troppo per farsi avanti egli stesso." , commentò con tono sarcastico l’ancestrale mostro. "Non è stato Zeus ad ordinare questo assalto." , fu la secca replica di Waboose; "Vuoi dire che sei stato tanto sciocco da decidere autonomamente d’attaccarmi? Riunendo tante pulci dalle più disparate parti di questo insulso pezzo di pietra… complimenti allora, divinità d’oltreoceano", affermò Tifone, mentre il tono della sua voce diventava per la prima volta serio, "sei più abile del mio ancestrale nipote nel farmi infuriare…", concluse, lasciando esplodere il proprio cosmo una seconda volta con una violenza tale da scagliare sia Golia, sia il dio pellerossa, diversi metri indietro.

"Ed ora ne pagherai le conseguenze." , concluse seccamente l’antica creatura, mentre Waboose si rialzava, pronto ad iniziare un titanico scontro con l’avversario tanto temuto ed il cui risvegliato avevano inutilmente cercato d’evitare.

La corsa di Shiqo della Lontra e degli altri quattro compagni, che prima di lui avevano sconfitto i figli di Tifone e dell’Echidna, si fermò, quando i cinque arrivarono nella vastissima arena che aveva fatto da teatro al triste duello fra la sposa della Bestia e Lorgash di Capricorn. Il cavaliere d’oro era ancora inginocchiato al suolo, stringeva al petto il corpo senza vita di Elettra, mentre altre calde lacrime rigavano il suo viso sofferente.

"Lorgash." , esordì Botan di Cancer, avvicinandosi al parigrado, mentre i tre Hayoka osservavano il corpo dilaniato di colei che era stata posseduta dall’Echidna, lasciando Daidaros, ancora incosciente, poggiato contro una parete.

Il silenzio calò fra i due cavalieri d’oro, mentre il santo del Capricorno mostrava alla Custode della Quarta casa il corpo senza vita dell’amazzone, "Si è sacrificata…", riuscì appena a dire il dorato padrone dell’Excalibur, mentre la mano della parigrado si poggiava sulla sua spalla.

Anche i tre guerrieri pellerossa infine s’avvicinarono, osservando e comprendendo la gravità della scena dinanzi a loro; "La perdita è solo fisica, cavaliere, ciò che vi univa è ancora in te, così come è in lei, lì nel luogo dove si trova ora, fra le sue consorelle…", furono le parole con cui Bow dello Storione cercò di confortare il cavaliere per la sua perdita.

"La scomparsa di qualcuno a cui si è legati risulta sempre terribile, ma se non vuoi che la sua caduta sia stata solo un’altra battaglia conclusasi malamente in una più grande e triste guerra, cavaliere, alzati…", propose subito dopo Shiqo, il cui viso era segnato dalla tristezza, poiché sapeva bene quanto dura fosse quella situazione.

Stava per rispondergli Lorgash di Capricorn, con il viso ancora rigato di lacrime, ma, inaspettata, un’ondata di energie cosmiche, rapì l’attenzione di tutti i presenti: qualcosa stava accadendo.

 

Waboose, il Bisonte Bianco, sapeva che ormai la battaglia con Tifone era inevitabile, quindi, rialzatosi, si lanciò egli stesso contro il mostruoso avversario, sferrando con incredibile determinazione e velocità un possente diretto contro lo stomaco del nemico; questi subì in pieno il colpo, rimanendo immobile nella propria posizione, "Ebbene?", domandò l’ancestrale creatura, "Chiami questo un attacco?", incalzò, guardando sott’occhi il suo avversario, mentre scuoteva insoddisfatto il capo, per poi, con un secco movimento del busto, scagliare egli stesso, senza il minimo preavviso, un gancio allo stomaco della divinità pellerossa.

Il Bisonte Bianco fu sollevato dal suolo da quel pugno, incredibilmente potente per la posizione statica da cui era stato sviluppato, una furia tale che sbalzò la divinità indietro, fino a schiantarlo al suolo.

"Molto male, divinità d’oltreOceano, in verità speravo in qualcosa di meglio di una misera prova di forza, per di più irrisoria, aggiungerei…", lo ammonì con estrema calma Tifone, movendo quindi le braccia a toccare il proprio petto, "abbiamo questi corpi di carne e sangue, che tanto bene si prestano a manovrare l’energia del cosmo, quella forza che fin dall’era del Mito, quando nacqui, era propria degli esseri superiori, allora, perché non la usi?", incalzò ancora la Bestia.

Waboose si rialzò in piedi, espandendo il proprio cosmo a dismisura, tanto da iniziare a sviluppare una lieve patina di neve nell’intera sala di pietra; Tifone si guardò intorno con interesse per alcuni secondi, "Bene, ora perché non mi mostri veramente quanto è vasto il tuo cosmo?", domandò con estrema serenità, quasi incurante dell’energia che tanta feroce si espandeva, come una tormenta.

"Creatura maledetta…", affermò a denti stretti la divinità pellerossa, "Da Zeus e da molti altri." , tenne a precisare Tifone, per nulla preoccupato dall’energia avversa che ormai lo circondava.

"Freezing Breath!", tuonò allora il Bisonte Bianco, mentre una gelida folata di puro cosmo scaturiva dalla bocca del dio pellerossa, incastonando nel ghiaccio il suo avversario, che, rapidamente, ne fu completamente ricoperto.

Waboose non ebbe però nemmeno il tempo di avanzare verso il nemico che già il secco rumore del ghiaccio che si frantumava lo costrinse a coprirsi il volto, ciò che il dio intravide lo sbalordì: la trappola in cui aveva rinchiuso Tifone stava lentamente andando in frantumi, non sciolta, ma spaccata da delle nere fiamme che s’accendevano all’interno del ghiaccio stesso, frutto del cosmo di Tifone.

Un’ultima esplosione d’energia, infine, ridusse in frantumi la gabbia di ghiaccio, incenerendo anche il mantello che celava le vestigia della Bestia ellenica, che si rivelarono essere verdi, di diverse gradazioni di quel colore, come il diadema che l’essere portava fra i capelli, ma adornate da decine di occhi scarlatti, rappresentazione delle molteplici teste che il suo vero corpo possedeva.

"Devo dire che la temperatura che ormai tutti conoscono come Zero Assoluto mi porta sempre un certo refrigerio…", osservò con un soddisfatto sorriso il mostro, "ma alla fine, per chi ha passato millenni imprigionato nelle profondità ardenti di questa prigione di pietra che è il vostro mondo, quel gelo è un ostacolo da poco." , concluse, tornando serio, Tifone.

In un batter d’occhi, Waboose trovò il suo nemico incredibilmente vicino e non poté nemmeno evitare la violenta serie di pugni che questi gli portò, sferrando dapprima un gancio sinistro, subito seguito da un montante destro al petto, colpi che stordirono la divinità pellerossa, spezzandone il fiato, prima che, incapace di una difesa, l’ellenica creatura lo colpisse con un feroce affondo della mano sinistra al fianco, tanto potente da spezzarne le vestigia e penetrare nelle sue carni.

Una lieve nota di stupore segnò il viso della Mitologica Creatura, mentre il dio Pellerossa stringeva i denti per il dolore.

"Sei un perfezionista dunque, hai anche gli organi interni che avrebbe un comune umano, eppure questa è una tua semplice forma… deve essere un difetto di voi divinità…", osservò con un ghigno sul viso Tifone, mentre, con la sola forza del braccio che aveva penetrato le carni di Waboose, la creatura sollevava la divinità, "se ti uccidessi sotto questo aspetto non ti farei poi tanti danni, quindi vedrò di lasciarti vivere ancora un po’…", concluse la Bestia, gettando via, con un secco movimento, il nemico, che si schiantò contro una parete.

L’ellenica creatura avanzò verso la divinità schiantata al suolo, "Fermo!", tuonò Golia, rialzatosi prontamente in piedi e già in posizione per attaccare il nemico.

"Pulce, pensavo di averti già chiarito che non sei tu il mio avversario. Sei stato un vessillo, un portabandiera per questa insulsa divinità ed ora, piccola creatura, lascia che siano i grandi a discutere, come si confà in ogni cultura, persino fra voi, ammassi di carne mortale!", spiegò, con tono pacato e lieto, Tifone, prima che ancora una volta il suo cosmo esplodesse con immensurabile violenza, costringendo il cavaliere del Toro ad indietreggiare, ma non trovandolo tanto impreparato da rigettarlo al suolo nuovamente.

"Sembra che tu non voglia capire, piccolo mortale…", osservò ancora il mostro mitologico, mentre l’altro avanzava verso di lui, "Non è il tuo volere quello che seguo." , tagliò corto Golia, prima che qualcuno di ben diverso lo fermasse.

"Oracolo di Atena, lascia a me questa battaglia, è un mio dovere." esordì allora Waboose, rialzandosi in piedi ed espandendo ancora il proprio gelido cosmo.

Un sorriso si dipinse sul volto di Tifone, che niente più aggiunse, attendendo la prossima mossa della divinità avversaria.

"Avevo avvertito il tuo cosmo sopito nelle profondità del mondo, sentivo l’ira che nella tua prigione di pietra, come tu la definisci, ti consumava, ma non pensavo che tanto vasto fosse il potere di cui eri padrone; mai avevo visto essere, mortale, o immortale, capace di tenermi testa in tal modo." , ammise la divinità pellerossa.

"Tu non ti allontani molto dal tuo piccolo stagno, vero, formica? Anche la vile progenie di Crono avrebbe facilmente ragione di te." commentò con tono freddo il Mostro ellenico, mentre il cosmo nemico tornava ad animarsi.

"Vedremo, Bestia oscura, poiché ora conoscerai l’estremo potere di Waboose, Custode dei freddi Inverni del Nord!", tuonò secco il Guardiano divino, mentre le mani si poggiavano al suolo.

"Ho i brividi per tutto questo corpo di carne e sangue…", fu la derisoria replica di Tifone, completamente incurante delle azioni avversarie.

Un antico rituale andò pronunciandosi, parola dopo parola, alzandosi da quella dura roccia verso il tetto di pietra della sala, mentre, assieme alle parole, un sempre più candido strato di ghiaccio e neve andava a sollevarsi e la temperatura diminuiva in quella sala.

Gli occhi di Golia del Toro tradivano lo stupore dinanzi a poteri che di certo primeggiavano, se non addirittura superavano, quelli di Camus dell’Acquario, ma, al contrario del Sommo Sacerdote, lo sguardo di Tifone non tradiva alcuna forma di sorpresa, o preoccupazione.

"Ebbene?", domandò il mostro mitologico, quando ormai il ghiaccio aveva circondato l’intera sala, "Ora vedrai…", fu la secca risposta di Waboose, mentre le mani s’alzavano dal gelido suolo per poi congiungersi dinanzi alla divinità. "Bufera Tonante!", tuonò il dio d’Oltre Oceano.

Lo strato di neve che ricopriva per intero la superficie ormai ghiacciata si mosse, animata dalla volontà del dio che lo aveva creato, quella bianca patina si scagliò, con una furia incontenibile, verso il proprio bersaglio: Tifone, attaccandolo da ogni direzione e rendendosi sempre più solido e resistente nel breve percorso che distanziava le pareti dalla mitologica creatura.

Un sorriso sottile, però, s’era già dipinto sul volto della Bestia, mentre questi lasciava esplodere in un’unica vampata d’energia il proprio cosmo, sciogliendo ad unisono l’intera lastra di ghiaccio che aveva circondato l’area.

Non v’era più nemmeno un candido fiocco, a segno della mossa scatenata dal dio pellerossa, solo una sottile patina d’acqua che gocciolava dalle pareti, riunendosi al suolo.

"Se veramente questo è il meglio che sai fare, divinità d’oltreOceano, ho fatto male a definirti una formica, sei molto meno, ai miei occhi." , avvisò il mitologico essere, "Ed ora osserva quali sono i minimi effetti del cosmo di cui sono padrone!", tuonò ancora Tifone, mentre l’acqua ai piedi di lui, quasi mossa da una furiosa corrente, s’alzava in diversi vortici che, danzando attorno all’ancestrale mostro, si andarono riunendo sul suo pugno, per poi scagliarsi, con ferocia inaudita, contro il Bisonte Bianco, le cui vestigia andarono in frantumi per l’ondata energetica che le travolse.

Quando ormai il suo nemico era al suolo, Tifone alzò lo sguardo, "Altre fetide formiche accompagnate da pulci sono giunte qui…", osservò la creatura mitologica, nuovamente immobile.

Cinque cosmi, proprio in quel momento, infatti, erano apparsi all’interno del Vulcano siculo, cinque energie, due di divina fattura, altre forse di origini meno eccelse, ma altrettanto vaste, si muovevano ora in quel cupi cunicoli, dove i resti delle battaglie appena svolte ancora si potevano osservare; quelle cinque entità erano a tutti invisibili, eccetto che a Tifone, il cui cosmo, sormontava ogni cosa, ma, altresì, avvertiva qualsiasi presenza.

Fu così che, mentre ancora parlavano fra loro i cavalieri sopravvissuti agli scontri nel monte Etna, quei cinque cosmi si palesarono.

"Chi è là?", esclamò prontamente Botan di Cancer, spiazzata da quelle apparizioni cosmiche, "Tranquilla, sacerdotessa d’oro, non nemici sono costoro, bensì dei cosmi amici, di persone che a tutti sono noti", la rassicurò Bow dello Storione, mentre due di quelle entità prendevano la forma di un Coyote grigio e di un’Aquila Rossa, lasciando accanto a se le figure di Ryo di Libra, Camus dell’Acquario e di Hornwer del Cervo, i tre che avevano combattuto in Giappone e nella sperduta isola di Muu.

"Fratelli Hayoka!", esordì lieto il comandante della Primavera, mentre già i due santi d’oro si riuniva ai loro pari; ma a nessuno fu dato il tempo dei saluti, poiché già la voce di Wabun li spronava: "Muovete il passo, cavalieri. Un’ultima battaglia attende tutti voi, la stessa a cui già il nostro signore Waboose ed il vostro Sommo Sacerdote stanno prendendo parte, quella a cui ora anche io e Shandowse ci uniremo. Nella sala dov’era imprigionata la Bestia vi attenderemo, cercando di contenerne la furia. I Comandanti Hayoka vi spiegheranno a che pro servirà la vostra presenza.", concluse la divinità dal rosso piumaggio, avanzando poi rapida assieme al canide suo pari.

I rimasti, otto assieme allo svenuto Daidaros, si guardarono gli uni con gli altri, finché non fu Shiqo ad avanzare di qualche passo, "Andiamo, amici miei, è tempo di concludere questa triste battaglia, che già ha visto la fine di troppi nostri compagni e di persone care" li spronò il guerriero della Lontra, avanzando per primo, subito seguito dai suoi parigrado, fra cui Bow sosteneva il corpo svenuto del santo di Cefeo. Di seguito, Camus e Ryo, mentre Botan chiudeva la fila assieme ad un triste Lorgash.

Waboose si era ormai rialzato, dopo il colpo subito, "Dici che altri sono giunti fin qui? Di certo le divinità mie alleate e chi li accompagna per l’ultima battaglia." , esordì il Bisonte Bianco.

"Non temo degli dei d’Oltreoceano, né quelli di queste terre partorite da mia madre Gea." , replicò secco Tifone, che ancora osservava tranquillamente il suo nemico.

"Non devi temere le divinità, difatti, ma gli uomini che le accompagnano!", avvisò allora il dio pellerossa, che, malgrado l’assenza di un’armatura, sembrava nuovamente pronto allo scontro; "Gli uomini! Queste insulse creature, ipocrite e deboli quante le divinità stesse… ai miei occhi valgono più delle divinità solo come libagioni." , ringhiò la Creatura mitologica, avanzando verso il suo nemico e voltando il capo, sorridente, verso il Sommo Sacerdote.

"Inoltre quel così valido elemento del genere umano, non ha ancora partecipato a questo scontro…", aggiunse ironico Tifone, "si vede che, alla fine, questi mortali sono almeno avveduti." , concluse con beffarda voce.

"Non avveduto, ma leale verso la mia richiesta di combattere da solo. Ben presto non servirà più che egli si tenga da parte, sarà il suo turno di combatterti ed allora, Bestia Immonda, conoscerai la sconfitta, come avvenne millenni fa, per mano di Zeu…." , cercò di concludere Waboose, ma già la mano sinistra di Tifone s’era serrata al suo collo e fiammate nere ora ne fuoriuscivano, producendo ustioni e ferite sul collo della divinità d’oltreoceano.

"Cosa dicevi, insulsa formica?", ringhiò ancora una volta l’essere mitologico, pronto a sferrare un feroce pugno contro il capo del Bisonte Bianco; ma, prima ancora che il braccio concludesse il suo gesto, una figura, coperta da vestigia d’argento, lo aveva bloccato ed un secondo nuovo giunto, con un’armatura scarlatta, aveva liberato Waboose dalla presa nemica.

Ora, l’Aquila Rossa ed il Coyote d’Argento bloccavano entrambi il nemico, cercando di domarlo con i loro cosmi.

"Non avrei mai pensato, nei millenni rinchiuso negli abissi del mondo, di arrivare a questo, ma l’immane e putrida presenza di così tante insulse entità intorno a me, mi fa rimpiangere la solitudine del mio carcere…", osservò con una nota di disappunto Tifone, prima di scagliare via i due nemici con un’ondata d’energia.

Le due divinità pellerossa, però, seppero resistere a quell’attacco: per primo fu Wabun a rimettersi in piedi, con un rapido colpo di reni a mezz’aria, infatti, si riportò in posizione d’attacco e volò lesto verso il suo avversario cercando di colpirlo con una carica frontale, mentre già la sua figura si ricopriva d’energia cosmica.

Tifone, però, incurante della potenza nemica, non si mosse, sferrando al qual tempo un attacco frontale verso l’avversario e colpendolo con un secco gancio alla nuca, che lasciò schiantare la divinità pellerossa a diversi metri di distanza.

La mitologica creatura non ebbe il tempo per gioire di questa sua vittoria: già il Coyote d’Argento gli era addosso, colpendolo con una serie di veloci calci e pugni al tronco, avvalendosi dell’attimo in cui il nemico aveva attaccato Wabun.

Dopo alcuni attacchi, però, anche l’offensiva di Shandowse si risolse in nulla: a Tifone bastò un braccio per bloccare per una gamba il suo divino nemico e sollevarlo da terra, come fosse un fuscello, per poi lanciarlo a diversi metri di distanza, schiantandolo contro una parete della sala di pietra.

"Insulse formiche, ecco cosa siete… inutile fregiarsi di così ricche vestigia, non le meritate." , avvisò con tono ironico la mitologica creatura, mentre avanzava verso le tre divinità pellerossa.

"Se anche questo fosse vero, Bestia malefica, avrai modo di notare come anche noi, formiche, siamo armate di artigli e zanne per combatterti!", ringhiò Wabun, espandendo il cosmo incandescente, "Volate, Artigli Scarlatti, colpite la vostra preda!", tuonò l’Aquila Rossa, assalendo dalla sinistra il nemico con delle lame fiammeggianti.

"Ringhia feroce, mio cosmo, poiché ora le tue zanne brilleranno!", esclamò all’unisono Shandowse, "Fauci del Coyote, prendete la vostra preda!", concluse il Coyote d’Argento, sferrando un secondo attacco, dalla destra di Tifone.

La creatura mitologica ebbe un attimo di turbamento, ma la sicurezza non tardò a tornare sul suo volto, mentre, sollevate le braccia in avanti, conteneva con l’espansione del suo cosmo gli assalti dei due nemici.

"Finalmente qualcosa di degno di essere controbilanciato con un mio vero attacco. Siate lieti, in due siete riusciti a meritare un decimo del mio vero potere, più di quanto finora abbia effettivamente usato." , esordì la Bestia, che pareva non affaticarsi in quello scontro.

"Sollevati o terra, reagisci alle parole di chi ti smuove con un batter delle sue cento code, ascolta gli ordini del mio cosmo! Ascolta la voce di chi ti è figlio ed insieme dominatore, schiantati con furia contro i miei nemici, sibila nell’aere, Sibila Terra!", tuonò Tifone e subito, dal terreno attorno a lui, nacquero centinaia di crepe, come se altrettante fruste, o code di serpente, avessero colpito all’unisono la dura roccia, spaccandola.

E quelle fratture corse avanti, determinate ed instancabili, raggiungendo sibilanti i due esseri d’oltreoceano e diventando dei geyser di pura energia cosmica, che travolse i due dei pellerossa, lanciandoli verso l’alto e gettandoli poi al suolo, martoriati, mentre già i loro attacchi si spegnevano.

Un sorriso s’era dipinto sul viso della mitologica creatura, ma, proprio nel momento in cui questi stava per pronunciare qualche parola, una voce echeggiò: "Mandria Bianca!", si sentì tuonare ed un violento, quanto prolungato attacco, simile ad una valanga di candidi Bisonti, si gettò contro Tifone, sollevandolo da terra e rigettandolo indietro di diversi passi, prima che questi riuscisse di nuovo a fermarsi.

"Solo in questo modo potevate sperare di colpirmi…" osservò infuriato l’essere mitologico, che non riportava ferita alcuna, mentre un sorriso s’accennava sul viso di Waboose, "Ma avete tanto chiesto la pioggia, che ora è giunta la tempesta! Vi colpirò con metà della mia piena potenza!", tuonò Tifone, mentre già la mano destra si apriva e sembrava quasi che su di essa andasse a collimare qualcosa, una luce che, rapidamente, stava diventando un globo d’energia simile quasi ad un fulmine richiuso in un pugno.

Golia, che osservava silenzioso il susseguirsi dello scontro, non si mosse, ma non per paura, bensì per qualcosa che aveva avvertito nel momento stesso in cui l’attacco di Waboose s’era concluso, qualcosa che, lentamente, stava prendendo forma come una certezza nella mente del Sommo Sacerdote.

"Fulmini, servi di Zeus mio nemico, vi invoco al sodalizio che vi unisce alla Tempesta mia serva, vi richiamo a seguirmi in battaglia, scatenatevi, come ruggiti delle mie cento bocche di serpente! Ruggite Saette!", tuonò ancora una volta l’essere mitologico, mentre una scarica di centinaia di fulmini si liberò dalla sua mano, dirigendosi verso le tre divinità pellerossa e travolgendone, distruggendo gli ultimi rimasugli delle loro vestigia e lasciandole al suolo, dilaniate da molteplici ferite.

"Troppo avete osato, insulse formiche." , osservò la Bestia, avanzando verso il proprio trono, incurante dei corpi al suolo, prima che, uno spasmo di dolore, rivelasse ai suoi occhi, ora sbigottiti, la presenza di vita in quelle spoglie mortali che appartenevano ai suoi nemici.

"Non mi aspettavo tanta resistenza da divinità del vostro calibro.", commentò con una nota di divertimento nella sua voce, "Bene, vi finirò, lasciando che di nuovo proviate la potenza delle mie saette….Ruggite Saette!", tuonò ancora l’essere, mentre una nuova scarica si librava nell’aere.

"Biggest Wall!", esordì una nuova voce e, solo dopo l’esito della scarica elettrica Tifone poté osservare il cavaliere d’oro del Toro mantenere la sua difesa dinanzi a quell’attacco, una difesa che aveva retto contro la sua potenza.

"Com’è possibile?", si domandò sbigottito l’essere mitologico.

"Alla fine, il mio attacco ha avuto buon esito, ho sigillato la potenza del suo cosmo…", riuscì appena a sussurrare, in un rantolo di dolore, Waboose, il cui viso era ancora colorato da un sorriso.