CAPITOLO 9 - BEAUTIFUL GIRL

Quando lo scontro era giunto al parossismo Hades aveva capito che, se avesse deciso di continuare, avrebbe solo messo a repentaglio la vita dei suoi giudici e, peggio ancora, quella di Persefone. Ritirò verso la pensione da dove avvertiva provenire chiaramente il cosmo di Athena e Poseidon, il cuore greve di ansia, quando Alexandra era sparita in un lampo d'oro insieme ai cavalieri d'oro dell'Ariete e della Vergine. Entrò nella sala comune come una nebbia di tenebra. Athena era seduta di fronte ad una tazza di tè verde, Poseidone al suo fianco, lo sguardo grigio di tempesta. Kaede abbozzò un sorriso "Ti stavamo aspettando".

Prese posto

"Avete rapito Persefone contro la sua volontà"

la sua voce profonda sembrava aver parlato direttamente alle loro menti.

"L'abbiamo salvata semmai, da te e dalla tua smania di potere. Da te e dalla tua maledetta armatura. Da morte certa se solo tu fossi riuscito a metterle le mani addosso dissanguandola come un pollo." la voce di Athena era imbevuta di rabbia acida. Vide il dio del mare posarle una mano sul braccio, quasi a volerla calmare. Kaede portò una tazza fumante anche per il dio dei morti, l'aroma forte e speziato si diffuse per la sala.

"Athena, come fai ad essere certa che lui volesse proprio procedere in questo modo?" domandò con la pazienza dei suoi anni.

Saori fece tanto d'occhi "Kaede, insomma, è Hades!" come se il nome da solo bastasse a dare giustificazioni.

Qualcosa nell'atteggiamento di lui convinse l'anziana signora che le parole della giovane l'avevano ferito.

"E' vero. In un primo momento ho pensato solo all'armatura. Volevo avvicinarla, conquistare la sua fiducia per poter arrivare al mio scopo più facilmente ma poi...poi" abbassò gli occhi, scrutando il contenuto della sua tazza come se potesse in qualsiasi momento scomparire.

Poseidon aveva uno sguardo strano, qualcosa brillava nei suoi occhi del colore del mare.

"Poi cosa? L'hai presa, l'hai risvegliata. A cosa ti serviva destare la dea in lei? Volevi più potere? Il suo sangue di dea è forse più puro? Hai fatto sesso con lei senza preoccuparti di nulla, vero? Dei suoi sentimenti per te, della sua salvezza. L'hai solamente profanata!" Athena solitamente composta, stava mostrando un lato oscuro di rabbia che Poseidon non capiva e, in cuor suo, temeva.

Hades sospirò.

"Perché perdere tempo qui, Saori" sibilò calcando volutamente il nome umano della dea "Tu non puoi e non vuoi nemmeno sforzarti di capire le mie ragioni. E' ovvio che verrò a riprendermi Persefone con la forza, ed i motivi per i quali ti muoverò guerra saranno miei e miei soltanto." il suo sorriso era amaro come la luce dei suoi occhi grigi.

"Ma se le torcerete un capello, temi per tutto ciò che hai di più caro, poiché non ritirerò le mie truppe fino a quando il Santuario di Atene non sarà completamente raso al suolo ed i tuoi cavalieri non saranno che spettri."

La sua voce si era abbassata di un'ottava ed un gelo innaturale si era impossessato della stanza.

Hades si alzò, la sua figura sembrava ancora più imponente

"Addio, Demetra." aggiunse addolcendo i toni e baciandole la mano ruvida come se fosse una gran dama "E grazie ancora per il tuo supporto e la tua saggia pazienza..."

L'anziana donna, con la gola stretta da un nodo di lacrime non seppe far altro che annuire, accarezzandogli il capo come se lui non fosse altro che un ragazzino.

Poi, con grazia si alzò abbandonando la sala. La riunione tra gli dèi terminò in quell'istante: i cupi suoni della battaglia, di colpo, si fermarono.

Alexandra si svegliò con le luci dell'alba. Un dolore sordo e continuo al fianco destro le ricordò gli avvenimenti della giornata precedente e dedusse che il candore immacolato che le aggrediva gli occhi fosse in realtà la sua cella di detenzione situata da qualche parte al Grande Tempio. Sospirò leggermente: chissà se Hades ed i suoi guerrieri erano sani e salvi e chissà se lo erano anche i cavalieri d'oro di Athena.

Il suo cosmo parve ripiegarsi su se stesso e lei si trovò a reprimere un nodo di apprensione e tristezza, nella mente gli occhi spietati di Aiolia e quelli affranti di Milo.

Che cosa stava succedendo? Che cosa aveva scatenato la sua scelta?

Provò a concentrarsi, come le aveva suggerito Hades respirando a fondo. Appena fuori dalla porta chiusa poteva avvertire qualcosa, come un mare profondo un abisso cupo di dolore e disperazione tradito solo da sporadiche increspature sulla superficie calma ed azzurra. Riconobbe la medesima sensazione di quando era arrivata: era stato quel ragazzo a colpirla. Tentò di percepire altri cosmi, spingendosi oltre quelle mura immacolate, oltre alla tredicesima casa. All'improvviso la investì un dolore crudo e pungente. Si ritrasse spaventata.

Milo?

Erano dunque sopravvissuti?

Non riuscì a reprimere un moto di sollievo che sfiorò il cavaliere dello Scorpione come una carezza leggera sui suoi aculei velenosi.

Si concentrò ancora.

Aldebaran

Il Toro le sorrise d'istinto; un abbraccio tra i loro cosmi d'oro

Sei ferito?

E tu?

Lo lasciò con un sorriso, il suo tepore confortante un raggio di sole dopo il veleno di Milo.

Provò a contattare anche Hades o i suoi cavalieri, tuttavia non ottenne alcuna risposta, o il suo cosmo era troppo debole oppure...

Avvertì un movimento di vesti frusciare, la porta si aprì di fronte a Saori, accompagnata da Shaka che sembrava a tutti gli effetti essersi ripreso dalla sera precedente.

"Alexandra..." il suo viso era una tavolozza di emozioni contrastanti che cozzavano in una cacofonia di accordi rendendo i suoi occhi cupi come un cielo nuvoloso, almeno fino a quando Shaka non le posò una mano comprensiva sulla spalla.

La dea parve prendere forza e ritrovare la compostezza per continuare a parlare

"Non posso lasciarti ad Hades. Fino a quando non deciderai di unirti a noi resterai qui, in questa cella. Il tuo cosmo è occultato, una barriera protettiva e difensiva non lascerà avvicinare nessuno che non sia autorizzato...né, naturalmente, uscire te... Quel bracciale" solo allora la ragazza mora notò uno strano monile appeso al suo polso "Serve per controllare il tuo cosmo, avrai notato che ora è molto debole, ma questo serve per evitare spiacevoli incidenti come quello di ieri" aggiunse voltandosi verso il cavaliere della Vergine che annuì. "A turno avrai un guardiano, giorno e notte, a cui potrai chiedere quello che vuoi. Sarai servita e rispettata come un'ospite, non è mia intenzione nuocerti in nessun modo, a meno che non sia tu a volerlo" i suoi occhi erano taglienti come lame "Ricorda, tuttavia, che sei prigioniera, sei una nemica del Santuario. E questo i miei cavalieri lo sanno bene."

Alexandra incrociò le braccia sul petto

"Solo il fatto di essere Persefone mi mette automaticamente contro di voi?" la sua voce tradiva dolore e incredulità

"Se non sbaglio siete stati voi i primi ad attaccarci alla pensione, non è così?" Saori mosse istintivamente un passo indietro fermandosi contro il petto del cavaliere dietro di lei.

"Ti sei mai chiesta perché, Alexandra?" il tono di Saori era ghiaccio "Perché Hades ti vuole con sé? Non avrai creduto davvero alle sue parole, alla sua "proclamazione" d'amore...o forse sono in errore? Ti vuole dissanguare per ottenere la sua armatura. Credi che gli importi qualcosa di te, davvero?"

Alexandra impallidì vistosamente, qualcosa dentro di lei protestava; no, Hades non le aveva mentito, i suoi occhi grigi non avevano vacillato.

Ma...

Alzò gli occhi su Saori, un misto di rabbia e dolore, poi Shaka posò sul letto una veste bianca

"Cambiati" la sua voce era un sussurro "Dopo una buona colazione starai meglio."

Hades aveva raggiunto la Giudecca con i suoi giudici. Il dolore gli pungeva il cuore come una spina velenosa. Sorrise, beffardo, in tutti quegli anni trascorso sopito aveva persino dimenticato di possederne ancora uno, abituato ad essere cinico e calcolatore aveva dimenticato quanto lo influenzasse la sola presenza di Persefone, quanto lo avesse sempre fatto.

Pandora lo attendeva, come sempre, la sua devozione incrollabile, prese posto sul trono, Minos fu il primo ad inginocchirsi

"Mi perdoni, sommo Hades," alcune gocce di sangue macchiarono il pavimento di marmo "non ho potuto impedire che la rapissero..." il dio fece un vago gesto con la mano trattenendo a stento un sospiro

"E' tutto a posto. Piuttosto" rivolse uno sguardo a Rhadamanthys, stava lottando contro il dolore per rimanere in piedi sull'attenti, il pallore del volto accentuato dal sangue scuro che lo macchiava.

"Pandora, prenditi cura di Rhadamanthys, ha dovuto affrontare più avversari contemporaneamente e credo che necessiti di cure." l'alto giudice cercò di replicare ma la voce di Hades risuonò minacciosa

"La riunione è conclusa, siamo tutti provati, domattina studieremo una strategia, ora non è il momento di fare gli eroi." svanì in una nebbia nera.

"Bè, meglio così" Aiakos aveva intrecciato le mani dietro al capo, sorridendo "Vieni Minos, ho una fame da morire e non voglio cenare da solo!"

"Ma Aiakos, ragiona, Rhada..." il giudice moro gli piantò una gomitata nelle costole che lo fece boccheggiare

"Hai sentito gli ordini di Hades, no? A Rhadamantis ci pensa Pandora" calcò volutamente il nome di lei

"Noi adesso ce ne andiamo" lo trascinò fuori dalla sala salutando con la mano il compagno d'arme.

La ragazza aveva le guance chiazzate di rosa "Se...se volete seguirmi, Rhadamanthys.." il guerriero mosse un passo, per poi crollare su un ginocchio, Pandora fu accanto a lui, istintivamente gli cinse le spalle, parole preoccupate scapparono dalle sue labbra, troppo veloci e prepotenti perché le potesse fermare

"Somma Pandora non...state in pena... per me..." lo aiutò a raggiungere la propria stanza, nonostante la surplice le mordesse la carne, disinfettando le ferite, bendando la sua pelle chiara, gli occhi rossi di lacrime mentre trattava i tagli più profondi.

Quasi non si accorse della sua mano grande che le carezzava i capelli. Lui avrebbe volentieri sopportato tutte le torture dell'inferno se solo servisse a farla sorridere

"Non preoccupatevi, sto già meglio, questi sono solo graffi." lei lo guardò stupita sia per il suo tono dolce, sia per la propria reazione emotiva.

"Rhadamanthys" le parole si impigliarono negli occhi di lui. Si abbandonò all'emozione che le stava bloccando lo stomaco, quell'uomo, reclinato sul letto, coperto di bende e di sangue, aveva colpito con un dardo il suo cuore di pietra. Si accorse delle sue mani che tremavano e che, contro la sua stessa volontà, gli stavano accarezzando dolcemente il viso.

Lui la strinse a sé, incurante del dolore e delle ferite che gli bruciavano

"Pandora" la baciò, con il fuoco di cui era custode, con la passione che ardeva dietro alle sue palpebre chiuse.

Pandora, che nella sua vita aveva ricevuto solo lo sterile amore di una speranza di morte e di sonno, lasciò che il drago riversasse in lei il suo fuoco, che bruciasse le sue lacrime, che la portasse in un luogo solo loro, in cui lei sarebbe stata finalmente libera. E sua.

Il sole baciò i capelli neri sparsi in disordine sul suo petto. Rhadamanthys sentiva la pelle ancora offesa tendersi sotto di lei, le ferite mandare un dolore sordo e continuo. Ma non gli importava. Lei era tutti ciò che aveva, ora, tutto ciò per cui valesse la pena di aggrapparsi ai giorni che gli erano stati concessi.

Poter sentire la sua pelle nuda e diafana contro la sua, innaturalmente calda.

Scivolò consapevole nel sonno, stringendola un'ultima volta. I pensieri offuscati, sulle labbra ancora il sapore di lei.

Nelle ore buie della notte qualcuno bussò alla porta con fare esitante. Pandora si alzò senza far rumore, guardando con adorazione l'uomo, il suo uomo, che dormiva accanto a lei. Sorrise baciandogli la fronte con un sospiro.

"Mia signora" Valentine si inginocchiò riverente

"Il nostro avamposto è pronto ad attaccare. Consiglierei di procedere, prima che i cavalieri d'oro si riprendano del tutto."

Pandora si torse le mani. Cosa avrebbe voluto Hades?

"Anche inviandoli ora non arriverebbero che alle prime luci dell'alba. Aspettiamo che il sommo Hades ci consigli, nel frattempo, Valentine, assicurati che Myu si avvicini abbastanza al Santuario per posizionare le sue farfalle indisturbato, chiaro?"

Il ragazzo scattò sull'attenti e sparì nelle ombre del corridoio.

Milo era seduto su una colonna coricata a fianco della casa che presidiava, torso nudo, un paio di comodi pantaloni di cotone sigaretta tra i denti, le bende che ancora gli fasciavano la spalla ferita durante lo scontro contro quel demone.

Poteva ancora ricordare non senza un brivido, quegli occhi ardenti come braci d'inferno, quelli erano i loro nuovi nemici, l'armata di Hades. Non lo convinceva appieno il fatto che quel rosario che Shaka decantava tanto, fosse un'arma offensiva di così grande valore, non lo convinceva il fatto che avrebbero dovuto combattere una guerra assurda in nome di Athena. Non quella volta, non dopo l'avanzata dei santi di bronzo alle dodici case. Non dopo...

Ma lui non faceva testo, e loro lo sapevano bene, lui era uomo d'azione, non un contemplativo come il cavaliere della Vergine, e poi, dalla morte di Camus, lui era guardato dagli altri cavalieri come un purosangue zoppo, un'appendice, un peso. Si fa presto a mettere etichette in un gruppo ristretto di persone, si fa presto a scambiare amore e puro desiderio carnale, e darsi di gomito e fare occhiatacce, ma il sentimento che legava lui e Camus, no, non lo avrebbe capito nessuno, non erano amici, non erano amanti, era come se un anima sola avesse albergato in due corpi, ed ora, Milo lo sapeva, quella parte della sua anima non sarebbe più tornata.

Così il cavaliere dello Scorpione aveva riso un po' più forte, bevuto un po' di più, organizzato più feste, per convincere se stesso che in fondo ce l'avrebbe fatta, ma ora lo sapeva, era stato tutto inutile. Gli sembrava quasi di avvertire sulla pelle gli occhi blu di Camus e sentire la sua voce "Si direbbe che hai dei dubbi..." come anni fa, come quando aveva una spalla a cui appoggiarsi, le braccia che lo cingevano, nelle notti di disperazione.

Si voltò lentamente, concedendo solo un'occhiata alla chiazza di sangue scuro che bagnava già la fasciatura sul torace. Forse questa volta ce l'avrebbe fatta a morire sul serio. Per un ideale che non era nemmeno il suo.