XI

"Mi avete fatto chiamare, mia signora?"

Avvolta in un peplo nero la donna si era seduta in quel momento su di un seggio riccamente decorato e la sua figura, fiera e imponente, dominava il devoto che, chino davanti a lei, poteva solo intuire la sua presenza. Teneva gli occhi bassi, ma non avrebbe potuto vederla in volto, ne avrebbe osato farlo senza il suo consenso, anche perché ella se ne stava alla sommità della gradinata nella grande sala. Il guerriero, pur indossando la sua nera armatura adorna d’ali e artigli e il suo vistoso elmo che lo rendevano temibile e imponevano soggezione a chiunque, mostrava la sua devozione con un atteggiamento misurato e dimesso, cosa per lui non abituale. Di fronte a Colei tuttavia non si poteva che tenere un atteggiamento simile. Eppure se solo l’avesse guardata bene in viso non avrebbe potuto che ammirarne la bellezza; fresco come un bocciolo il suo viso, perle luminose i suoi occhi e lucenti i suoi neri capelli.

Con voce delicata la donna disse: "Hai predisposto tutto secondo il mio volere?"

"Certo, mia signora. Ogni mio sottoposto è stato istruito a dovere.

"Molto bene. Tu sai quanto il buon esito della battaglia mi interessi e cosa voglio ottenere, non è vero? Per questo dovrai tenere a freno le ambizioni di chi è troppo incline a seguire gli istinti e a fare di testa sua. Soprattutto dovrai cercare di far sì che le due linee d’azione si sviluppino senza ostacolarsi l’un l’altra."

"Certo, vi siete spiegata molto bene. Vedrete che sarete soddisfatta di come le operazioni saranno condotte."

"Me lo auguro. E quando tutto sarà compiuto, siederò sul trono che ora è appannaggio d’altri e i miei occhi potranno ammirare per sempre ciò che mio malgrado mi è stato tolto."

Il guerriero sollevò il capo proprio in quel momento e vide i suoi occhi brillare.

"Sarà un piacere far sì che ciò avvenga." disse risoluto. "Accontentare voi e il mio signore insieme è quanto più possa darmi soddisfazione."

"E dimmi, mio fedele servitore" disse lei cadenzando bene le parole "intendi rendere partecipe il tuo signore di quanto ti ho rivelato e delle mie aspirazioni?"

Egli tornò ad abbassare lo sguardo. "Certo che no. Però, se posso permettermi, dovreste essere voi stessa a rivelare questa vostra nobile e comprensibile aspirazione. Egli non potrebbe che approvarla e condividerla."

"Il tuo signore, come ben sai, mira molto più in alto. Ha il mio appoggio, ma come ben comprendi pure io desidero la mia parte e una volta che egli abbia ottenuto il suo, non potrò forse io pretendere qualcosa per me?" disse con fare suadente e ammaliante.

"Certamente. Io però mi permetto di insistere, egli dovrebbe sapere. E sono certo che, se le cose andranno come pensiamo, Egli accontenterà la vostra richiesta."

"Basta così!" disse lei bruscamente.

"Vi chiedo perdono, mia signora." Raramente si era sentito così confuso. No, proprio mai avrebbe pensato di trovarsi in una situazione del genere.

"Dimmi ora, nobile Minosse. Come procedono le operazioni? Mi giunge voce che abbiamo avuto alcune perdite."

Minosse strinse i pugni. "In verità, così è stato. Tuttavia queste lievi perdite non stanno affatto compromettendo il buon esito della nostra missione."

"E tra i nostri nemici ci sono state perdite?"

"Non ancora." disse il giudice infernale con voce stizzita.

"Non ti crucciare. Caduti che siano i migliori guerrieri dei nostri nemici, cosa resterebbe loro?"

"Poco o nulla. E a quel punto la vittoria sarebbe nostra."

"Chi sta combattendo ora?"

"D’accordo con il mio signore ho dato via libera ad alcuni dei più temibili tra noi. E tra loro ve ne sono alcuni che hanno avuto la vostra particolare benedizione. Credo che ben più di uno dei Cavalieri d’Oro finirà per cadere. E caduti loro per Atena ci sarà ben poco da fare."

"Cadranno, questo è certo." disse lei sicura "Potrebbe forse essere altrimenti? Sono ben poca cosa i nostri nemici di fronte a noi."

"Certo!"

"E l’attacco al cuore?" continuò maliziosamente.

"Tutto predisposto. Però…"

"Però cosa, Minosse" fece con aria spazientita.

Il giudice infernale sorrise prima di rispondere e nei suoi occhi brillò fierezza e soddisfazione: "Volevo dire che però mi sono permesso di apportare una variante, stante anche quello che sta accadendo. Prima del previsto sferreremo il nostro attacco."

"Immagino che Egli sappia."

"E’ naturale. Non si poteva fare altrimenti."

La donna si alzò. "No, certo, era inevitabile. Ben fatto, mio fedele Minosse! A regolare i conti con Atena penserà chi di dovere. Il Santuario di Atene cadrà e il momento che attendevo, se le cose procedono come intuisco, arriverà anche prima del previsto." Un sorriso si allargò sul suo giovane volto.

La nottata era passata senza troppi sussulti al Santuario. Di questo Miklos dell’Unicorno non poteva che essere soddisfatto. Si tolse l’elmo adorno del lucido corno e si voltò verso il compagno di veglia.

"Sveglia Pegasios! E’ l’alba!"

Stiracchiandosi il cavaliere di Pegaso aprì gli occhi e si stiracchiò.

"Certo che sai essere d’aiuto. Molte ore ho vegliato da solo!"

Con fare quasi distaccato Pegasios replicò: "E che differenza vuoi che faccia? Fosse accaduto qualcosa mi avresti svegliato, no? E poi non stavo dormendo."

"A me pareva di sì." fece l’altro stizzito.

"Tu riusciresti a dormire con una colonna come guanciale? Quanto vorrei che davvero avessimo avvertito qualcosa e che tu mi avessi gridato di alzarmi. Sapere che i Cavalieri d’Oro probabilmente stanno già combattendo mi riempie di rabbia e…"

"Ci sono cose che riempiono di rabbia anche me." disse una voce severa. "Ad esempio vedere un Cavaliere di Bronzo che invece di stare all’erta se ne sta disteso come ad un simposio sotto il colonnato della Prima Casa! Alzati, Pegasios di Pegasus!" Chi aveva parlato indossava un’imponente e vistosa armatura d’argento, dai vistosi coprispalla puntuti.

Pegasios, mortificato e irritato al tempo stesso, scattò in piedi.

"E’ così che un devoto della dea compie il suo dovere?" disse l’uomo.

Il giovane abbassò lo sguardo, colmo ora di vergogna: "No, certo, Dimione."

"E allora che non si ripeta. Coraggio ora, congedatevi. Le ore mattutine sono di competenza mia e di altri cavalieri d’Argento. Voi recatevi ora da Alcmene, vi informerà riguardo i vostri futuri incarichi."

Pegasios e Miklos si diressero verso l’interno della Prima Casa; mentre uscivano all’aperto, incrociarono altri due cavalieri d’Argento che andavano a raggiungere Dimione del Centauro, Realte di Cefeo e Yarios della Coppa. Si scambiarono appena un saluto e poco più avanti Pegasios, rivolto a Miklos, disse: "Loro almeno avrebbero potuto partire invece che essere costretti all’inattività come noi due."

Miklos cercò di minimizzare: "Difendere il Santuario è un incarico che mi soddisfa appieno. Certo, preferirei pure io combattere ma, come ci è stato detto, il momento arriverà."

"Non credo che i Cavalieri d’Oro avanzeranno qualcuno per noi. Il maestro e gli altri faranno piazza pulita, ne sono sicuro."

"Atena sarebbe soddisfatta se ciò avvenisse rapidamente come lasci intendere tu. Ma non credo che sarà così."

Pegasios disse con trasporto: "Lo so pure io che probabilmente non sarà così, eppure quest’inerzia mi infastidisce da morire."

Udirono una risata pochi metri sopra di loro. Alzarono lo sguardo e in cima alla gradinata stava una fanciulla dai capelli dorati, il viso ridente, la corporatura slanciata adornata da un’armatura argentea che la rivestiva senza nulla togliere alla sua femminilità.

"Sempre a lamentarvi voi due?" disse gaia e strizzando loro l’occhio Elettra della Colomba, l’unica donna che in quell’epoca di fosse guadagnata l’investitura a cavaliere e per questo ammirata in tutto il Santuario. L’ammirazione sconfinava tuttavia in devozione e, da parte di qualcuno, in qualcosa di più in virtù della sua grande bellezza. Una simile visione era tale da far tornare il sorriso anche all’incupito Pegasios.

"Non sembrate troppo stanchi." aggiunse mentre si avvicinavano.

Miklos parve imbarazzato, fu dunque Pegasios a rispondere: "Per due cavalieri come noi cosa vuoi che siano alcune ore di veglia notturna?"

"La tensione del momento dovrebbe togliervi comunque parecchie energie." disse lei con la consueta espressione gaia ma con più decisione nelle voce. "Ho appena parlato con Alcmene. Ha avvertito chiaramente che la battaglia è iniziata. I cosmi dei Cavalieri d’Oro hanno sussultato più volte stanotte."

"Davvero ha avvertito questo?" fece Pegasios stupito.

"Certo. Pure io l’ho avvertito, anche se non in modo così nitido."

Fu la volta di Miklos di esprimersi: "Vedi, Elettra, per noi giovani cavalieri è difficile avvertire il loro cosmo se essi si trovano a grande distanza e…"

Elettra stava ridendo di gusto: "Miklos, guarda che non ti devi giustificare." Poi con più dolcezza "Sono stata pure io un cavaliere novizio e so benissimo che le nostre capacità si perfezionano col tempo. Sono sicura che vi sapreste ben comportare qualora ci dovessimo trovare nel bel mezzo di uno scontro. Quanto alle altre abilità, datevi tempo." Si avvicinò, prese le loro mani tra le sue e disse sussurrando: "Ora cercate di fare il vuoto nella mente…"

"Dì un po’ Elettra, ti vuoi sostituire al mio maestro Astylos?" disse ridanciano Pegasios. Nel contempo tuttavia, tanto lui quanto Miklos stavano arrossendo al contatto delle loro mani con quelle della giovane.

Elettra lo fulminò con lo sguardo ed egli tacque. "Dicevamo" proseguì "cercate di fare il vuoto nella mente come quando cercate dentro di voi l’energia per lanciare uno dei vostri attacchi. Ecco, ora però non concentratevi sul vostro cosmo ma provate a pensare intensamente ad un cosmo che vi sia famigliare. Quello di Astylos ad esempio, Pegasios." Con la voce quasi impercettibile disse: "Cercate dentro di voi di udire quella vibrazione. Espandete il vostro cosmo in modo che entri in armonia con gli altri cosmi che vi circondano. Cercate nei meandri dello spazio, lontano da qui, il cosmo di uno dei Cavalieri d’Oro, uno che conosciate nel profondo." Seguirono alcuni istanti di silenzio. "Avvertite nulla? Cercate di andare al di là dei cosmi che percepite qui al Santuario. Li sentite?"

"Percepisco qualcosa, sì, lassù a nord, ma così debole." fece Miklos d’un tratto.

Elettra sorrise.

"Pure io, amico mio." intervenne Pegasios "E’ il cosmo del mio maestro… Si, però… Maestro!" disse quasi urlando. "Il suo cosmo sembra debole, com’è possibile?"

"Stanno combattendo." fece Elettra seria. "Una dura lotta, a quanto sembra. Ma non è solo questo. Sembrano lontani, come se i loro cosmi fossero ottenebrati."

"Cosa vuoi dire?" rispose allarmato il cavaliere.

"I nostri nemici probabilmente preferiscono combattere in ambienti a loro più adatti."

Miklos intervenne: "Intendi dire in luoghi sotterranei, più vicini agli Inferi, dove regnano le tenebre?"

"Questo è assai probabile. Ora però non traiamo conclusioni affrettate." Si avviò di buona lena su per la gradinata. "Venite" disse "Alcmene ne saprà sicuramente più di noi."

Poco dopo il trio giunse alla Seconda Casa, dove Alcmene pareva attenderli. Se ne stava al riparo dal sole nel pronao del tempio, l’elmo sottobraccio, lo sguardo fisso all’orizzonte.

"Vedo dalle vostre espressioni che lo avete udito anche voi." disse. "I nostri compagni sono probabilmente impegnati in una dura lotta."

"Ascolta, Alcmene." fece Pegasios "non credi che qualcuno di noi dovrebbe recarsi a dar loro manforte?"

Il cavaliere dei capelli corvini lo fissò con aria di rimprovero: "Cavaliere di Pegaso, devo forse arguire dalle tue parole che non ti fidi dei Cavalieri d’Oro e del tuo stesso maestro? E vorresti essere proprio tu magari a portar loro soccorso? Se è così sei un presuntuoso, un irriconoscente e ti sopravvaluti. Rifletti. Se anche ammettessimo che le cose stessero davvero così, cosa vorresti che facessimo, che abbandonassimo il Santuario e il presidio di Atene stessa, per correre in loro soccorso? Davvero un’ottima strategia, non c’è che dire." Pegasios, inchiodato da quelle dure parole, aveva chinato il capo e non trovava nemmeno la forza di replicare. E come poteva di fronte alla nuda e semplice verità che Alcmene li aveva messo di fronte? "Già ieri mattina, in presenza della dea e del nostro Grande Sacerdote, ti sei lasciato trasportare dai tuoi istinti battaglieri senza dare ascolto alla ragione. Se tutti fossimo così precipitosi e indisciplinati nell’azione, che ne sarebbe dell’ordine dei Cavalieri di Atena? E quanto potremmo reggere ad un assalto pericoloso come quello che ci sta sferrando Ade? Un assalto che, ti ricordo, non coinvolge solo noi ma, come ci è dato da intendere, tutti coloro che vivono sulle sponde del grande mare. E’ nostro dovere dunque essere avveduti e prudenti per tutelare queste genti e gli ateniesi in particolare, dato che sono i più esposti ad un eventuale attacco."

Seguì un eloquente, lungo silenzio. Fu Elettra a rompere la tensione: "Nobile Alcmene, non essere così duro con Pegasios. E’ giovane, avrà tempo di imparare."

Il Cavaliere d’Oro si avvicinò al ragazzo e posandogli le forti mani sulle spalle gli disse, con tono rabbonito: "Pegasios, sono certo che quando il tuo momento arriverà ti farai trovare pronto e che percorrerai un lungo cammino al servizio della dea. Ognuno di noi avrà la sua parte in ciò che ci aspetta e tutte saranno importanti per condurci alla metà, per la salvezza nostra e di chi si affida a noi. E ciò vale anche per il nostro Miklos, naturalmente."

Pegasios ardì a guardare in viso il cavaliere e disse: "Ti chiedo perdono, Alcmene."

"La Luna nuova è vicina, cavalieri di Bronzo. E con essa aumenta la possibilità di subire un attacco anche qui al Santuario. Andate a riposare ora, vi aspetta un’altra dura notte."

Al Tempio di Atena si svolgeva in quel momento un colloquio tra le dea e Clearco, il cavaliere ateniese dall’aspetto nobile e ben curato che appariva preoccupato per le sorti della sua città.

"Dicevo, mia nobile signora, che sono in ansia per i miei concittadini. Che accadrebbe se il nostro nemico compisse una rappresaglia sulla città prima di scatenarsi su di noi?"

Atena lo guardava con ammirazione e rispose: "Clearco, sei proprio simile in tutto al tuo generoso padre Palladio, che dimostrava sempre quanto fosse attaccato alla sua gente, oltre che a me e agli altri cavalieri."

"Mi lusingate con queste parole." fece Clearco con commozione nella voce "Tuttavia grandi imprese dovrei compiere prima di poter essere anche solo paragonato a lui."

"Il tuo animo e il tuo cuore testimoniano che ci riuscirai. Quanto alla tua preoccupazione riguardo alla città posso dirti questo. Se i nostri nemici fossero vigliacchi a tal punto, cosa che io temo, non esiterò a lasciarvi andare in difesa della città."

"E voi, mia signora? Restereste indifesa."

"I cavalieri che ora stanno combattendo lontano presto saranno di ritorno. Basteranno pochi dei miei devoti per difendere il Santuario se il grosso delle forze avverse dovesse attaccate Atene."

"Allora vi chiedo…"

"Certo, mio buon Clearco. In quella malaugurata ipotesi ti darei licenza di correre in aiuto delle tue genti e della tua città. E là troveresti uno dei cavalieri d’Argento, uno dei più devoti e a me vicini, che ho inviato a vegliare sulle genti e sull’acropoli."

"Vi ringrazio."

"Ora però" proseguì Atena "spero di avere presto notizie dai tuoi compagni. Ho percepito alcuni dei loro cosmi affaticarsi notevolmente, segno che purtroppo già la battaglia sta entrando nel vivo."

"L’ho percepito pure io e devo confessarvi che…" La frase restò a mezzo. Un’oscura presenza si allungo proprio in quell’istante sul Santuario e alcuni cosmi neri e minacciosi si fecero distinguere nitidamente. Clearco s’alzò di scatto: "Possibile che…"

Atena, mantenendo la calma, disse: "E così ha inizio. Sono giunti qui."

Alla seconda Casa Pegasios, Miklos ed Elettra, che stavano per congedarsi da Alcmene, tornarono verso il pronao e quattro paio di occhi si volsero in direzione della Prima Casa. Sotto un sole che cominciava ad accorciare le ombre, nella piena luce del mattino, con la calura che aumentava, alcune nere e minacciose figure erano comparse sul piazzale ai piedi della Casa dell’Ariete.

Il peso di questa minaccia non si era ancora fatto completamente strada nella coscienza dei cavalieri di Atena che qualcos’altro giunse a turbare i loro cuori. D’improvviso infatti gli occupanti del Santuario avvertirono un cosmo molto potente brillare lontano per poi spegnersi e sparire. Nello sgomento che seguì il gelo calò su loro tutti. Alcmene e Clearco ebbero un sussulto. Atena, mesta, chinò il capo.

Poi si udirono alte grida levarsi dal basso.