XXIV

Un passo appena accennato, le braccia che rapide si discostavano dal corpo e poi rapida la sua voce a gridare: "Furie del Tartaro! Colpite!" Come evocate dagli abissi della terra si materializzarono centinaia di mostruose presenze che, lanciando alte strida, avrebbero riempito qualunque mortale d’orrore, non fosse stato un devoto di Atena, addestrato a sopportare le prove più impegnative.

Plistene, in men che non si dica, fu circondato da quelle oscure presenze, coperte di vesti lacere, che lo fissavano con sguardi assassini, pronte a gettarsi di lui.

"Cavaliere di Virgo!" lo apostrofò Aletto "Certamente conosci per fama le Furie degli Inferi e sai che ovunque esse trovano la loro preda, lo sventurato che abbia avuto la ventura di essere eletto a loro bersaglio. Per l’ultima volta, se hai cara la vita, non costringermi a scatenarle contro di te! Sono in gioco forze ben superiori a quanto tu possa immaginare. Se davvero sei un uomo avveduto dichiarati vinto e saprò essere magnanima. Perché sappi, qualora dovessi cominciare a versare il tuo sangue niente più fermerebbe la mia sete di morte e distruzione e dopo di te muoverei a distruggere chiunque incontrassi sul mio cammino, perché tale è la natura di Aletto, la Furia! Quindi se pure tenessi in poco conto la tua vita, pensa a tutte quelle che ghermirei dopo la tua."

"Mai!" gridò Plistene accendendo l’oscurità del suo cosmo dorato.

"E allora muori, stolto!" Abbassò le braccia e i Demoni che aveva evocato, da ogni direzione, si lanciarono sul cavaliere che poté appena abbozzare una difesa ma fu preso alla sprovvista perché, al contrario di quanto aveva creduto, pure da sotto i suoi piedi si scagliarono su di lui le presenze maligne. Calci, pugni, artigliate, morsi, strattonate, una sequela di colpi misti a urla terrificanti lo colpirono, sollevandolo da terra. Il suo elmo volò via, ed egli cadde violentemente a terra, la faccia nel fango.

Stava per rialzarsi quando Aletto gli fu sopra e gli assestò numerosi calci alla schiena, inchiodandolo a terra, mentre bisbigliava, melliflua e sarcastica: "Assaggia il sapore della nuda terra, perché nel Tartaro questa sarà la tua condizione abituale, mortale!"

Stava per colpirlo ancora quando Plistene fece esplodere il suo cosmo. Una luce la accecò ed ella si coprì istintivamente gli occhi con un braccio, aborrendo tale bagliore. Quando le tenebre ripresero il sopravvento vide il nemico in piedi, un rivolo di sangue alla bocca, le dorate vestigia sporche, che la fissava, apparentemente imperturbabile.

"Grande è il tuo potere, terribili e veloci i tuoi demoni. Ma mi sottovaluti e dimostri di sapere ben poco riguardo la costellazione che mi protegge."

"E’ stata solo una mia distrazione a permetterti di alzarti. Sei ancora sotto attacco, possibile che non te ne renda conto?" Plistene non fece in tempo nemmeno a pensare ad una difesa che di nuovo centinaia di Demoni lo sopraffecero.

"Poco mi basta per tenerti in pugno! La particolarità di questa tecnica è di tenere sempre attivo l’attacco e infatti è sufficiente un mio cenno affinché i Demoni possano colpirti ripetutamente, senza che tu possa fare alcunché."

Plistene, cercando di schivare quanti più attacchi possibile, non si fece tuttavia impressionare e replicò, seppur a costo di un grande sforzo: "Per mantenere vivo il tuo attacco devi accumulare molto potere dentro di te. Non lo potrai fare a lungo. Non esistono colpi che durino in eterno." Ma appena finito di parlare si rese contro che reggere quell’assalto gli stava costando uno sforzo quasi al limite delle sue possibilità.

"Tu devi essere pazzo, oppure ignori completamente le leggi di Ade. Vi sono forze, nelle profondità della Terra, dove dimorano soltanto le creature primigenie, che perdurano da quando dal Caos primordiale si generarono le prime divinità. Credi davvero che simili incommensurabili potenze possano avere termine?" Nel frattempo il suo avversario aveva poggiato un ginocchio a terra e nonostante con alcuni colpi ben assestati avesse abbattuto qualche decina di demoni, altri e altri ancora gli si riversavano addosso, inesauribili e instancabili.

"Eterni durano i supplizi in Ade, infinito è pertanto il mio potere!" esclamò ella al colmo dell’estasi, mentre il viso le si illuminava e un sorriso si allargava sulle labbra vermiglie.

In quel momento però la controffensiva del Cavaliere di Virgo ebbe inizio. Una luminescenza lo avvolse e i colpi a lui diretti cessarono di avere effetto.

"Cos’è quell’aura che ti avvolge?" chiese lei senza scomporsi troppo. "Come l’hai creata?"

"Non lo immagini? Ti è ignoto il funzionamento del cosmo, dell’energia vitale che alberga in ogni devoto di Atena? No, non lo credo. E allora perché ti stupisci se ora manifesto il potere che ho accumulato in me mentre tu eri intenta a decantare le lodi del tuo attacco e a impartirmi una lezione sulle divinità primordiali?" Una nuova esplosione di luce fece seguito un suo: "Kahn!!!" La barriera che lo avvolgeva si allargò, ed egli si levò in piedi allargandola nel contempo. Aletto fu spinta indietro e dovette puntellarsi per non finire schiacciata a terra a sua volta.

"Conosco i segreti del cosmo, e ben più di quanto tu possa immaginare!" fu subito pronta a replicare Aletto, rialzatasi e pronta a lanciare un nuovo attacco. "Un’ottima difesa la tua, ma essa si basa sulla quantità del cosmo che sai attivare. Poco fa non dicevi che nessuna tecnica può durare troppo a lungo? Dunque nemmeno la tua!" Plistene fu duramente colpito da quella lampante verità. "Ad ogni modo" prosegui ella fiera "il tuo cosmo non è paragonabile al mio!" Nel dir questo sollevò le braccia, aprì i palmi e sprigionò un colpo di sovraumana potenza. "Demoni del Tartaro! Colpite!"

La barriera di Plistene sfrigolò, si incrinò e poi cedette di schianto, mentre migliaia di colpi di abbattevano ancora una volta su di lui. Le vestigia di Virgo furono messe a dura prova, il suo corpo mortale ancor più di esse e, nonostante il cosmo lucente che ardeva in lui, si trovò ancora riverso sulla nuda terra, la pioggia battente sulla schiena, le grida dei demoni che lo sovrastavano.

"Tu…" disse incredulo "Sei forse una divinità? Tale cosmo… non può essere umano!"

Ella si avvicinò e articolò parole placide e melodiose: "Te l’ho detto. Sono Aletto dell’Idra, una delle Furie infernali. Ti avevo offerto la salvezza, che hai rifiutato. Ora pagane le amare conseguenze."

Plistene guardò quegli occhi ben disegnati, fissi su du lui, che promettevano morte e distruzione nonostante la loro bellezza, e comprese che doveva riflettere prima di agire, ma doveva farli in fretta. Gli vennero improvvisamente alla mente le immagini delle sere d’estate passate a contemplare il cielo con i suoi maestri, Callistrato e Kyriakos e le lunghe chiacchierate inerenti miti di dei ed eroi. Ripensò alla prima volta che si era addentrato, grazie al cosmo, sul limitare dell’Ade. Si era sentito come un novello Ulisse, proteso verso l’ignoto, anzi come Teseo non fosse che egli non bramava un’impresa folle come quella concepita dal figlio di Egeo. Più volte era tornato in seguito in quel luogo, acquisendo sicurezza di sé, e intravedendo, di tanto in tanto, le figure di coloro che si apprestavano a salire sulla barca di Caronte. Quante volte Callistrato lo aveva edotto riguardo coloro che dimorano oltre quelle sponde, quante volte Kyriakos si era dilettato nel recitare strofe dedicate a miti ed eroi, mentre lui assaporava avidamente tutto quelle che gli veniva insegnato. Rise di sé stesso e della sua ingenuità. Era stato confuso dal suo avversario, una ragazza bella e tenebrosa al tempo stesso. Ripensò al mito di Eracle; era tutto così chiaro ora!

"Ancora in piedi?" lo apostrofò lei vedendo che si rialzava.

Plistene la guardò di sottecchi e lei, spiazzata da quell’espressione inattesa, tipica di chi è sicuro di sé, parve esitare. "Aletto dell’Idra, hai detto. C’è qualcosa che non mi torna." A quelle parole fu lei a raggelare. Che avesse davvero capito? Che avesse vinto davvero la suggestione? "A quanto ricordo l’Idra di Lerna era il mostro che dimorava sull’omonimo lago, situato tra il regno dei vivi e quello dei morti. Ciò significa che tu e io non siamo poi così diversi, in fondo." La ragazza fu colpita nel profondo da quelle parole. "Entrambi abbiamo a che fare col limitar del regno dell’Ade, donde possiamo trarre spiriti e demoni. I tuoi Demoni del Tartaro saranno pure insidiosi, ma ora so come controbattere. Perché vedi, il cavaliere di Virgo, in quanto emissario di Atena e di Dike, dea della giustizia, può spingersi fino alle soglie dell’Ade, dove sostano le anime in attesa di giudizio. E con le ombre, siano esse buone o malvagie, egli può interagire."

"Vaneggi e sei allo stesso tempo uno spergiuro se credi di poter interagire con le ombre in attesa di giudizio, compito che da sempre spetta ai Tre Giudici degli Inferi!"

"Sì, Aletto, ma non dimenticare una cosa. Tu sei solo un loro emissario, per quanto terribile e funesto, una dolorosa porta che conduce gli sventurati che ti capitano a tiro al cospetto dei Giudici degli Inferi. Ma come già fece Eracle, io saprò sconfiggere l’Idra che tu rappresenti e allora non sia che le mie mani si tingano dello stesso colore dei tuoi capelli!"

Come osa, quest’insolente, pensava Aletto. Poi diede voce ai suoi pensieri con crudele dolcezza: "Eviterò di dare troppo peso alle tue parole vuote. Tu parli di giustizia, ma invano. La giustizia terrena cede il passo a quella ultraterrena e Dike ormai da tempo ha abbandonato il mondo degli uomini, o fingi di proposto di ignorare quel mito? E sì che mi sembri persona ben istruita in merito. E non mi venire a dire che Atena ha raccolto l’eredità di Dike, come da tempo spergiurano coloro che seguono i suoi dettami. Non esiste giustizia degna di essere chiamata tale tra gli uomini e inutilmente Atena si affanna a convincervi che sia così. La giustizia vera è quella di Ade, appiana torti e debiti di eroi e uomini comuni, è quella di Minosse, supremo dei Giudici, ed è anche, sappilo, quella spietata di Aletto!"

"Atroce vendetta, non giustizia è quella delle Erinni!" disse freddo Plistene.

"Sciocco! Giusto castigo per chi si macchia di crimini che meritano di essere lavati col sangue, questa è la giustizia che incarno! E opporsi al volere di Ade, come fate voi devoti di Atena, è uno di quei crimini. Addio, Plistene. Demoni del Tartaro!"

"Povera illusa." disse a chiara voce Plistene. "Elevatevi spiriti! Danzate, ombre della notte!"

Se un viandante si fosse trovato a passare in quella landa battuta della pioggia certo sarebbe fuggito stordito dall’orrore. Sotto un cielo plumbeo, nell’aria umida e fredda di quel falso mattino, ombre e demoni levavano alte strida scontrandosi a mezz’aria, ora mulinando rapidi come il vento, ora scagliandosi gli uni sugli altri come le onde si infrangono sugli scogli, ora aleggiando in attesa di colpire, orridi nelle loro cupe espressioni, terribili in ogni loro gesto. A lungo infuriò quella battaglia di spiriti effimeri, eterei in tutto fuorché nei colpi violenti e nelle strida. Quelli che si muovevano al di sopra dell’uomo ricoperto di vestigia dorate ebbero infine la meglio.

"E’ finita, Aletto." disse Plistene senza scomporsi, abbassando le braccia a conclusione dell’attacco. Si aspettava che, battuta laddove si sentiva forte, il suo senso di superiorità, il suo orgoglio, si incrinassero a tal punto da andare in pezzi rovinosamente, come spesso accade a chi ha costruito le proprie fortune su basi malsicure o a chi vede tramontare repentinamente le proprie illusioni.

"I miei complimenti, Plistene." fu invece la pacata risposta. "Hai prevalso laddove non credevo potessi ambire a farlo." Negli occhi belli della ragazza vi era sincera ammirazione e si sarebbe detto che da un momento all’altro le sue labbra si sarebbero aperte in un luminoso sorriso. "Mi spiace sinceramente che tu debba ora subire la vera furia di Aletto. Fossi caduto subito, ti saresti risparmiato atroci sofferenze, ma evidentemente della sofferenza tu ambisci percorrere le vie!"

***

Pegasios era sparito nelle tenebre già da un po’. Policrate aveva guidato i cavalieri nei meandri del Santuario e si accingeva a resistere ad Ade e all’armata che presto si sarebbe affacciata all’orizzonte. Perché suo fratello tardava, si chiedeva con impazienza. Un pensiero gli balenò nella mente. Che Lisandro, ligio al dovere fino in fondo, stesse davvero difendendo Atene dalle forze oscure, fiducioso nelle capacità dei compagni? Doveva essere così, pensò Pisandro. Certo avrebbe volto che giungesse al più presto, sentiva un gran desiderio di rivederlo. Questi erano i suoi pensieri quando gli parve di scorgere un’ombra in lontananza. Due ombre. Tre. Che Pegasios fosse già di ritorno con Plistene e Kyriakos? Veramente era degno possessore delle vestigia di Pegaso, il mitico cavallo alato, se in un così breve arco di tempo era davvero giunto a destinazione e tornato. Si tirò in piedi, pure se le ferite gli dolevano. Guardò le sue mani e le sue dite, ancora arrossate. Provò a stringere il pungo e avvertì un dolore lancinante. Kanagos aveva lasciato il segno. Ma non vi era tempo per indugiare, tra poco si sarebbe unito ai compagni e avrebbero dovuto combattere assieme, ancora una volta. E che non si azzardassero a volerlo tenere a riposo. Avrebbe compiuto il suo dovere fino in fondo.

Ecco, finalmente gli pareva di vedere Pegasios ma chi lo seguiva era ancora avvolto nella notte. No, non era così. Era vestito di notte! D’improvviso una melodia si diffuse nell’aria. No, era assurdo, pensò Pisandro mentre sentiva salire la rabbia. Ed ecco che quell’odiosa voce, che aveva imparato ad detestare profondamente si fece sentire.

"Il Tempio non è lontano, comandante. Fate avanzare il grosso della truppa e presto spazzerete via quel che resta dell’armata di Atena."

"Che la spazzeremo via non v’è dubbio." disse una voce severa. "Certo che la fatica con la quale tu hai sconfitto uno dei Cavalieri d’Oro e il fatto che persino Minosse sia stato respinto e non sia ancora ricomparso mi dice che non sarà impresa semplice come pensavo. Allo stesso tempo però, tutto ciò mi rende ansioso di entrare in azione per dare a quegli insolenti la lezione che meritano." Terminò con rabbia.

"Dite bene. Lasciate che ora regoli un conto in sospeso con questo Cavaliere d’Oro. Vi porterò il suo cuore dopo che glielo avrò strappato."

"Vedi piuttosto di non fallire anche stavolta." disse l’altro con tono di sfida.

"Oh no, non accadrà. Saprò stupirvi, vedrete." disse con sguardo di sfida e con tono malizioso. Poi a gran voce. "Pisandro, a quanto sembra ci ritroviamo, e questa volta il tuo maestro non potrà certo venirti a salvare."

Il giovane, pur punto sul vivo, non replicò a quell’infame provocazione. Il Leone sfoderò la sua forza indomita e le sue vestigia avvamparono nella notte. Gli artigli erano pronti a colpire.

***

Ad Atene regnava il caos. Il mancato sorgere del Sole aveva gettato la città nel panico e una moltitudine disperata si dirigeva verso l’Acropoli, verso i templi, verso le erme, a chiedere misericordia agli dei che avevano gettato il mondo nell’oscurità. Cosa poteva aver spinto le divinità olimpiche a prendere una tal decisione? Nessuno sapeva dirlo o immaginarlo. Disperazione e sgomento erano i sentimenti più diffusi, uniti a una frenesia isterica che portava la maggior parte degli ateniesi a vagare per le vie della città, senza ordine, senza controllo. Invano alcuni avevano provato a calmare la folla cercando di spiegare il fenomeno come un’eclisse: la scienza astronomica però era ancora privilegio di pochi e i più erano maggiormente disposti a dare retta all’istinto piuttosto che alle farneticazioni dei dotti i quali non potevano sapere che per una volta la potenza divina era intervenuta su quelle leggi naturali che solitamente regolano il mondo.

Solone si aggirava inquieto assieme ad alcuni suoi congiunti, incerto sul da farsi.

"Solone!" lo chiamò qualcuno.

"Chi sarà ancora?" pensò ormai sfinito da quella mattinata di follia collettiva. Guardando in basso, sulla via che saliva serpeggiando, riconobbe un viso noto.

"Solone, vi prego, fermatevi!" diceva il giovane facendosi largo tra la folla.

L’aristocratico si fece incontro al nuovo venuto: "Che tu sia qui forse spiega quello che sta accadendo oggi e allo stesso tempo mi inquieta ancor di più. Mi sbaglio forse?"

"No, non sbagliate affatto." rispose asciutto il giovane.

"Dimmi prima di tutto, ti prego, con quale dei due fratelli sto parlando… Lisandro o Pisandro?"

"Il primo, nobile Solone."

"Ebbene, che è accaduto al Santuario?"

Lisandro indugiò. Di Solone poteva fidarsi, giacché era uno dei pochi a sapere dell’esistenza di un secondo santuario di Atena, ignoto e invisibile ai più e, da uomo saggio qual era, aveva sempre evitato di porre troppe domande e di voler sapere più di quanto gli fosse concesso poiché, come giustamente intuiva, vi era un limite imposto dai Celesti alla conoscenza degli uomini. Tuttavia a volte provava una certa invidia per coloro che, in un modo o nell’altro, parevano essere in rapporti quasi reali, tangibili, con la dea dalle bianche braccia e dall’occhio ceruleo. Avesse potuto parlarle almeno una volta! Quante cose vi sarebbero state da apprendere e con quale facilità. Guardò il giovane che pareva uscito da un mito e che indossava una corazza dorata sotto il lungo mantello, che solo ora aveva notato; ora aveva messo mano ad una spada corta, quasi che un pericolo fosse incombente.

"Ascoltate Solone, di voi mi posso fidare ma non fatemi dire più di quanto mi sia concesso e vogliate agire come vi dirò. Conto sulla vostra capacità di parlare agli Ateniesi…"

"Dubito che mi ascolteranno in un simile momento di delirio." rispose scettico.

"Lo so. Dovrete essere come uno scoglio che si oppone alla furia del mare in tempesta, ma conto che sappiate essere saldo nelle membra e nel cuore e convincere questa gente a seguirvi."

"Dove?"

"Ovunque, basta che sia lontano da Atene, lontano dall’Acropoli!"

Solone era perplesso: "Dovremmo forse abbandonare la polis per tuffarci nel mondo di tenebra che ora ci circonda? Lontano dai templi, dai luoghi sacri?"

"Lo so che sembra irrazionale e sciocco, ma è la sola cosa da fare. La tenebra peggiore potrebbe essere non ancora calata sulla città."

"Cosa intendete dire?"

Lisandro a quel punto non poteva restare troppo sul vago, ma nemmeno poteva correre il rischio di spaventare pure quel sapiente, l’unica persona su cui poteva far affidamento in quel momento. Soppesando bene le parole disse: "La città potrebbe essere attaccata. Non mi chiedete come e da chi, ma questo probabilmente accadrà. L’Acropoli, che a tutti sembra il luogo più sicuro dove rifugiarsi, potrebbe invece diventare il più pericoloso. Dovete aiutarmi ad allontanare gli Ateniesi, al più presto."

Solone restò un attimo in silenzio, a soppesare quelle parole, gli occhi penetranti fissi su di lui. Poi di getto: "D’accordo. Però mi dovete proporre una meta da suggerire a queste persone. Non posso certo convincerle a disperdersi nei campi!"

No, non poteva, rifletté Lisandro. Gli venne in mente un luogo che, per sua natura, sarebbe stato forse fuori portata per le armate di Ade. "Dirigetevi al Falero. E invocate Poseidone."

"E perché Poseidone, che perse proprio ad opera di Atena il dominio sulla nostra città, così come narra il mito, dovrebbe soccorrerci?"

Lisandro cercò la risposta e la trovò in modo inatteso, stupendo se stesso per le sue parole: "Per quanto rancore Poseidone possa nutrire verso Atena non permetterà che Atene, che volle omaggiare, cada in rovina così come le altre città dell’ecumene per mezzo di colui che gli è congiunto eppur nemico."

Solone sbarrò gli occhi, poi chinò il capo, meditando su quanto gli Olimpici e il Fato potessero aver in mente per coloro che dimorano sotto i cieli. L’ora pareva estremamente buia. Si riebbe e disse: "D’accordo, seguimi e sostienimi quando parlerò agli ateniesi. Ma prima dimmi: se su di noi gravano i gravi eventi che intuisco, posso sperare che ne verremo fuori?"

"Se avessi smesso di sperare, non vi avrei cercato."

***

Apofis fece scivolare le dita sul suo fatale strumento, poi sfidò apertamente il suo avversario.

"Kanagos ti ha stremato, non ci sarà gloria in questa vittoria. Tuttavia la coglierò volentieri per vendicare le offese subite da te e per riscattare l’onore del mio conterraneo. Saprai resistermi?"

Le offese, pensava Pisandro… Quali offese? Nemmeno la cicatrice che gli aveva procurato era più visibile. Come era potuto accadere? Eppure i Demoni che combattevano per Ade dovevano essere mortali. Non potevano non esserlo, rifletteva con rabbia. Lo sapeva bene. Kanagos era caduto e il suo potere era ben più distruttivo di quello di Apofis, sebbene questi fosse più subdolo.

"Kanagos ti era superiore, e non di poco!" lo apostrofò infine Pisandro.

"Taci, insolente! Giudizio di Anubi!" La melodia fatale già si diffondeva nell’aria e Pisandro tra poco sarebbe stato in sua completa balia. E questa volta il suo cuore…

"Pazzo!" urlò Pisandro. "Il fuoco di Kanagos mi avrà anche stremato, è vero, ma forse ha pure indebolito i miei sensi." E disse questo dopo essersi infilato due brandelli di stoffa nelle orecchie ustionate. "La tua musica mi sfiora appena… Le sue vibrazioni non mi raggiungono attraverso la pelle, che mi pare sentir bruciare ancora sotto i colpi di Kanagos…"

"Ma ti raggiunge comunque, stai già cedendo!" disse livido Apofis.

"Sì, purtroppo è così…" ruggì Pisandro, che cominciava ad avvertire la difficoltà di muoversi. "Tuttavia questa volta non riuscirai ad immobilizzarmi, a differenza di quanto facesti alle Meteore. E sai cosa significa questo?" Apofis non fece in tempo ad articolar parola. "Zanne del Leone!" Il giovane distese fulmineo il braccio. Il nemico fu colpito proprio dove egli voleva. La sua mano, lacerata e sanguinante, dovette lasciar cadere lo strumento e di colpo la musica cessò. Apofis si chinò rapido per raccoglierlo ma si avvide che era troppo tardi, che il Leone, sebbene ferito, si muoveva con una rapidità sorprendente.

"Sei nulla senza il tuo strumento! Per il Sacro Leo!" Una scarica di raggi luminosi investì l’avversario che fu sollevato in alto mentre le sue membra e la sua nera corazza erano attraversate da centinaia di scariche. Cadde fragorosamente a terra, stordito.

Pisandro era conscio di poter ora sorprendere e sopraffare definitivamente il nemico, colui che aveva causato la caduta del suo maestro e quindi si accinse a sferrare il colpo di grazia, tuttavia un’ombra si parò repentinamente tra lui e il suo avversario.

"Basta così, mi sono stancato di stare a guardare! E tu, Apofis, guarda come si annienta un soldato di Atena!" disse con fare autorevole il comandante. Il suo aspetto era imponente, la sua armatura ben rifinita, ricca di decorazioni e rilievi, i coprispalla e l’elmo adorni di due spuntoni. Lo sguardo era fiero e risoluto e una viva determinazione era dipinta sul suo volto.

"Vuoi fare la fine del tuo compagno d’armi?" esclamò deciso il cavaliere del Leone.

"Folle, non sai con chi parli!"

"No, non ho il piacere."

"E allora sappi che io sono Eaco, della Stella del Cielo degli Eroi, Giudice degli Inferi e comandante dell’esercito che a breve metterà a ferro e fuoco la città di Atene e occuperà il Santuario!"

***

Il volto di Aletto si era fatto bello e terribile allo stesso tempo. Possibile che in fondo a quegli occhi covasse tanta rabbia e tanta furia, si chiedeva Plistene restando sulla difensiva. Che fosse davvero quello l’aspetto delle Furie? No, si stava facendo suggestionare, sapeva che in realtà tutto spesso è assai diverso da come appare. Ora però poco importava, quello che contava era fronteggiare l’attacco che, lo sentiva, era imminente.

"Preparati a subire l’attacco delle Furie!" esclamò lei, togliendolo definitivamente dai suoi pensieri. "Soffio dell’Idra!"

Una ventata d’aria calda lo investì, la pioggia stessa parve incendiarsi sotto la furia di tale attacco, mentre l’aria si faceva irrespirabile.

"Khan!!!" gridò Plistene cercando di proteggersi.

"La tua barriera non ti potrà salvare stavolta!" disse lei senza scomporsi e aumentando la portata dell’attacco. La notte di accese di fiamme baluginanti, che avvolgevano quella sorta di cupola di energia che Plistene, per difendersi, aveva eretto attorno a sé. Era il momento di contrattaccare, pensò il giovane, tenendo gli occhi chiusi e accumulando il suo potere.

"Sottomissione dei Demoni!" disse infine a gran voce. La sfera di energia esplose e l’onda di luce colpì in pieno Aletto, sbalzandola indietro e facendola cadere rovinosamente a terra. Allo stesso tempo tuttavia le fiamme dell’Idra l’avevano avvolto e avvertì su di sé il calore e il dolore di quel soffio ardente. Fortunatamente la pioggia aveva attenuato in parte il dolore, raffreddando la sua armatura. Il Fato forse ora stava dalla sua parte. Proprio in quel momento si accorse tuttavia che l’intensità del fenomeno si stava riducendo e che presto sopra di loro non vi sarebbero che state soltanto nubi nere e minacciose.

"Credi forse di avermi già battuto?" disse in quella Aletto rizzandosi in piedi con agilità. "Un gran bel colpo il tuo, ma non sufficiente, come puoi ben vedere. La mia armatura non ha riportato il minimo danno."

Incredibile, si stupì Plistene, che mai avrebbe pensato che la Sottomissione dei Demoni potesse essere così inefficace da non procurare lei nemmeno un danno.

Aletto avanzò sicura di sé: "Guarda" disse per irriderlo "il danno più grave che mi hai fatto è stato sporcarmi di fanghiglia nella caduta!" E con un gesto delicato tolse uno strato limaccioso da uno dei bracciali. "Davvero pensi di sconfiggermi con così poco?"

Plistene, per la prima volta forse in vita sua, perse la pazienza. "Che tu sia maledetta!" Unì le mani, le aprì di scatto e liberò una luce abbagliante. "Non sarai sempre così fortunata! Sottomissione dei Demoni!" L’attacco era più rapido del precedente, anche se meno potente. Si trattava però di un attacco diretto, concentrato, non ostacolato dalla stessa presenza del Khan, dove prima l’aveva dovuto accumulare, e dal colpo di lei, che ora era pure notevolmente più vicina. Sei stata incauta ad avvicinarti, pensò Plistene con soddisfazione vedendo la sfera di luce colpirla.

Vi fu un’esplosione e di nuovo la guerriera dell’Idra fu investita, ma stavolta ebbe il tempo di abbozzare una difesa. Inutile, in apparenza, perché fu respinta indietro e avvertì su di sé il peso e la potenza di quel colpo.

Quando tutto fu finito, Plistene guardò dove si aspettava di vedere Aletto. Era sparita. Non ebbe nemmeno il tempo di chiedersi dove fosse che sentì qualcosa sibilare sopra di sé.

"Qui, stolto! Soffio dell’Idra!" disse lei piombandogli sopra dall’alto. Com’era possibile? "Kahn!!!" urlò, ma il peso dell’avversario e della sua energia vitale lo spinse a terra, obbligandolo ad inginocchiarsi, le mani unite sopra la testa per contenere l’attacco. Aletto fu sopra di lui e lo colpì con un pugno calato dall’alto. Il Khan sfrigolò e poi, incredibilmente si incrinò. Era assurdo, dove poteva attingere una tale energia un demone di Ade? Come poteva disporre di una tale smisurata forza quella fanciulla devota al Signore degli Inferi? Possibile che chi serviva il male, la tenebra, potesse raggiungere una tale calda, limpida, intollerabile potenza? Per non compromettere del tutto la sua difesa, rinunciò al Khan, che presto avrebbe potuto cedere. Cercò di rotolare di lato ma fu colpito in pieno, lanciando un grido di dolore. Si ritrovò a terra e mentre cercava di rialzarsi Aletto lo colpì con un calcio al volto e Plistene sentì in bocca l’amaro sapore del sangue.

"Quanto resisterai, scellerato? Lasciati andare, sarà tutto più semplice." lo incitò la ragazza.

Lasciarsi, andare? Mai! Restò a terra, pur subendo colpi in successione, allo scopo di espandere al massimo il proprio cosmo. Ecco che un altro duro colpo gli fu sferrato ad un fianco, ma in quella, sentendosi pronto, aprì gli occhi, si girò di scatto e appoggiò le mani all’addome della sua avversaria, liberando tutta l’energia accumulata.

"Per quanto mi ripugni colpire così duro una fanciulla, lo devo fare! Tu e i tuoi pari non vincerete questa sacra guerra tra divinità. Sottomissione dei Demoni!"

Le sue mani liberarono una sfera di energia luminescente che agì con devastante potenza e incendiò il pettorale della corazza di Aletto. L’onda d’urto dell’attacco del cavaliere di Virgo la proiettò in alto, avvolta da una sfera di luce. Poco dopo cadeva a terra e restava prona sulla nuda terra.

Plistene si alzò, dolorante per i colpi subiti. Si pulì la bocca e osservò Aletto. Avvertiva il suo respiro affannoso e vide le sue mani stringere vanamente il fango e la terra, irrigidite e sporche. L’attacco era andato a buon fine.

Ma una risata sinistra fendette l’aria facendogli gelare il sangue. Aletto, puntellandosi sulle braccia, si stava rialzando.

"Congratulazioni!" disse respirando ancora a fatica "Sono stata incauta ad abbassare le difese. Hai colpito duro. Mai avevo avvertito su di me un tale potere." Riprese fiato e si girò verso di lui, con le braccia ripiegate sull’addome.

"Non resisterai ad un altro attacco." La incalzò Plistene preparandosi a colpire ancora.

Aletto alzò la testa e sorrise: "Guarda e dimmi se la pensi veramente così!" Aprì le braccia scoprì il torace e l’addome, laddove era stata colpita. La nera e lucida corazza non mostrava il minimo danno.

"Non è possibile." esclamò Plistene esterrefatto.

"Povero cavaliere deluso." disse lei con una nota di dolcezza e commiserazione nella voce. "Attacchi duro, se capace di farlo, ma non puoi passare le mie difese. Come credi dunque di poter vincere?"

La risposta giunse a denti stretti: "Troverò il modo! Atena me lo indicherà!"

"Lascia che i Celesti si scontrino tra loro e si occupino delle loro faccende. Tu hai ben altro cui pensare. Ti dico addio, Plistene di Virgo! Ora ti mostrerò le fauci dell’Idra, che ti faranno a pezzi. Sei un valoroso, è stato un piacere misurarmi con te, ma ora è tempo di scrivere la parola fine su questo scontro e sulla tua vita. Ti onorerò come meriti dopo la tua morte."

"Taci, donna!" urlò irritato.

"Come preferisci. Fauci dell’Idra!" Un colpo fisico, rapidissimo, che sembrava provenire da più direzioni, che sembrava colpire ovunque, inesorabile e mortale, questo fu quanto avvertì Plistene. Come l’Idra dalle molte teste colpisce lo sventurato che ha la sventura di trovarsi di fronte quella creatura, così Plistene si sentiva sopraffatto da quel mostro evocato da Aletto. In mezzo a quella sequela di colpì il suo sguardo si fissò per un attimo sul bel volto della ragazza, incorniciato dai capelli rosso fuoco. Tanta bellezza e tanto furore erano un tutt’uno, come testimoniavano le quattro teste dei Idra che minacciose si levavano sopra i copri spalla dell’armatura di Aletto. Fu un attimo, un attimo solo, e Plistene si maledisse per la sua stupidità e si vergognò quasi che il maestro potesse vederlo e stesse per rimproverarlo. Sere e notti a studiare e ad apprendere miti, sotto la volta delle stelle, dopo le lunghe sedute di allenamento, erano dunque servite a nulla? Era uno stolto. Un pugnò lo colpì in pieno petto, facendolo piegare, poi un calcio lo stese a terra.

Aletto troneggiava su di lui, un’espressione di tranquilla soddisfazione dipinta sul bel viso.

Non tutto era perduto, si disse. Avrebbe rimediato con l’astuzia alle sue imperdonabili mancanze. Con l’astuzia e la forza bruta, sebbene non fosse quella la caratteristica su cui si basavano le sue tecniche d’attacco. Si tirò in piedi, a fatica, e aprì le braccia, distendendole. Aletto, lo guardò con commiserazione, e affondò un pugno per colpirlo. Era quello che Plistene aspettava. Calò le braccia sui coprispalla di Aletto menando due poderosi fendenti, come tante volte aveva visto fare nelle sedute di allenamento all’amico Callimaco. Il pugno di Aletto lo fece piegare nuovamente in due, sputando sangue nel contempo. Il suo duplice colpo era però già andato a segno, spezzando le quattro teste di Idra che si dipartivano dal dorsale della corazza di Aletto. L’abbracciò e, facendo ricorso alle ultime forze che gli rimanevano, la tenne stretta, piegandosi su di lei.

"Che vuoi fare, lasciami!" gridò lei per la prima volta dubbiosa.

Seppur provato, Plistene volle parlarle con tono lieve, quasi a volerla irridere così come, nel corso del combattimento, era stato spesso irriso da lei. "Solo poco fa mi sono ricordato del mito dell’Idra di Lerna e di come Eracle la sconfisse, recidendo l’unica testa immortale dopo aver neutralizzato le altre. Per tutta la durata del combattimento ho avuto l’impressione che troppo ti vantassi di essere legata alle Erinni. Tra un attimo avrò la prova che sei invece legata solo alla creatura di cui la tua armatura riproduce le fattezze e dalla quale trae la sua indicibile resistenza."

"Tu stai vaneggiando!" disse livida.

"Lo vedremo. Kahn!!!"

"Stolto, mi attacchi con una tecnica difensiva? Devi essere impazzito!"

"Devo solo accumulare cosmo per abbattere la testa immortale dell’Idra. Così!" Plistene fece esplodere il suo cosmo, incanalando l’energia accumulata sulla testa e sul petto di lei. L’elmo dell’Idra andò in frantumi e Aletto fu schiacciata a terra, mentre pettorale, coprispalle e bracciali andavano in pezzi. Plistene, sopraffatto dallo sforzo, si accasciò a terra.

Ci vollero lunghi attimi prima che potesse riprendersi. Gli dolevano i polsi, per il colpo sferrato, aveva lo stomaco in subbuglio per i ripetuti pugni e calci subiti, la sua armatura era sporca di fango e terra. Sentiva freddo. L’umidità gli era penetrata nelle ossa e il sudore gli si gelava sulla fronte. Se vittoria era stata, era costata uno sforzo notevolissimo.

Guardò là dove giaceva l’avversario, vinto.

La fanciulla che tanto lo aveva impegnato giaceva supina poco lontano da lui.

Il sangue che le usciva dalla bocca e le colava dalla fronte le aveva sporcato il viso; una guancia e i capelli erano ora del medesimo colore vermiglio. Respirava a fatica ed era percorsa da brividi, che a tratti la scuotevano tutta. Tanto era apparsa terribile fino a pochi momenti prima, tanto appariva impotente e indifesa ora.

Si chinò su di lei e la prese tra le braccia.

"Tossisci!" le disse rigirandola delicatamente su un fianco. Lei obbedì e fu scossa da un tremito mentre, tossendo, macchiava del suo sangue pure il terreno sotto di lei. Cingendole le spalle col braccio appoggiò la testa della ragazza al suo petto e con un lembo delle sua veste le pulì la bocca, scoprendone le labbra ben disegnate.

"Ora cerca di respirare con calma, in modo regolare." Le disse con delicatezza. Un rivolo di sangue tuttavia usciva ancora dalla bocca delle fanciulla, donando un color rosso fuoco alle sue labbra. Il suo sguardo era invece smarrito, la sua espressione persa e timorosa. Dov’era, pensava, quello sguardo rabbioso e furente che si celava fino a poco prima in fondo a quei due laghi verde azzurri? D’istinto le accarezzò una guancia e lei afferrò quella mano dentro la sua. Una mano bianca, fredda, tremante.

"Non voglio morire!" bisbigliò a fatica mentre gli occhi le si inondavano di lacrime. "Non adesso… Ho tanta paura…" E appoggiando il viso sul suo petto disse: "Abbracciami."

Plistene sentì che la bocca dello stomaco gli si chiudeva e la lingua gli si seccava. Lui, un devoto di Atena, aveva massacrato una ragazza tanto bella che, se non fosse stata un nemico, avrebbe potuto essere l’incarnazione della dolcezza e della gentilezza. Le sue braccia, pur coperte di lividi e graffi, erano candide, i capelli profumavano ed erano morbidi al tatto. Avvertendo il respiro di lei farsi più affannoso la scostò da sé e la distese. Non poté fare a meno di ammirare il bel seno che si intravedeva sotto la veste lacera e poi ancora il suo volto che le ferite e il sangue non riuscivano comunque a rendere meno piacevole. Ma erano i suoi occhi a lasciarlo sgomento. Occhi vivi, profondi, caldi al di là dello sgomento di quell’attimo fatale, occhi che parevano essersi riaperti solo ora dopo aver visto per troppo tempo solo il buio e la tenebra.

"Perdonami, Aletto." disse con la voce incrinata. E una lacrima gli scivolò sulla guancia.

La fanciulla volse lo sguardo verso di lui e a mormorò: "Non mi chiamo Aletto… Non voglio più essere chiamata così… il mio nome è… Maia."

Ancora una volta la accarezzò.

"Mi piace… il tocco delle tue mani…"

"Non sforzarti di parlare, Maia." disse sopraffatto dal dolore stringendola a sé.

Sentire qualcuno pronunciare il suo nome, riportò la ragazza a un passato che credeva dimenticato e questo le diede conforto e forza per affrontare quel momento.

"Grazie… Plistene." disse infine, e il suo capo si reclinò sul petto del cavaliere.