XXVI

 

Il nemico stava lì, davanti a lui, teso prima dell’attacco, gli occhi dritti sul bersaglio, pronto a scattare verso di lui. Ad un tratto un che di ferino si dipinse sul suo volto, mentre dai bracciali si allungavano delle lunghe zanne, affilate e minacciose.

"Vedremo subito" disse Lycaon con sguardo cupo "se gli artigli del Drago sono affilati quanto quelli del Lupo!"

"E’ l’uso che ne si fa a fare la differenza. Vedremo se saprai colpire con la stessa maestria con cui ti muovi per evitare i colpi. Sappi però che ora che ti ho visto in azione sarà per te più difficile sorprendermi, inoltre potrò contare sulla difesa dello scudo di Libra. Saprai tu opporre una difesa altrettanto efficace?"

"Non hai capito, cavaliere. Non si tratta di una questione di tecniche o di strategie. Si tratta di una questione di forza, di potenza e di furia nell’attacco. O davvero credi che i miti sui lupi dell’Arcadia siano delle fantasie popolari?" Dicendo questo il suo viso di contrasse, assumendo tratti ancor più animaleschi, così come le sue mani e le sue gambe. Quando riprese a parlare pure la sua voce era mutata: "Preparati a soccombere, Lisandro! Prima ghermirò la tua vita, poi farò di questa città il bosco dove cacciare le mie prede."

Nell’udire quelle minacce Lisandro fu sollevato al pensiero che gli Ateniesi dovevano essere ormai lontani e dunque in salvo dalla furia che, lo aveva capito, lo avrebbe ora investito in pieno.

"Artigli del Lupo" urlò Lycaon scattando in avanti, con più furia e rapidità rispetto agli attacchi precedenti. Lisandro parò alcuni colpi con gli scudi di Libra, ma l’intensità e la violenza dell’attacco erano tali da permettere ad alcuni colpi di raggiungerlo ugualmente, ora alle gambe, ora ad un fianco, ora persino tra spalle e collo, dove l’armatura era meno coprente. Il giovane e prestante cavaliere fu allarmato e, precauzionalmente, arretrò di qualche passo.

"Codardo, non fuggire!" ringhiò Lycaon.

Lisandro approfittò dell’attimo di tregua. "Colpo del Drago Volante!" L’attacco parve andare a buon fine, invece all’improvviso Lycaon spiccò un salto e con un calcio a spazzare fece volar via l’elmo di Libra, mentre Lisandro sputava sangue.

"Ah, quanto ne berrò tra poco!"

Lisandro si pulì la bocca con il dorso della mano. "Adesso sono stanco di giocare. Torna dalla foresta da cui sei venuto, perditi nei meandri bui del Tartaro!" E così dicendo mise mano ad una delle due spade. "Atena ha in orrore la tremenda genia che tu rappresenti, Lycaon, quella dei lupi che terrorizzano le genti. Voi, come altre creature della notte, siete belve che assurgono ad alti onori solo grazie alle stragi e alla violenza e sedete banchettando su un trono di sangue."

"Risparmiati la predica. Quelli come me sono fatti per dominare e sopraffare quando se ne presenta l’occasione. O ti illudi forse che esista un potere, un governo, un dominio senza meschinità, senza sopraffazione, senza violenza? L’uomo è fatto per servire i suoi istinti ed essi lo portano inevitabilmente a combattere i suoi simili, per sete di gloria, per brama di ricchezza, per desiderio di potere. Quindi lascia che Atena predichi pure riguardo la giustizia dei vili e dei deboli, sul potere vanamente fondato sulla tolleranza. Non vi è regalità e neppure dominio dove non vi è forza per imporlo. E la forza è giocoforza diventi violenza quando la ragione abdichi al suo ruolo. Si dà il caso infatti che gli uomini facciano poco uso della ragione per la maggior parte della loro vita, quindi perché farsi scrupoli nel volerli sottomettere, facendone un docile branco di un unico signore? E perché non eliminarli quando alle leggi del branco essi disobbediscono?"

"La tua idea di giustizia e la tua considerazione dell’uomo mi disgustano!"

"Ti disgustano perché sono l’amara realtà che ti circonda e che ti rifiuti di ammettere. Artigli del Lupo!"

Lisandro schivò l’attacco ma Lycaon, il volto stravolto da una smorfia, piombò su di lui colpendolo a raffica. Una ferita si aprì sul volto del cavaliere, poi d’improvviso una fitta alla mano destra, gli artigli che mordono la carne e la spada che cade a terra tintinnando.

"Ecco, la spada della tua dea cade come sono destinati a cadere i suoi folli ideali. Il lupo scenderà ancora dalla montagna, a punire gli uomini e la loro stoltezza, dilaniando le loro carni e rapendo i loro bambini."

A quelle parole un ricordo esplose con violenza nell’animo di Lisandro e una rabbia feroce si fece strada in lui, unita a un dubbio, un dubbio strisciante e inquietante. Un dolore antico era stato riportato alla luce e divenne fuoco vivo nel pugno di Lisandro che, trovandosi davanti Lycaon, ebbe l’impressione di essere di fronte all’incubo che aveva stravolto la sua fanciullezza e quella di suo fratello.

"Artigli del Lupo!" Lo scudo si frappose tra Lisandro e il suo carnefice e la sua superficie dorata si fece incandescente. "Che accade?" disse Lycaon sorpreso.

Lisandro aveva teso i muscoli abbronzati e quando aprì gli occhi vi era in lui una feroce determinazione e una vivida consapevolezza. "Stai per scoprire che la violenza e la ferocia del lupo sono ben poca cosa rispetto a quella di cui è capace il Drago. Non si tratta di mera forza, ma dell’uso che ne farò. Se il lupo infatti può diventare l’emblema della forza usata a fini distruttivi, il drago si contraddistingue per saperla indirizzare per difendere o per lavare un’offesa."

"Il lupo che mi appartiene è un nobile animale che segue i suoi istinti!"

"Istinti di morte!"

"No, piuttosto di comando e di guida. Che possono essere imposti con la forza, laddove serva."

"Certo però non con la violenza e con le ruberie come hai dichiarato di aver fatto. Questo ti costa il mio disprezzo e ti guadagnerà la morte per mia mano."

"Taci, idiota! Che le Zanne e gli Artigli del Lupo facciano scempio di te!" urlò liberando un poderoso attacco mentre la sagoma di un lupo di montagna si materializzava alle sue spalle. Quell’ancestrale figura dovette però scontrarsi da subito con una scia di luce che serpeggiando sopra Lisandro prese le sembianze di un Drago che si mosse repentino all’attacco, mentre sul pianoro dell’acropoli echeggiavano queste parole: "Colpo del Drago Nascente!"

Chi si fosse trovato ad osservare l’altura avrebbe distinto un’inquietante sagoma nera farsi prima minacciosa e poi, d’improvviso, impotente mentre un lampo verde attraversava il cielo, disperdendola. Un lampo verde che era forza e potenza, un lampo verde che era un Drago, ma che probabilmente un ateniese avrebbe scambiato per Cecrope o Erittonio in persona, quasi si fossero materializzati per proteggere la città nel momento dell’estremo pericolo.

***

"Per il sacro Toro!"

"Excalibur!"

"Volo della Colomba!"

Metoneo osservava i suoi compagni d’armi impegnati nel contenere la nera marea che sia era riversata poco prima ai piedi dell’altura sulla quale si stagliava il Tempio di Atena. Al suo fianco Policrate, provato e sofferente per lo scontro del giorno avanti. Alle sue spalle i dodici templi e la nera e minacciosa aura di Ade, che probabilmente non attendeva altro che i suoi spazzassero via quegli ultimi, sparuti, difensori.

"Devo fare qualcosa" rimuginava Metoneo "ma cosa?" In quella un paio di Spettri erano giunti a tiro e puntavano verso Policrate. Il cavaliere d’argento si parò fulmineo davanti a loro gridando: "Sacro fuoco, ardi!" e vive fiamme si sprigionarono dalle sue mani. I Nemici furono avvolti da una vampa e levarono alte strida.

"Ben fatto, Metoneo." disse Policrate.

"Signore" replicò questi con tono preoccupato "non riusciremo a reggere a lungo. Sono troppi!"

Policrate chinò il capo, pensoso, ma lo rialzò di colpo quando vide un’ombra presso di sé. Sferrò un fendente con il braccio e trapassò il petto di uno dei nemici che, vomitando sangue, cadde a terra.

"Troppi! E’ vero, Metoneo!" L’ora era grave. Arretrare nel primo dei Templi avrebbe fatto loro guadagnare tempo ma a che sarebbe servito? Sarebbero comunque stati respinti lungo la collina, tempio dopo tempio e lassù, bramoso del trionfo finale, li attendeva Ade. Sarebbe stato come cacciarsi in trappola da soli.

"Metoneo!" gridò ad alta voce.

"Nobile Policrate..."

"Trova Atena!" sussurrò facendosi vicino a lui.

Metoneo guardò il Grande Sacerdote con gli occhi colmi di stupore. "Come posso trovarla?"

"Con il potere dell’Altare che ti è proprio!"

"Ma Atena, voi lo avete detto, ha fiaccato il suo cosmo nell’ultima battaglia. Anche se riuscissi a trovarla e a contattarla, non credo potrebbe schierarsi al nostro fianco!"

"Metoneo" disse Policrate con fare deciso "siamo noi a doverci schierare al suo fianco." E dato che sapeva le sue parole essere oscure aggiunse: "Ho commesso troppe imprudenze in questa Guerra Sacra, non ne commetterò un’altra. E’ ora che porti a frutto quello che ho intuito durante lo scontro con Ade. Metoneo, sono i Cavalieri a dover combattere al fianco di Atena ed è lei che va protetta se vogliamo vincere questa guerra. Il Signore degli Inferi sembrava soddisfatto di aver messo le mani sul Santuario ma la sua vera vittoria sarebbe stata le resa di Atena, la sua sottomissione. La nostra dea però, come sai, ora è al sicuro. E credo il nostro nemico sia in questo momento più interessato a lei, per chiudere la partita, piuttosto che a spazzare via noi."

"Non sembra che le sue truppe siano dello stesso parere." disse amaro Metoneo respingendo un altro assalto.

"Fanno il loro dovere, come noi facciamo il nostro. Voglio dire…" e si interruppe per un attimo, conscio della portata e della gravità di quanto stava per dire "… voglio dire che, se tu troverai Atena e mi dirai che è sufficientemente lontana dal Santuario, dovremo raggiungerla, a costo di abbandonare il Santuario al nemico."

Metoneo sbiancò: "Ma nobile Policrate… I nostri compagni… sarebbero caduti invano e il Santuario cadrebbe nelle mani degli Spettri e del sommo Ade!"

"Lo so!" rispose rabbioso Policrate. Poi, ritrovando la calma: "Non sarebbe una decisione da prendere a cuor leggero. Metoneo, se fossimo costretti a fare quello che ti ho detto sarebbe la città, Atene, a diventare la nostra priorità. Solo con la dea al nostro fianco avremmo la possibilità di vincere contro Ade la Guerra Sacra ed eventualmente di riprenderci il Santuario. Hai costatato pure tu che i nostri nemici ci terrorizzano e cercano di fiaccarci attaccando tutti coloro che non si possono difendere, i nostri amici, i nostri cari, le nostre città… i nostri compagni di battaglia…"

Il cavaliere dell’Altare vide gli occhi del Grande Sacerdote farsi lucidi, ma dovevano esserlo pure i suoi al pensiero dei suoi concittadini Ateniesi sottoposti all’attacco di quei demoni. "Voi mi state dicendo che era giusto che noi ci sacrificassimo perché Atena vivesse, vero? Che solo così la guerra si può vincere? Io dovevo pur sapere che era così, che questa è la missione di noi devoti di Atena e dunque vi chiedo perdono se ho pensato, come tanti, che il Santuario fosse…"

"No, sono io a dovermi scusare con tutti voi." disse con un filo di voce il Grande Sacerdote. "Se solo fossi stato più determinato stamattina, avremmo evitato di mandare Pegasios allo sbaraglio, di perdere il povero…"

"Attento maestro!"

Un fendente sibilò poco sopra la testa di Policrate che, istintivamente, sferrò un colpo alla sagoma che si era levata al suo fianco. Poco dopo i suoi occhi incrociavano quelli di Callimaco così come le loro bracca si erano incrociate, letali, abbattendo un nemico.

"Metoneo, trova Atena!" disse infine.

"Subito!" rispose deciso il cavaliere d’argento.

"Callimaco, ripieghiamo! Elettra sta rischiando troppo, tu e Alcmene siete troppo stanchi. Nel Tempio dell’Ariete, presto."

Poco dopo i cinque strenui difensori del Santuario di Atena si portavano sulla soglia del tempio mentre la nera marea inondava il pronao.

Molto più in alto Ade, signore degli Inferi, ammirava soddisfatto.

***

"Colpo del Drago Nascente!"

"Zanne del Lupo!"

Le silenti colonne del vicino tempio di Atena furono attraversate dal vento impetuoso che, scaturito dallo spostamento d’aria dovuto allo scontro cosmico, fischiava cupo e silenzioso sulla città, buia e deserta. Nel mentre due figure si scambiavano di posto e restavano immobili, ad alcuni metri di distanza, dandosi le spalle. Poi una cadde rovinosamente a terra.

Lisandro sospirò. Una battaglia impegnativa, ma almeno ora Atene sembrava essere al sicuro.

"Pazzi… morirete tutti…"

Lisandro si voltò verso il nemico caduto: "Se non ho fatto male i conti, siete voi ad aver subito più perdite. E dovessimo morire tutti sta pur certo che l’ultimo dei nostri cadrebbe dopo l’ultimo dei vostri."

"Illuso… sai come finirà, lo sento… Lo sentivo anche quella notte di tanti anni fa…"

Il giovane raggelò a quelle parole e cominciò a sudare freddo, mentre nuovamente quel dubbio che già lo aveva sfiorato si faceva strada in lui. Si diresse a grandi passi verso Lycaon, mentre i battiti del suo cuore cominciavano ad aumentare di intensità. Sollevò di peso il nemico e disse di getto: "Cosa intendevi dire, demone?"

In risposta giunse prima un ghigno, poi delle parole come lame: "Tu mi hai ucciso oggi, ma io ti avevo già colpito anni fa… Sì, sono stato io a gettarvi nelle disperazione…"

Lisandro perse il controllo e gli sferrò un pugno che però andò a segno quando l’altro era già spirato. Solo, nell’ombra e nel silenzio, il Cavaliere di Libra pianse.

***

"La Pizia è qui, signora."

La fanciulla alzò gli occhi posando nel contempo la ciotola e il cucchiaio su un piccolo tavolino di legno. Si strinse nel mantello di lana e si alzò, stupendo la ragazza che, vedutala pallida e insicura, avrebbe preferito restasse seduta.

"Falla pure entrare, Eleni."

Con un po’ di imbarazzo la giovane azzardò: "Non è il caso che vi affatichiate."

"Sto bene, non preoccuparti. Ti chiedo solo di aggiungere qualche ciocco al braciere, la pioggia non sembra proprio cessare e c’è molta umidità qui."

"Subito."

In quella la Pizia fece il suo ingresso e subito la sua espressione severa si mutò in un’espressione di meraviglia. Si inchinò e disse: "Ebbene ciò che avevo presagito corrisponde dunque alla realtà. Salute a voi, Signora." Giorni, mesi e anni a leggere responsi divini le parvero in quel momento un nulla realizzando pienamente a chi si trovava di fronte.

"Alzatevi, vi prego."

La sacerdotessa obbedì ma tenne lo sguardo basso. Tante cose si era ripromessa di dire, ma ora le parole sembravano morirle in bocca. Resasene conto Atena continuò: "Mi spiace avervi fatta scendere fin qui con una giornata del genere."

"Se avete deciso di rendere visita a questo vostro antico santuario, certamente avete dei validi motivi." Mormorò ancora intimidita. Poi tuttavia, convinta della necessità di venire subito al dunque, parlò con più decisione: "I responsi degli ultimi giorni parlavano di notte e sventura, di scontro di potenze. La vostra presenza qui conferma i timori che ho coltivato fin da allora."

L’interlocutrice si avvicinò: "Ben meritata è la fama della Pizia nell’interpretare i messaggi del divino Apollo. Quello che il mio augusto fratello presagiva è quanto voi avete forse intuito. Uno scontro di potenze è in atto e il buio e la pioggia dovrebbero rendervi manifesto chi ne è la causa."

La Pizia tacque, meditabonda. Poi alzò gli occhi e disse: "La vostra presenza qui certamente è di grande importanza e sebbene io non possa certo comprendere a fondo quanto è fin ora accaduto non esitate a chiedere e a indirizzare le nostre azioni. Delfi si onora che siate qui anche se, devo ammetterlo, la cosa mi turba perché sono conscia del fatto che questo significa che un pericolo non da poco incombe su di noi."

Atena guardò ammirata il volto ora sereno della donna che aveva di fronte e vi lesse una forte determinazione. "Sono desolata nel dover ammettere che il pericolo di cui parlate è reale e che vi è la possibilità che Egli, prima o poi, giunga qui. Proprio per questo ho bisogno di voi, per far sapere ai miei Cavalieri che sono qui e che qui dovranno radunarsi."

"Li volete qui?"

"Sì, qui al tempio della Pronaia. Qui ai piedi del Parnaso, dove Apollo sconfisse la Pizia. Qui dove è deposta la pietra che secondo tradizione segna il centro del mondo."

Seguì un silenzio carico di tensione.

"Il centro di questo mondo, a questo alludete, vero? L’ecumene sul quale vegliano Zeus e gli Olimpici."

Atena sorrise: "Esatto. Credo abbiate intuito perché voglio che lo scontro con Ade si svolga qui."

La Pizia esitò nel formulare la domanda successiva. "Il Santuario di Apollo, come ben sapete, è sempre molto frequentato. Come faremo a far allontanare i visitatori, gli officianti, tutti coloro che qui hanno dimora?"

"Sono certa che nella vostra acutezza troverete una soluzione. Siete o non siete la sacerdotessa più vicina al mio celeste fratello?"

"Come desiderate, mia signora." rispose ammirata.

"Avete già qualche idea?"

"Pensavo, stamane, che solo la furia di Poseidone poteva giustificare una pioggia di questo tipo e credo di poter sfruttare questa mia supposizione. Farò sapere che il dio dei mari è adirato e che è necessario compiere un pellegrinaggio fino al mare per placarlo. Farò in modo che tutti si allontanino dalla valle. Credo che la minaccia di una divinità e il consiglio di Febo riguardo come placarla faranno il resto. Il Santuario si svuoterà. Di quanto tempo avete bisogno?"

"Due o tre giorni."

"Capisco. Farò in modo che domattina tutti siano pronti a partire e vedremo di trattenerli sulla costa per almeno un paio di notti."

Atena ebbe un’intuizione e subito diede voce ai suoi pensieri: "La furia degli elementi si scatenerà ancora e il mare, ancorché da Poseidone, potrebbe essere smosso dal fratello Ade. Non sostate troppo vicino alla costa, state lontani dalle onde e se dovete stabilire un campo per i pellegrini, collocatelo su zone rialzate."

"Sarà fatto, mia saggia Atena." disse la Pizia ammirata dall’arguzia e dalla premura della dea.

***

Fu un fiato di vento a destarlo, unito al rumore di passi metallici sul lastricato e di pietrisco che scivolava via.

"Cavaliere di Libra, se ho bene inteso." disse l’uomo avvolto nel suo nero mantello. "Lycaon è stato superficiale, non si sottovaluta così un avversario, soprattutto dopo che è risultato chiaro con chi abbiamo a che fare. Non commetterò lo stesso errore, seppure sia piuttosto stupito riguardo l’abilità e la forza che voi guerrieri di Atena avete dimostrato in battaglia." Si tolse di dosso il mantello e lo lasciò cadere a terra. La sua armatura era adorna di spuntoni, ricca di decorazioni e imponente; su tutto spiccava l’elmo, adorno di vistose corna, e i copri spalla acuminati.

Il cavaliere si alzò. Non era più tempo di lacrime. L’avversario, a giudicare dell’aura cosmica, doveva essere assai temibile. "Chi sei?"

"Radamante è il mio nome, della Stella del Cielo Intrepido. Con Minosse ed Eaco sono il maggiore dei guerrieri di Ade. A noi, i tre Giudici degli Inferi, spetta il comando delle operazioni belliche e l’esecuzione di altri incarichi che stanno sommamente a cuore al nostro Signore. Se mi sono attardato a scendere in campo è proprio perché dovevo portare a termine un importante incarico molto delicato."

"Quale?" esclamò Lisandro "Seminare il terrore in una polis indifesa?"

"Indifesa non direi, considerato come ti stai comportando. Più che altro deserta. No, cavaliere, altrove mi sono dovuto spingere. Nel nord dell’Egeo, sull’isola di Limnos."

"A Limnos! Ma allora…"

Radamente comprese immediatamente a cosa era dovuto lo stupore del giovane. "E così eri tu uno dei tre Cavalieri d’Oro che si trovavano là! Bene, quindi ora potremo finalmente misurarci."

"Forse che temevi di affrontarci tutti e tre?" disse fiero Lisandro.

"Bada! Non avrei esitato se non avessi dovuto allontanarmi per portare al sommo Ade qualcosa che gli era indispensabile per questa Sacra Guerra."

"E di cosa si tratta?"

Radamante sorrise sarcastico: "Te lo posso dire dal momento che l’arma si è già rivelata. Nell’isola di Limnos, dove il divino Efesto aveva dimora e soleva lavorare, era custodita da secoli la spada che ai tempi delle guerre tra Olimpici e Titani Ade era solito brandire. Mi è stato chiesto di recuperarla e così ho provveduto. Sappi che si tratta della stessa spada che è servita per fiaccare Atena che però, prossima alla fine, si è sottratta con la fuga. Non esattamente un atteggiamento da dea della guerra."

"Atena non fugge!" disse Lisandro irritato "Se davvero si è ritirata avrà avuto dei buoni motivi per farlo."

"Illuditi pure, se ti fa meno male. Sta di fatto che ella non è più al Santuario e quindi là non la troverai. Anzi, non potresti incontrarla nemmeno se fosse rimasta dato che è destino che tu qui cada."

Lisandro diede poco peso a queste ultime parole. La notizia che Atena era stata costretta a lasciare il Santuario era una cattiva nuova e poteva voler dire solo che ora i difensori dovevano essere in grossa difficoltà. Doveva dunque sbarazzarsi di Radamante al più presto e poi correre in aiuto agli amici e ai compagni d’armi.

"Lisandro, sei pronto alla battaglia?"

"Come conosci il mio nome?"

Lo Spettro rise: "Sono molte le cose che so di te, e forse ne immagini il motivo. Lycaon, e non solo lui, era a me legato."

Lisandro sentì di nuovo la rabbia montargli nel petto ma si seppe controllare. Non doveva cedere alle provocazioni di chi lo voleva colpire negli affetti più profondi per togliergli lucidità e capacità di controllo durante lo scontro. No, non sarebbe caduto in quel tranello, sebbene il momento per lui fosse tragico e dolorosi ricordi stessero riaffiorando.

***

"Sacro Fuoco dell’Altare!"

Una corona di fiamme si accese attorno al cavaliere che se ne stava seduto, gambe incorciate, sul lastricato. Il fuoco dapprima danzò, docile, attorno a lui e come da principio aveva crepitato, ora quieto ondeggiava sulle pietre alimentandosi dell’aura cosmica di chi l’aveva generato. Lo stesso che, ora, con uno sforzo mentale notevole lo stava governando perché lo aiutasse nella ricerca.

"Sacro Fuoco di Atena, trova la dea!" disse infine Metoneo e le fiamme, rapide, si elevarono alte sopra di lui, ardendo vivide. "Mostrami… Atena!" sussurrò. Fu come se egli vagasse sull’Attica e potesse vedere con occhi di falco alto levato. Qualcosa lo spinse verso ovest, oltre i monti dell’Attica. Lasciò alla sua sinistra il golfo di Corinto e costeggiato il mare si avvicinò infine alla baia di Itea. Fu allora che una tenue luce brillò in una valle e nella mente di Metoneo si materializzarono tre immagini: l’alloro, una lira e infine l’olivo. Comprese e un sorriso si dipinse sul suo volto. Con un ultimo sforzo localizzò chi cercava. Ed ecco finalmente quel cosmo di bellezza, fiacco, certo, ma indomabile!

La sensazione di giubilo fu interrotta da una voce sgradevole.

"Chi è questo pazzo che arde tra le fiamme? Il terrore per la certa sconfitta vi ha tolto il lume della ragione?" disse uno Spettro avvicinandosi.

Metoneo aprì gli occhi e scrutò l’avversario da dietro il cerchio di fuoco. Lo sforzo lo aveva fiaccato ma sapeva bene come liberarsi di lui. "Fuoco dell’Altare, divora le tenebre!"

La corona di fiamme parve esplodere e dirigendosi verso il nemico lo avvolse. L’armatura color tenebra s’incrinò, si spezzò, alte grida si levarono e lo Spettro cadde, sconfitto.

Metoneo, provato, si alzò in piedi. Doveva subito tornare da Policrate e comunicargli quanto scoperto. Atena era viva e si trovava in un luogo sicuro, almeno per ora.

***

"Ebbene, Lisandro, sei pronto a raggiungere tuo fratello?"

Il Cavaliere della Libra strinse i pugni, sollevò la testa, lentamente, e fulminò con lo sguardo l’avversario che gli stava davanti. "Radamante, bada. Non sfidare la mia collera, ne saresti sopraffatto. Non sfidare la sorte in questo luogo, caro agli Ateniesi e alla dea Atena, perché potrebbe essere che questo altipiano diventi la tua tomba. E soprattutto non sfidare gli affetti che legano tra loro gli uomini in saldi vincoli d’affetto e di amicizia: l’oscurità dalla quale sei giunto non ne conosce la forza e quindi non potrebbero sopraffarti."

"Godo dell’amicizia dei miei pari, Minosse e Eaco. Godo della stima e dell’affetto del Sommo Ade. Certo non godo di vincoli d’affetto e di amicizia, che ho lasciati da tempo immemore nelle terre dei vivi, ma non vedo dove possa essere lo svantaggio in questo. Io lotto per un obiettivo, tu lotti, a quanto pare, in nome di qualcuno. Dove sta la differenza?"

"Io lotto per qualcuno ma allo stesso tempo lotto per tutti, dagli Ateniesi a tutti i figli dell’Ellade, lotto per mio fratello e i miei compagni. Lotto per tutti coloro che dimorano sotto il cielo. E soprattutto lotto per un ideale, non per un obiettivo. Questa è la differenza tra noi due."

"Sottigliezze…" mormorò Radamante. Poi a gran voce: "Non ho tempo di star qui a discutere. Sono atteso dal Sommo Ade nella sua nuova dimora. Quindi perdona se tronco ora il discussione. Castigo Infernale!"

L’espressione di Radamante si era fatta cupa e spaventosa nel mentre aveva aperto le braccia liberando una corona di energia che dalle sue mani si allargava con rapidità, sollevando una nuvola di polvere dietro di sé. L’onda d’urto che colpì Lisandro era di una violenza inaudita e lo fece indietreggiare di parecchi metri prima che potesse bilanciarsi e puntellarsi, evitando di esserne travolto.

Lisandro sorrise da dietro lo scudo di Libra. "Tutto qui, Radamante?"

"Non esultare prima del tempo, cavaliere." In quella Lisandro avvertì una fitta al quadricipite e barcollò, toccandosi nel contempo l’arto ferito. "Il Castigo Infernale, come avrai ora capito, agise ad ampio raggio e non è possibile evitare di esserne colpiti, seppure in minima parte. Lo scudo può evitare che tu sia colpito alle parti vitali, ma il mio colpo troverà sempre una falla nelle tue difese."

"Sei un illuso se credi che sarà davvero così." disse Lisandro sicuro di sé.

"Davvero? E allora eccoti un secondo colpo. Castigo Infernale!"

Questa volta gli scudi ad opporsi al colpo furono due, con sorpresa di Radamante che vide l’avversario quasi sparire accucciato dietro di essi. Lisandro approfittò di quell’attimo di esitazione per scattare in avanti. "Colpo del Drago Nascente!"

Radamante evitò il colpo con un salto e, con sorpresa di Lisandro, parve fluttuare in alto, sorretto dalle grandi ali della sua armatura. Un lampo violaceo scaturì delle sue mani e una sfera di energia lo avvolse, lampeggiando maligna. Poi un urlo proruppe dall’interno. "Potenza dei Demoni, Castigo Infernale!"

La sfera di energia esplose, spazzando l’Acropoli nella sua interezza. Il cavaliere della Libra fu travolto dall’onda d’urto e fu come se un’enorme mano lo schiacciasse prima sul lastricato della via Sacra poi sulla nuda terra, infine sul muro di cinta. Oltre quello fu il vuoto e poi il nulla.

Radamante toccò terra con eleganza, nel silenzio più totale, interrotto solo da sinistri scricchiolii. Gli edifici dell’Acropoli avevano subito la furia di quel colpo al pari di Lisandro. Le metope del tempio di Atena in parte erano andate in pezzi, in parte presentavano figure scolpite mutilate; medesima sorte era toccata agli acroteri e a parte della copertura.

"Era destino che cadessi, Lisandro, così come cadrà il tempio di Atena. Consolati, uno dei Giudici ti ha giustiziato. Onore a te. Il Fato aveva evidentemente decretato che io fossi causa della rovina di gran parte della tua famiglia." Poi tra sé: "Ed ora al Santuario!"

Percorse i pochi metri che lo separavano dai Propilei quando una voce lo fece trasalire. "Colpo del Drago Volante!" Si girò lesto, evitò il colpo e vide un’aura dorata passargli accanto, poi arrestarsi e partire in un nuovo affondo. Due pugni si incrociarono in aria, bloccati dalle presa di altrettante mani mentre due coppie di occhi si incuneavano rabbiose l’una nell’altra.

"Ti avevo sottovalutato, Lisandro."

"Questo è evidente, Radamante."

Due calci furono sferrati in contemporanea e i due avversari saltarono all’indietro, trovandosi così ad alcuni metri l’uno dall’altro.

Radamante disse con voce fiera: "Non posso che essere soddisfatto di aver incontrato sulla mia strada un così degno avversario. La tua abilità e le tue vestigia certo ti hanno aiutato fino ad ora. Tuttavia alla distanza cui siamo ora il mio attacco non ti darà scampo."

"Colpo del Drago Nascente!" lo anticipò Lisandro. Radamante fece perno su una gamba per schivare l’affondo ma l’avversario, che lo aveva previsto, lo afferrò per un polso e un attimo dopo alle spalle. "Coraggio Radamante, usa il tuo colpo adesso!" disse stringendolo con forza.

Radamante osservò i bracciali di Lisando che lo bloccavano da dietro e la sua attenzione si puntò sugli scudi di Libra che aveva visto usare poco prima. Con scatto feroce portò le mani sui due dischi ed espandendo la sua aura vitale si fece forza e riuscì a strapparli dal loro supporto, li sollevò e rapido li calò all’indietro, dove sapeva essere testa e collo del nemico. Lisandro fu colpito dalle sue stesse armi ad una spalla e al collo e il respiro gli venne meno. Che forza inaudita quella di Radamante per averli portato via l’equipaggiamento contro la sua volontà! Che imprudente lui a metterlo nella condizione di riuscire in quell’impresa. In affanno, senza fiato e dolorante dovette mollare la presa, crollando in ginocchio a terra. Il Giudice non si fece pregare nel colpirlo con un calcio a spazzare in pieno volto. La bocca di Lisandro si riempì di sangue. Poi fu sollevato e un pugno a montare lo colpì al mento, facendolo crollare di nuovo a terra, dove fu oggetto di una scarica di calci, mentre la vista gli si annebbiava.

"Ne hai avute abbastanza, Lisandro? Questa è la vera forza!" E un pugno, sferrato dall’alto, colpì il cavaliere della Libra in pieno addome.

Il bel volto del cavaliere era sofferente, sporco di sangue, gli occhi chiusi. Con uno sforzo cercò di aprirli così da fissare Radamante e sputando parole miste a sangue disse: "Perdonatemi, Atena, se ora non potrò prestarvi fede…"

"Ecco, bravo, chiedi perdono per il tuo fallimento." disse Radamante con distacco. Ma la sua baldanza venne meno quando vide qualcosa baluginare sull’armatura di Libra. Un’asta di luce, tre lame, una fitta e lo sgorgare copioso del suo sangue furono un tutt’uno. Lisandro aveva fatto uso del tridente e lo aveva conficcato nella coscia del nemico, in prossimità dell’inguine, dove non era protetto dalla nera Surplice. Radamente fu piegato dal dolore.

Lisandro, brandendo l’arma sporca di sangue si divincolò dicendo: "Perdonate Atena se ho fatto uso delle armi di Libra senza il vostro consenso. Le circostanze lo hanno richiesto."

Stizzito Radamante lo apostrofò così, mentre con una mano premeva sulla ferita. "Che vai blaterando di Atena e di perdono?"

"La Dea non permette che le dodici armi di Libra siano adoperate senza il suo consenso, a meno che ciò non avvenga per difendersi. Avrai notato che ho adoperato gli scudi a più riprese, ma nessuna delle altre dieci armi che fanno parte delle vestigia che indosso."

"Non dolerti troppo" rispose l’altro con un sorriso obliquo e preparandosi ad un nuovo affondo "la tua dea non ti potrà rimproverare dal momento che la sua esistenza sta per avere termine per mano di Ade."

"Non si mai!"

"Oh, ma sta già accadendo! Il suo cosmo è sparito da oltre un giorno, non lo hai avvertito?"

Era la triste e amara realtà, dovette ammettere Lisandro. No, non doveva pensare alla dea, non doveva pensare a suo fratello, ai compagni caduti. Eppure era così difficile sostenere quella duplice lotta, fisica e mentale, contro un avversario così temibile e proprio sull’acropoli, che era immersa nel più cupo silenzio e in un buio spettrale. L’acropoli che fino a quella mattina dominava sulla città colma di vita mentre ora vi erano solo dimore abbandonate e strade vuote. Tutto era silenzio e desolazione. Come quella volta con Pisandro, nelle viscere della terra, a Micene. Quanto buio in quel cunicolo. Quanto buio all’uscita, tra le rovine di quell’antico palazzo. Che Atene fosse destinata a diventare una città abbandonata come quella? No, non poteva permetterlo.

"A noi, Radamante!" disse riponendo infine il tridente.

"Pensi di potermi vincere senza l’uso delle armi? E’ stata solo ricorrendo a una di esse che mi hai inferto una ferita."

"Che io possa vincere è una certezza. Chi lotta non confidando nella vittoria ha già perso."

"Quante belle e vane parole!"

Lisandro notò che stava assumendo una posizione diversa, segno che l’attacco che stava per essere lanciato era qualcosa di nuovo e inatteso. Devo essere cauto, pensò.

"E’ un vero peccato, Lisando, che per spazzare via te io debba pure far crollare le costruzioni che adornano questa piana. Pur essendo state erette in onore di una divinità che non è la mia devo riconoscere che hanno il loro fascino. Saluta questo mondo! Cerchi di Spirito!" Sollevò il braccio e dalla sua mano si dipartirono delle onde concentriche.

Attorno a Lisandro tutto si fece ancora più buio e il terreno e gli edifici attorno a lui parvero vibrare e diventare diafani. "Che succede?" disse Lisandro ponendosi sulla difensiva e alzando lo scudo.

"Tutto inutile, sciocco!" lo derise Radamante "Tra pochi istanti i Cerchi di Spirito ti porteranno all’ingresso dell’Ade e di là precipiterai sulle rive dell’Acheronte, pronto per essere traghettato nel mondo dei morti."

Un lampo dorato s’accese e subito si spense. Il silenzio calò e Radamante guardò davanti a sé, dove prima stava il paladino di Atena. Solo il tridente, sporco ancora del suo sangue, era rimasto a testimonianza della presenza di Lisandro fino a poco prima.

"Ora è davvero finita." disse soddisfatto.

Si chinò per raccogliere il tridente, che avrebbe conservato come trofeo di vittoria, quando qualcosa, fulmineo e inatteso, lo colpì al volto con violenza, facendo volare via l’elmo. "Chi osa?" disse infuriato ma non riuscì a dire altro.

"Sorpreso?" disse Lisandro con noncuranza.

"Tu dovevi essere morto! Come può essere?"

"Non è difficile evitare un colpo una volta che se ne conosca la natura, uno guerriero esperto come te dovrebbe saperlo!"

Radamante non si rendeva neanche conto se era più adirato o sorpreso. "Tu che ne sai della natura del mio colpo? Come puoi essere sfuggito ai Cerchi di Spirito? Certo non sei immortale e non sei nemmeno un’ombra fuggita dagli Inferi!"

"Il fatto è, Radamante, che tra i miei compagni ce n’è uno che ha una tecnica assai simile alla tua, un colpo che spedisce l’avversario sul limitare dell’Ade, condannando di fatto il malcapitato alla sconfitta e alla morte."

"Kyriakos del Cancro!" disse a denti stretti Radamante. "Sì, ora capisco. Se un suo allievo, vero? Solo due nelle fila di Atena sono i combattenti che hanno familiarità con il regno di Ade."

"No, non è il mio maestro, ma assai spesso io e mio fratello, finiti gli allenamenti, stanchi nelle membra ma non certo nella mente, ci recavamo di nascosto a osservare come si esercitavano i nostri compagni per apprendere qualcosa di nuovo. E niente era più affascinante di riuscire a cogliere Kyriakos o il suo allievo Plistene quando si esercitavano. Ho visto eseguire più di una volta la tecnica chiamata Strati di Spirito ma, desideroso di saperne di più, ho capito come era possibile evitarla. Lo ammetto, sono stato fortunato, ho avuto poco tempo per capire e l’esperienza mi faceva difetto, ma ora che sono riuscito una volta a evitare quel colpo, credo di poterci riuscire ancora."

Lisandro parlava con naturalezza, come se si trattasse della cosa più semplice del mondo e fu questo a far perdere le staffe a Radamante.

"E va bene, Lisandro della Libra, poco mi importa come hai evitato il colpo, troppo a lungo mi hai irritato con le tue ricomparse. E sia, userò contro di te il colpo supremo di Radamente, il giudizio ultimo che non lascia scampo."

"Sei bravo a parole, saresti un ottimo oratore! Peccato che i fatti fino ad ora non abbiano corso al passo con le tue dichiarazioni."

Radamante, punto sul vivo, avvampò e la sua aura nera si fece ancor più aggressiva. "Lisandro, ti rimangerai presto quanto hai detto. Stai per conoscere qualcosa che terrorizza tutte le ombre che si aggirano nel Tartaro."

Il cavaliere d’oro si stava del pari preparando a lanciare un attacco e la posa che aveva assunto era diversa, segno che pure lui stava per sfoderare una tecnica che l’avversario non aveva ancora visto. In quella le ali si Radamante di dispiegarono e un vento violento cominciò a soffiare. Su tutto però si innalzò quel boato terribile, come se fosse la terra stessa a gridare, un grido tale da atterrire qualsiasi creatura che si trovasse nelle vicinanze, quasi che l’Ade si fosse spalancato e le sue creature e i suoi demoni si fossero riversati sulla terra emettendo altre strida e seminando terrore.

"Urlo Infernale!!!"

Una nuvola di polvere e pietrisco, lanciato a folle velocità, un rumore sordo di pietre che si spaccavano, un sibilo fastidioso del vento che si incuneava tra colonna e colonna, mettendo a dura prova pure i fusti, il tonfo di metope e acroteri che cadevano e andavano in pezzi, la sparuta vegetazione strappata via e uno spezzarsi di rami e un volar di foglie. L’acropoli sembrava destinata ad andare in pezzi. Tuttavia Radamente inorridì nel vedere che il suo nemico era stato capace di contenere l’attacco, senza arretrare di una spanna e, pur provato dallo sforzo e con il fiero volto sfigurato dalla fatica, stava infine riuscendo a contrattaccare.

"Colpo dei Cento Draghi!"

E cento draghi verdeggianti riempirono davvero il cielo sopra l’acropoli e per un attimo l’oscurità parve diradarsi, vinta dal cosmo fulgido del cavaliere di Atena. Capitelli e fregi furono illuminati di luce dorata. Draghi, draghi e ancora draghi che volavano leggeri e terribili là dove secondo il mito era apparso Erittonio, draghi che si opponevano all’orda infernale che gridava al mondo il suo orrore e la sua eterna agonia.

"Non resisterai a lungo, Lisandro!"

Il cavaliere di Libra gonfiò i muscoli dorati dal sole. "Che non siano le tue forze ad abbandonarti! Desisti!"

"Mai! Ti spazzerò via e porterò le tue armi in dono al mio Signore." E così dicendo aumentò la potenza dell’attacco.

Lisandro ripensò al fratello e a chi se ne era andato anzi tempo anni prima e questo gli diede la forza per resistere ed energie fresche da riversare sul suo nemico.

"Gli uomini e le donne… Atene… l’ecumene tutta… e noi cavalieri… Questo mondo non soccombe Radamante!!! Cento Draghi!!!"

Un lampo, la furia dei draghi d’oriente che sovrasta il boato, un rumore sordo di metallo incrinato, demoni in rotta d’innanzi i mitologici signori delle acque, l’equilibrio spezzato. Radamante fu spazzato via, travolto da una furia incontenibile, la sua surplice danneggiata in più punti. Quando cadde riverso gli occhi gli si girarono indietro e una maledizione gli morì in bocca.

Lisandro era sulle ginocchia, spossato e vuoto. Il vento infernale pareva aver scavato le sue carni. "Fratello…" mormorò. E cadde.

***

"Nobile Policrate!"

Il Grande Sacerdote godeva di un attimo di tregua. I nemici si erano ritirati qualche stadio più indietro ed erano in attesa. Poco prima era apparso qualcuno di imponente, un guerriero sulla cui corazza spiccavano grandi ali.

"Metoneo, che notizie della dea?"

Metoneo parlò a bassa voce: "L’ho individuata, ma il suo cosmo è debole."

"Dove?" chiese speranzoso Policrate.

"Dove pura sgorga Castalia." rispose, certo che il Grande Sacerdote avrebbe compreso.

Seguì un attimo di silenzio che parve non finire mai. Poi Policrate parlò. "Callimaco, Alcmene, Elettra! La dea ha bisogno di noi. Dobbiamo raggiungerla."

Il viso di Elettra si illuminò: "Dunque è ancora qui?"

"No, Elettra. Ed è una fortuna che sia lontana dalla portata di Ade, per ora. Metoneo è riuscito a trovarla e non passerà molto tempo che il nostro nemico faccia altrettanto. Se ancora non si è mosso dal Santuario è solo perché, io credo, non ha provato a trovare tracce del suo cosmo divino. Qualora lo facesse, la troverebbe facilmente. Per questo dobbiamo essere rapidi e correre in suo aiuto. Dobbiamo partire. Subito."

Lo sgomento calò sui presenti.

"Ma questo vuol dire…" azzardò Alcmene.

"… Abbandonare la difesa del Santuario! Maestro, è questo che state dicendo?" Chiese Callimaco sperando di aver inteso male.

Policrate riuscì a fatica a sostenere quegli sguardi dubbiosi e sgomenti. Nei cuori di chi gli stava difronte, ne era certo, albergava lo stesso, lacerante dubbio che vi era nel suo. Ma la scelta era obbligata. "Hai inteso bene, Callimaco." disse solenne. "Partiamo ora."

"Ma gli Spettri… il Santuario…" disse con un filo di voce Elettra.

Callimaco strinse i pugni: "Non avremo un’altra occasione. Se attaccassero ora poi non potremmo più allontanarci. Il nostro dovere è raggiungere Atena, anche se il prezzo da pagare ci sembra alto. Maestro, guidateci!" E si apprestò a seguirlo, come fecero gli altri. Ma nel suo cuore covava rabbia. Gli amici caduti, il Santuario conquistato… i nemici avrebbero pagato tutto prima della fine.

***

"Eaco, mio signore!"

"Che c’è?" disse il Giudice.

"Il sommo Minosse è tra noi."

Si girò e vide il parigrado avanzare sicuro. "Salute Eaco, vedo che pure tu sei stato trattenuto fuori dal Santuario. La cosa mi consola. Non mi sarebbe piaciuto essere il solo a dover giustificare un simile ritardo con il sommo Ade. Le difese di Atena sono più solide del previsto."

Eaco non volle cogliere la provocazione e rispose da magnanimo: "Solide, certo, ma di mia mano ho già preso la vita di uno dei Cavalieri d’Oro, benché indebolito. Sono certo che ora che sei di nuovo tra noi spazzeremo via i difensori superstiti."

"Nobile Eaco, signore!"

"Che c’è ancora!"

Uno Spettro ansimante giunto dalla prima fila si era inginocchiato ai suoi piedi. "Salute anche a voi, nobile Minosse!"

"Quali sono le novità, parla."

"Mio signore Eaco, i difensori sono fuggiti!"

"Cosa stai vaneggiando?"

"Abbiamo visto delle ombre allontanarsi. Ci siamo avvicinati di qualche passo e i loro cosmi, lo abbiamo avvertito chiaramente, si stavano allontanando."

Eaco puntò lo sguardo nei pressi del luogo dove si era svolta l’ultima scaramuccia e dove aveva veduto i prodi di Atena per l’ultima volta. Nulla. Nessun cosmo era più percepibile. "Stento a crederci, abbandonano la difesa."

"Avranno compreso che contro il nostro esercito riunito non c’era speranza. Erano rimasti in pochi e forse vogliono ricongiungersi con i loro compagni…" Minosse mutò espressione. "E con Atena!"

Eaco era dal pari stizzito. "Ma certo, maledizione! Questo vuol dire che sanno dov’è!"

"Dobbiamo avvertire il sommo Ade. Manda qualcuno al Santuario, la via ora è aperta. Prendiamo posizione e prepariamo all’attacco successivo. Dovrà essere il colpo risolutore. Poi, dato che siamo qui, cerchiamo tra i templi dello zodiaco una dimora che sia degna di noi."

"Provvederò Minosse." disse Eaco soddisfatto ma del pari deluso per lo scontro mancato. "Nel frattempo vedrò di contattare pure Radamente. Dobbiamo essere pronti a muoverci in forze. Intanto manderò uno dei miei a pedinare i fuggitivi, così che ci portino direttamente da Atena."

"Probabilmente si attendono una mossa di questo tipo."

"Ma non sanno ancora chi sarà a pedinarli." disse Eaco con un sorriso beffardo.

Minosse parve compiaciuto e ammirato, avendo intuito cosa il parigrado avesse in mente. I loro sguardi si posarono poi sul Santuario di Atena, sul quale l’oscurità di addensava sempre più.

***

Due figure se ne stavano accucciate a terra, a scrutare il profilo nero dei loro nemici, a pochi stadi da loro. Erano arrivati troppo tardi o almeno così pareva. Nel Santuario nessuna presenza dei loro compagni, nessun movimento apparente. Sola, maestosa e incombente, un’oscura presenza nel tempio di Atena pareva dominare su tutto. Ade, nel cuore della loro dimora.

Anassilao picchiò a terra un pugno con rabbia. "Siamo arrivati tardi."

"Il diversivo dei nostri nemici è stato fin troppo efficace." aggiunse con amarezza Archita.

"Non avverto nessun cosmo."

"Lo so, Anassilao. Spero solo che gli altri…"

"Coraggio, che aspettiamo? La dea sembra scomparsa e dei nostri compagni d’armi non c’è traccia. Non so cosa pensi tu, ma io ho una gran voglia di fare scempio di questi immondi Spettri di Ade!"

"Loro sono un esercito al completo. E avverto la presenza di una nostra vecchia conoscenza, che da sola ci ha già dato molto filo da torcere. Noi siamo solo in due."

"Sei in errore Archita, siamo in tre." disse una voce facendoli sussultare. Plistene era apparso dietro di loro.

***

"Nobile Minosse, ho inviato due Spettri a farvi strada. Sappiate che, da quel che ho potuto vedere, ci sono alcuni templi di notevole fattura."

"Molto bene. Confermi che la via è libera?"

"Certo signore."

"Bene, precedetemi." disse Minosse "Eaco, saliamo al Tempio, il nostro signore Ade ci attende."

"Sarà un vero piacere. Stanotte riposeremo qui e domani apriremo la caccia a quel che resta dell’armata di Atena e alla dea stessa. Ora vediamo cosa ha da offrire questo luogo."

Pochi dopo un nutrito gruppo di Spettri entrava nel Santuario.

Aprivano la colonna due avanguardie che si inerpicarono per le lunghe scalinate e dentro i templi vuoti e immersi nell’oscurità. Ad un certo punto si trovarono sul piazzale di un tempio al cui ingresso erano posti due leoni che sembravano guardare con aria minacciosa chi volesse passare oltre. Incuranti di loro, i due varcarono la soglia e si trovarono di nuovo immersi nell’oscurità. Inspiegabilmente, a quel punto, ebbero paura. Perché mai loro dovevano avere paura del buio, si chiesero? No, non era il buio, non era la tenebra ad intimorirli. Era il silenzio. Un silenzio di morte, irreale. Un silenzio vigile. Pochi passi ancora poi un lampo improvviso e una figura d’oro vestita stagliarsi a pochi passi da loro, al centro della sala. Immobile, fiera, l’elmo calato sugli occhi, il volto nascosto dall’ombra, un’aura dorata a rischiarare le tenebre. Riconobbero quelle vestigia e furono colti dal dubbio. Il cavaliere alzò con lentezza il braccio ed essi compresero che la morte era su di loro. Il calare del colpo tanto temuto fu un tutt’uno con quelle parole, sottili come uno stiletto, che sibilarono nell’aria.

"Per il Sacro Leo!!!"