Prologo

" … Fulmineo

precipita il frutto di giovinezza,

come la luce d'un giorno sulla terra.

E quando il suo tempo è dileguato

È meglio la morte che la vita."

Mimnermo

Il mare riempiva l'anima col suo odore salmastro, che pizzicava, per l'intensità, piacevolmente le narici; e il rumore ritmico e costante delle onde, le quali si infrangevano contro la scogliera scoscesa, sembrava dover durare in eterno, infinito come il cielo nero più della pece, prole di un'interminabile distesa d'acqua capace di riflettere l'empireo, nell'inferno più profondo, nell'Ade senza ritorno.

Il Mediterraneo… ed io, piccola creatura, io ero l'Uomo; l'uomo sospeso a metà, al crocevia del cosmo.

Sarei precipitato. La mia terra , la mia terra brulla, la mia terra sempre assolata, colorata di sfumature gioiose, era oscura. No: non potevo tornare indietro, era tardi. Era volato via, scomparso per sempre, piccola stella eclissatasi in eterno.

Avevo perso tutto e lì, lì a mani vuote contro il niente, il Destino mi offrì la possibilità di una scelta: seguirlo o rimanere.

Cosa mi restava? Cos'altro avrebbe potuto riservarmi quest'esistenza grigia in attesa di una dea che non avrei mai vista?

Ero un pazzo, un folle e un fallito, la mia ragione di essere era sprofondata nelle tenebre sconfinate, lontano da ogni speranza; non era più il tempo di sperare: troppo tardi.

Troppo tardi…

Ed io, sciocco fra gli stolti, io…

Sono rimasto… solo col mare e con le mie lacrime senza sostanza.