L’Inferno secondo Kurumada, e secondo Dante.

By Aledileo

Che Kurumada, l’ideatore de "I Cavalieri dello Zodiaco", avesse una simpatia per Dante, e per la cultura italiana, non è una novità. Basti pensare all’omaggio che dedica al poeta fiorentino, chiamando con il suo nome uno dei Cavalieri d’Argento (Dante, appunto, di Cerbero). E molto appropriata, al riguardo, è stata la scelta del Doppiaggio Italiano di inserire un monologo di Pegasus, ispirato direttamente alla Divina Commedia, nell’episodio "L’ira di Tisifone".

Ma nella creazione del Regno di Ade, Kurumada ha dimostrato di attingere a piene mani dall’Inferno Dantesco. Vediamo nel dettaglio:

INGRESSO DELL’INFERNO:

Dante e Virgilio per entrare nell’Inferno varcano una grande Porta (la Porta dell’Inferno), su cui Dante legge le seguenti parole: "Per me si va ne la città dolente, per me si va ne l'etterno dolore, per me si va tra la perduta gente. Giustizia mosse il mio alto fattore: fecemi la divina podestate, la somma sapïenza e 'l primo amore. Dinanzi a me non fuor cose create se non etterne, e io etterno duro. Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate."

Kurumada è abbastanza fedele a questa significativa entrata dell’oltretomba e ricrea la Porta dell’Inferno che vediamo ergersi di fronte a Pegasus e ad Andromeda. Su di essa campeggia la seguente scritta, ripresa direttamente dall’Inferno dantesco: "Lasciate ogni speranza, o voi ch’entrate".

ANTINFERNO o VESTIBOLO DELL’INFERNO:

Dante presenta un Antinferno, un vestibolo dell’Inferno, che si trova tra la Porta dell’Inferno e il fiume Acheronte, in cui si trovano le anime degli ignavi. Costoro sono infatti "coloro che vissero senza infamia e senza lode", uomini non propriamente colpevoli di male, poiché non ebbero la viltà di farlo, la stessa viltà per cui non fecero neppure del bene. Dante disprezza coloro che sono stati neutrali per vigliaccheria, avendo invece egli vissuto sulla propria pelle le conseguenze delle proprie idee politiche (basta pensare al suo esilio). Giudicandoli "sciaurati che mai non fûr vivi", egli li colloca nell'Antinferno, non ritenendoli degni nemmeno di stare tra i dannati. Di essi nel mondo non rimane traccia ("Fama di loro il mondo non lassa") e anche Dio li ignora ("misericordia e giustizia li sdegna"): non vale neanche la pena stare a parlare di loro ("Non ti curar di loro, ma guarda e passa").

Kurumada rispetta la rappresentazione degli ignavi di Dante, presentandoli a Pegasus e ad Andromeda (e quindi anche al lettore) per bocca di Caronte, il nocchiero dell’Acheronte, che li definisce persone che hanno vissuto la vita inutilmente, senza mai scegliere né il bene né il male, venendo condannati quindi a lamentarsi in eterno, non essendo accettati da Dio.

ACHERONTE:

L’Acheronte è in Dante, come in Virgilio, il grande fiume del regno dell’aldilà, ove i morti vengono traghettati da Caronte, il nocchiero, per essere condotti all’Inferno. Caronte assolve funzioni di psicopompo, ovvero di accompagnatore delle anime dei morti nell’oltretomba, ed è descritto in maniera raccapricciante, nel canto III dell’Inferno: il nocchiero è infatti un vecchio, bianco, con capelli antichi, le gote lanose e gli occhi circondati di fuoco, al punto da essere definito come "Caron dimonio, con occhi di bragia". Una descrizione demoniaca e inquietante.

Kurumada riprende l’idea dell’Acheronte come "limes" dell’Inferno e di Caronte come psicopompo, che traghetta i morti sulla sua barchetta, obbligandoli a pagare un soldo (vediamo infatti, dopo la sua sconfitta per mano di Pegasus, che lo spectre Caronte aveva le tasche dell’abito piene di monete, segno di tutti i defunti che aveva traghettato). Nella mitologia greca infatti sotto la lingua dei morti veniva messa una piccola moneta (un obolo), prima che fossero sepolti, con la quale costoro avrebbero dovuto pagare il pedaggio a Caronte sopra il fiume Acheronte nel regno dei morti. Ogni Greco aveva l'obbligo di dare questa moneta ai propri morti per impedire che la loro anima vagasse senza pace nel regno delle tenebre.

La differenza sostanziale con il Caronte dantesco non riguarda la sua funzione ma la sua personalità, costruita da Kurumada in modo più umoristico che non inquietante. Il Caronte di Kurumada infatti, per quanto infido e fedele servitore del Dio dei Morti, si diletta anche nel canto, è protagonista di alcune espressioni facciali buffe e possiede una certa coscienza che lo porta persino a risparmiare Andromeda nel corso del combattimento.

Nota: la frase che Virgilio, nella Commedia dantesca, rivolge a Caronte, e in seguito anche a Minosse: "Vuolsi così colà dove si puote / ciò che si vuole e più non dimandare", è stata citata nel Doppiaggio Italiano, da Pegasus nell’episodio "L’ira di Tisifone".

SUDDIVISIONE DELL’INFERNO:

Superato l’Acheronte, si entra nell’Inferno vero e proprio, la cui struttura è identica sia in Dante che in Kurumada, con una sola differenza, ovvero l’assenza del Limbo (Primo cerchio dantesco) nell’Inferno di Kurumada, che determina quindi una discrepanza tra il numero della Prigione e la sua effettiva corrispondenza nell’Inferno dantesco (la Prima Prigione di Kurumada sarà infatti il Secondo cerchio dantesco, la Seconda Prigione di Kurumada sarà il Terzo cerchio dantesco e così via).

Lo schema di suddivisione dell’Inferno dantesco è il seguente:

9 Cerchi (di cui il settimo diviso in tre gironi, l’ottavo in dieci bolge e il nono in quattro fosse)

mentre lo schema di suddivisione dell’Inferno Kurumadiano è il seguente:

8 prigioni (è escluso infatti il Limbo), di cui la sesta divisa in tre valli, la settima in dieci fosse e l’ottava in quattro zone.

ORDINAMENTO DELLE PENE DEI DANNATI:

Vale la pena ricordare brevemente che anche in Kurumada, seppure sia argomento che esula dalla trama generale della saga dei Cavalieri ambientata in Ade, la dislocazione dei defunti nell’Inferno è dominata da un preciso ordinamento in base alle pene di cui saranno fatti oggetto, proprio come avveniva in Dante, e prima di lui in Virgilio. Tale ordinamento delle pene prefigura una gerarchia del male basata sull'uso della ragione: peccatori più "vicini" a Dio e alla luce, posti cioè nei primi più vasti gironi, sono gli incontinenti, quelli cioè che hanno fatto il minor uso della ragione nel peccare. Seguono i violenti, che a loro volta sono stati accecati dalla passione, sebbene a un livello di intelligenza maggiore dei primi. Gli ultimi sono i fraudolenti e i traditori, che hanno invece sapientemente voluto e realizzato il male

PRIMO CERCHIO:

In Dante è il Limbo, dove si trovano i grandi dell’Antichità, che non avendo ricevuto il battesimo, ed essendo per tal ragione privi della fede in Dio, non possono gioire della visione di Dio ma neanche essere puniti per qualche peccato.

In Kurumada, come già detto sopra, questa è l’unica parte dell’Inferno totalmente assente.

SECONDO CERCHIO / PRIMA PRIGIONE:

Il secondo cerchio dantesco è custodito da Minosse, il giudice infernale che giudica i defunti che gli si parano davanti, attorcigliando la sua coda al corpo tante volte quanti sono i cerchi che i dannati dovranno scendere per ricevere la loro punizione. Minosse, nominato da Zeus nella mitologia greca come uno dei tre giudici infernali, assieme a Radamante e al fratello Eaco, viene presentato come un mostro, dai tratti grotteschi, ma dall’atteggiamento reale e solenne.

Kurumada attinge a piene mani dalla fonte dantesca e apre il suo Inferno con un vero e proprio Palazzo del Giudizio, ove i defunti si recano obbligatoriamente per essere giudicati dallo spectre guardiano della Prima Prigione, appunto Minosse del Grifone, incaricato di decidere la destinazione dei morti. Momentaneamente assente, poiché impegnato altrove, Kurumada sostituisce Minosse con Lune di Barlog, uno spectre equipaggiato con una frusta dotata di un potere particolare, quello di giudicare i peccati di un individuo attorcigliandosi al suo corpo tante volte quanti sono i peccati commessi.

Inutile aggiungere che i tre personaggi della mitologia greca, indicati da Zeus come Giudici dell’Inferno (Minosse, Eaco e Radamante), sono i tre Spectre più potenti, nominati da Ade come Comandanti del suo esercito.

VALLE DELLA BUFERA:

Dante colloca i lussuriosi nel Secondo Cerchio, condannati ad essere vorticosamente travolti da una bufera di vento, in quanto in vita (legge del contrappasso) sottomisero la ragione all'impeto dei sensi (come Paolo e Francesca).

Kurumada crea una zona (in cui Kanon affronta la prima volta Radamante), immediatamente successiva al Palazzo del Giudizio (ossia alla Prima Prigione), chiamata Valle della Bufera Nera, dove il vento soffia perennemente e in maniera impetuosa, travolgendo coloro che hanno peccato di concupiscenza, ossia di ardente brama di piaceri sensuali (lussuria).

Nota: nell’edizione Shot del manga classico, questa "Valle della Bufera Nera" nella mappa dell’inferno è indicata come Seconda Prigione! Questo automaticamente sposta in avanti di uno tutte le prigioni successive, che vengono quindi a combaciare con il modello dantesco (terzo cerchio dantesco = terza prigione kurumadiana). Questa visione è però smontata completamente in una successiva mappa dove l’Inferno viene descritto nuovamente sul modello della mappa dell’edizione Granata. Ed è su questa infatti che si basa l’intera analisi.

TERZO CERCHIO / SECONDA PRIGIONE:

Il Terzo Cerchio dell’Inferno dantesco è ancora dedicato agli incontinenti, in particolare ai golosi, condannati a rotolarsi nel fango come bestie, travolti da una pioggia costante, una "piova / etterna, maladetta, fredda e greve" che cade sempre uguale con la stessa intensità. Il custode è Cerbero, "fiera crudele e diversa" (strana), uno dei mostri che già nella mitologia greca era a guardia dell’ingresso all’Ade. È un cane a tre teste, che simboleggiano la distruzione del passato, del presente e del futuro. Presente anche nell’Eneide virgiliana, il Cerbero dantesco è una bestia mostruosa, tra l’umano e l’animalesco, per il fatto che inghiottisce il fango gettato da Virgilio. Viene descritto con gli occhi rossi, la barba unta e nera, la pancia gonfia e le mani con unghie con le quali graffia i dannati e li squarta; inoltre con le sue urla li 'ntrona (li "rintrona", li fa impazzire) così che essi vorrebbero essere sordi.

La seconda prigione dell’Inferno di Kurumada è molto simile al corrispettivo cerchio Dantesco. Segnalata da una pioggia continua e monotona, che travolge Pegasus e Andromeda, la prigione è costruita in stile egizio (un chiaro riferimento allo spectre custode, Faraone di Sfinge) ed è il luogo in cui sono puniti i golosi. L’atmosfera è raccapricciante, l’odore è nauseabondo e sembra di essere in un letamaio. Come nell’inferno di Dante, e nella mitologia, Kurumada pone Cerbero a guardia di questa prigione, nelle sue forme più rozze e animalesche: un immenso cane con tre teste che divora i morti, squartandoli e cibandosene.

CAMPIO DEI FIORI:

Dietro la seconda prigione, Kurumada colloca un campo di fiori, l’unico luogo di tutto l’Inferno in cui possano crescere fiori profumati e colorati. Qua è stata pietrificata Euridice, compagna di Orfeo, e qua il Cavaliere di Atena combatte contro lo spectre Faraone di Sfinge.

Non esiste un corrispettivo diretto con l’Inferno dantesco.

QUARTO CERCHIO / TERZA PRIGIONE:

Il Quarto Cerchio dantesco è destinato agli avari, colpevoli non soltanto di taccagneria, ma avidità, rapacità di denaro, ricchezza e potere in generale. Questo peccato secondo Dante è uno dei più grandi mali della sua epoca ed è tipico degli uomini di chiesa, per quanto a soffrirne siano in molti. Il contrappasso di questi dannati nasce dal fatto che essi si sono lasciati sormontare dai beni terreni ai quali in vita diedero la massima priorità: nell'Inferno perciò sono obbligati all'inutile ronda di spostare in perpetuo ammassi di materia inerte, simbolo dell'inutilità vana delle loro azioni.

Kurumada riprende perfettamente questa rappresentazione degli avari per creare la Terza Prigione del suo Inferno, custodito da due spectre, Rock di Golem e Ivan di Troll. In questa valle, circondata da scoscese montagne, gli avari sono condannati per l’eternità a far rotolare enormi massi.

QUINTO CERCHIO / QUARTA PRIGIONE:

Nel Quinto Cerchio Dante e Virgilio incontrano una fonte dalla quale sgorgano acque nere che ribollono e che alimentano la palude dello Stige, fiume infernale. Immerse nel pantano, genti ignude sono travolte dalla furia di picchiarsi tra di loro con tutto il corpo. Si tratta delle "anime di color cui vinse l’ira". La palude è custodita da Flegias, nella mitologia un figlio di Ares, simbolo dell’ira violenta e del fuoco. Di lui Dante non si preoccupa di dare una descrizione fisica, ma lo indica intento a remare la sua piccola barca (probabilmente si tratta di colui che prende gli iracondi, scaraventati direttamente da Minosse, e li trascina nella palude) in evidente stato di sovreccitazione.

Kurumada riprende perfettamente il modello dantesco, presentando la Quarta Prigione come un’immensa palude nera, proprio come quella di Dante, dove si trovano gli arrabbiati e gli scontenti (la traduzione Shot indica gli iracondi e gli accidiosi, ma il significato rimane lo stesso dell’edizione Granata). Con un bel tocco di classe lo spectre guardiano di questa Prigione è chiamato da Kurumada proprio Flegias. Violento e determinato, Flegias del Licaone (nella mitologia greca Licaone è un altro figlio di Ares, e non è certamente un caso) guida una zattera di legno con cui Kanon, Sirio e Cristal attraversano la tenebrosa palude nera.

SESTO CERCHIO / QUINTA PRIGIONE:

Il Sesto Cerchio è, per Dante, la città di Dite, ove sono puniti gli eretici, che giacciono in tombe infuocate. L’idea è probabilmente ripresa dalla pena a cui erano sottoposti gli eretici dai tribunali terreni, cioè il rogo, in quanto il fuoco era considerato simbolo di purificazione e corrispondeva forse alla falsa luce che essi pretendevano di spandere con le loro dottrine.

Kurumada riprende l’idea degli eretici che ardono in tombe di fuoco, per presentare la Quinta Prigione dell’Inferno, luogo ove avvengono gli scontri tra Kanon prima, e Phoenix poi, contro i tre Giudici Infernali. È interessante notare che, sebbene non vi sia alcun esplicito commento al riguardo, nella mappa dell’Inferno disegnata da Kurumada, alla Quinta Prigione è disegnata una pianta di quella che potrebbe essere un’ipotetica città, la cui struttura intricata ricorda quella di un labirinto o di un cimitero.

Da questo momento in poi, purtroppo, non abbiamo più rappresentazioni del resto dell’Inferno, ad eccezione del Cocito e della Giudecca, per tanto l’analisi comparativa si baserà esclusivamente sulla mappa stilizzata dell’Inferno e sulle brevi descrizioni su di essa esposte.

SETTIMO CERCHIO / SESTA PRIGIONE:

Il Settimo Cerchio dell’Inferno dantesco è custodito dal Minotauro, rappresentazione della "matta bestialità", ovvero la violenza che rende l’uomo pari alle bestie. Ed infatti questo cerchio occupa i violenti, suddivisi in tre gironi.

Il Primo Girone comprende i violenti contro il prossimo, cioè gli omicidi, i predoni, i tiranni e i briganti, che sono immersi nel Flegetonte, un fiume di sangue bollente, che ben simboleggia il sangue che hanno versato in vita, e sono tormentati dai Centauri, espressione della forza bestiale. Nel Secondo Girone si trovano i violenti contro se stessi, ovvero i suicidi, trasformati in albero per aver volontariamente rinunciato alla vita umana, come Pier della Vigna, e gli scialacquatori, che in vita distrussero e dilaniarono le loro sostanze, sono qui lacerati da cagne fameliche con uguale ferocia. Infine il Terzo Girone che ospita i bestemmiatori, i sodomiti e gli usurai: costoro giacciono in diverse maniere sotto una pioggia di fuoco su una spiaggia incendiata (sdraiati i bestemmiatori, seduti gli usurai, in perenne corsa i sodomiti).

Kurumada riprende la divisione del settimo cerchio in tre zone differenti, che lui chiama "valli", per presentare la Sesta Prigione del suo Inferno, suddivisa in: lago di sangue, dove precipitano i colpevoli di essere stati violenti in vita (e dove Lune scaglia Pegasus e Andromeda), la foresta dove vanno i colpevoli di suicido, e infine la terza valle, definita "un inferno incandescente dove vanno i disonesti". Il termine "disonesti" al riguardo è un po’ ambiguo, ed è preferibile l’indicazione dell’edizione Shot che indica "coloro che furono violenti verso Dio, ovvero i bestemmiatori". Possiamo ipotizzare, visti i precedenti parallelismi con Caronte, Minosse, Cerbero e Flegias, che Gordon di Minotaurus, uno degli spectre che affronta Sirio al Muro del Pianto, sia il custode di questa prigione, dato il simbolo che lo rappresenta, anche se al riguardo non vi sono prove.

OTTAVO CERCHIO / SETTIMA PRIGIONE:

L’ottavo cerchio dantesco punisce i peccatori che usarono malizia in modo fraudolento, contro chi non si fida. Ha la forma di un fosso molto profondo, al centro del quale vi è un pozzo (la parte più profonda dell’Inferno). Tra la ripa e il pozzo sono scavati dieci immensi fossati collegati tra loro da scogli rocciosi che fungono da ponti: questi dieci fossati sono le bolge dell'ottavo cerchio, detto complessivamente "Malebolge", termine coniato da Dante stesso. Il custode dell’ottavo cerchio è Gerione, gigante con tre teste, simbolo, per Dante, di frode.

Nella prima bolgia sono puniti i ruffiani e i seduttori, cioè coloro che sedussero per conto di altri e per conto proprio: essi sono divisi in due schiere che percorrono la bolgia, sferzate da "demoni cornuti". Nella seconda bolgia sono puniti gli adulatori, che giacciono nello sterco umano, degno contrappasso per la sconcezza morale del loro peccato. Nella terza bolgia sono puniti i simoniaci, che fecero mercimonio dei beni spirituali e in particolare delle cariche ecclesiastiche: essi sono capovolti in buche dalle quali fuoriescono solo con i piedi, lambiti da fiamme, poiché in vita vollero riempirsi di denaro, capovolgendo i loro doveri in favore di beni meramente terreni e non divini. Nella quarta bolgia sono puniti gli indovini e i maghi, che camminano con il volto distorto all'indietro, in antitesi con la loro pretesa di vedere avanti nel futuro. La quinta bolgia è composta da un lago di pece bollente nel quale sono immersi i barattieri, coloro che trassero profitti illeciti dalle loro cariche pubbliche.

Nella sesta bolgia sono puniti gli ipocriti, che procedono vestiti di pesanti cappe di piombo, dorate all'esterno, con evidente allusione al contrasto tra l'apparenza dorata e piacevole che gli ipocriti esibiscono nei confronti del mondo esterno e la loro interiorità falsa, gravata da cattivi pensieri. Nella settima bolgia sono puniti i ladri, posti in mezzo a serpenti, con le mani legate da serpi, ed essi stessi trasformati in tali animali: questi sono infatti il simbolo per eccellenza del demonio, dell’inganno, come si vede nella Genesi dove a ingannare Adamo ed Eva è appunto Satana sotto forma di serpente. Nell’ottava bolgia sono puniti i consiglieri fraudolenti, come Ulisse, che vagano racchiusi in fiammelle: la lingua di fuoco è immagine della lingua con cui essi peccarono, dando consigli ingannatori, e infatti hanno anche difficoltà a parlare. Nella nona bolgia sono puniti i seminatori di discordia, che possono essere seminatori di discordia religiosa, cioè responsabili di scismi, oppure politica, cioè responsabili di guerre civili, o più in generale tra gli uomini e nelle famiglie. Essi sono mutilati da un demone che riapre le loro ferite non appena esse si chiudono, per sottolineare con la spaccatura dei loro corpi le perenni divisioni che provocarono nell'umanità. Nell’ultima bolgia dell’ottavo cerchio sono puniti i falsari, che in vita falsificarono cose, persone, denaro o parole; essi sono afflitti da orrende malattie che li sfigurano, che rendono diversa e per così dire falsificano la loro natura, come essi in vita vollero contraffare la figura della verità.

Per rappresentare la Settima Prigione, Kurumada ha attinto a piene mani all’Inferno dantesco, suddividendola in dieci fosse. Nella prima vengono frustati i ruffiani e i seduttori, nella seconda vengono tenuti nel liquame gli adulatori, nella terza sono bruciati i peccatori che hanno approfittato degli ordinamenti sacri per interesse personale (peccando quindi di simonia, e eventualmente di nepotismo). Nella quarta fossa vagano con la testa girata all’indietro i maghi e gli indovini, nella quinta in un lago di catrame bollente i corrotti vengono continuamente pungolati dai diavoli. Nella sesta fossa gli ipocriti sono costretti a camminare con un mantello di piombo addosso, nella settima i ladri sono condannati a stare in mezzo ai serpenti, mentre nell’ottava coloro che in vita hanno ordito intrighi e complotti bruciano in un inferno di fuoco. Nella nona fossa vengono fatti a pezzi coloro che in vita seminavano discordie e infine nella decima fossa si trovano gli imbroglioni, i cui corpi marciscono e sono condannati a graffiarsi da soli.

NONO CERCHIO / OTTAVA PRIGIONE:

Il Nono Cerchio dantesco colpisce ancora i colpevoli di malizia e fraudolenza, stavolta contro chi si fida, ed è staccato dal precedente da un immenso pozzo, dove sono puniti i Giganti, dannati e custodi al tempo stesso della loro prigionia eterna. L’ultimo cerchio è costituito da un immenso lago di ghiaccio, detto Cocito, reso tale dal vento causato dal movimento delle ali di Lucifero. È questo un luogo terrificante, dove l’aria risuona dei lamenti delle anime sofferenti continuamente torturate dal morso del gelo, con gli arti congelati ed i volti stravolti dal freddo. Dante immagina che i peccatori qui puniti, colpevoli di tradimento, siano sepolti nel ghiaccio a vari livelli di profondità, a seconda della gravità del loro crimine. Di conseguenza, divide il Cocito in quattro zone circolari, concentriche tra loro: la Caina (che deve il suo nome a Caino), dove vengono puniti coloro che tradirono i propri parenti, seppelliti nel ghiaccio fino al collo; l’Antenora (che deve il suo nome al personaggio dell’Iliade, Antenore), dove vengono puniti coloro che tradirono la propria patria, seppelliti fino al busto, con la parte superiore del corpo esposta ai gelidi venti infernali; la Tolomea (il cui nome è dovuto a Tolomeo di Gerico), dove vengono puniti coloro che tradirono i propri ospiti, distesi supini con la parte posteriore del corpo immersa nel ghiaccio, e infine la Giudecca (che deve il suo nome a Giuda Iscariota), dove vengono puniti coloro che tradirono i propri maestri e benefattori, completamente immersi nel ghiaccio. Al centro della Giudecca, l’ultima delle quattro zone concentriche, si trova Lucifero, immerso nel ghiaccio fino alla cintola.

Kurumada, nel finale dell’Inferno, riprende nuovamente Dante, seppur con una piccola ma significativa differenza. Presenta infatti il Cocito, il grande lago di ghiaccio dove vengono rinchiusi tutti coloro che hanno combattuto contro un Dio, ed infatti vi troviamo, oltre a Pegasus e Phoenix, anche Ioria, Mur e Scorpio e i Cavalieri che hanno lottato per l’amore e la giustizia sulla Terra nelle epoche precedente. Ma, anziché rappresentare le quattro zone (Caina, Antinora, Tolomea e Giudecca) come cerchi concentrici del Cocito, le trasforma in quattro templi, di cui l’ultimo innalzato a luogo in cui risiede di Pandora e a temporanea residenza di Ade.

È alla Giudecca, la cui forma esterna è quella di un tempietto circolare, sormontato da un angelo che regge in mano un tridente e un cerchio (chiaramente ispirato alla Siegessaule di Berlino), che si consuma il grande scontro tra Phoenix e Ade, e poi tra Atena e lo stesso Dio dell’Oltretomba. L’interno, per quel poco che possiamo vedere, è formato prevalentemente da una grande stanza, dove, al di là di una lunga scalinata, circondata da statue di draghi, e di una tenda, si trova il trono di Ade. È possibile che vi siano anche stanze laterali, per le guardie e per Pandora.

Nell’enciclopedia dei Cavalieri, ovvero la Taizen, è indicato che i tre templi precedenti alla Giudecca sono le residenze private dei tre Giudici Infernali, Radamante, Eaco e Minosse, indicati ciascuno dalle statue che ornano i loro tetti o le loro facciate, raffiguranti, rispettivamente, la Viverna, la Garuda e i Grifoni, ovvero gli animali loro tre simboli.

Di Aledileo.