I MITI DEI PROTAGONISTI: AQUILA

By Aledileo e Flare

1° versione

La mitologia greca è ricca di riferimenti a questo uccello presente fra le costellazioni per varie cause. Il più noto è il mito narrato da Ovidio secondo il quale, Giove si era innamorato di Ganimede, un affascinante giovane che ebbe i suoi natali in Frigia.

Deciso a sedurlo ad ogni costo, anche ricorrendo al rapimento, il sommo dio prese l’aspetto di un’aquila, animale a lui stesso particolarmente sacro per la sua magnificenza, per la sua velocità e perché, secondo una leggenda, era l’unico essere vivente in grado di fissare direttamente il Sole senza subirne alcun danno.

Per tali motivi all’aquila era affidato l’incarico e il vanto di recare i fulmini che il dio scagliava contro chi lo faceva adirare o lo offendeva. Quindi con quelle sembianze, Zeus si lanciò in un maestoso volo verso il giovane, lo afferrò saldamente per le spalle con i suoi poderosi artigli e librandosi elegantemente verso i cieli più alti lo trasportò nella sua dimora sull’Olimpo dove lo nominò coppiere degli dei.

Tale compito era già svolto con molta eleganza dalla giovane Ebe, prediletta da Giunone; questa nel vedere che la sua protetta era stata sostituita dal bel Ganimede, si adirò ma non potendosi opporre alla volontà del suo autorevole consorte, finì per rassegnarsi.

2° versione

E' una variante del mito citato sopra, secondo cui Zeus incaricò una vera e propria aquila per rapire il giovane, e in seguito la trasformò nell'omonima costellazione.

3° versione

Secondo Igino, l’aquila sarebbe la rappresentazione di Merope, re dell’isola di Cos, che aveva dato al suo regno lo stesso nome dell’adorata figlia. Merope aveva sposato una ninfa seguace di Artemide: Etemea. Questa, non del tutto convinta della sua patrona, non professava completamente la sua devozione e spesso dimenticava di compiere i dovuti sacrifici in onore della dea. Artemide, allora, punì l’empia ninfa trafiggendola con una freccia e, mentre era agonizzante, la portò nell’Ade. Merope, distrutto dal dolore, si uccise e Zeus, mosso a compassione per l’insano gesto compiuto per immenso amore, lo assunse in cielo trasformandolo in costellazione.

4° versione

Un ulteriore mito racconta che Zeus, mentre si preparava per combattere contro Crono, suo padre, per conquistare la supremazia fra gli dei, fu visitato da un’aquila, volatile a lui sacro, che gli lasciò una premonizione favorevole alla sua causa: difatti sua fu la vittoria nella battaglia. Per esprimere all’uccello la sua riconoscenza, Zeus lo trasformò in costellazione trasportandolo fra gli astri.

5° versione

In un antico racconto si legge che Ermes, figlio di Zeus e della ninfa Maia, preso da ardente amore per Afrodite, si disperava perché questa non corrispondeva il suo sentimento per cui chiese aiuto al padre il quale elaborò un piano: Afrodite aveva la consuetudine di bagnarsi nel fiume Acheloo; Zeus allora, mentre la dea si stava facendo il consueto bagno, incaricò un’aquila di rubarle uno dei suoi calzari e di portarlo in Egitto dove si trovava Ermes.

Afrodite, uscita dalle acque del fiume, si accinse a rivestirsi, ma non trovando più uno dei suoi due calzari, prese a cercarlo dovunque fino a giungere in Egitto dove l’attendeva Ermes. Qui i due si amarono e condussero una esistenza in coppia. Per premiare l’aquila che aveva eseguito in maniera splendida le istruzioni di Zeus, costui la immortalò trasportandola in cielo con le sembianze di una costellazione.

 

6° versione

La sesta fatica di Ercole fu di cacciare gli innumerevoli uccelli Stinfali, dal becco e dagli artigli di bronzo, grandi all'incirca come gru e molto simili agli ibis, divoratori di uomini e sacri ad Ares che avevano invaso la palude, appunto detta Stinfalia. Essi vivevano sulle rive della palude e uccidevano uomini e animali lasciado cadere una pioggia di piume di bronzo. Quando Ercole arrivò alla palude si accorse che non poteva cacciarli con le frecce perchè troppo numerosi; non poteva nemmeno addentrarsi nella palude perchè troppo alta e neppure permettersi l'uso di una barca perchè troppo profonda.

Così fu salvato da Atena che gli diede un paio di nacchere di bronzo fabbricate da Efesto: l'eroe salì su uno sperone roccioso del monte Cillene, che sovrastava la palude e battè le nacchere. Gli uccelli, impauriti, si alzarono in volo, terrorizzati. Così Ercole li uccise mentre cercavano di raggiungere le isole di Ares nel Mar Nero.

Il Cigno, insieme all'Aquila e alla Lyra (un tempo detta costellazione dell'Avvoltoio), rappresenterebbero gli unici tre uccelli sopravvissuti alla strage.