VIAGGIO AD ASGARD

Erano passati quattro mesi dalla terribile battaglia avvenuta in Ade, e per tutti la vita sembrava aver ripreso una parvenza di normalità. Gli uomini, che ignoravano completamente il terribile pericolo corso, ripresero la loro esistenza di tutti i giorni, mentre la Grande Eclissi di Hades venne giudicata solo come un inaspettato e rarissimo avvenimento celeste.

Dopo l’iniziale e comprensibile sbandamento, anche per i Cavalieri questi primi mesi furono tranquilli. Le parole di Zeus non erano state dimenticate, anzi drappeggiavano il futuro con un velo di inquietudine, ma alla fine la gioia per la vittoria riportata contro Hades, unita a quella per il ritorno degli amici creduti scomparsi per sempre, si era dimostrata più forte della paura.

I Cavalieri d'Oro tornati, avevano subito ripreso a custodire le Dodici Case, con l'unica eccezione di Libra, che aveva preferito tornare inizialmente ai Cinque Picchi, luogo che ormai considerava come la sua casa. Virgo aveva seppellito il proprio rosario, i cui grani erano ormai tutti scuri in seguito alla morte dei 108 Spectre, sotto l'albero si sala, nel giardino accanto alla sesta casa. Kanon aveva invece ricevuto formale investitura a Cavaliere d’Oro di Gemini, diventando ufficialmente custode della terza casa che già aveva protetto durante il primo assalto di Hades. Ormai infatti non solo Atena, ma anche gli altri Cavalieri, lo avevano definitivamente accettato, e, da parte sua, il ragazzo era deciso a non tradire la memoria del fratello.

Per quanto riguarda i Cavalieri di Bronzo, veri eroi della guerra, Andromeda e Phoenix erano tornati insieme al palazzo della Grande Fondazione, e stavolta il Cavaliere della Fenice aveva stranamente accettato di restare qualche giorno insieme a suo fratello. Persino il suo cuore, per una volta, era desideroso di pace e tranquillità.

Cristal era invece tornato in Siberia, ma solo dopo aver usato i suoi poteri per creare un sarcofago di ghiaccio intorno alla tomba di Acquarius, allo scopo di onorare la memoria di un uomo che, persino dopo la morte, aveva lottato per difendere Atena e la pace sulla terra.

Sirio si era recato ai Cinque Picchi insieme al maestro, riuscendo finalmente a sostare per alcuni mesi in modo da stare con Fiore di Luna. Nel vederlo tornare, coperto di ferite ma vivo, la ragazza era corsa in lacrime ad abbracciarlo. All’inizio, Fiore di Luna non aveva ovviamente riconosciuto l'anziano maestro nel giovane di diciotto anni che era tornato insieme a Sirio, ed anche dopo le spiegazioni del caso era rimasta inizialmente confusa, ma dopo un po’ aveva iniziato a comportarsi con lui come aveva sempre fatto.

La gioia maggiore però la ebbe senza dubbio Pegasus, ed infatti sarebbe stato difficile dimenticare lo sguardo del ragazzo quando, sostenuto da Ioria, si era avvicinato tremante a Patricia e, nonostante le ferite, con le lacrime agli occhi, era corso verso di lei e l'aveva abbracciata a lungo. Tutti i Cavalieri, persino Phoenix, di solito restio a lasciar trapelare le proprie emozioni, si erano commossi e avevano pianto di gioia nel vedere i due finalmente riuniti dopo così tanto tempo.

In seguito, Patricia andò a vivere alla casa del fratello, alla darsena, e si prese amorevolmente cura di lui, fasciandogli le ferite, che comunque, grazie al potere di Atena, si stavano rimarginando rapidamente. Durante quelle settimane, Pegasus le raccontò le sue avventure da Cavaliere, a partire dall'addestramento fino allo scontro contro Hades, passando per la corsa per le Dodici Case, la battaglia ad Asgard ed il regno sottomarino. Le disse dell'amicizia fra lui e gli altri Cavalieri, della vera identità di Lady Isabel, e di come avesse a lungo creduto che lei fosse in realtà Castalia.

Patricia ascoltò tutto a bocca aperta, sbalordita dalle numerose peripezie che colui che ricordava ancora come un pestifero fratello minore aveva vissuto. Dal canto suo, gli raccontò della sua vita presso un piccolo villaggio in Grecia, accudita da un anziano artigiano. Con lui era stata bene, ma mai realmente felice, perché in fondo al cuore sentiva di aver perso qualcosa di importante, e di aver disperatamente bisogno di ritrovarlo.

Tutto era cambiato il giorno in cui Castalia l'aveva trovata, chiedendole di venire con lei. Inizialmente, Patricia aveva esitato a lungo di fronte a quella richiesta da parte di una sconosciuta, per di più in maschera, ma alla fine aveva deciso di acconsentire, perché dentro di sé voleva svelare i misteri del suo passato e scoprire per quale motivo fosse venuta in Grecia tanti anni fa. "Ora", affermò la ragazza sorridendo al fratello "sono felice di essere andata con lei!"

Ma, se i Cavalieri avevano in qualche modo trovato una parvenza di serenità, lo stesso non poteva essere detto per Lady Isabel. Che si trovasse al Grande Tempio o a Nuova Luxor, la fanciulla era inquieta, vessata da un peso che neppure il sollievo per il trionfo su Hades riusciva a rimuovere. Era figlia di Zeus e Dea della sapienza, oltre che della giustizia, quindi sapeva bene di cosa fosse capace l’augusto genitore. La minaccia che si profilava all'orizzonte era forse la peggiore che potesse esserci.

"Una decisione di mio padre non è da sottovalutare. Se ha deciso che l'umanità deve essere distrutta, sarà impresa ardua fermarlo. Ci ha concesso una possibilità, ma sarà una prova alla nostra portata? Potremo avere delle speranze contro l'essere più potente dell'universo?" Queste domande, cui non riusciva a trovare risposta, tormentavano spesso le sue notti, e neanche il misericordioso arrivo del sonno bastava a darle sollievo, tormentandola anzi con continui incubi.

Passarono altri mesi, un’estate intera, finché, in una ventosa mattina d'autunno, Lady Isabel convocò i Cavalieri alla prima casa del Grande Tempio. Patricia fu molto rattristata nel sapere che suo fratello doveva partire per combattere di nuovo, ma Pegasus la rassicurò, dicendole che ora che l'aveva finalmente ritrovata, non l’avrebbe più lasciata per niente al mondo.

Le sue parole erano spontanee, sincere, ma, nel vederlo partire, Patricia sentì un peso opprimente stringerle il cuore: la sensazione che non l’avrebbe più rivisto per molto, molto tempo. Forse per sempre. Fu tentata di correre a fermarlo, ritrascinarlo indietro, ma non lo fece. In fondo sapeva che il suo amato fratello era un Cavaliere, con precise responsabilità, e che ora che la battaglia con Zeus era ormai incombente, doveva essere pronto. Ricacciò indietro le lacrime, limitandosi a salutarlo mentre svaniva nel tramonto.

Ben presto, tutti i Cavalieri furono riuniti, le espressioni un misto di rimpianto e sicurezza. Lady Isabel sapeva che la loro presenza era assolutamente necessaria, sapeva di aver già posticipato quella riunione il più possibile, ma tutta la consapevolezza del mondo non bastava a frenare il senso di colpa che le rodeva dentro, per averli strappati al primo scampolo di tranquillità che avessero vissuto per anni. Si sforzò di non pensarci. Quando furono di fronte a lei, li guardò negli occhi e iniziò lentamente a parlare

"Ormai mancano solo tre mesi alla sfida contro mio padre e, anche se non so cosa ci aspetti, cono certa che non si tratterà di una battaglia facile. Molti esseri nella mitologia hanno cercato di sconfiggere Zeus, ma il destino che hanno trovato è stato il medesimo: tutti loro sono stati colpiti dalla folgore divina e precipitati nel Tartaro, la parte più profonda e buia degli inferi."

La ragazza fece un attimo di pausa, in modo da permettere a tutti di comprendere le sue parole fino in fondo, poi riprese.

"È inutile che vi dica che da questa battaglia dipende la salvezza dell'intera umanità. Zeus è il padre di tutti gli Dei e la sua parola è legge. Solitamente, quando prende una decisione, nulla può dissuaderlo, ma è anche vero che ha sempre mantenuto le sue promesse: se riusciremo a sconfiggerlo, non si rimangerà la parola data e l'umanità sarà salva. D'altra parte, se saremo sconfitti, nessuna forza nell'universo potrà fermarlo e il genere umano sarà annientato! Voi avete accettato di lottare al mio fianco, ma non conoscete i terribili poteri di Zeus, e per questo ora vi chiedo… siete pronti alla lotta Cavalieri?"

Per un attimo, tutti loro restarono in silenzio. Avevano già combattuto contro delle divinità, e non si trattava certo di Dei minori, ma sfidare il sovrano dell’Olimpo era forse osare troppo, persino per loro. Non avevano mai avuto a che fare direttamente con lui, ma le storie narrate dai miti, insieme alla facilità con cui aveva riportato in vita i Cavalieri d'Oro e lo stesso Pegasus, erano più che soddisfacente testimonianza del suo enorme potere. Il signore del fulmine, detronizzatore di Crono e della stirpe dei Titani. Zeus.

La loro esitazione però durò solo pochi istanti, poi Pegasus sollevò lo sguardo e, fissando la sua Dea negli occhi, disse

"Lady Isabel… sono certo di parlare a nome di tutti… eravamo già rassegnati a sacrificarci quando siamo scesi nella porta per l'aldilà, tutto ciò che è successo dopo quel momento è solo un dono inaspettato. Non ci siamo mai tirati indietro prima, non lo faremo certo ora! Se tu ci guiderai come hai sempre fatto, ti seguiremo in capo al mondo!"

Alle sincere parole di Pegasus seguì un cenno di assenso da parte di ciascuno degli altri quattro Cavalieri e, nel saperli così vicini a lei, Atena si rasserenò, accennando un sorriso di gratitudine. In cuor suo, non aveva mai dubitato della loro fedeltà, ma vederla riaffermata così le scaldava comunque l’animo.

Non era però la sola domanda che aveva da porre, né la più delicata. Si voltò verso il Cavaliere d'Ariete, in piedi a pochi passi da lei, e gli chiese: "L'esito di questa battaglia potrebbe dipendere dalle armature divine, che però sono state gravemente danneggiate durante lo scontro contro Hades! Mur, puoi ripararle?"

L'attenzione di tutti si spostò sul custode della prima casa, ma quest'ultimo rimase in silenzio per interminabili secondi, con gli occhi chiusi e lo sguardo basso. Tutti i Cavalieri osservarono il loro compagno, consci che molto, praticamente tutto, dipendeva dalla sua risposta.

Quando finalmente Mur aprì gli occhi, la sua espressione era cupa. "No!"

Più di una volta nel corso delle loro battaglie i Cavalieri si erano resi conto del profondo potere che è nascosto nelle parole, capaci spesso di rivelarsi armi anche più affilate dei colpi segreti, ed infatti quella semplice sillaba fece calare su di loro un velo di sconforto e smarrimento.

"Riparare le armature divine va al di là delle mie possibilità, mi dispiace Cavalieri! Quelle corazze sono nate dal sangue di Atena, unito al cosmo dei Cavalieri che si espandeva verso l'infinito. Non riuscirei mai a ripararle, neanche usando il sangue dei Cavalieri d'Oro... ormai sono fuori dalla mia portata!" spiegò l'Ariete.

"Mur, hai detto che quelle armature sono nate dal sangue divino, potresti utilizzare il mio per ripararle!" suggerì Lady Isabel, facendosi avanti nella speranza che il ragazzo non avesse considerato quell'opzione semplicemente per non vessarla troppo. Anche questa volta però la risposta del Cavaliere d'Ariete fu negativa. "Sarebbe necessaria una quantità troppo elevata di sangue per ripararle tutte e cinque, e poi non sarei comunque in grado di ricreare le condizioni necessarie… no… un tale compito è superiore alle possibilità di qualsiasi uomo, mi dispiace!"

Intuendo dove Mur volesse arrivare, i Cavalieri si accasciarono al suolo. Quelle erano armature divine, e solo un Dio poteva ripararle. Fu Cristal il primo a parlare, con un tono a metà tra il disperato e il disilluso.

"Se le cose stanno così, non ci resta alcuna speranza! Fra gli Dei dell'Olimpo, solo Efesto potrebbe riuscire a ridare a queste armature l'antico splendore, ma…"

"Ma Efesto è certamente dalla parte di Zeus, ed anche se riuscissimo a raggiungerlo, non accetterebbe mai di aiutarci!" concluse Sirio, a voce bassa.

"Vorrà dire che combatteremo senza armature! Siamo pur sempre Cavalieri, ed ora è il momento di dimostrarlo!" disse Pegasus a pugni serrati. Dal suo tono però emergeva una volontà disperata, che non teme nulla, ma anche esitazione e paura. Per quanto cercasse di non darlo a vedere, sapeva che le loro speranze di vittoria, già minime con le corazze, erano praticamente nulle in quelle condizioni.

"Non ci restano possibilità. Forse è meglio rassegnarci… senza le armature divine siamo condannati alla sconfitta!", disse Phoenix pensieroso, a braccia conserte. "La mia corazza conserva le caratteristiche della fenice, può risorgere dalle sue ceneri e ricrearsi più forte di prima, ma per voi non ci sono speranze…"

"Fratello…" iniziò Andromeda, amareggiato da quella constatazione, ma non aveva argomenti cui contrapporle. Le parole di Phoenix, per quanto secche, erano fondamentalmente vere, purtroppo. Anche Pegasus se ne accorse, non riuscendo per una volta a trovare un modo per incoraggiare gli amici, o disperdere la tristezza che si era impadronita di loro.

"Ti sbagli, Phoenix! Esiste una speranza!" intervenne Mur, ora con un tono deciso e sicuro.

"Che intendi dire… sai forse come riparare le armature?", si affrettò a chiedergli Isabel.

"Come ho appena detto, non posso ripararle personalmente, ma forse so chi è in grado di farlo! E' solo un'ipotesi, quasi una chimera, ma potrebbe essere l'unica che abbiamo..."

"Parla presto, non tenerci sulle spine! Di chi si tratta?" esclamò Pegasus, non osando ancora aggrapparsi a quella nuova speranza, per timore di perderla.

"La vostra intuizione è giusta, solo un essere soprannaturale può riparare le armature, ma Efesto non è il solo ad avere un tale potere. Dovete raggiungere Asgard e trovare il nano Etri, maestro di forgia di somma virtù. Ora come ora, è lui il solo che può aiutarci!"

"Ad Asgard…" sussurrò Cristal con un filo di voce.

"Chi è il nano Etri?" chiese Pegasus, sbalordito.

"Credo di aver capito cosa intenda Mur. Quella dei nani è stata una delle prime stirpi ad apparire sulla terra, una stirpe antica quanto quella degli Dei, e sin dalle epoche più remote essi si stabilirono ad Asgard, nascosti nelle caverne più profonde. Rifuggono la luce del sole, ma sono fabbri abilissimi!" spiegò Sirio al compagno, ricordando quando il Vecchio Maestro gli aveva parlato di queste strane creature, da molti confinati a folklore e leggende.

"È così Cavalieri. Etri è il nano che forgiò le armi degli Dei di Asgard. Armi come Mjolnir, il martello di Thor, o la spada Balmung, della quale voi stessi vi siete serviti in passato!" concluse l'Ariete, memore delle parole del suo maestro Sion a riguardo.

"Dunque dobbiamo tornare ad Asgard, trovare questo Etri e convincerlo a riparare le nostre armature! È così, Grande Mur?" chiese Pegasus con ritrovata sicurezza, ed il custode della prima casa annuì.

L'entusiasmo tornò in maniera evidente sul volto dell'eroe. Dandosi un pugno nel palmo dell'altra mano, sorrise e si girò a guardare gli amici. "Bene, allora partiremo subito, manca poco tempo alla battaglia finale contro Zeus! Lady Isabel, è meglio che lei rimanga qui, non ha senso che si stanchi in un viaggio fino ad Asgard!"

"Lo penso anch'io! Stavolta non avremo bisogno del suo aiuto. È molto meglio che lei resti qui e raccolga le forze in vista della prova che ci aspetta!" concordò Cristal.

A queste parole, Isabel avrebbe voluto controbattere qualcosa, discutere. Ma invece accettò con un leggero cenno di assenso, consapevole che i Cavalieri avevano ragione, e che era indispensabile che lei fosse nel pieno delle forze per affrontare l'augusto genitore.

"Io non verrò con voi!" affermò improvvisamente Phoenix, appoggiato a una colonna con le braccia conserte. Tutti si voltarono a guardarlo, sorpresi.

"Fratello… sei certo di quello che dici?"

"Sì, Andromeda. Non avete bisogno di me, e come ho già detto, la mia armatura si riparerà da sola se sarà necessario. Zeus ha mantenuto la parola finora, ma è meglio che io rimanga raggiungibile, in caso di emergenza. Andrò piuttosto di nuovo sull'Isola del Riposo, in modo da solidificare ancora una volta la corazza con la lava vulcanica, e concentrare al meglio il mio cosmo!"

Anche se triste, Andromeda annuì, imitato dagli altri Cavalieri, ormai pronti alla partenza.

"Prima che andiate c'è ancora una cosa… seguitemi Cavalieri!", disse Mur voltandosi per entrare nella prima casa. Pegasus, Sirio, Cristal e Andromeda seguirono l'amico fino all'ingresso per una delle stanze interne del tempio, poi Mur continuò: "I nani sono creature insidiose, spesso amano mettere alla prova le persone… convincere Etri potrebbe essere più difficile del previsto…potreste dover combattere, e sarebbe meglio non rischiare ulteriormente le armature divine. In caso di bisogno, queste vi saranno utili!"

Il Cavaliere si spostò in modo da permettere agli altri di entrare nella stanza, al cui interno si trovavano quattro armature di bronzo. Osservandole bene, i Cavalieri si accorsero che non erano armature comuni, ma esatte repliche di quelle che avevano indossato ad Asgard e nel regno di Nettuno, solide come lo erano un tempo, seppur meno lucenti. "Non posso riparare le armature divine, ma, con l'aiuto degli altri Cavalieri d'Oro, ho potuto almeno forgiare queste corazze per voi. Come vedete, sono identiche a quelle che avete già utilizzato in passato, e anche la loro resistenza è paragonabile, ma essendo mere repliche prive di un legame con la costellazione di appartenenza, i loro poteri sono in qualche misura ridotti. Sarebbero certamente inutili contro gli Dei, o anche contro nemici come Spectre o Generali, ma vi saranno comunque di aiuto se Etri dovesse mettervi alla prova!"

I Cavalieri si avvicinarono alle corazze e subito i loro cosmi vi interagirono, avvolgendo i ragazzi in lucenti aure di energia. All'improvviso, le armature si scomposero, e i vari pezzi volarono a disporsi sui corpi dei quattro eroi.

Erano pesanti, più del solito, e prive della consueta vitalità, ma i ragazzi potevano comunque avvertire il sangue caldo dei custodi dorati battere al loro interno. Colpito da quest'ennesima dimostrazione di amicizia, Pegasus ringraziò a nome di tutti Mur per il suo indispensabile aiuto.

Il custode della prima casa annuì solennemente. "Andate ora, non c'è tempo da perdere. L'ora della battaglia finale si avvicina sempre di più! Vi teletrasporterò ad Asgard, vicino al palazzo di Ilda di Polaris! Lei saprà di certo indicarvi la via per raggiungere Etri!"

Con indosso le nuove armature, e sulle spalle gli scrigni di quelle divine, semidistrutte, i Cavalieri salutarono Lady Isabel, Phoenix e gli altri amici lì presenti. Poi Sirio fece un cenno a Mur, e il cosmo dell'Ariete d'oro avvampò. Una luce dorata avvolse gli eroi per alcuni secondi, e, quando si fu dileguata, di loro non c'era più traccia.

In quello stesso momento infatti, i quattro giovani erano ad Asgard, nel piazzale di fronte alla statua di Odino. Non bastò loro che un solo sguardo per riconoscere subito il luogo, e lasciar riaffiorare i ricordi dello scontro con Orion, avvenuto proprio lì, e del tragico sacrificio del Cavaliere del Nord per sconfiggere Sirya.

Una fitte coltre di neve ricopriva tutto, e anche in quel momento i fiocchi scendevano a larghe falde, mentre un gelido vento sferzava i volti dei quattro eroi. "Non è cambiato proprio niente!" brontolò Pegasus, rabbrividendo per il freddo e facendo sorridere gli altri ragazzi.

Guardandosi attorno, Cristal notò delle persone venire verso di loro, avvolte in pesanti mantelli. "Guardate, c'è qualcuno!" disse ai compagni, che si voltarono in direzione dei nuovi venuti.

Pur non riuscendo a scorgerli bene a causa della tormenta, i Cavalieri rimasero in attesa senza alzare la guardia, rassicurati dalla totale assenza di reazioni della catena di Andromeda, e consapevoli che un solo gesto sbagliato avrebbe potuto causare spiacevoli equivoci. Dopotutto, erano appena comparsi dal nulla nel cuore del palazzo reale, qualche sospetto era legittimo.

Quando però le figure furono a pochi passi da loro, ogni timore scomparve. Riusciti finalmente a riconoscerli, i quattro corsero verso di loro, felici di rivederli. Si trattava infatti di Ilda e Flare, accompagnate da Mizar ed Alcor. I due fratelli, riconciliatisi in seguito alla battaglia contro Andromeda e Phoenix, erano gli unici Cavalieri di Asgard ad essere sopravvissuti alle insidie della Guerra dell'Anello, ed ora Pegasus e gli altri erano felici di rivederli, stavolta da amici.

Fu Ilda la prima a parlare, con tono di benvenuto. "Sono felice di rivedervi, Cavalieri di Atena. Pochi attimi fa ho percepito il vostro cosmo provenire da qui e mi sono affrettata a raggiungervi. Quali motivi vi hanno condotti qui, ad Asgard?"

La domanda era rivolta a tutti loro, ma fu Pegasus a rispondere, in tono grave: "Non si tratta purtroppo di una visita amichevole, Ilda. Io e gli altri siamo qui perché abbiamo bisogno del tuo aiuto!"

Vedendo la preoccupazione negli occhi del giovane Cavaliere, come pure in quelli dei suoi compagni, Ilda annuì lentamente. "Capisco, e purtroppo devo confessarvi che il vostro arrivo non giunge del tutto inaspettato. Già mesi fa, in occasione di quell'eclissi improvvisa, ho percepito chiaramente il male nell'aria… e se ora uomini valorosi come voi hanno bisogno di aiuto, la situazione deve essere davvero molto grave!". La sacerdotessa prese un attimo di pausa, prima di riprendere. "Vi aiuterò, di questo siate certi. A voi devo non solo la mia vita ma anche la salvezza di tutta Asgard. Seguitemi a palazzo, lì potremo parlare con calma!".

Ad un loro cenno di assenso, la donna si voltò e, seguita da Flare, i Cavalieri, Mizar ed Alcor, si avviò verso il palazzo. Durante i pochi metri di cammino, la principessa si avvicinò a Cristal e lo guardò con affetto misto a preoccupazione. "Sono felice di rivederti, Cavaliere. Tempo fa ho avvertito il tuo cosmo indebolirsi ed ho temuto per la tua vita!".

"Sono un Cavaliere di Atena, è mio dovere lottare per difendere la mia Dea. Non devi preoccuparti per me!" le rispose in tono rassicurante il Cigno, strappandole un sorriso. "So bene che sei un guerriero coraggioso e pronto a tutto, ma cerca comunque di essere prudente!"

Poco più indietro Andromeda parlava con le tigri gemelle, i quali gli raccontarono brevemente l'incontro con i loro genitori. Dopo aver chiesto perdono ad Alcor per le loro azioni, i due lo avevano accolto a braccia aperte, felici di averlo ritrovato, e tutti insieme si erano presi cura di Mizar durante la convalescenza. Ora, loro due erano gli unici protettori di Asgard, un compito che intendevano onorare fino all'ultimo, anche in memoria dei compagni perduti.

Qualche minuto dopo, i Cavalieri entrarono in una stanza riscaldata dal fuoco di un caminetto. Lì, Pegasus spiegò brevemente a Ilda la situazione, raccontandole di come avessero sconfitto Hades, dell'apparizione di Zeus e delle parole di Mur relative al nano Etri, poi concluse rinnovando la sua richiesta di aiuto.

La donna annuì, pensierosa. "Vi aiuterò come posso, ma purtroppo il nano Etri non si trova ad Asgard, o almeno non in questa Asgard!"

Queste parole generarono un attimo di smarrimento nei Cavalieri, che non riuscirono a capirne immediatamente il senso. Accortasene, la celebrante di Odino riprese: "La terra di Asgard in cui vi trovate ora è solo una parte del regno di Odino, e si trova nel reame chiamato Midgard, ovvero il 'Recinto di Mezzo'…"

"Midgard, il recinto di mezzo? Che significa, non capisco…" balbettò Andromeda.

"È uno dei sette territori del creato, ricordo le parole del Maestro dei Ghiacci a riguardo. Secondo la leggenda, l'universo fu diviso in sette reami, sette territori distinti, ciascuno abitato da un tipo diverso di creature. Midgard, quella che noi chiamiamo Terra, è il regno abitato dagli esseri umani!" spiegò pensieroso Cristal.

Annuendo, Ilda proseguì. "Per trovare il nano Etri, dovete lasciare Midgard e raggiungere il reale reame di Asgard, dove vive il nostro signore Odino insieme alle altre divinità a lui fedeli! Solo da lì, potrete recarvi a Nidavellir, il regno dei nani dimora di Etri. Sarà un viaggio simile a quello che avete fatto per scendere in Ade, o a quello che vi condurrà sull'Olimpo..."

"Il vero reame di Asgard… come possiamo raggiungerlo? Esiste un modo?" chiese Sirio, ottenendo un nuovo cenno di assenso, accompagnato però anche da un'ombra di timore.

"Esiste solo un collegamento tra il reame di Midgard e Asgard, ma è molto rischioso. Si tratta di una strada che è severamente vietata a tutti noi abitanti del Nord. Pochi l'hanno percorsa, e nessuno è mai tornato indietro!"

A queste parole, Mizar si voltò verso Ilda con uno sguardo interrogativo "Esiste davvero una via? Non ne avevo mai sentito parlare, mia regina!"

"Si tratta di una strada segreta, conosciuta solo da noi celebranti! Vietare a chiunque di recarsi in quel luogo è uno dei nostri compiti più importanti, perché cercare di visitare Asgard senza il permesso di Odino equivale ad ambire alla grandezza divina. Hubris, un peccato imperdonabile, che potrebbe far abbattere su tutti noi l'ira celeste."

"Ma allora… neanche noi potremo percorrerla?" domandò Andromeda.

"No, come già ai tempi della discesa nel regno sottomarino, le nostre leggi non vincolano chi non è abitante del Nord! Voi Cavalieri avete già dimostrato la vostra lealtà ed in passato avete fatto molto per Asgard, senza contare che dal vostro viaggio può dipendere l'esito della battaglia contro Zeus, e quindi il destino dell'intera umanità, incluse le genti di Midgard… Non potrò accompagnarvi, ma vi indicherò volentieri il cammino da seguire!".

La donna si fermò per qualche attimo, poi si alzò in piedi e si avvicinò alla finestra, indicando con la mano una montagna appena visibile all'orizzonte, la cui cima era avvolta da nubi gonfie di neve. "Skarglittertind, il 'passo lucente'. Ogni mattina, all'alba, per pochi istanti in cima a quella montagna appare un arcobaleno. Non si tratta di un fenomeno comune, il suo nome è Bifrost ed è l'unico collegamento tra Midgard e Asgard…"

"L'unica strada… è un arcobaleno?" chiese Pegasus con tono incredulo.

"Sì, ma come ti ho detto non è un arcobaleno comune, quanto piuttosto un vero e proprio ponte. Quando la base apparirà, dovrete affrettarvi, perché avrete a disposizione solo pochi istanti, poi si scioglierà come se non fosse mai esistita. La parte centrale dell'arcobaleno è invece solida, ma anche in questo caso dovrete stare molto attenti, perché il ponte è percorso da venti fortissimi e, se doveste cadere, precipitereste senza possibilità di salvezza, perdendovi nelle nebbie tra i mondi!" rispose Ilda, senza voltarsi e mantenendo gli occhi fissi sull'impenetrabile cima montuosa.

Annuendo, Pegasus si alzò. "Non importa quali possano essere i pericoli, siamo Cavalieri e non ci tireremo indietro. Grazie per il tuo aiuto, Ilda. Le tue parole sono state preziose… partiremo immediatamente!".

Voltandosi verso i compagni, trovò nei loro sguardi la sua stessa determinazione. La celebrante di Odino li osservò in silenzio alzarsi e mettere sulle spalle i pesanti scrigni contenenti le armature divine.

Ad un tratto, anche Flare si alzò. "Aspettate…prima di andare permettetemi almeno di darvi degli indumenti pesanti per difendervi dal freddo. Ne avrete bisogno visto che dovrete passare la notte in cima alla montagna, in attesa dell'alba e dell'apparizione di Bifrost!". Prima che i ragazzi potessero dire qualcosa, scomparve nei corridoi del palazzo, per poi riemergerne dopo qualche minuto, con in mano dei pesanti mantelli di lana grezza. La ragazza ne porse uno a ciascuno dei Cavalieri, che la ringraziarono con gratitudine.

Ilda sorrise alla sorella, mostrando di apprezzare il suo gesto, ma gli occhi con cui fissò i Cavalieri erano ancora colmi di preoccupazione. "Andate ora, il viaggio verso la montagna è lungo e dovrete raggiungerne la cima prima dell'alba, o sarete costretti ad attendere un altro giorno prima di poter tentare il passaggio. Alcor vi accompagnerà fino alle pendici!"

Nel dir questo, la donna si voltò verso il suo Cavaliere, il quale mosse la testa in senso affermativo, poi proseguì "State sempre in guardia, e soprattutto ricordate che ad Asgard il tempo scorre in modo diverso rispetto alla terra. Ricordate anche che avrete solo pochi secondi prima che l'estremità di Bifrost scompaia, dovrete rapidamente raggiungere la zona solida del ponte, e da lì proseguire verso il palazzo di Odino!"

I Cavalieri accettarono con gratitudine i consigli, e ringraziarono nuovamente la Celebrante per il suo aiuto. Dopo gli ultimi saluti, accompagnati da Alcor uscirono dal palazzo. Da dietro i vetri, Ilda e Flare li osservarono con amarezza mentre le loro sagome scomparivano nella tormenta di neve.

"Una dura prova vi attende… buona fortuna, Cavalieri!" pensò la Celebrante.

Nelle ore successive, Alcor guidò gli amici verso la montagna, spiegando loro di essersi allenato più volte sulle sue pendici, ma di non aver mai saputo, fino ad ora, perché la legge vietasse a chiunque di scalarla fino in cima. Poco prima di raggiungerla inoltre, scomparve nella foresta, facendo ritorno con alcuni rametti secchi e sterpi. "Riponeteli sotto i mantelli, vi saranno utili. In cima, non troverete di certo nulla per accendere un fuoco..." disse, porgendoglieli, prima di riprendere il cammino.

Finalmente, raggiunsero la base di Skarglittertind. Le nubi erano si erano abbassate, rendendo visibile appena un terzo dell'enorme montagna, e facendo presagire una tempesta in corso. Obbligato dalle due leggi del suo paese a restare lì, Alcor li salutò ed osservò con rammarico, mentre erano intenti ad iniziare la scalata, aiutati dalla catena di Andromeda.

Per ore i ragazzi si arrampicarono in silenzio, tagliandosi le dita su pietre aguzze e sbattendo duramente sulle rocce ogni volta che, persa la presa, si trovavano a penzolare dalla catena. La terra stessa sembrava ribellarsi alla loro presenza: come previsto, ben presto si ritrovarono in preda alla furia di una bufera. Neve e vento sembrarono raddoppiare i propri sforzi pur di farli cadere, sorprendendoli con improvvise raffiche che minacciarono di strapparli dai loro appigli, rendendo i visi insensibili e le labbra bluastre, obbligandoli a chiudere gli occhi e rendendo difficile respirare. Il ghiaccio rendeva scivolosi i punti d'appoggio che sarebbero dovuti essere sicuri, e ne creava altri, infidi, pronti ad andare in pezzi sotto il loro peso.

Nonostante tutto però, gli eroi perdurarono, raggiungendo finalmente la cima poco prima del tramonto. La parte che li attendeva ora era meno faticosa, ma non meno rischiosa: l'attesa notturna, nel luogo più freddo della Terra, dove il sonno avrebbe potuto imprigionarli per sempre in un abbraccio di morte. I ragazzi si accucciarono in un angolo, in qualche modo riparato da una roccia, stringendosi il più possibile nei mantelli dati loro da Flare, mentre attorno a loro la temperatura si abbassava sempre di più. Strofinandosi le mani, più e più volte in cuor loro ringraziarono di nuovo la principessa per quel dono semplice ma veramente indispensabile.

Ciononostante, con il trascorrere dei minuti, il freddo iniziò a farsi insopportabile. "Non possiamo continuare così, se restiamo qui fermi non riusciremo a superare la notte!" disse Pegasus, battendo visibilmente i denti.

Ricordandosi del dono di Alcor, i Cavalieri tirarono fuori i rametti e gli sterpi che non avevano perso nella scalata, disponendoli nel punto più riparato. Sirio si alzò, colpendo con il taglio della mano la parete rocciosa, e facendo cadere due pietre ruvide e aguzze. Sedutosi di nuovo, le batté fra loro fino a produrre delle piccole scintille che, cadendo sugli sterpi, fecero prendere loro fuoco immediatamente. I quattro Cavalieri si accoccolano intorno alla debole fiamma, rannicchiandosi in silenzio nei mantelli in attesa che la notte passasse.

Finalmente, poco prima del sorgere del sole, anche la tempesta sembrò riconoscere i loro sforzi e rinunciò ad infierire ulteriormente. Il cielo si rasserenerò di colpo, tingendosi di bagliori cremisi sempre più intensi. Alzatisi in piedi, gli eroi si scossero la neve di dosso, restando in attesa dell'apparizione di Bifrost.

Non appena i tiepidi raggi di sole comparvero all'orizzonte, uno spettacolo naturale straordinario si svolse davanti a loro. Lo scintillio del ghiaccio che danzava nell'aria spezzò la luce nei sette colori che la compongono, intrappolandoli al suo interno, e disegnando la metà di un arco la cui fine si perdeva nel cielo stesso. L'immagine iridescente acquistò solidità, come se a quelle temperature persino la luce fosse destinata a chinare il capo alla morsa del gelo.

Osservando con gli occhi aperti, i ragazzi videro comparire a poche decine di metri da loro l'estremità del leggendario Bifrost. Senza perdere nemmeno un secondo, corsero verso il ponte, salendovi dopo appena un attimo di esitazione, e scoprendo che, proprio come detto da Ilda, poteva reggere il loro peso senza alcun problema.

Ciononostante, memori del suo avvertimento cominciarono a correre, e ciò salvò loro la vita perché, dopo appena pochi attimi, si accorsero che l'estremità alle loro spalle aveva già iniziato ad affievolirsi, tornando trasparente per poi svanire, a dimostrazione che neanche il ghiaccio di Asgard bastava a tenere a lungo imprigionato il sole.

Non avendo scelta, i ragazzi continuarono a correre il più velocemente possibile, nonostante gli arti ancora intorpiditi dal freddo e dalla fatica della scalata. Solo quando, dopo parecchi minuti, sentirono di nuovo una superficie solida sotto i piedi, osarono fermarsi e rifiatare.

Voltandosi, si resero conto di essere come sospesi nel vuoto. Skarglittertind era scomparsa alle loro spalle, nuovamente avvolta nelle nubi, mentre davanti non si scorgeva la fine di quello strano ponte. Consapevoli di non avere tempo da perdere, i Cavalieri ripresero la corsa verso la loro destinazione, solo per essere sorpresi da una nuova bufera, persino più violenta di quella che li aveva tormentati durante la scalata.

Stavolta privi di qualsiasi riparo, si strinsero nei mantelli, facendo attenzione a piantare bene i piedi per non essere spazzati via. La visibilità però era inesistente, a stento riuscivano a scorgere l'un l'altro. Avevano appena deciso di rallentare, quando una raffica improvvisa fece perdere l'equilibrio a Cristal, che, scoprendo solo in quel momento di essere sul bordo, scivolò e cadde dal ponte sotto gli occhi atterriti degli amici.

"Cristal!!!" urlò Dragone, lanciandosi in avanti per cercare di afferrarlo, ma Andromeda fu più rapido e lanciò subito la sua catena. Le nubi però impedivano di vedere se l'arma avesse svolto il suo compito. Con il cuore che gli martellava in petto per la paura, Andromeda gridò "Ci seiiiii???"

Per diversi secondi, l'unica risposta sembrò essere l'ululare del vento. Poi però i tre amici udirono, con sollievo, la risposta affermativa del Cigno. Sorridendo, Andromeda richiamò la sua arma per tirar su l'amico, che Pegasus e Sirio aiutarono a risalire sull'arcobaleno.

Cristal ebbe appena modo di rimettersi in piedi, che dal nulla arrivò un poderoso fascio di energia, cogliendo tutti loro di sorpresa ed atterrandoli.

"Che cosa è stato?!" si chiese Pegasus. La risposta non tardò ad arrivare.

Dalla nebbia emerse la sagoma di un uomo, vestito con rozzi indumenti di lana ed in testa un elmo metallico. Sorridendo minacciosamente, si avvicinò ai Cavalieri con passi lenti, e dichiarò con tono sicuro "Sono Heimdall, il custode di Bifrost. Chi di voi vuole essere il primo a precipitare nell'abisso? Ah ah ah!"

La sua risata riecheggiò sinistramente nell'aria.