LE OMBRE DEI PADRI

Avvedendosi all’ultimo istante delle sfere infuocate di Surtur, Sirio sollevò lo scudo per difendersi, cercando contemporaneamente di non perdere il controllo sulle ali dell’armatura divina che indossava. Per qualche attimo la corazza, brillante come la scaglia di un vero dragone, sembrò poter reggere senza alcuna fatica alle ondate di fiamme e calore, ma ad un tratto una delle sfere esplose a pochi metri dalla sua testa, e la deflagrazione lo investì con la forza di un maglio.

Stordito, il ragazzo precipitò mortalmente verso terra, attraversando in pochi secondi le centinaia di metri che lo separavano dal suolo di Avalon e scomparendo in una zona avvolta da una nebbia particolarmente fitta, che lo fece sparire alla vista.

Destato dal vento freddo della caduta che gli sbatteva sul viso riaprì improvvisamente gli occhi, ma nel momento stesso in cui cercò di planare con le ali si rese conto che era troppo tardi per evitare l’impatto, e non potè far altro che provare a ruotare il corpo in modo da assorbire il più possibile l’urto con le braccia e le spalle, nella speranza che la veste forgiata da Zeus fosse in grado di resistere ad un primo test così violento.

Un attimo dopo però, ad investirlo fu una sensazione inaspettata, gelida e pungente, ma anche meno dolorosa di quel che si aspettava. Non sull’arida terra era precipitato, ma in acqua, buia e fredda. E soprattutto abbastanza profonda da rallentare ed infine frenare la caduta, permettendogli di nuotare rapidamente verso la superficie finchè aveva ancora aria nei polmoni. Riemergendo, inspirò profondamente, cercando di orizzontarsi.

"Che sia il Mare del Nord?" si chiese, vagamente memore di essersi trovato in linea d’aria non troppo lontano dai confini di Avalon prima di cadere. Quasi subito però potè scartare questa possibilità: anche se la nebbia rendeva difficile orizzontarsi, sentiva attorno a se la flebile aura mistica che, seppur lordata dal nero cosmo di Erebo, ancora impermeava l’isola sacra.

"Non è fiume o torrente, le acque sono calme, il fondale profondo. E’ una specie di conca… un lago, che a causa della nebbia non avevamo scorto dall’alto…" comprese, iniziando a nuotare in una direzione a caso alla ricerca della riva. Non era ferito, e avrebbe potuto facilmente saltare in aria e volare di nuovo sulle ali della sua armatura, alla ricerca degli amici, ma si sentiva a disagio, e soprattutto era consapevole che uscire allo scoperto senza conoscere il luogo in cui si trovava avrebbe potuto renderlo vulnerabile ad un altro attacco.

"Non era il cosmo di Erebo quello che ci ha abbattuti, altri sono qui su Avalon, al suo comando! L’avevamo previsto, ma siamo caduti lo stesso in pieno nella loro trappola. Non eravamo concentrati sulla battaglia imminente, ma in preda a pensieri e timori per coloro che abbiamo lasciato ad Asgard! Non è certo così però che ne ricambieremo la fiducia e, Atena non voglia ciò, il sacrificio!" pensò, maledicendosi per quella distrazione. Esercitare il distacco era stata una delle prime lezioni impartitegli dal maestro dei Cinque Picchi, e l’aveva dimenticata proprio nel momento più importante.

Non era comunque questo il tempo per rimpianti e autocommiserazione. Numerosi cosmi si stavano accendendo, ed alcuni di loro gli erano ben noti.

"Gli altri… e sono impegnati in battaglia. Cristal già lotta lontano da qui! Potenti sono i cosmi dei loro nemici, diversi per natura ed ampiezza ma carichi di risentimento e brama! Chi staranno affrontando?" si chiese, prima di fare un profondo respiro ed immergersi.

Lasciandosi trascinare dal peso dell’armatura, attese di toccare il fondo del lago: era leggermente in pendenza, e più vicino rispetto a quando era precipitato. "La direzione per la riva è questa!" pensò, riemergendo ed iniziando a nuotare più velocemente.

Contemporaneamente però un suono colse la sua attenzione, facendolo voltare di scatto. Qualcosa era caduto nel lago, sollevando schizzi con un tonfo sordo prima di affondare.

"Qualcosa… o qualcuno!" notò. Non poteva avvertire alcuna presenza nei dintorni, ma i sensi erano comunque tesi in allarme, abituati alla presenza di predatori dai lunghi anni dell’addestramento tra le selvagge montagne di Cina, dove tigri ed altri animali selvatici non erano certo rari.

Neanche quest’esperienza però bastò a prepararlo a quello che accadde. Con un gorgogliare improvviso, le acque del lago, fino a quel momento immobili, si agitarono con violenza dirompente attorno a lui, sballottandolo e minacciando di sommergerlo. Contemporaneamente, un vento tempestoso diradò leggermente la nebbia, permettendogli di vedere meglio quel che stava accadendo a solo poche bracciate di distanza.

"E’ una tromba marina?!" comprese, cercando invano di resistere alla corrente che iniziava a trascinarlo via, verso il fondale e, probabilmente, la morte.

"Non ho scelta!" decise allora, stringendo i denti e dandosi con un colpo di reni la spinta per liberarsi dalle acque in tempesta e balzare in aria. In tutta risposta, il gorgo sembrò seguirlo, innalzandosi come un serpente ed avvolgendolo, intrappolandolo nonostante i suoi sforzi. Subito il Cavaliere bruciò il suo cosmo per liberarsi, ma, anzichè trascinarlo verso il fondo, il vortice si concentrò in una sfera attorno a lui ed infine esplose, sbalzandolo malamente a molti metri di distanza.

L’impatto spinse l’aria fuori dai polmoni del ragazzo e fu più duro del previsto, ma nonostante tutto portò con se un gradito cambiamento, perché, con un misto di sorpresa e sollievo, Sirio si accorse di essere finalmente di nuovo sulla terraferma. Immediatamente, balzò in piedi e sollevò la guardia, facendo appena attenzione all’ambiente che lo circondava e ben consapevole che il vortice che l’aveva intrappolato non era affatto un fenomeno naturale.

Come a conferma di questi timori, le acque del lago si alzarono minacciose un’ultima volta, prima di abbassarsi di nuovo e infine spalancarsi davanti a lui. Quel che emerse fu una figura talmente enorme che Sirio pensò trattarsi di un tronco secolare o qualcosa di simile, e solo dopo qualche attimo comprese che invece era una creatura vivente.

"E’ così sei tu la mia vittima predestinata! Ironica è la sorte, l’armatura che indossi ha l’effigie del Dragone… ma non basterà a salvarti da me, perché è Jormungander colui che hai di fronte!" esclamò l’essere con voce tonante.

Sbalordito, Dragone non potè trattenersi dall’indietreggiare qualche passo e spalancare gli occhi. Aveva già incontrato guerrieri giganteschi, come Toro o Docrates, Thor di Asgard o Stand, lo Spectre di Ade, ma Jormungander superava tutti loro in stazza. Slanciato e relativamente esile, se non altro rispetto al custode della Seconda Casa o a quello della Quinta Prigione, era comunque alto più del doppio del Cavaliere, con gambe ben piazzate e braccia enormi, che lo facevano somigliare ad un gigante più che ad un essere umano o un Dio. Completamente calvo, indossava un’armatura bianca sul ventre e grigia sul dorso, aderente al punto da sembrare quasi una seconda pelle, come la strana corazza che il giovane aveva visto indosso a Serpente di Mare anni prima, nelle acque dei Caraibi. La veste, apparentemente composta da centinaia di piccole squame sovrapposte, copriva interamente il suo corpo ed appariva abbastanza flessibile da piegarsi con esso alle articolazioni. Era quasi del tutto priva di evidenti segni distintivi, le uniche eccezioni erano una sorta di coda di serpente avvolta quattro volte a spirale attorno al torso prima di terminare sul fianco destro, ed un diadema a maschera, che copriva gli occhi e la parte superiore del volto come una specie di visiera.

La pelle del gigante, per quel poco che si poteva vedere dal resto del viso, era di un bianco spettrale, un colorito albino spezzato solo occasionalmente dalle tinte violacee di alcune vene superficiali, e sembrava raggrinzita, più simile a quella di una creatura marina che di un essere umano.

Nell’osservarlo, Sirio non potè fare a meno di pensare alla profezia cui aveva assistito nel futuro, ai piedi di quel che restava del monte Olimpo, quando delle misteriose figure comparse dalla nebbia avevano a loro dire mostrato quella che sarebbe stata la sua morte, trafitto da un tridente nero. Un attimo dopo però il Cavaliere scacciò quei pensieri, concentrandosi piuttosto sull’avversario, e sul nome che aveva dichiarato poc’anzi. "Jormungander, il serpente di Midgard nel mito nordico!" pensò, memore della leggenda del Ragnarok e della descrizione dell’immenso serpente, che giaceva avvolto attorno alla terra tutta.

"Anche tu, che appartieni alle leggende dell’estremo Nord, sei uno dei servi di Erebo che è divinità greca?"

"Divinità greca… quanto ti sbagli. Il sommo Erebo è tenebra e oscurità, è il caos primigenio che esisteva all’origine del creato e che un giorno tornerà ad avvolgere ogni cosa, è la notte che giunge dopo ogni tramonto ed il brivido lungo la schiena dei viandanti perduti! Egli è superiore a mere distinzioni territoriali quanto una tempesta lo è del confine tra due regni. Ed io, che hai dileggiato chiamando servo, sono uno dei suoi Imperatori, i guerrieri dell’Apocalisse che lo aiuteranno a portare l’oscurità sui nove mondi!" rispose fiero Jormungander, squadrando nel contempo il suo avversario.

Dopo che l’ebbe fatto, sospirò scuotendo la testa. "La mia vittima predestinata ti ho definito, ma non è così… non sei Thor, figlio di Odino, ma solo un essere umano, che ha avuto la sventura di precipitare nelle acque del mio lago. Mi è stato detto che voi cinque Cavalieri avete compiuto grandi imprese, favoriti senz’altro da una sorte amica. Ma stavolta il fato ti è stato avverso, se fossi caduto altrove ti avrei lasciato volentieri ad altri…"

"Questo lago quindi ti appartiene? E’ per questo che, mentre il resto di Avalon è ridotto ad arido deserto, qui c’è ancora acqua?" domandò Sirio incuriosito.

"Hai ben visto. Ho chiesto al sommo Erebo di lasciarlo intatto, l’acqua è ambiente che mi si addice ben più della sterile terra, dopotutto nelle profondità marine ho trascorso la mia esistenza! Ma non credere che combattere sulla riva ti darà un vantaggio, qualunque sia il campo di battaglia la mia forza è suprema!" minacciò.

"Una forza votata alla tenebre sarà sempre destinata alla sconfitta, se contrastata da un cosmo lucente!" ritorse Dragone, che puntualizzò queste parole avvolgendosi della sua aura scintillante.

Senza nulla da aggiungere i due si lanciarono all’attacco, correndo uno verso l’altro fino a portarsi a ridosso. Scegliendo il momento migliore, Dragone balzò in avanti caricando il pugno, e contemporaneamente Jormungander fece scattare il braccio, con un movimento talmente rapido da sollevare folate di vento abbastanza violente da ridurre l’impeto dell’assalto del Cavaliere, che si ritrovò in piena traiettoria del colpo del nemico.

"Un colpo di reni!" si disse, piegandosi improvvisamente di lato per schivare. Fu una reazione quasi istintiva ma efficace. Nel sentire il pugno scivolare innocuo a diversi centimetri dalla sua testa il ragazzo si preparò a passare all’offensiva, concentrandosi per entrare all’interno della guardia avversaria. In quel momento però qualcosa esplose lateralmente accanto a lui, investendolo alla tempia, la spalla ed il fianco, e scaraventandolo a terra, accompagnato dalla risata di Jormungander.

"Mi ha raggiunto comunque… com’è possibile?!" si chiese rialzandosi e scrutando l’avversario che nel frattempo stava ancora sogghignando.

"Credevi di avermi evitato, ma ti sbagliavi. Non è così facile schivare i colpi che sferro!" esclamò, facendo scattare di nuovo il pugno in avanti nonostante la distanza che lo separava da Sirio fosse di qualche metro. Un momento dopo, Dragone sentì come un maglio centrarlo in pieno petto, sbattendolo al suolo e facendolo strisciare tra ciottoli e sabbia.

"Uh uh uh, hai capito adesso? O vuoi vedere di nuovo?" rise l’Imperatore, agitando di nuovo il pugno. Stavolta però Dragone balzò di lato, rotolando sulla ghiaia e rialzandosi in piedi mentre nel punto in cui si era trovato un istante prima compariva un piccolo cratere.

"E’ come… contro Krisaore…" comprese il ragazzo, ripensando per un attimo alla lancia d’oro del Generale degli Abissi e guardando di sottecchi l’avversario. "La forza con cui fendi l’aria è tale che persino lo spostamento d’aria diventa pericoloso come un colpo reale!"

"Che intuito…" commentò beffardo. "Se la tua abilità guerriera è pari a quella da pensatore, questo scontro potrebbe rivelarsi almeno un po’ interessante!"

Queste parole di scherno fecero infiammare il cosmo di Dragone. "Dio o Imperatore, non dovresti sottovalutare il tuo avversario! Altri hanno pagato a caro prezzo questa leggerezza!" esclamò con orgoglio, balzando in aria e sferrando una serie di fasci di luce e poi un calcio volante che centrò il nemico in pieno petto.

"Non è leggerezza!" rispose Jormungander, senza neppure barcollare mentre il contraccolpo faceva cadere Sirio all’indietro. "Ho rispetto della tua forza… ma per chi era predestinato a combattere contro il possente Thor, l’abilità di un uomo è misera cosa!"

Con un gesto rapidissimo nonostante la stazza, l’Imperatore afferrò la gamba del Cavaliere prima che toccasse terra e lo sollevò sopra la testa, facendolo girare vorticosamente. "Giovane drago, riconosci la superiorità di chi è ben più antico e potente di te!" ruggì, lanciandolo improvvisamente nel lago.

Schizzi gelidi bagnarono il volto sorridente e fiero del guerriero, che già stava per voltarsi. Un momento dopo però, le acque furono invase da un bagliore verde smeraldo ed un’onda si innalzò sulla riva, facendo emergere il Cavaliere di Atena. "La via verso il palazzo di Erebo è ben lunga, finchè non l’avrò raggiunto non mi lascerò sconfiggere! Colpo Segreto del Drago Nascente!!" tuonò, scatenando la sua tecnica di base.

"Il colpo del Dragone…!" commentò Jormungander, piegando le braccia e gonfiando il petto mentre il drago di energia saettava verso di lui. "Che venga pure, ma sono destinate ad infrangersi le sue zanne sul Serpente di Midgard!"

Con un bagliore accecante il Drago Nascente centrò l’obiettivo, ma incredibilmente neppure la sua energia bastò a smuovere Jormungander, che rimase immobile, con i piedi ben piantati a terra.

"Riesce a resistere al Drago Nascente… senza neppure alzare le difese!" realizzò sbalordito ed incredulo Sirio.

"Difese? Non ne possiedo alcuna! Solo questo corpo titanico ed uno spirito incrollabile, frutti di una genìa a lungo disprezzata!" disse con forza l’Imperatore, prima di iniziare a camminare e poi addirittura a correre verso Dragone, nonostante la spinta avversa del colpo segreto si stesse ancora abbattendo sul suo corpo.

"E’ impossibile… sta annullando il Drago Nascente come se non fosse che un capriccio del vento!" balbettò il ragazzo mentre l’energia del suo colpo segreto si disperdeva nell’aria senza causare alcun danno al nemico.

"Al cospetto di Jormungander qualsiasi cosa è un capriccio del vento!" esclamò il gigante, portandosi a ridosso dell’eroe e colpendolo in pieno addome con un montante che lo sollevò da terra, facendogli sputare sangue.

"Non è più solo la pressione dell’aria! Ora vedrai la vera forza delle mie braccia!" minacciò, intercettandolo con un secondo pugno, stavolta dall’alto verso il basso e facendolo sprofondare in acqua. Altri due colpi seguirono in rapida successione, impedendo al Cavaliere di riemergere, e ben presto la superficie del lago si tinse di rosso.

Un momento dopo però, un fendente dorato divise le acque, disegnando un’arco sulla spalla sinistra di Jormungander, la cui espressione per la prima volta divenne una di sorpresa mentre un sottile rivolo di sangue gli macchiava il corpo. Contemporaneamente, Sirio balzò sulla riva, il respiro affannoso, il volto grondante sangue ed acqua, il braccio destro sollevato.

"Excalibur, l’arma divina! Nulla può resistere al suo taglio, non importa quanto impervia sia la tua armatura!" disse, rispondendo alla muta domanda dell’avversario, che stava guardando la ferita alla spalla con un misto di stupore e curiosità.

"La spada di Oberon, signora di Avalon! Si dice che il suo taglio sia pari a quello di Balmung, la lama di Odino. E così ne sei padrone… forse ti avevo realmente sottovalutato…" concesse l’Imperatore voltandosi. Sul suo viso però era disegnato un sottile sorriso. "Ma anche tu hai sottovalutato me!"

Sbalordito, Dragone spalancò gli occhi chiedendosi se i sensi lo stessero ingannando. Davanti a lui, la ferita sul corpo di Jormungander si stava richiudendo, risanandosi nell’arco di pochi istanti. Di fronte al suo stupore, il sorriso del gigante si allargò. "E’ come una seconda pelle l’armatura che indosso, ed essa non ama vedermi soffrire! Qualsiasi ferita, anche la più grave e profonda, è destinata a guarire nel breve tempo di un respiro… e per un taglio sottile come il tuo non è necessario neanche quello!"

A conferma di questa verità, il Serpente di Midgard sollevò il braccio, nuovamente indenne. "Capisci adesso di non avere speranza alcuna? Un gabbiano precipitato nelle profondità oceaniche con un’ala spezzata avrebbe maggiori possibilità di ritornare a volare! E in fondo me ne dispiace, in fin dei conti non mi interessa la tua vita… se potessi ti direi di voltarti e fuggire abbandonando Avalon, andando a morire dove più ti aggrada! Ma non posso, da troppo bramo la vittoria, coronamento di un sogno che non è solo mio! E per conquistarla dovrò annientare te!" concluse, portandosi la mano al viso e sollevando la visiera, lentamente, quasi a sottolineare l’importanza di quel gesto.

Confuso dalla sacralità di quel movimento, Sirio vide per la prima volta gli occhi dell’Imperatore, e non potè trattenere un brivido. Se l’occhio destro aveva infatti normali fattezze umane, quello sinistro era stretto e sottile, con il bulbo interamente nero e la pupilla verticale, circondato da vene e nervi che risaltavano scuri sulla pallida carnagione del gigante. L’effetto era straniante, quasi come se due creature diverse coabitassero in quel volto. Ad accomunarli era solo il colore dell’iride, un giallo dorato e minaccioso.

"La prova di chi io sia…" disse in tono mesto Jormungander, mantenendo lo sguardo fisso sul Cavaliere. Istante dopo istante, Dragone si accorse di non riuscire a distogliere l’attenzione, come se una forza superiore, un misterioso potere magnetico gli impedisse di guardare altrove. E, lentamente, avvertì anche qualcos’altro. Un senso di nausea e vertigini, brividi di freddo, un dolore difficile da localizzare ed una vaga difficoltà nel pensare.

"E’ finita…" disse alla fine, Jormungander dirigendo finalmente altrove lo sguardo, mentre il Cavaliere sentiva le forze venirgli meno.

"Che… che cosa mi hai fatto?" domandò a fatica, strofinandosi gli occhi con una mano.

"Ho vinto questa breve lotta, se tale si può definire lo scontro quando le forze in campo sono così diverse" rispose. "Nel mio corpo scorre un letale veleno, la fiele destinata ad abbattere il potente Thor! Essa non risiede nelle zanne, come vorrebbe la leggenda, ma negli occhi… in questi miei occhi che tanto a lungo ho odiato. Ti è bastato incrociare il mio sguardo per subirne gli effetti…"

A queste parole, Sirio impallidì, mentre la visione dell’Olimpo si riaffacciava prepotentemente sui suoi pensieri. Con uno sforzo di volontà la scacciò di nuovo, cercando di concentrarsi su quel che il nemico aveva detto. Poteva sentire il veleno agire dentro di se, diffondendosi tra le membra ed indebolendo i sensi, ma il suo corpo era incolume, privo di ferite che non fossero i lividi dei pugni subiti o quel che restava delle battaglie sul monte sacro.

"Non ho neppure avvertito il suo cosmo… è impossibile che un solo sguardo causi tali devastanti effetti… dev’essere un inganno… un’illusione!" mormorò, sbattendo più volte le palpebre. E accorgendosi che lentamente le ginocchia si erano piegate, fin quasi a farlo accasciare a terra senza che neppure lo notasse.

"Non è un inganno!" esclamò stentoreamente Jormungander, fissandolo con un misto di trionfo e pietà. "Abbandona la lotta e lasciati andare, è impossibile contrastare l’effetto del mio veleno, un Dio non avrebbe scampo. Pochi minuti e la vita ti avrà abbandonato! Pochi minuti… e potrò assaporare la prima vittoria!"

"Lasciarmi andare?" ripetè il Cavaliere con disprezzo, rialzandosi di scatto. "Non l’ho mai fatto in tante battaglie, nemmeno quando erano i maestosi Dei dell’Olimpo a sbarrarmi il passo! Se anche mi restassero davvero solo pochi minuti da vivere, li trascorrerei combattendo fino all’ultimo respiro!"

Nel sentirlo parlare in questo modo, Jormungander non rispose nulla, ma un sorriso sincero gli si disegnò sul viso.

"Preparati, la vittoria che tanto cerchi è più lontana di quel che pensi! Colpo Segreto del Drago Nascente!!" gridò Dragone, scagliando il suo colpo segreto. Con un gesto fulmineo, Jormungander sollevò il braccio, lasciandolo infrangere su di esso, ma contemporaneamente Sirio gli si gettò a ridosso, concentrando tutte le energie in un calcio al ginocchio.

Colto di sorpresa, l’Imperatore barcollò un istante, sferrando contemporaneamente un destro. Il ragazzo però, ormai consapevole della pericolosità di quei colpi, lo deviò facendolo scivolare lungo lo scudo, e nello stesso momento si diede la spinta per scattare in avanti e centrare l’imponente nemico all’addome con una ginocchiata, cui fece seguito una scarica di pugni.

Jormungander barcollò ancora un’attimo, sbilanciato, ma poi reagì con un calcio che esplose con violenza inaudita sulle braccia incrociate del Cavaliere, scaraventandolo di molti metri all’indietro. Seppur parato dai bracciali ed in generale dalla tempra della sua nuova armatura, quel colpo rimbombò nella testa di Sirio con tanta forza da causargli un dolore acuto lungo la colonna vertebrale e fargli chiudere per un attimo gli occhi. Tutte le articolazioni del corpo gli dolevano in maniera diffusa ma profonda, come se una malattia si stesse rapidamente impadronendo del suo organismo.

Fu un grido maestoso dell’avversario a riportarlo alla realtà. Correndo come un ariete, Jormungander lanciò la propria enorme massa contro di lui, cercando di schiacciarlo con una spallata. Reagendo d’istinto, Sirio sferzò l’aria con un fendente e poi scartò lateralmente, lasciandolo abbattere su una parete rocciosa che crollò attorno a lui come fragile cristallo, senza peraltro rallentarlo minimamente.

"E’ come affrontare una belva, neppure il Minotauro era dotato di una forza simile!" pensò Dragone, saltando indietro per sfuggire ad un tentativo di presa. Di fronte ai suoi occhi, un leggero taglio sul fianco aperto dal suo ultimo attacco si richiuse come se non fosse mai esistito.

"Non riuscirò mai a portare a segno un attacco efficace se continuo a restare sulla difensiva!" pensò, accigliandosi. Un istante dopo, il suo cosmo avvampò avvolgendolo, ed il Cavaliere si lanciò di nuovo in avanti, caricando le forze nel pugno.

"Colpo Segreto del Drago Nascente!!"

"Sciocco, vuoi tentare di nuovo una tecnica che si è già mostrata inutile contro di me? Ti credevo più saggio!" criticò l’Imperatore, lasciando nuovamente che il raggio di energia si abbattesse su di lui. Quando la luce si fu diradata però, si accorse che, anzichè restare fermo a sostenere l’attacco, Dragone ne aveva approfittato per portarsi ancora una volta a pochi passi di distanza, mentre l’aura che avvolgeva il suo braccio destro brillava intensissima.

"In nome tuo, Capricorn! Excalibur!!" gridò, conficcando la spada sacra nel fianco dell’Imperatore ed affondando l’arto quasi fino al gomito. Flotti di sangue schizzarono a terra, grondando abbondantemente lungo le gambe del Serpente di Midgard e gocciolando al suolo, in una piccola polla. Per la prima volta, il guerriero dell’Apocalisse sentì un dolore profondo attraversargli le membra, facendolo barcollare, mentre un filo di sangue gli usciva anche dall’angolo della bocca.

Anzichè cadere però, egli rimase saldamente in piedi, mentre un sorriso gli si disegnava in volto.

"E così è questo quel che viene chiamato dolore… l’avevo dimenticato, da così tanto non lo provavo!" mormorò, prima di abbassare le mani ed afferrare Dragone per le spalle, stringendo con forza, estraendone il braccio dal corpo e sollevandolo fino all’altezza del proprio viso per poterlo guardare in faccia.

"Ti sono grato, Cavaliere di Atena! Avresti potuto lasciarti morire senza soffire, ma rifiutando la resa mi hai donato una vera battaglia… un ricordo che serberò per sempre nel mio cuore! Ma per quanti siano i tuoi sforzi, l’epilogo del nostro duello è già scritto: nemmeno la grande Excalibur può bastare a darti la vittoria!" proclamò, indicandogli di guardare la ferita che aveva appena aperto. Abbassando lo sguardo, Sirio si accorse con orrore che essa aveva già smesso di sanguinare e stava richiudendosi a velocità sorprendente.

"Una lama così sottile non potrà mai uccidermi, mi dispiace!" esclamò Jormungander, stringendo la presa attorno al corpo del Cavaliere, che sentì le ossa scricchiolare all’interno del Dragone del Cielo. Un istante dopo, di fronte ai suoi occhi inorriditi, sottili crepe si aprirono sui coprispalla della corazza, nei punti in cui la presa dell’Imperatore era massima.

"E’ impossibile… l’armatura divina, la corazza rinata con il sangue degli Dei… sta frantumandola a mani nude!" realizzò incredulo, incapace di trattenere un grido di dolore.

"No… non posso morire così!" si disse, stringendo i denti e richiamando tutte le forze che gli restavano facendo esplodere il suo cosmo. Con un colpo di reni, fece leva sulla stretta stessa dell’avversario e ne colpì i polsi con una doppia ginocchiata, riuscendo ad allentare la presa abbastanza da sgusciare via e liberarsi.

"Le armi a mia disposizione non sono ancora finite! Preparati a ricevere la tecnica più potente di cui sono padrone, il colpo finale tramandatomi dal mio maestro!" gridò, avvolgendosi della luce accecante della sua aura.

"Brucia mio cosmo, in nome di Atena! Colpo dei Cento Draghi Nascenti!!" urlò, liberando la furia della sua arma più devastante. I leggendari dragoni di Cina si innalzarono ruggenti, saettando verso il bersaglio pronti a ghermirlo.

Alla vista delle fauci dei Cento Draghi, persino Jormungander parve sorpreso, anche se solo per un breve istante. "Un colpo notevole, degno di guerrieri entrati di prepotenza nel mito con la nomea di deicidi… ma purtroppo per te il mio veleno sta già indebolendo il tuo cosmo. Ed anche se così non fosse…"

Nel proferire queste parole, il gigante chinò il capo, mentre per la prima volta un’aura biancastra lo avvolgeva. Era del tutto deforme, priva di qualsiasi simbolo o impronta, ma al tempo stesso era immensa, talmente gigantesca da avvolgere il cielo e la terra, estendendosi sull’intera superficie del lago.

"Anche se così non fosse, le mie risorse sono troppo superiori!" concluse, facendo scattare il pugno in avanti e liberando un singolo fascio di energia, ampio come il tronco di un’albero. Senza alcuno sforzo, esso polverizzò i Cento Draghi, disperdendoli come se non fossero altro che insetti, e si abbattè su Sirio.

L’eroe fece appena in tempo a sollevare lo scudo che venne spazzato via con un grido di dolore, sbalzato contro la parete rocciosa e poi fino al cielo, prima di precipitare impotente al suolo dove l’impatto fu tale da aprire un piccolo cratere.

In un lago di sangue, il ragazzo giacque agonizzante, a stento in grado di muoversi. "Se non fosse stato per lo scudo e l’armatura sarei sicuramente morto. Non ho mai incontrato… una forza in grado di schiacciarmi in maniera così totale! E’ davvero possibile sconfiggere costui?" si chiese, riaprendo a fatica gli occhi e alzando lo sguardo. Jormungander si era portato sull’orlo della fossa, e lo osservava mestamente.

"Alfine giunge la mia prima vittoria…" commentò asciutto.

"La… la vittoria… più volte hai detto di desiderarla… perché?" mormorò in risposta il Cavaliere, memore dei numerosi riferimenti sibillini fatti in precedenza dal suo nemico.

Jormungander parve considerare per alcuni secondi la domanda, prima di alzare lo sguardo al cielo. I suoi occhi erano celati dalla maschera, eppure Sirio poteva quasi vederli, pensosi e rimuginanti.

"Perché ottenendola supererò Loki, tessitore d’inganni, che nonostante i suoi sforzi mai ha riportato vittoria sul nobile Odino!" disse alla fine l’Imperatore.

"Loki, il principe dell’inganno?" si scosse Dragone, memore del mito nordico, e delle empie gesta del più vile dei figli di Odino, consegnate all’eternità da bardi e scrivani.

"Hmpf… proprio così! Loki… colui che più ho amato… colui che più ho odiato: mio padre!" sospirò il gigante, abbassando lo sguardo per cercare gli occhi del Cavaliere, alla ricerca di tracce di scherno. Non ne trovò però alcuna, ed in fondo la cosa non lo stupì, perché nel corso di quel breve duello aveva percepito la nobiltà nell’animo del suo avversario.

"Spiegati…" domando soltanto l’eroe.

"E’ il tuo ultimo desiderio? Mi hai fatto dono di una battaglia degna, ti accontenterò…" concesse, distogliendo lo sguardo e lasciandosi sprofondare nel mare dei ricordi.

"Perché tu capisca, è necessario che prima ti narri la mia storia. Nacqui io dall’unione tra Loki, Dio di Asgard, e Angrboda, gigantessa di Jotunheim. Un’unione maledetta dal fato, il cui frutto furono tre figli destinati ad empie imprese.

"Dei numerosi abitanti dei nove mondi di Yggdrasill, nessuno è più disprezzato dei Giganti di Jotunheim, unici abitanti di quella landa desolata dove vige la legge del più forte. Bestie selvagge, schiave delle passioni e degli istinti più bassi, essi sono privi di reale intelletto, come della capacità di generare il cosmo. Questo li rende invisi al creato tutto, e disprezzati dagli Dei! Loki… mio padre… non faceva eccezione. Ma egli desiderava comunque dei figli da poter usare come armi nella guerra cui le Norne lo avevano destinato, il Ragnarok, che avrebbe visto la caduta della casa di Odino. Sedusse così Angrboda, del Bosco di Ferro la vecchia strega, madre della stirpe dei lupi, convinto che il suo cosmo divino avrebbe supplito alle di lei mancanze. Convinto che avrebbe dato vita ad una dinastia in grado di superare entrambe e dargli il potere che tanto agognava. Non tutto però andò come desiderava, una delusione lo attendeva…"

Nell’ascoltare il racconto, Sirio si accorse di quanto l’ombra di quel passato influenzasse il suo avversario. La voce era piatta e distaccata, ma le dita erano serrate in pugni, ed i muscoli tesi evidenti persino sotto l’armatura. L’astio che Jormungander provava era evidente, ma esso risvegliò anche qualcosa nel cuore di Dragone, memorie da tempo sepolte di una vita che a stento ancora ricordava.

Ignaro di ciò, l’Imperatore proseguì.

"Per prima Angrboda partorì Hela, e grande fu la gioia di Loki perché ella era davvero sua figlia. Una Dea, astuta ed oscura, piena padrona del cosmo, dedita alla malvagità al punto che Odino la bandì nelle tristi lande di Hel, di cui divenne sovrana. Si, di lei Loki fu soddisfatto.

"Secondo fu Fenrir dalle spaventose fauci, ibrido selvaggio. Forte era in lui la natura bestiale dei Giganti, ma suo era anche un cosmo potente, degno degli Dei. La sua mente era instabile, ma Loki seppe manipolarlo, ed anche di lui fu soddisfatto!

"Ultimo nacqui io… e bastò uno sguardo alle mie pallide carni a tradire la mia natura. Perché io, Cavaliere di Dragone, sono figlio di mia madre. Non l’astuzia di mio padre ho ereditato, ma la forza bruta smisurata della mia genitrice. Possiedo un intelletto, ma ben lontano da quello di Loki. Possiedo un cosmo, ma sono incapace di plasmarlo, e questo Loki non lo ha mai accettato" riconobbe, serrando il pugno con tanta forza da ferirsi al palmo della mano.

"Se Hela era la figlia prediletta e Fenrir un’utile arma, io non sono che un esperimento fallito, come non ha mai esitato a ricordarmi ogni volta che lo sfidavo in duello, desideroso di costringerlo ad ammirare le mie capacità. Desideroso della sua lode! Ma essa non giunse mai. Nonostante sin dall’infanzia gli fossi fisicamente superiore, la vittoria gli arrise sempre con facilità. Se non fosse per il veleno dei miei occhi, arma malefica che ben si adattava alla prole di un ingannatore come lui, probabilmente mi avrebbe ucciso lui stesso, distruggendo il mio corpo e dandolo in pasto alle fiere! Questo era Loki, signore d’inganni. Questo era mio padre!" esclamò, marcando con forza le ultime parole.

"Era…?" domandò Sirio, ma in realtà consapevole della risposta prima ancora che arrivasse. Qualcosa nel tono dell’Imperatore l’aveva tradita, un rimorso impercettibile che probabilmente sarebbe sfuggito ad altri. Ma non a lui. "No… non a me…" pensò, stringendo il pugno.

"Era, si. Loki l’ingannatore non è più. Insieme ad Ymir signore dei ghiacci, guidò le sue armate alla fine del mondo, e lì tutti loro hanno trovato la morte secoli fa, in battaglia contro gli eserciti di Odino, nello stesso conflitto che ha visto cadere Thor e Tyr, Balder e Vidar e molti altri, che un tempo allietavano le sale del Valhalla con canti guerrieri e boccali di idromele. Le profezie erano sbagliate, il mito del Ragnarok per cui eravamo stati concepiti non potrà mai essere, e con essa la battaglia in cui avrei finalmente potuto mostrargli il mio valore!" concluse, visibilmente amareggiato, abbassando lo sguardo su Dragone, che intanto si era issato su un ginocchio.

"Una cosa però mio padre non ha mai ottenuto, pur con tutte le sue trame: una reale vittoria in battaglia! Quella che mio mi accingo ad avere su di te, Cavaliere di Grecia!" esclamò.

"Per questo la desideri? Per mostrarti migliore di lui?" chiese il Cavaliere, ma non c’era traccia di accusa nella sua voce.

"Per questo, si, e per molto altro! Io odiavo mio padre, la sua arroganza, la sua freddezza, il suo calcolato interesse! Ma al tempo stesso io amavo mio padre, la sua astuzia, la sua caparbietà, la sua tenacia! Era debole per un Dio, ma ambiva a sedere sul trono del Padre di Tutti, su cui altri più potenti di lui non osavano neppure posare lo sguardo!" ammise.

"Nonostante tutto, egli era un modello da raggiungere…" intuì Sirio, incrociando lo sguardo del nemico. "Un traguardo inarrivabile nonostante qualsiasi sforzo, ma nel contempo non così lontano da smettere di tentare! Alla ricerca di un sorriso, un gesto, un’approvazione che magari non arriverà mai…"

"Cosa puoi saperne tu?! Non eri tu a ricevere il suo sguardo di delusa derisione! Non eri tu ad essere additato come fallimento, prova vivente che anche i più grandi possono cadere in errore!" sibilò Jormungander, considerando quel commento un tentativo di circuirlo. Adirato, gli sferrò improvvisamente un calcio che lo scaraventò a terra, con un rivolo di sangue che grondava dall’angolo della bocca Poi però si accorse dello sguardo del ragazzo, della sua espressione contrita. Un’espressione che lui stesso aveva visto più volte, riflessa sulle acque che gli erano tanto care.

"No… ma so cosa significhi amare qualcuno, ammirandone ogni gesto, ma al tempo stesso sperando, quasi bramando un errore, una pecca, una debolezza che lo renda meno perfetto, più vicino… più umano!" ammise Sirio, pulendosi il labbro ed abbandonandosi completamente ad emozioni che con prepotenza si riaffacciavano alla sua memoria.

"Tu sai…" sussurrò Jormungander.

"So… più di quanto lo vorrei…" sospirò, rialzandosi ed guardando il nemico. Alla fine, prese una decisione

"Come tu hai fatto con me, anch’io ti racconterò la mia storia. Solo tre persone la conoscono: il maestro di Cina, che come un secondo padre mi ha cresciuto e allevato. Fiore di Luna, la donna che amo. E Pegasus, che tra tutti è il mio amico più caro. Non è mia abitudine parlarne in battaglia, ma è giusto che tu sappia.

"Come te, anch’io in un certo senso sono figlio di due mondi diversi. Mio padre era ambasciatore cinese a Nuova Luxor, la città dove aveva visto i natali, ma che aveva lasciato in tenera età per farvi ritorno solo decenni più tardi, ormai uomo importante e affermato. Mia madre invece era stata lì per tutta la sua vita, discendente di una ricca e nobile famiglia ormai in declinio. Erano caratteri diversi, lei amante delle arti e del teatro, lui della cultura scritta, ma impararono ad amarsi. Benchè quasi quindici anni d’età li separassero, bastò infatti un solo incontro per spingerli a frequentarsi e, ben presto, a sposarsi.

"Da quell’unione un anno più tardi nacqui io. Non fu però un evento felice, l’abituale gioia ben presto fu dimenticata. La gravidanza ebbe complicazioni, ed esse costarono la vita di mia madre. Crebbi così affidato solo alle cure di mio padre, circondato da domestici… ma anche solo. Egli era un uomo brillante, capace di parlare numerose lingue ed apprenderle senza sforzo, appassionato di miti ed astronomia, matematica e letteratura. Ma anche rigido, reso cinico dagli anni e dalla vita, inflessibile con gli altri e, soprattutto dopo la morte di mia madre, incapace di evidenti gesti d’affetto! Gesti che speravo di ottenere conquistando la sua approvazione… ma era difficile… così difficile! Non erano per lui abbracci e carezze, con aspre critiche giudicava gli altri genitori che a suo dire palesavano troppo apertamente il loro affetto.

"Per quanto mi sforzassi, restava lontano, perfetto e irraggiungibile. Ero piccolo, quattro anni appena, ma ricordo bene l’invidia che provavo nei suoi confronti… il desiderio che qualcosa incrinasse la sua sicurezza, mostrandogli… e soprattutto mostrandomi, che anche lui poteva sbagliare. Finchè un giorno…"

Qui il Cavaliere si interruppe, incapace di dar fiato a quegli ultimi ricordi. Erano i più importanti, ma anche i meno nitidi nella sua mente, cancellati da fiumi di lacrime. Uno scandalo, un coinvolgimento in un’indagine sul crimine organizzato, un’accusa di corruzione, terribile per chiunque, e devastante per un uomo che aveva posto l’onore al centro del proprio modo di vivere. Una promessa che un amico si sarebbe preso cura di lui. Un raro abbraccio, reso scomodo dall’oggetto che stringeva nel pugno, proveniente dalla sua collezione di armi da fuoco. L’ingresso nello studio privato. L’ordine di non essere disturbato. La serratura che scattava alle sue spalle. Un interminabile silenzio. E poi un rumore, assordante come un tuono. Ancora silenzio. Le urla dei domestici. Qualcuno che lo trascinava via. Giornalisti e flash. Una macchina nera. Un orfanotrofio.

E prima di tutto, un ultimo saluto, con parole che - lo sentiva - avevano lasciato un segno nel suo cuore. Non riusciva a ricordarle però, come non ricordava più il volto di suo padre, per quante volte avesse tentato di richiamarlo a se. Una sagoma scura e indistinta, una voce salda, ma nient’altro.

"Tu sai…" ripetè Jormungander, decifrando il suo silenzio. "È triste la tua vicenda, colma di un dolore che conosco bene. Ed è buffo vero, come le pene dell’infanzia e della crescita possano accomunare uomini e Dei? Coloro che da alti scranni si fregiano dei titoli che portano, considerandosi superiori per diritto di nascita, dovrebbero chinare il capo e chiedersi «Davvero lo siamo?». Facile sarebbe allora la risposta, la vedo davanti ai miei occhi adesso…" commentò mestamente.

Poi però sembrò scuotersi e ritrovare decisione.

"Ma nonostante tutto, i tuoi drammi non possono essere paragonabili ai miei, che mai ho conosciuto affetto! Non vi è stato un secondo padre a prendersi cura di me… non ci sono stati amici a sostenermi! E, in fondo, è nella natura stessa delle divinità sopraffare il proprio genitore e prenderne il posto. Fu così per Crono e Urano e poi per Zeus e Crono; fu così per Odino e Borr e sarebbe dovuto esserlo per Loki e Odino! E’ tempo che anch’io faccia lo stesso… sconfiggendo te, Cavaliere, supererò mio padre! Anche troppo abbiamo discorso, è tempo di combattere! Arrenditi ora e ti garantirò una morte rapida, non meriti di soffrire!" dichiarò, sollevando il pugno.

"No, non lo farò, Serpente di Midgard! Anche se le tue risorse sono superiori, mi batterò fino alla fine!" rispose deciso il Cavaliere, mettendo da parte il passato per ritrovare l’espressione determinata che gli era abituale. Un’aura verde smeraldo lo avvolse, candida e brillante, e la figura di un drago si sollevò minacciosa alle sue spalle.

"Non credevo potessi bruciare ancora il tuo cosmo a tal punto… ma non importa, esso non sfiorerà mai l’immensità del mio! Addio, Cavaliere!" tuonò Jormungander, sollevando l’indice e scagliando un fascio di energia. Dragone però lo stava aspettando con lo scudo sollevato.

"Forse no, ma non esiterò comunque!" gridò, lanciandosi frontalmente in direzione dell’assalto nemico con un balzo improvviso.

"Sei impazzito?!" esclamò incredulo l’Imperatore. "Hai rifiutato la resa per poi gettarti in un attacco suicida?!"

"Ho rifiutato la resa perché ancora nutro speranze di vittoria! Le ragioni che ti spingono a combattere le capisco, ma non posso permetterti di esaudire il tuo desiderio. E’ in gioco una posta troppo alta!" disse, colpendo in pieno il raggio di energia con un’esplosione di luce.

Per un istante sembrò sul punto di essere spazzato via, ma poi qualcosa cambiò, e l’attacco di Jormungander iniziò a dividersi mentre l’aura emeraldina si innalzava intensa.

"Sta concentrando… il cosmo nello scudo!" realizzò il gigante, osservando l’avversario continuare a resistere alla potenza del suo assalto. Stava venendo spinto indietro, ma i piedi erano ben piantati al suolo e la cresta sullo scudo spezzava il fiume di energia, dividendolo in due fino a disperderlo.

"Impossibile!" balbettò, prima di serrare minacciosamente i denti. "Ma non era che un dito, preparati alla furia di un vero assalto!!"

Con un grido, incassò il braccio destro nel fianco e si lanciò personalmente all’attacco, con passi talmente pesanti da far tremare la terra. "Stavolta quel piccolo scudo non ti salverà! Questo di Jormungander è il pugno!!"

Un raggio di energia immenso, diverse volte più grande del precedente spazzò l’aria in direzione di Dragone. Gli occhi del Cavaliere si spalancarono, ma un attimo dopo un sottile sorriso gli si disegnò in viso. "Una tale concentrazione di energia non sposta l’aria, ma l’annulla creando il vuoto!" sibilò, chinandosi repentinamente di lato e lasciando che il pugno dell’avversario gli scivolasse accanto. Un attimo dopo, con un gesto improvviso sollevò le braccia, stringendole attorno al pugno teso del nemico. L’energia crepitava sui bracciali e copribicipiti, ma la presa era salda. Contemporaneamente le ali divine si spiegarono.

"Ma… che cosa?!" esclamò sorpreso Jormungander.

"Preparati a volare nell’immensità del cielo, dove la tua gigantesca mole sarà inutile!" minacciò l’eroe, facendo leva sulle gambe e spiccando un salto in aria. Librandosi sulle ali divine i due salirono in alto, oltre la nebbia e le cime montuose, scorgendo l’immensità celeste che li circondava. Poi, senza alcun preavviso, Sirio arcuò la schiena, le ali mutarono direzione e disegnarono un arco nel cielo, facendoli precipitare a piena velocità al suolo, avvolti dall’aura verde del Dragone.

All’ultimo istante, il Cavaliere lasciò la presa e planò via, lasciando schiantare l’Imperatore su alcune rocce, che andarono completamente in pezzi.

"Uuh…" mormorò Jormungander rialzandosi in piedi, con qualche rivolo di sangue sul viso.

"Adesso! Sorgete, draghi, fino al cielo di Avalon!!" gridò Sirio facendo esplodere il suo cosmo con tutte le forze che ancora gli restavano. "Colpo dei Cento Draghi!!!"

"No… non è possibile!" esclamò il Serpente di Midgard incrociando le braccia. I Cento Draghi lo colpirono con forza, frantumando in più punti la sua armatura ed iniziando a spingerlo indietro con forza sempre maggiore.

"Come può il suo cosmo brillare ancora così tanto? Il veleno avrebbe dovuto ucciderlo ormai, e invece continua ad ardere diventando sempre più potente!" si chiese osservando sorpreso l’avversario. "A meno che…"

Un istante dopo, la furia dei dragoni ebbe il sopravvento, scagliandolo contro la scogliera che delimitava parte del lago, e che crollò in pezzi franandogli addosso.

In affanno per lo sforzo, Dragone crollò su un ginocchio, la vista appannata dalla fatica.

"Ho vinto?" si chiese speranzoso.

La risposta non tardò ad arrivare, e non era quella che sperava. Le rocce che avevano sepolto Jormungander vennero avvolte da una luce bianca intensissima, e persino il suolo iniziò a tremare e vibrare. Con un’esplosione accecante che travolse il ragazzo, l’Imperatore si rialzò, sanguinante in diversi punti e con l’armatura piena di crepe, ma anche imponente e minaccioso come non mai.

"Sotto poche pietre non puoi seppellire il Serpente di Midgard, a ben altre pressioni sono abituato!" esclamò, sollevandosi in tutta la sua altezza. A vista d’occhio le ferite sul suo corpo si rimpicciolirono e infine richiusero, lasciando solo sporadiche chiazze di sangue sulla corazza.

"L’ho colpito con tutta la mia forza ma non è bastato… è davvero possibile sconfiggere costui?" si chiese l’eroe, sentendo le energie abbandonarlo.

"Il veleno dei miei occhi avrebbe dovuto ucciderti ormai, e invece più passa il tempo e più il tuo cosmo recupera vigore e vitalità. L’armatura che indossi… è rinata con il sangue di un Dio, non è vero?" domandò il gigante, senza aspettare realmente una risposta.

Sorpreso, Sirio abbassò lo sguardo verso le vesti che indossava. Nella furia della battaglia aveva dimenticato il veleno con cui Jormungander lo aveva colpito, ma in effetti ora si rese conto di non sentirne più gli effetti come nelle prime fasi del duello. Anzichè ucciderlo lentamente, sembrava scomparso.

"Apollo…" sussurrò, sfiorando la corazza. "Il Dragone del Cielo è stato forgiato grazie al sangue del divino Apollo, il cui tocco nel mito guariva gli infermi ed i malati. Possibile che anche quest’armatura…"

"E’ così, non possono esserci altre spiegazioni, il veleno dei miei occhi è fatale!" commentò Jormungander, prima di aggiungere, in tono più cupo "Dunque anche tu sei benedetto dagli Dei… ma neanche questo basterà a salvarti! Se il veleno non può finirti, lo faranno i miei pugni!"

Senza alcun preavviso, Jormungander lanciò un raggio di luce, investendo in pieno il Cavaliere e scaraventandolo a terra. Subito Sirio si rialzò su un ginocchio, ma un pugno esplose sul lato dell’elmo, stordendolo, ed un altro lo centrò all’addome.

"E… Excalibur!" gridò, sferrando un fendente ed aprendo un taglio sul collo del nemico. Taglio che subito si richiuse, mentre una nuova pioggia di pugni si abbatteva su di lui, ciascuno talmente impetuoso che un’armatura normale sarebbe andata in frantumi in pochi istanti.

"La tua difesa è solida, ma non importa! Spuntata è ogni arma a tua disposizione. La mia forza è suprema!" esclamò il seguace di Erebo, colpendolo in pieno alla gamba con un raggio di luce. Sottili crepe si aprirono persino sull’armatura celeste, mentre il Cavaliere veniva scagliato contro la scogliera. Il tempo di raggiungerla che un’altra esplosione lo scaraventò a terra, accompagnata da un devastante calcio nel fianco, e poi un pugno che quasi gli spezzò il braccio.

Sforzandosi di non cadere, l’eroe alzò le mani aprendo i palmi verso l’esterno. "Colpo d… dei…"

Un fascio di luce enorme però lo investì al petto, annullando sul nascere quel tentativo. Poi un pugno, alla base della spalla sinistra, e le crepe aperte in precedenza si allargarono, lasciando emergere schizzi di sangue. "Oh se avessi le zanne e gli artigli di mio fratello, saresti a brandelli ormai!" sibilò l’Imperatore, trascinandolo a se per un braccio e sferrando un altro colpo di energia. Il Cavaliere vomitò sangue, mentre l’addome si contorceva di dolore.

Un altro colpo sull’elmo, poi uno al fianco ed uno al bacino, una ginocchiata all’addome ed una gomitata sulla schiena, all’incrocio delle ali. Il Serpente di Midgard stava ormai prendendo completamente il sopravvento.

"Mi dispiace, ma devo vincerti, per mio padre Loki! Gli mostrerò di essere riuscito là dove lui ha fallito, che soffra per l’eternità al pensiero che io, il figlio che tanto ha disprezzato, l’ho infine superato! Realizzerò il suo sogno, sedendo sul trono di Odino in nome di Erebo, che gioisca nel vedere il sangue del suo sangue tenere alto il suo nome!!" gridò ancora, centrandolo con un montante che lo sollevò in aria. "Addio!!"

L’ennesimo raggio di energia esplose, investendo in pieno il Cavaliere e facendolo volare verso il cielo con un grido di dolore, ferito e sanguinante.

"Che sia come dice? E’ davvero impossibile per me sconfiggere costui? Mi sbagliavo a pensare che il mio cosmo fosse stato temprato dalla corsa sull’Olimpo? Inutili sono state le battaglie contro Efesto ed Apollo, il selvaggio Minotauro ed il nobile Zeus? Vittorie rese possibili solo dal rito cui si erano sottoposti? Solo di Oberon abbiamo visto la vera forza, ed eravamo in cinque contro di lui. In cinque, e non siamo bastati… Jormungander non è al suo livello, ma anche così da solo non ho davvero speranze?" si chiese, sentendosi mancare. "Troppo sottile è il taglio di Excalibur, impotente il Drago Nascente, e nemmeno i Cento Draghi sono stati sufficienti… cos’altro mi resta?"

"La Pienezza del Dragone!" si rispose da solo, scuotendosi e maledicendosi per non averci pensato prima.

"La tecnica proibita che dona il potere assoluto! Usandola potrò almeno aprire la via a Pegasus e gli altri, che non incontrino sulla loro strada questo terribile ostacolo!" si disse, stringendo il pugno e ritrovando determinazione. "Si! E’ l’unica speranza, non importa il prezzo che comporta! Perdonatemi maestro se vi disobbedirò di nuovo! E’ l’unico modo per adempiere alla missione di Zeus!"

Nel dir questo, pensò involontariamente all’ultimo incontro con il signore dell’Olimpo. Alle sue ultime sibilline parole, mentre forgiava per loro le nuove armature, e spalancò gli occhi. "Affinchè un'esistenza possa davvero rifulgere, i limiti sono destinati ad essere trascesi grazie alle catene del controllo!" ripetè, comprendendone finalmente il significato profondo. "Il maestro me ne aveva parlato, di ritorno dalla battaglia di Grecia! Secondo la leggenda, il drago che si innalza al cielo per bruciare nel fuoco astrale non è la vera forma della Pienezza del Dragone! Solo il risultato dell’incapacità di controllarla a pieno… di contenerla! Ma ora possiedo il nono senso, il cosmo supremo! E’ una tenue possibilità, una foglia nel vento, ma è anche la mia ultima speranza! Devo tentare!"

Con un colpo di reni, il ragazzo spiegò le ali, tornando in qualche modo a terra, di fronte ad un sorpreso Jormungander.

"Ancora mi resisti? Ancora vuoi prolungare il tuo dolore? E’ degna di lode la determinazione, ma senza un limite essa si muta in vuota cocciutagine!" lo apostrofò guardandolo. L’armatura era sporca di sangue e numerose piccole crepe erano visibili in più punti, ma i suoi occhi erano ancora colmi di vitalità, e le braccia stese sul torace.

"Non cocciutagine, ma sete di giustizia! Brucia, cosmo del Dragone, che non conosci confini! Brucia fino ai limiti massimi, fino a raggiungere il nono senso degli Dei celesti!!" gridò Sirio, ignorando completamente le parole dell’avversario. La sua aura avvampò intensa, circondandolo di una luce abbagliante.

"Notevole, ma non basta! Preparati al colpo di grazia!" minacciò l’Imperatore, muovendo un passo verso di lui. In quel momento però si bloccò, accorgendosi che il cosmo del Cavaliere stava continuando a bruciare, e soprattutto che stava cambiando forma, trasformandosi in una spirale. "Ma… che cosa?!"

"Di più… di più, mio cosmo! Raggiungi vette di sovrastante altezza! Uaahh!!!" ringhiò l’eroe, dando fondo a tutte le sue energie. Ai suoi piedi, la terra andò in pezzi, spaccata da raggi color smeraldo. Le acque del lago iniziarono ad agitarsi, la nebbia a vorticare, i ciottoli a sollevarsi a mezz’aria e diventare polvere.

"É davvero possibile?!" si chiese sbalordito Jormungander, indietreggiando involontariamente di un passo. L’aria era adesso attraversata da scariche elettriche, veri e propri fulmini di energia di una tempesta che aveva il suo epicentro nel Cavaliere di Atena. Accanto a lui il dragone ringhiava minaccioso, continuando ad avvolgersi attorno al suo corpo. "E’ un’energia infinita… potrebbe distruggere persino me! Possedeva un’arma così potente?!".

"La… la Pienezza del Dragone…" rispose Sirio, parlando a fatica. "La tecnica… del potere assoluto… ugh… grazie ad essa… grazie ad essa ti vincerò…!"

"Non credere che ti sarà facile!" ritorse Jormungander, concentrando il cosmo nel pugno per reagire. Accortosene, Sirio continuò ad espandere la sua aura, quando un’improvviso spasmo di dolore gli deturpò il viso. Nello stesso momento, la spirale iniziò a deformarsi e tremare, mutandosi in una sfera.

"De… devo… riuscire a controllarla…!" mormorò, concentrandosi con tutte le sue energie. Flotti di sangue cominciarono ad uscire dal naso, mentre tagli ed ustioni si aprivano sulle poche parti non protette dall’armatura.

"E’ un potere troppo vasto per un essere umano, rinuncia!" avvertì Jormungander, rendendosi conto di quel che stava accadendo.

"U… uuh… d… devo… aaargh!!" gridò Dragone, chiudendo gli occhi per lo sforzo e sentendo le energie sfuggirgli di mano. Un istante dopo perse il controllo. Con un’esplosione improvvisa, il potere accumulato detonò davanti a lui, travolgendolo e scagliandolo con una violenza terribile contro la scogliera rocciosa. Spossato e privo di forze, l’eroe si accasciò a terra in un lago di sangue, incapace di muoversi. Subito, Jormungander fu su di lui.

"E’ potere troppo vasto, te l’ho detto!" gli disse, sollevandolo per la gola "Non sei in grado di controllarlo, ma è stato un nobile sforzo, degno saluto a questo mondo! Con la tua morte affermerò me stesso affrancandomi da mio padre Loki. Per te che hai capito il mio dolore, che ciò ti sia di consolazione! Addio!"

Con un gesto improvviso lo lanciò in aria, incassando contemporaneamente il pugno nel fianco e sferrando un potentissimo raggio di energia che lo investì in pieno, strappandogli un ultimo grido. Poi, fumante e sanguinante, il Cavaliere precipitò al centro del lago, scomparendo tra le acque.

"Con la tua morte affermerò me stesso affrancandomi da mio padre Loki. Per te che hai capito il mio dolore, che ciò ti sia di consolazione!". Attutite dall’acqua, queste parole risuonarono attorno a lui, ormai privo di sensi, accompagnandolo nella discesa. Avvertì appena il leggero urto con il fondale, immerso in un’oscurità ben più profonda di quella lacustre. Risvegliati dal duello, ricordi da tempo sepolti si agitavano indistinti nella sua mente, accompagnandolo sulla via per Ade. Eppure, tra i riflessi dell’acqua, credeva quasi di poter rivedere quel giorno fatale che aveva ormai quasi rimosso. Di scorgere dettagli di cui non aveva memoria.

"Pa… dre…" sussurrò.

***

"Padre, perché?!" gridò, correndo verso l’uomo. Era così alto, così imponente, ed il viso era lontano, difficile da distinguere. Le sue parole però erano state chiare, confermate dall’oggetto che aveva in pugno. Ed anche se così non fosse stato, Sirio sapeva, sentiva la sua determinazione.

"Non fatelo, vi prego non fatelo!" lo supplico, cercando di aprirgli la mano e buttare via quell’arma, affondando persino le unghie nella carne, senza alcun risultato.

L’uomo alzò l’altra mano, e Sirio fu certo che stesse per colpirlo e allontanarlo. Ma, al contrario, fu con una carezza che gli sfiorò il capo, arruffandogli i capelli e piegandosi su un ginocchio per poterlo guardare negli occhi.

"Non sono stato un buon padre per te, solo ora lo capisco. La dolcezza di tua madre non ho mai saputo dartela. Credevo che trattandoti con durezza ti avrei spronato a diventare forte, a diventare un uomo sempre pronto a migliorarsi… ma mi rendo conto di aver sbagliato…" ammise, abbracciandolo.

"Non fatelo!" pianse ancora Sirio.

"Devo… un giorno capirai che devo. E’ l’unico modo che ho per salvare l’onore della nostra famiglia…" rispose l’uomo, la voce rotta dall’emozione.

"Che importa l’onore?! Che importa? Non lasciatemi da solo, voglio avervi sempre con me!" singhiozzò.

L’uomo scosse tristemente il capo. "Che cosa resta di un uomo che non tiene fede neppure ai propri principi? Ho sbagliato… sono stato debole ed ho sbagliato, sapendo di sbagliare, venendo meno a certezze cullate per una vita intera. Ma tu, figlio mio, non pagherai per le mie colpe! Ricordi il racconto che ti avevo detto di leggere? Siamo abbandonati ormai, come monsieur Morrel. Quasi tutti ci hanno voltato le spalle, e non verranno angeli dall’aldilà in nostro soccorso. Potrei scegliere la via del disonore, ma cosa ne sarebbe di te? Se io restassi in vita, tu saresti trascinato con me nel fango… forse saremmo espulsi per sempre da questo paese cui tanto ho dato. Ma quando io non ci sarò più, l’indignazione sarà sostituita da un sentimento di pietà, e almeno tu potrai crescere privo di pesi sulla coscienza, libero da accuse che non ti appartengono e colpe che non hai commesso. Un amico, forse l’ultimo che mi è rimasto, si prenderà cura di te. Il suo nome è Alman, duca di Thule!"

"Padre…" pianse Sirio. "Papà!"

"Di complimenti non sono mai stato prodigo, ma sei un bambino di raro acume e saggezza. So… so per certo che l’età adulta ti trasformerà in un uomo migliore di me. Un uomo meritevole di stima e valore, come è scritto nel tuo nome!" aggiunse l’uomo, mentre dal volto, ancora invisibile, grondavano calde lacrime.

"Il… mio nome?" ripetè il bambino.

"Sirio, la stella che luminosa risplende nel cielo. O, come ti chiamerebbero in Cina, Shiryu, il maestoso dragone dalle scaglie violacee. E’ un nome glorioso, fu tua madre a sceglierlo! Siine sempre fiero!"

Poi lo allontanò con delicatezza, passandogli per l’ultima volta una mano sul capo.

"Qualsiasi cosa accada ricorda sempre: l’uomo giusto vive la propria vita con onore, è pronto a tutto per un amico e lotta fino alla fine per la causa in cui crede! Da generazioni e generazioni, è tradizione della nostra famiglia tagliare i capelli solo a fronte di un torto commesso o di un grave errore. Possa la tua chioma crescere per sempre, avvolgendoti fluente come il drago leggendario!" gli augurò, rialzandosi. E lasciandolo lì, a piangere in ginocchio, mentre si allontanava in direzione del suo studio privato.

***

"Padre!" esclamò Dragone riaprendo gli occhi, e chiudendo istintivamente la bocca per non annegare.

"Ora ricordo… dopo tanto tempo finalmente ora ricordo, sono riemerse memorie a lungo perdute! Per me si è sacrificato… per farmi dono di una vita libera da pregiudizi… perché credeva in me, ed aveva fiducia nel futuro!" pensò, stringendo i pugni amareggiato. Sentiva calde lacrime gonfiargli gli occhi, prima di disperdersi nelle acque. "Sarà tutto vano se ora mi lascio sconfiggere! Non lo deluderò lasciandomi morire in fondo a questo lago, non posso! Anche in nome suo devo vincere!"

All’esterno, Jormungander vide con occhi sgranati una luce verde espandersi sull’intera superficie del lago, mentre il vento iniziava a vorticare attorno a lui con la furia della tempesta. Un istante dopo, il lago fu spezzato in due da onde enormi che, nascendo dalle profondità della conca, si abbatterono sulla riva. Poi un turbine si innalzò, contorcendosi nelle forme di un drago d’acqua con le fauci spalancate, e, all’interno di una sfera di energia, Sirio ritornò in superficie.

"Sei ancora vivo!" commentò Jormungander, non potendò impedire allo stupore di trasparire sul viso e nella voce. "Eppure eri sconfitto! Che cosa ti ha sostenuto?"

"Il ricordo di una silenziosa promessa, patto tra uomini! Tu desideri vincere per provare te stesso di fronte al ricordo di tuo padre. Stessa ragione muove me ora, spingendomi a continuare a combattere!" dichiarò, sorprendendo l’avversario.

Poi, chiudendo gli occhi, il ragazzo fece un respiro profondo e, con un gesto improvviso, si privò della parte superiore dell’armatura, fronteggiando il nemico a torso nudo.

"Che significa? Non avevi appena detto di voler vincere?" chiese confuso Jormungander.

"E così è! Ma per risvegliare la natura più profonda del mio cosmo, devo lasciare da parte ogni precauzione. Solo in questo modo è possibile risvegliare il vero spirito del Dragone… solo mettendo a repentaglio la vita in nome di ciò in cui credo!" rispose, iniziando ad espandere il suo cosmo. Attorno a lui l’acqua iniziò a ribollire ed agitarsi.

"Vuoi tentare ancora la tecnica di prima? Stavolta non sopravviverai, perdi il controllo e sarà lei stessa a schiacciarti!" avvertì Jormungander, senza però ottenere risposte.

"E’ forte in lui la determinazione! Desidera la vittoria tanto quanto me, ma non c’è astio nel suo cosmo, solo gratitudine…!" pensò, con un misto di invidia ed ammirazione.

Attorno a Sirio il cosmo vorticava furioso, avvolgendolo nuovamente in una spirale verde smeraldo che brillava lucentissima, ustionando i punti sul torace in cui lo sfiorava. L’aria, satura di energia, era attraversata da scariche elettriche che sembravano unire il cielo e la terra con spigolosi ponti di luce.

"Se è una sfida, l’accetto! Scopriremo presto se è superiore la forza del Serpente di Midgard o quella del drago d’Oriente!" sorrise fiero il gigante, abbassando la mano ed iniziando ad espandere la sua aura informe.

Nel frattempo, Sirio sentiva l’immensa energia della Pienezza del Dragone sfrigolargli sul corpo. A contatto con quella spirale di luce l’acqua si mutava in vapore, circondandolo da fumi che, incanalati nel continuo vorticare d’energia, gli ruotavano attorno senza sfiorarlo. Le sue membra tremavano, faticando a contenere quel potere senza eguali. "Più forte di ogni uomo, più forte di ogni Cavaliere, più forte anche della Dea Atena" aveva detto quel lontano giorno il suo maestro nel descrivere la Pienezza del Dragone, e mai parole erano state più veritiere.

Con una smorfia di dolore, il ragazzo si piegò in avanti. "Le gambe… sento le gambe bruciare! Concentrati, Sirio! Devi riuscire a controllare l’energia… a dominarla con lo spirito! Solo così questa forza sarà tua!" si disse stringendo i denti. Poteva sentire il cosmo di Jormungander innalzarsi, immenso come il Serpente di Midgard, e sapeva che avrebbe avuto bisogno di ogni iota di energia per contrastarlo, ma più si sforzava di dominarla e più la Pienezza del Dragone si ribellava, diventando insostenibile.

"Cavaliere!" tuonò in quel momento Jormungander sollevando il braccio, ammantato di energia. "Il momento supremo è giunto: per uno di noi la fine giungerà, adesso! Prendi la furia del cosmo di cui sono padrone!"

Un raggio di luce devastante, superiore a qualsiasi precedente attacco, schizzò verso l’eroe, che reagendo d’istinto fece esplodere il suo cosmo, liberando un fascio verde smeraldo. In un millesimo di secondo le due energie si scontrarono, bilanciandosi a mezz’aria. Ben presto però, l’impeto del Serpente di Midgard iniziò a prendere il sopravvento.

"E’ questa tutta la forza del tuo cosmo ultimo? Sono deluso, mi aspettavo ben di più!" esclamò Jormungander, aumentando l’impeto dell’assalto e cominciando a ribaltare quello di Sirio.

Scariche elettriche si abbatterono sul torace nudo del ragazzo, e schizzi d’acqua bollente lo investirono.

"No… non è questa la vera forza della Pienezza del Dragone! Ma per quanto mi sforzi non riesco… non riesco a controllarla!" pensò, il viso contratto in una smorfia di dolore mentre il cosmo del nemico si faceva sempre più vicino. "Perdonatemi, amici, Sirio non sarà con voi nella battaglia finale! E dall’alto dei cieli dove ora riposi, perdonami anche tu, padre, se non manterrò le tue aspettative!" sussurrò, alzando gli occhi verso il cielo.

E fu in quel momento che lo vide, riflesso sulle gocce d’acqua che danzavano nell’aria. Per un attimo gli parve il volto di una fanciulla, pallida ed emanciata, prostrata a terra, che gli sorrideva stancamente, ma poi, spalancando gli occhi, si accorse che era il volto di suo padre, finalmente di nuovo visibile.

Con il viso rigato dalle lacrime, brillanti occhi verdi e capelli lunghi fino a terra, l’uomo era di fronte a lui, nel momento dell’ultimo saluto. Non con il viso distrutto e addolorato di chi è costretto ad affrontare un destino infame, ma con quello sorridente e sereno di chi accoglie la morte da eguale, fiducioso in un futuro migliore.

"Il potere dentro di me… non con la forza devo controllarlo, ma con la serenità di un animo capace di perseguire la via della giustizia!" comprese Sirio, sorridendo e smettendo di lottare. Svuotando la mente.

Incredulo, Jormungander vide l’aura di energia smettere di agitarsi attorno al Cavaliere, fino ad adagiarsi dolcemente sul suo corpo. La furia del Dragone si era placata, la belva era stata ammansita, ed ora scivolava serena attorno a lui, lungo una strada che era già tracciata.

"I capelli… i capelli si sono avvolti attorno al suo corpo e stanno incanalando la forza della Pienezza del Dragone!" si accorse sbalordito, mentre la pressione del cosmo del Cavaliere aumentava a dismisura, spezzando l’equilibrio e prendendo ben presto persino il sopravvento.

Nere crepe comparvero sulla corazza del Serpente di Midgard, frantumandola in più punti. E per quanto veloci si richiudessero le ferite, altre si aprivano altrettanto in fretta, sempre più numerose e profonde.

"Non posso cedere! Metterò tutto me stesso!" esclamò Jormungander, alzando anche l’altro braccio, in un disperato tentativo di resistere. La sua onda di luce raddoppiò d’intensità, generando un vortice di energia, fiamme e vapore che avvolse entrambi.

Aprendo gli occhi, Sirio lo fronteggò. "Finalmente ho il pieno controllo della mia anima, lo sento! Mi dispiace, non vi è reale malvagità in te, ma perché l’umanità intera possa vedere un nuovo domani, io devo vincerti!" gridò, facendo esplodere il suo cosmo ed unendo le braccia dinanzi a se. Il drago di energia si avvolse attorno ad esse, spalancando le fauci: la mascella sulla mano superiore, la mandibola su quella inferiore, le dita simili a zanne ricolme di energia.

"Pienezza del Dragone!!"

Con un ruggito fragoroso, il drago emeraldino partì, distruggendo senza alcuno sforzo il cosmo dell’Imperatore ed innalzandosi minaccioso su di lui.

In quel momento, per una frazione di secondo, gli occhi di Sirio e Jormungander si incrociarono.

"E’ privo dell’armatura… basterebbero pochi secondi al mio veleno per ucciderlo, un gesto solamente!" pensò il seguace di Erebo portandosi la mano alla visiera dell’elmo, ma esitando a sollevarla. "Vincerei! A costo della vita ma vincerei! Ma è davvero questo che desidero? Trionfare in questo modo infido? Sarebbe un trionfo degno di Loki l’ingannatore, ma è questo che voglio per me? Affermerei davvero me stesso così, o sarei solo l’ombra di un uomo che i suoi stessi inganni hanno condotto alla morte?!"

E nel porsi questo quesito, gli tornò alla mente l’ultimo saluto di suo padre prima di partire per la guerra ove avrebbe trovato la morte, quando gli aveva chiesto di restare. Gli aveva risposto senza neppure voltarsi, con parole affilate come coltelli.

"Uno come te che sulla terra striscia non può nemmeno pensare di capire i piani di chi ambisce al trono del cielo! Nasconditi sotto una pietra nelle profondità del mare, o quando sarò sovrano di tutto ti ucciderò io stesso, tu che sei l’unico errore della mia esistenza!"

Concedendosi un sorriso sprezzante, Jormungander abbassò la mano. "Avrei potuto ucciderlo e non l’ho fatto, padre. Che questo ti torturi per l’eternità!" disse fiero, prima di essere investito dalla furia della Pienezza del Dragone.

Continuando la sua corsa, il drago di energia si schiantò sulla scogliera, abbattendola completamente prima di innalzarsi verso il cielo e svanire oltre le nuvole. Quando la sua luce si fu dissolta, di Jormungander, il Serpente di Midgard, non era rimasto più nulla.

Vittorioso ma amareggiato, Sirio sprofondò in acqua, mentre l’armatura tornava a disporsi sul suo corpo. Per alcuni minuti rimase immobile a galleggiare e rifiatare, la mente percorsa da mille pensieri.

"Padre, tu mi hai indicato la strada… ti avevo quasi dimenticato eppure sei giunto in mio soccorso. Perché ricordi che a lungo avevo rimosso hanno fatto ritorno proprio oggi, quando più ne avevo bisogno?" si chiese, pensando a quella bambina che per un attimo aveva creduto di vedere.

Portandosi la mano alla testa, si sfiorò i capelli zuppi. Anche quando aveva lasciato la remota regione dei Cinque Picchi non li aveva mai tagliati. Non per vanità, ma perché una voce dentro gli lui gli aveva detto di non farlo. Ora finalmente sapeva, e questo gli era doppiamente di conforto, perché il giorno in cui suo padre lo aveva salutato, anche i suoi capelli erano lunghi.

Sospirando infine, l’eroe nuotò a riva ed iniziò a correre alla ricerca dei cosmi dei compagni.

***************

LA GRANDE GUERRA DI ASGARD

Il traditore

"Chi di voi vuole essere il prossimo a morire?" ripetè Artax minaccioso, stagliandosi di fronte all’esercito invasore avvolto nel suo cosmo, la visiera abbassata, i capelli biondi agitati dal vento. Nonostante fosse da solo, la sicurezza che trasudava dalla sua voce fu tale da far esitare l’intero plotone.

Fu Megres il primo a riaversi, trasformando rapidamente l’espressione stupita in un sorriso sollevato.

"Artax! E’ bello rivederti, amico mio!" esclamò, avanzando di un passo ed allargando le braccia. Il suo sorriso era aperto, sincero. La voce modulata alla perfezione. "Non osavo sperare che anche tu fossi tornato a nuova vita! Avrei dovuto immaginare che le sale del Valhalla non fossero luogo che potesse trattenere a lungo un eroe tuo pari!"

"Umpf" sbuffò Artax, con un misto di orgoglio e tedio. "Non cercare di blandirmi con false dichiarazioni, tu che hai giurato fedeltà ad un Dio oscuro! La presenza di quei soldati alle tue spalle ti smaschera, il tuo tradimento è ben noto."

Un’ombra di fastidio attraversò il viso di Megres, seccato per quelle circostanze che rendevano vana ogni scusa. Aveva immaginato di imbattersi in qualche compagno di un tempo all’interno della città, e progettato di colpirli a tradimento dicendo loro di essere stato inviato in qualche missione speciale da Odino, o imprigionato da Hela con l’inganno, ma non aveva modo di spiegare la propria presenza a comando di un intero plotone. Nondimeno, la sua agile mente si adattò subito, cambiando strategia.

"Perché tanto astio? Eravamo amici non ricordi? Insieme siamo cresciuti in questa reggia il cui accesso ora mi neghi. Ci immaginavamo fieri paladini a sua difesa. Anche se un’altra era la compagnia che preferivi…" alluse.

"Ricordo bene…" sorrise Artax, ma la sua espressione non cambiò. "Insieme abbiamo esplorato ogni angolo di questa fortezza, e proprio per questo mi sono ricordato di questo passaggio che avevamo scoperto. Quando ho sentito che anche tu avresti preso parte all’assedio di Asgard, ho immaginato che avresti usato il passaggio segreto sotterraneo solo come diversivo, certo che Ilda se ne sarebbe ricordata, e che invece saresti venuto qui, così ti ho preceduto!"

"Lo immaginavi, ma sei venuto comunque da solo…" pensò Megres, celando un sorriso. Poi parlò di nuovo ad alta voce, guardando in volto il Cavaliere. "E’ vero, sono venuto qui per condurre l’esercito all’interno, non posso negarlo! Ma non credere che sia per recarvi danno!"

"Che vorresti dire?" chiese Artax, rivelando la minima traccia di esitazione.

"Asgard è condannata, lo sai bene! L’esercito di Hela è inarrestabile… per quanto forti e valorosi siano i suoi difensori, presto la città cadrà! Ed i Cavalieri morranno resistendo fino all’ultimo in una battaglia già persa! Ma conquistandola io per primo potrei costringerli alla resa senza troppi spargimenti di sangue. I miei consigli hanno valore a corte, potrei convincere la regina Hela a risparmiarli…" sorrise, porgendo simbolicamente la mano nonostante diversi metri li separassero.

Questo ragionamento parve far breccia sul difensore, che rimase immobile a considerarlo, con il capo chino, la fronte corrucciata. Il sorriso sul volto di Megres si allargò in maniera impercettibile.

"Presto, prendi la tua decisione, Artax! Ogni istante che sprechiamo potrebbe essere quello in cui Mime, o Thor, o il nobile Orion cade. La loro vita è nelle tue mani, vuoi gettarla via?" insistette.

"Mi prometti che saranno risparmiati? Che non ci saranno inutili spargimenti di sangue?" domandò alla fine il Cavaliere, guardando il consistente manipolo di uomini alle spalle di Megres, un centinaio almeno.

"Certo, c’è da domandarlo? Erano anche miei compagni dopotutto…" rispose l’altro, illuminandosi.

Dopo un ulteriore attimo d’esitazione, il guerriero di Sleipnir sembrò convincersi e si fece infine da parte, restando in cima al pendio che conduceva alla base delle mura ma spostandosi in modo da non essere più d’ostacolo. "Andate…!" concesse, indicando loro la via con la mano.

"Una scelta saggia, non te ne pentirai!" applaudì Megres, sorridendo apertamente prima di far cenno ai suoi uomini di avviarsi. Cautamente, i primi iniziarono ad inerpicarsi sull’impervio sentiero, man mano seguiti dai compagni, fino a formare una lunga fila indiana di soldati.

"Si, grazie, Artax. Conquistare da solo la città e portare alla regina Hela le teste dei suoi difensori mi garantirà una posizione di sicuro spicco alla corte di Erebo. Potrei persino insidiare il primo seggio di Fafnir…" pensò il Comandante, guardando i suoi uomini continuare a salire ed immaginandosi già coperto di gloria e onori.

"Megres!" gridò in quel momento Artax, riportandolo alla realtà ed obbligandolo a guardare verso di lui. "Una domanda soltanto!"

"Uhm?"

"Mi immagini davvero così stolto da credere che tu, che pianificavi di ucciderci tutti per conquistare gli zaffiri di Odino, interloquiresti con Hela per salvarci?" urlò, sorridendo sarcastico e facendo avvampare il suo cosmo. "Caldo Soffio del Meriggio!!"

Pire di fuoco gli avvolsero le braccia, liberando un vortice fiammeggiante sui soldati ormai a pochi metri, che cercarono immediatamente di correre al riparo. I loro stessi compagni però intasavano la via, rendendola impraticabile, e solo quelli più in basso riuscirono a mettersi in salvo. Tutti gli altri verrero totalmente investiti, mutandosi in torce umane e sbattendo l’un contro l’altro, precipitando giù dal pendio o crollando a terra privi di vita.

In pochi secondi, di un centinaio di uomini non ne era rimasta che una dozzina scarsa.

"Maledetto!" sibilò Megres stringendo la presa sull’elsa della spada. "Mi hai ingannato! Che ne è del tuo senso dell’onore?!"

"Tsk! Proprio tu parli di onore? Tu che finora hai detto solo una verità: siamo tutti pronti a difendere Asgard fino alla morte! Non ci conquisterai con le parole!"

Qualcosa nel suo tono di voce però colse l’attenzione di Megres. Una sfumatura appena percettibile, ma che lo portò a rispondere "E che ne sarebbe della principessa Flare? Anche lei è pronta a morire?"

Un’ombra attraversò il volto di Artax. "Flare… ha già fatto la sua scelta!" replicò. Ancora una volta tuttavia Megres colse qualcos’altro dietro le sue parole, forse una traccia di rimpianto. Cancellando la delusione di poco prima un sorriso gli si disegnò sul volto, mentre pensava al tipo di scelta che la principessa avrebbe potuto prendere, ed alla solitaria presenza di Artax.

"Un atto eroico di estrema difesa… o piuttosto un desiderio di morte gloriosa per placare le pene del cuore?" si chiese, ben consapevole del malcelato amore che provava verso di lei sin dai giorni dell’infanzia.

Dopo un momento comunque sollevò la spada, avvolgendola con le fiamme.

"Hai finalmente deciso di combattere direttamente?" esclamò Artax sollevando la guardia.

"Ne farei a meno ma non mi lasci scelta! Sappi però che il sangue di ogni asgardiano che cade mentre noi perdiamo tempo sarà sulle tue mani!" provocò il Comandante iniziando a correre verso di lui.

"Di sangue asgardiano le mie mani saranno presto lordate, ma sarà il sangue di un traditore!" ritorse Artax facendo lo stesso.

I due si incrociarono al centro del pendio. Fu di Megres il primo fendente, ma Artax lo schivò piegandosi di lato e sferrò un cascata di pugni con il destro, obbligando l’amico di un tempo ad incrociare frettolosamente le braccia per difendersi.

"Peccato imperdonabile è stato il tuo! Hai tradito la tua regina, hai tradito la tua terra!" accusò il guerriero di Sleipnir iniziando a spingere all’indietro l’avversario. Improvvisamente le dita della sua mano si mutarono in artigli ed egli calò un fendente che Megres parò a stento sollevando la spada e spegnendo la fiamma in modo da poterne tenere sollevata la punta con l’altra mano.

"La spada che io stesso forgiai rivolgi contro me?" sibilò Artax aumentando la pressione. Accigliandosi, Megres si rese conto di non poter resistere a lungo ed in quel momento il Cavaliere del Nord lo centrò allo stomaco con una ginocchiata, gettandolo indietro.

Con un colpo di reni, il neo-Comandante di Hela si diede una spinta in modo da toccare terra con il palmo aperto della mano e fare un balzo all’indietro. "La sua forza non è affatto diminuita, e su questo pendio sono in svantaggio! Devo attirarlo in campo aperto!" pensò, mettendosi sulla difensiva ed indietreggiando passo dopo passo.

"Non riesci a far altro? Come avevi pensato di ucciderci, soffocandoci nel sonno?" lo derise Artax continuando la sua offensiva con pugni sempre più pesanti ed improvvisi fendenti.

"Parole coraggiose per chi non ha esitato ad attaccare una fanciulla…" lo fulminò Megres, facendolo bloccare di colpo con una fitta di rimorso. Di tutto quel che era accaduto in quell’infausto giorno in cui lui e Cristal si erano scontrati, l’aver levato la mano su Flare era l’azione che più lo tormentava, e sentirla citare a gran voce dalle labbra di un nemico era come una pugnalata. Approfittando di quell’esitazione, il Comandante sollevò di scatto il polso, spruzzando una specie di acido sul viso del ragazzo, che si ritrasse di scatto riuscendo appena ad abbassare la visiera per proteggersi gli occhi.

"Non hai più sentenze da sputare?" sibilò Megres, vibrando un fendente di fuoco. Con un clangore metallico però Artax lo intercettò con il bracciale, incastrando la lama tra le punte della criniera di Sleipnir, il leggendario destriero di Odino, e gettando via la maschera che stava già venendo corrosa. "Non hai davvero onore?!" esclamò a denti stretti, guardandolo negli occhi con disprezzo.

"Non serve a nulla l’onore in battaglia, conta solo la vittoria!" rispose il traditore, facendo avvampare la sua arma. Lingue di fuoco si impadronirono del bracciale, allungandosi poi attorno al Cavaliere fino ad imprigionarlo in una pira fiammeggiante.

Sorridendo, Megres indietreggiò di un passo, quando una risata lo bloccò.

"Uh uh uh, è tutta qui la tua astuzia?" lo derise Artax, comparendo tra le fiamme del tutto incolume. "La mia armatura è nata dal magma vulcanico, non può certo essere scalfita dalla misera fiamma di cui ti feci dono, imprigionandola nell’ametista. Il vero potere del fuoco è questo: Caldo Soffio del Meriggio!!"

In una frazione di secondo, le fiamme che circondavano Artax si avvolsero in un vortice, unendosi a quelle generate dal cosmo del Cavaliere e saettando verso il bersaglio. Invano Megres sollevò la spada dinanzi a se per cercare di parare l’offensiva, l’impeto del Soffio del Meriggio lo colpì in pieno scaraventandolo oltre la base del pendio, al limite della foresta.

Rotolandosi nella neve, il guerriero spense rapidamente le fiamme che lo avvolgevano, ma era anche consapevole che Artax non avrebbe perso tempo, ed in effetti il Cavaliere di Asgard fu lesto a gettarsi su di lui per finirlo. Proprio in quel momento però i pochi guerrieri sopravvissuti al primo attacco accorsero in difesa del loro Comandante, avventandosi sul nemico con in pugno le loro armi mortifere.

Ruotando repentinamente sul piede d’appoggio, Artax schivò un fendente d’ascia ed abbattè un soldato con un pugno all’addome, per poi investirne altri due con una raffica di assalti energetici. Un quarto uomo però gli scivolò alle spalle, raggiungendolo al fianco con una pugnalata e facendo grondare qualche goccia di sangue sulla candida neve, prima di cadere sotto un colpo ben assestato alla base del collo.

"Una ferita!" notò Megres, alzandosi di scatto ed allargando le braccia, mentre una luce violacea lo avvolgeva. "Una ferita era tutto quel di cui avevo bisogno! Teca Viola dell’Ametista!!"

Ancora impegnato ad affrontare gli sparuti guerrieri, Artax vide i mortali cristalli danzare nell’aria, comprendendo immediatamente quel che stava accadendo. La fama della foresta d’ametista, seppur parzialmente tollerata per il valore dell’antico casato dei Megres, era nota a tutti a palazzo e al centro di continui sussurri e dicerie, non aiutate dal fatto che spesso chi era sorpreso a parlarne dal guerriero della stella Delta scompariva nel nulla senza essere più rivisto.

Allarmato, fece per balzare via quando alcuni soldati, ignari del pericolo, lo afferrarono approfittando della guardia abbassata, sollevando le armi per finirlo. In quel momento, la Teca d’Ametista si abbattè su tutti loro, immortalandoli per sempre nell’atto della pugna, come insetti catturati nell’ambra per l’eternità.

Soddisfatto, Megres ammirò la sua creazione. L’arte non gli era mai particolarmente interessata, ma non poteva negare che quello spettacolo esercitasse su di lui un certo fascino morboso. L’ametista aveva mutato un campo di battaglia in uno spettacolo di cristalli e riflessi, accentuati dai pallidi raggi di sole e dal riverbero della neve. E presto tutti loro si sarebbero mutati in macabri scheletri, ossa senza memoria cui non sarebbe mai stato concesso di diventare cenere e perdersi nel vento.

"Questa radura sarà ricordata come il luogo ove combattei la battaglia che mi valse l’ingresso ad Asgard. Una vetrina degna di un conquistatore!" sorrise.

Solo allora si accorse di qualcosa di strano: la teca di Artax era più opaca delle altre, l’interno distorto nonostante la totale trasparenza dell’ametista. Insospettito, si avvicinò a controllare.

"Già due volte ti ho ingannato, inizio a credere che la tua reputazione sia immeritata dopotutto…" sussurrò improvvisamente la voce di Artax. Un istante dopo, la teca d’ametista esplose, travolgendolo con una pioggia di frammenti e cristalli, e sbattendolo contro il tronco di un albero.

"Non è possibile, come hai fatto! Come hai potuto liberarti?! La mia teca è mortale!" gridò incredulo, il volto sporco di sangue a causa di un taglio sulla guancia.

"Lo sarebbe stata, se all’ultimo momento non avessi preso dovuta contromisura…" commentò Artax, avanzando verso di lui. Solo allora il Comandante si accorse che, mischiati ai frammenti di ametista, c’erano neve e cristalli di ghiaccio.

"Le Bianche Nevi di Asgard! Come la tua Teca servono a imprigionare la vittima in una gabbia eterna, ma stavolta le ho usate per difendermi, circondandomene! L’ametista non ha potuto far presa su di loro, e frantumarlo è stato facile!" spiegò, strappando una smorfia di seccata ammirazione al nemico. "L’astuzia di cui sei sempre andato orgoglioso è meritata, ma l’esperienza guerriera ti fa difetto! Tu, sempre così attento a vincere con inganni e stratagemmi, non sei abituato a formulare rapide strategie nell’impeto dello scontro, nè hai vissuto insieme ai valorosi spiriti del Valhalla, facendo tesoro della loro esperienza!"

"Di simili mezzi non ho mai avuto bisogno…!" pensò Megres, ma nonostante tutto questa critica colpì nel profondo, strappandogli un gesto di stizza.

"Negare la realtà non ti sarà d’aiuto! Non lo è mai, in nessun caso!" dichiarò l’eroe, non riuscendo a trattenere un fremito nelle ultime parole. Fremito che non sfuggì all’attenta mente di Megres, che subito iniziò a immaginarne le implicazioni ed il significato.

"La realtà può essere riscritta… modellata a nostro piacimento…" sussurrò suadente, lasciando scivolare contemporaneamente la mano verso l’impugnatura della spada. "Nelle giuste circostanze si può avere tutto… si può avere chiunque!"

Un barlume di speranza comparve sul volto di Artax, che non riuscì a celarlo del tutto, a scacciare quei pensieri che rapidi gli si erano manifestati davanti agli occhi. Veloce come un serpente, Megres se ne accorse e riprese la spada, alzandosi di scatto.

"Abbandonarsi a un sogno! E’ questo che hai imparato nel Valhalla?" lo provocò, stringendo l’arma con ambo le mani e vibrando un fendente. Un taglio profondo si aprì nello spazio tra coprispalla e copribicipite di Artax, che grugnì di dolore.

"Il fuoco sarà anche inutile, ma di affilato ametista è la mia lama!" sibilò Megres, lanciandosi in una serie di affondi diretti alle poche parti scoperte sul corpo dell’amico di un tempo.

"Non credere che simili trucchetti possano bastare!" ritorse il ragazzo, disegnando un semicerchio con il braccio ed espandendo il suo cosmo. "Bianche Nevi di Asgard, respingete chi d’inganno si è macchiato!"

Stavolta però Megres era pronto, e sollevando la spada intercettò il colpo segreto, riducendone l’intensità grazie al calore delle fiamme.

"E’ tutto qui? Per questa spada che ha resistito al gelo assoluto di Cristal il Cigno, le Nevi di Asgard sono ben misera cosa!" disse, scegliendo attentamente le parole.

Al sentire il nome di Cristal, Artax si accigliò. Credeva di aver messo da parte l’astio per il seguace di Atena, e le parole che gli aveva rivolto mesi prima nel Valhalla, quando aveva creduto che non avrebbe mai più rivisto la sua principessa e saperla in mani sicure era un conforto, erano state sincere. Ora però era di nuovo lì insieme a lui, a pochi metri appena, e non poteva abbracciarla, stringerla a se come negli anni dell’adolescenza. Sapeva, razionalmente sapeva che comunque non cambiava nulla, che, qualunque l’esito della guerra, alla fine avrebbe dovuto lasciarla di nuovo, ma dentro di se non riusciva ad accettarlo. Non riusciva a condividere la pacatezza di Orion, condannato a medesima sorte nei confronti di Ilda ma apparentemente in grado di accettarla con distacco.

Ma in fondo come poteva, la situazione era diversa. Orion avrebbe accettato di vederla sposare qualcun altro, proprio di fronte a lui? E proprio nei pochi giorni che gli erano stati concessi per calcare di nuovo le nevi di Midgard? Che lo volesse o meno, Cristal sembrava riuscire a portargliela via sempre, e sempre nei momenti più delicati. Ma d’altra parte era anche un suo amico, ed un nobile Cavaliere che stava rischiando la vita per salvare l’umanità. Neppure odiarlo gli era concesso.

Quest’affluire di emozioni gli fece perdere la concentrazione, riducendo ulteriormente l’impeto del suo assalto e permettendo a Megres di sferrare un nuovo fendente.

Schivandolo a fatica, Artax indietreggiò di qualche passo ed agitò le braccia a mezz’aria, avvolgendole di fuoco. "Se le Nevi di Asgard non bastano, eccoti ancora il Caldo Soffio del Meriggio!!" gridò, cercando di far defluire la rabbia verso il nemico che aveva di fronte. Ma era difficile, troppo profonda era la ragione del suo sconforto, troppo intima e personale per poter essere adoperata in battaglia.

"Bene! Struggiti, lotta con te stesso, favorirai il mio compito!" sorrise Megres, che non aveva perso una smorfia o una piega del volto del ragazzo. Agitando la spada, oppose la propria fiamma al Soffio del Meriggio, parandola e strappando uno sguardo sorpreso all’avversario.

"La tua tecnica ormai la conosco bene, le sue fiamme sono troppo deboli per impensierirmi! In fondo non era per questo che avevi bisogno di attirare i nemici in quella caverna, tra lava e vapore?" bluffò. In realtà stentava a resistere e soprattutto le mani, strette attorno all’elsa della spada, soffrivano sempre di più il calore. Ma per la buona riuscita del suo piano non poteva permettere ad Artax di accorgersene.

Cadendo nella trappola, il guerriero si adombrò e fece esplodere il suo cosmo, concentrandone la forza nel pugno destro. Con un gesto rabbioso lo schiantò al suolo, irrorando la propria energia in profondità. Un attimo dopo, una colonna di lava si innalzò verso il cielo, liquefando la neve ed appiccando il fuoco ad alcuni degli alberi più vicini.

"Se il calore del fuoco non ti basta, assaggia il magma della madre terra!" gridò orgoglioso, incanalando la lava nel Soffio del Meriggio per aumentarne l’intensità.

Era quello che Megres aveva aspettato. Cambiando improvvisamente posa, avvicinò la spada al corpo e bruciò il suo cosmo, lasciandolo scorrere attorno a se, penetrare nell’ambiente circostante fino a permearlo, mentre decantava le parole di un rito antico quanto il suo stesso casato, risalente agli albori di Asgard ed al tempo in cui gli uomini vivevano in comunione con gli spiriti della natura.

"E’ in nome dell’antico casato dei Megres che vi invoco, Anime della Natura! Ascoltate la voce di chi vi è amico! Eravate assopite, vi chiedo di destarvi e ricordare antichi patti, dando battaglia a chi osa attaccarmi!"

Sguardi minacciosi e fuochi fatui comparvero tra gli alberi attorno al Comandante di Hela, fissando Artax con malizia. I rami innevati iniziarono a muoversi, la terra a tremare. Sbalordito, il ragazzo vide il suo flusso lavico arrestarsi e contorcersi su se stesso, prima di tornare indietro, abbattendosi su colui che lo aveva lanciato.

"No… non è possibile!" balbettò incredulo, obbligato a balzare all’indietro all’ultimo istante, con le ginocchiere leggermente annerite. Nello stesso momento la terra ai suoi piedi si spaccò, facendolo barcollare, ed una radice schioccò in superficie, colpendolo alla spalla e sbattendolo sulla neve.

"E’ stato un errore liberare l’energia della terra. Non potevo controllare le tue fiamme solo perché generate dal cosmo, ma le forze naturali sono sotto il mio giogo!" pensò soddisfatto Megres chiudendo gli occhi in due fessure, prima di proclamare ad alta voce "Di grave colpa si è macchiato costui, nemico della sua stessa gente! Lo lascio a voi, Anime della Natura. Colpite senza pietà!"

Alzando la testa, Artax vide la foresta stessa scendere in guerra contro di lui. Gli alberi si scrollavano di dosso il pesante manto nevoso, bombardandolo con i rami e sferzando l’aria con le radici. La colonna di lava si torceva come un serpente, schizzando in avanti. Persino i rampicanti cercavano di avvolgersi attorno al suo corpo e imprigionarlo. "É un maleficio! Un oscuro incantesimo!" pensò, saltando a destra e sinistra per evitarli, ma ritrovandosi ben presto con le spalle al muro. Aveva sentito parlare delle Anime della Natura e della capacità dei Megres di invocarle, ma non le aveva mai viste perché il compagno era sempre stato ben attento nel tenerle segrete, limitando al massimo il loro uso e sempre lontano da scomodi testimoni.

"Non devo farmi impressionare, sono solo legno e lava alla fin fine!" pensò, espandendo il suo cosmo e richiamando le energie fredde. "Per primo mi libererò del magma che io stesso ho liberato! Bianche Nevi di Asgard!!"

Un gelido getto di ghiaccio si scontrò con la colata lavica, innalzando un muro di vapore mentre il magma iniziava rapidamente a solidificarsi. Imprimendo tutta la propria energia ed aiutato dalle gelide temperature di Asgard, Artax continuò a spingere, fino a congelare il buco che aveva aperto, per impedire a nuova lava di sprizzare all’esterno.

Il tentativo andò a buon fine, ma nel frattempo dei rami si avvolsero attorno alle sue caviglie, sollevandolo improvvisamente a mezz’aria, mentre altri lo colpivano all’addome ed alla schiena con la forza di arieti d’assedio.

Sputando sangue, il Cavaliere concentrò il suo cosmo, congelando i legacci che lo bloccavano, solo per essere raggiunto in pieno volto da una sferzata che lo sbattè contro il tronco di un’enorme abete, mentre già nuove radici gli avvolgevano le gambe.

"Combattono come demoni, senza concedere respiro…" pensò, pulendosi un occhio da un rivolo di sangue che scorreva dalla fronte. "Eppure è stato sconfitto in passato, dal Cavaliere del Dragone! Se solo sapessi come ha fatto!"

Ma per quanto si sforzasse, non gli venivano in mente informazioni utili. Dei Cavalieri giunti al Valhalla, Orion era il solo a non essere caduto prima di Megres, e neppure lui conosceva i dettagli della sua sconfitta, solo che Sirio era giunto a lui privo d’armatura e provato dalla battaglia. Se fosse stato più saggio avrebbe parlato al Cavaliere di Atena prima della sua partenza per Avalon, ma la notizia delle nozze aveva cancellato ogni traccia di determinazione dal suo spirito. Non poteva amare, non poteva odiare, si era sentito semplicemente vuoto. Anche per questo aveva guardato con ansia alle battaglie del giorno seguente, vedendo in loro una via di fuga dalla realtà, una missione che richiedesse la sua totale concentrazione. E, chissà, forse anche una morte gloriosa, che gli valesse se non altro un po’ di rimpianto dalla sua amata.

In quel momento un ramo lo colpì alle spalle, gettandolo a terra ed infierendo sulla schiena con una serie di frustate. Voltandosi rabbioso, il Cavaliere lo fece a pezzi con gli artigli, prima di far avvampare il suo cosmo. "Anime della Natura, preparatevi a sprofondare in un inferno di sempiterne fiamme! Caldo Soffio del Meriggio!!" gridò a denti stretti, scatenando il suo colpo segreto con il più ampio raggio possibile.

Di fronte al suo sguardo soddisfatto, gli alberi vennero avvolti in un incendio che si propagò rapidamente, trasformando quella parte di foresta in un rogo in cui ogni traccia di neve era scomparsa, illuminato solo da cascate di scintille.

"La giusta fine per le armi di un traditore!" esclamò sprezzante Artax guardando in direzione di Megres. Quest’ultimo però continuò a sorridere abbastanza sicuro, ed un momento dopo il Cavaliere di Asgard ne comprese il motivo: seppur in preda alle fiamme, gli alberi continuavano a muoversi verso di lui, ed anzi il fuoco li rendeva anche più pericolosi. Rami e radici mutati in frecce ardenti attraversarono l’aria, saettando contro l’incredulo eroe.

"Povero sciocco, le Anime della Natura sono solo spiriti, non puoi distruggerle con gesti disperati! No, puoi solo farle infuriare…" commentò Megres, prima di gridare "Anime, costui non ha rispetto per la natura ed il creato, alla distruzione è votato il suo spirito impuro! Non permettetegli di continuare a calcare le nostre candide nevi!"

Aizzate, le Anime della Natura sembrarono intensificare l’assalto. Radici esplosero improvvisamente dal sottosuolo, colpendo Artax alle gambe e l’addome, mentre dardi di fuoco si schiantavano sulla sua armatura, sorretti da un’energia che li rendeva ben più pericolosi di semplici bastoni di legno. Frustato, il ragazzo barcollò indietro e bruciò il cosmo per difendersi, ignaro che era proprio questo ad aumentare la furia degli spiriti.

Combattendo senza sosta, con il cuore che gli batteva all’impazzata nel petto per lo sforzo prolungato, Artax continuava a saltare e schivare, correre e contrattaccare, alternando artigliate, pugni e correnti di ghiaccio. Le forze che lo attaccavano però non erano realmente vive e di conseguenza non potevano morire o stancarsi, mentre le sue energie scemavano in fretta.

"Presto sarà esausto, pochi minuti ancora e crollerà!" gongolò il Comandante. Un momento dopo la sua previsione parve avverarsi ed Artax toccando terra incespicò, venendo afferrato alle spalle da alcuni rampicanti che gli si avvolsero attorno alla gola, facendola sanguinare.

"Quanto dolore e fatica che avresti potuto evitare se fossi stato più saggio!" disse, lanciandosi finalmente all’attacco con la spada. Era ben memore del modo in cui Dragone lo aveva ingannato e sconfitto in passato, e quindi questa volta si era cautelato riversando nelle Anime della Natura tutta la concentrazione di cui disponeva, restando totalmente immobile.

Vedendolo arrivare, Artax cercò di liberarsi, ma Megres fu più veloce e lo raggiunse con un fendente obliquo che scheggiò l’armatura e gli strappò un grido. Soddisfatto, il Comandante proseguì l’offensiva, sferrando colpo dopo colpo e danneggiando in più punti l’armatura della stella Beta, senza tuttavia riuscire a sfondarla del tutto.

In quel momento, un cosmo enorme si innalzò da Asgard, accompagnato da grida di morte sospinte dal vento, talmente profonde da raggelare persino il seguace di Hela.

"Il terzo Comandante dev’essere sceso in campo…" pensò, impallidendo. "La sua furia omicida non conosce limiti! Devo affrettarmi, o non resterà più nulla da conquistare!"

Approfittando di quel secondo di esitazione però Artax bruciò il suo cosmo, richiamando a se le energie fredde. Con un’esplosione di aria ghiacciata distrusse i rami che lo bloccavano, spingendo indietro anche Megres, sulla cui armatura comparve uno strato di brina.

Velocissimo, il Cavaliere si lanciò in avanti, consapevole di avere solo pochi istanti prima del ritorno delle Anime della Natura, e colpì l’avversario ancora intontito con una raffica di pugni al torace ed all’addome, facendolo barcollare. Poi alzò di scatto le braccia, circondandole con una spirale di fuoco. "Caldo Soffio del Meriggio!!"

Le fiamme travolsero Megres, facendogli volare via il diadema e sbattendolo malamente per terra, dove ruzzolò per qualche metro, sanguinando da alcune ustioni sulle zone scoperte dall’armatura. A causa della fretta però Artax non aveva potuto accumulare abbastanza energia da renderle fatali. Deciso a rimediare scagliò un altro colpo, ma delle grosse radici si posero a difesa di Megres, proteggendolo, mentre le Anime della Natura riprendevano la loro offensiva.

A sua volta in affanno, il Comandante si rialzò in piedi. Per la prima volta il viso era segnato da un velo di preoccupazione, causato sia dal prolungarsi di quel combattimento sostanzialmente alla pari che dal furore di cosmi che provenivano da Asgard. Guardandosi attorno di sottecchi, vide i suoi sottoposti deperire nelle teche d’ametista, o carbonizzati a terra. Era solo.

"Sto sprecando troppe energie inutilmente! Vincere Artax servirà ben poco alla mia causa, il potere cui miro lo otterrò solo conquistando per primo la città! Ma stanco e senza uomini al mio seguito non posso sperare di sconfiggere tutti i Cavalieri!" pensò incupendosi. "Ho bisogno di un alleato…"

I suoi occhi caddero su Artax e si socchiusero in fessure. "E’ venuto da solo… ma Ilda ha a cuore i suoi difensori, non lo avrebbe mai mandato così allo sbaraglio, nemmeno se fosse stato lui stesso a chiederlo! Deve aver abbandonato di nascosto le mura… le stesse mura dove adesso infuria la lotta…" comprese.

"Artax, ascoltami!" esclamò, rivolgendosi direttamente a lui e ritirando leggermente le Anime della Natura, abbastanza da ottenere l’attenzione indisturbata dell’avversario ma anche da poterle richiamare in una frazione di secondo. "Non giova a nessuno di noi questa battaglia, è evidente! Hai sentito anche tu il cosmo del terzo Comandante innalzarsi dalla cinta muraria, mentre ci uccidiamo a vicenda Asgard potrebbe cadere sotto le forze di Hela e nessuno di noi otterrebbe quel che desidera! Io perderei fama e potere, tu la morte gloriosa che sembri cercare. E’ questo che vuoi?" domandò.

Pensieroso, Artax non rispose. Vi era del vero nelle sue parole, non poteva negarlo, nè si era aspettato che Megres, che aveva sempre considerato il più debole tra i suoi compagni, avrebbe saputo impegnarlo a tal punto.

Leggendo nel suo silenzio, Megres proseguì "La proposta che ti faccio è semplice, e non ci sono menzogne stavolta: unisciti a me!"

Incredulo, il guerriero lo guardò stralunato, chiedendosi se stesse scherzando. "Che… che cosa?"

"Hai sentito bene, unisciti a me ed aiutami a conquistare Asgard! Odino è morto, il suo regno in rovina, cosa ti lega a questa città? Niente! La regina Hela è tanto spietata con i nemici quanto munifica con chi le è fedele… molti Comandanti sono caduti quest’oggi, di certo otterresti un seggio importante tra le sue schiere!" lo tentò.

"Credevo di averti già detto di non tentare queste menzogne! Ho già una regina, Ilda! Credi che potrei tradire lei, Orion e gli altri per mero guadagno personale?!" ribattè sprezzante Artax, serrando il pugno per riprendere lo scontro. Le parole successive di Megres però lo gelarono.

"Ooh… ma lo hai già fatto!" sorrise malvagio.

"Che menzogna è mai questa?!" gridò.

"Hai agito di tua iniziativa per venire qui, Ilda non ti avrebbe mai mandato da solo! E per farlo hai lasciato sguarnite le mura… le stesse mura dove ora l’esercito di Hela sta sfondando! Non sono forse i gesti di un disertore?" esclamò, scandendo bene le parole.

"Stai cercando di confondermi! Sapevo che saresti venuto qui e ti ho preceduto! Era necessario per difendere Asgard!" ribattè Artax, non potendo però evitare di impallidire.

"Scuse, soltanto scuse! Da quando in qua contano le intenzioni? Hai abbandonato i tuoi compagni per motivi personali, senza farne parole con nessuno, e senza permettergli di compensare alla tua lontananza! E questo è un atto di diserzione, un tradimento tanto quanto quello di cui mi accusi! Se anche per miracolo Ilda dovesse vincere, il tuo nome sarà marchiato dall’onta del disonore!" esclamò con enfasi.

"No… non è vero, cerchi di manipolarmi!" mormorò il Cavaliere, ma persino lui poteva accorgersi che le sue parole mancavano di convinzione, mentre quelle di Megres erano taglienti, ma anche veritiere. Non aveva pensato alle conseguenze delle sue azioni, certo che comunque non sarebbe stato lì a guardarle, ma non aveva neanche pensato di lasciare in difficoltà i suoi amici con quella che poteva sembrare un’improvvisa defezione, un tradimento. Avrebbero capito? E, anche se avessero capito, l’avrebbero perdonato ora che l’esercito di Hela sembrava star prevalendo proprio a causa della sua assenza? Queste domande lo tormentarono, la gloriosa morte in battaglia che aveva immaginato gli stava scivolando via, cancellata da un’accusa di tradimento che lo avrebbe reso inviso a chiunque. E soprattutto a Flare.

"Unisciti a me, e imparerà ad amarti!" intervenne Megres, come capace di leggergli nel pensiero. Artax rabbrividì.

"Il fato di Cristal il Cigno è già segnato! Nessuno può sopravvivere ad Erebo, e si dice che al suo fianco siano rimasti guerrieri dotati di immani poteri! Tra le nebbie di Avalon, Cristal cadrà! Chi si prenderà cura di Flare allora? Chi la consolerà? Non è un Cavaliere, ottenere la sua salvezza sarà facile… e con il passare del tempo si rivolgerà a te, che le hai sempre voluto bene, sin dall’infanzia…" proseguì.

Artax non potè fare a meno di immaginare le scene che l’avversario gli descriveva. Cristal privo di vita, il corpo dilaniato da forze superiori. Flare tra le sue braccia, in lacrime ma vicina. Forse all’inizio l’avrebbe odiato, ma poi? Il loro legame era sempre stato forte, non le sarebbe stato naturale rivolgersi a lui dopo la morte di Cristal?

La morte di Cristal, con quanta facilità immaginava la caduta di un alleato, di un amico. Ma era davvero una colpa? In amore è guerra tutto è lecito.

Dubbi che credeva non lo avrebbero mai sfiorato lo fecero tremare, ponendo dilemmi cui non osava rispondere per timore di scoprirsi un uomo diverso da quel che si era sempre ritenuto. Aveva risposto sprezzante ai primi tentativi di Megres, ma ora il dubbio in lui era reale.

"Il tempo non ci è amico!" esclamò in quel momento il Comandante facendolo trasalire. Non si era accorto di star sudando, ma era madido, e non per l’incendio che ancora avvampava. "Prendi la tua decisione!"

"Io… io…" balbettò Artax, rendendosi conto che il suo cuore aveva già fatto la sua scelta. E vergognandosene. Quanto in gioventù aveva disprezzato e deriso i traditori, ma solo adesso si rendeva conto di quanto difficili potessero essere certi dilemmi, e di quanto facile sia giudicare quando non si è mai vissuto qualcosa in prima persona. "Io…" disse di nuovo.

In quel momento, sulle mura tre cosmi avvamparono. Uno carico di sete di sangue, ampio ma oscuro, simile a pozzo di cui è difficile distinguere il fondo. Altri due più deboli, provati dalla fatica, ma lucenti oltre ogni dire, sostenuti dalla fede nella giustizia.

Li riconobbe. E non potè trattenere un brivido: appartenevano a Mizar ed a Syria delle Sirene, anche lui impegnato nella difesa della città sacra. Un senso di profonda vergogna lo avvolse.

"Un Generale degli Abissi… un servo di Nettuno sta combattendo per salvare le genti di Asgard… ed io, che della mia patria sono sempre stato orgoglioso, mi abbandono al tradimento?!" gridò, con tutto il fiato che aveva in gola, come a voler udire le sue stesse accuse. Il suo cosmo esplose in un’onda di luce ed energia, investendo Megres e sbattendolo a terra.

"Ho perso tutto, la donna che amo, il rispetto di coloro che stimo! Solo l’amor proprio mi rimane… non lo getterò al vento!! La vita di un traditore è un peso insopportabile, e se tradissi ora sarei l’ultimo dei vermi!" urlò, lanciandosi rabbiosamente all’attacco, colmo di rimorso e rabbia per aver anche solo considerato l’offerta. Rabbia che rivolse al suo nemico, mutandola in determinazione.

Sorpreso da una reazione così selvaggia, Megres esitò a richiamare a se le Anime della Natura e venne colpito al fianco da un’artigliata, che strappò le placche del cinturino facendo sprizzare schizzi di sangue. Poi un pugno carico di aria ghiacciata al torace, crepando l’armatura e facendo penetrare il gelo sul suo corpo, ed un altro alla tempia, sbattendolo a terra.

"Vi invoco, anime!!" riuscì a gridare, prossimo al panico.

Una radice si frappose tra il suo volto ed il pugno di Artax, andando in pezzi ma riuscendo a salvarlo, ed a permettergli di riprendere il controllo. Schiere di alberi infuocati, alcuni ridotti a miseri scheletri inceneriti, tempestarono il Cavaliere di botte e frustate, spezzandogli alcune costole ed ustionando le sue carni. In particolare il volto, privo del diadema, era ormai ridotto ad una maschera di sangue.

"Caldo… Soffio del Meriggio!" gridò a fatica, dando fondo alle sue forze per lanciare un nuovo vortice di fuoco contro gli alberi più vicini. Nella caverna avrebbe potuto facilmente ridurli in cenere con un solo attacco, ma all’esterno, senza la lava vulcanica ed alle basse temperature di Asgard, poteva solo appiccar loro fuoco, e questo sembrava non bastare. In affanno, crollò su un ginocchio, ma, anzichè proseguire l’assalto, le Anime si fermarono.

Una luce violacea spiegò le ragioni di quel cambiamento. Appoggiata a terra la spada, Megres aveva sollevato le braccia e richiamato a se il suo cosmo, deciso a concludere quel duello. "Per te è finita, trascorrerai l’eternità in una gabbia di cristallo! Teca Viola dell’Ametista!!"

Reagendo d’istinto, senza neppure fermarsi a pensare, Artax disegnò un semicerchio con il braccio. "Bianche Nevi di Asgard!!"

I due poteri, così simili tra loro, si scontrarono a mezz’aria, annullandosi a vicenda in un’esplosione di ghiaccio e ametista e sbattendo entrambi a terra, con numerose crepe sulle armature e schegge conficcate nel corpo.

Alzandosi per primo, fu però Artax a notare una cosa: gli alberi che aveva colpito poco prima con il Soffio del Meriggio erano distrutti, ridotti a meri frammenti.

"Ma… ma certo!" balbettò spalancando gli occhi e concedendosi finalmente un sorriso. Stringendo i pugni, fece esplodere il suo cosmo. "Sta pronto, Megres, perché ora spazzerò finalmente via gli spiriti che hai evocato!" gridò.

Strisciando in piedi, con rivoli di sangue agli angoli della bocca, il fiato pesante e provato per gli sforzi, Megres lo guardò dubbioso. "Sciocco, non si rende conto che più brucia il suo cosmo e più le Anime della Natura si avventano su di lui? Mi sta rendendo tutto più facile! Finitelo una volta per sempre, Anime della Natura!!" gridò, lanciandole all’attacco.

"Un ordine che ti sarà fatale!!" urlò Artax di rimando. "Brucia come eterna vampa, Caldo Soffio del Meriggio!!"

Dando fondo a tutte le sue energie, l’eroe scatenò un vortice di fuoco, abbattendolo sugli alberi posseduti dagli spiriti di Megres, la cui espressione però non vacillò, anzi si fece più sicura.

"Stolto! Tentare una tecnica che si è già rivelata inutile!" rise, notando che, anche se alcuni alberi cadevano, la maggior parte continuava ad avanzare anche in quell’inferno.

Stavolta però fu Artax a sorridere, astutamente e con reale convinzione. "Non inutile, perché ora alle fiamme farà seguito il gelo di Asgard! Mira! Bianche Nevi!!"

Caricati con tutta la forza del cosmo del Cavaliere, i ghiacci di Asgard esplosero come un’ondata di aria gelida, per la prima volta vicina persino allo zero assoluto.

Quel che accadde dopo lasciò Megres senza parole: gli alberi, investiti prima dal fuoco e poi dal gelo, esplosero come fragile cristallo cadendo in pezzi, mentre l’aria ghiacciata si abbatteva anche su di lui, frantumando in più punti la sua armatura e gettandolo a terra coperto da uno strato di brina.

Quandò riuscì a rialzare la testa, si accorse con orrore che la radura si era trasformata in una pianura imbiancata, in cui non si scorgeva un solo albero, cespuglio o rampicante. Solo neve e cristalli di ghiaccio.

"Le… Anime della Natura! Non è possibile… che cosa hai fatto?" balbettò incredulo, sentendo in bocca il sapore del sangue.

"Ho solo messo in pratica una nozione appresa durante l’addestramento: un corpo, passando improvvisamente da una temperatura estrema ad un’altra opposta, perde in resistenza, diventando fragile come vetro! E gli alberi che i tuoi spiriti possedevano non costituiscono eccezione!" sorrise orgoglioso il Cavaliere, sovrastandolo e sollevando il pugno per finirlo. Era ferito e in affanno, con il cosmo ormai debole per la fatica ed i colpi subiti, ma aveva vinto.

Guardandolo negli occhi, fieri e orgogliosi, Megres sembrò abbandonare ogni speranza. Sospirò e volse la testa.

"Vibra pure il colpo di grazia senza esitare, Hela non mi perdonerebbe comunque un fallimento! Mi hai sconfitto… e saranno i tuoi desideri ad avverarsi!" disse in tono remissivo.

"Che vuoi dire?" chiese Artax accigliandosi.

"Non ho mentito sul fato che attende Cristal, anzi probabilmente egli già giace riverso al suolo in una pozza di sangue, mentre tu ti accingi a tornare ad Asgard salvatore della patria. La gloria della vittoria sarà tua, insieme al cuore di Flare… ammesso che ella sia ancora in vita e non abbia scelto di raggiungere il suo amato in Hel!"

Questi due pensieri, l’amore di Flare e la possibilità della sua morte, distolsero per un attimo l’attenzione di Artax, frenandone il pugno a mezz’aria.

Un’esitazione fatale.

Veloce come un serpente, Megres afferrò la spada di ametista che giaceva accanto a lui e si alzò di scatto, affondandola nel cuore del nemico. L’armatura già danneggiata fu perforata da parte a parte mentre il cristallo dilaniava organi e muscoli, emergendo sulla schiena. Fiumi di sangue grondarono al suolo e sulle mani del Comandante, che fissò Artax negli occhi con un sorriso di scherno.

"Distrarre il nemico con un pretesto indovinato per colpirlo quando la guardia è abbassata! Una strategia che mi rimproveravi da bambini, ma che non fallisce mai il bersaglio!" sibilò trionfante.

Inorridito, con i polmoni inondati di sangue e la vista che già iniziava ad appannarsi, Artax comprese che la sua ora era giunta. Con uno sforzo di volontà afferrò tuttavia il braccio del nemico, cercando di sollevare il pugno.

Fu il suo ultimo gesto. Ad un cenno di Megres, le fiamme della spada di ametista tornarono a scaturire, divampando all’interno del corpo straziato dell’eroe, e nello stesso istante la vita lo abbandonò. Con un’espressione di eterno rimpianto sul viso, Artax di Asgard si accasciò esanime, crollando a terra non appena il Comandante ebbe ritirato la spada.

"Uh uh ah ah ah ah ah!!!" scoppiò a ridere Megres, ebbro di gioia per quel trionfo che aveva rischiato di sfuggirgli ancora una volta tra le dita. "La fine degli sciocchi e degli ingenui! Non è per animi nobili o sognatori questo mondo, solo chi sa raggiungere il proprio bersaglio senza esitazioni merita di trionfare! Le tenebre ti siano auguste compagne, Artax! Stretto nel loro eterno abbraccio capirai i tuoi errori! Ahahahaha!!"

Fu una fitta di dolore a riportarlo alla realtà. A ricordargli che anche lui era ferito, e che il suo esercito era perduto. Per qualche secondo si chiese cosa fosse meglio fare, poi volse lo sguardo alle mura di Asgard e si incamminò sul pendio. "Non potrò conquistarla da solo come avevo sperato, ma nel caos della lotta non dovrebbe essere difficile scivolare fino ai portoni ed aprirli all’interno. Che siano gli altri Comandanti a sporcarsi le mani, il merito resterà comunque mio!" pensò soddisfatto, con gli occhi che luccicavano al pensiero dell’imminente trionfo.

E fu in quel momento che un raggio di energia lo trapassò da parte a parte, al centro del torace.

Vomitando sangue barcollò in avanti, trovando a stento la forza di non cadere e voltarsi di scatto. Alla vista del suo aggressore, ancora immobile e con il pugno sollevato, non potè però trattenere un fremito di stupore, incredulo e sbalordito dalla sua identità. "A… Alberico…!"

"Un ottimo lavoro, Megres!" commentò il Quarto Comandante, lanciando un’occhiata al cadavere di Artax ed applaudendo beffardo mentre avanzava verso di lui. "Dai cosmi che sento, guerrieri di rango superiori al tuo non hanno avuto la meglio sui loro avversari, mentre tu non solo hai vinto, ma hai anche trovato un’ingresso segreto di cui nessuno sapeva nulla. Un ottimo lavoro davvero!"

"P… perché mi hai attaccato? Perché sei qui?!" domandò a denti stretti il ragazzo, crollando su un ginocchio e cercando invano di tamponare con la mano la ferita che aveva al torace. Alberico lo aveva nel frattempo raggiunto, e torreggiava su di lui.

"Non lo immagini? Per raccogliere i frutti dei tuoi sforzi!" gli sorrise sarcastico, abbassandosi per sussurrargli nell’orecchio. "Non mi sono mai fidato di te, sin dal primo giorno non mi hai mai convinto! Ero certo che prima o poi ti saresti mostrato per quel che sei veramente, una serpe bramosa di gloria! Ed ho pazientemente atteso quel momento osservandoti dall’ombra! Io conquisterò Asgard adesso, io otterrò le lodi e il potere che speravi di conquistare!" Poi lo spinse a terra con un calcio e lo oltrepassò.

Schiumante di rabbia, Megres strinse il pugno con foga. Sentiva la vita abbandonarlo di secondo in secondo, ma non aveva intenzione di cadere così. "Maledetto!! Mi seguirai all’inferno!!" gridò, rialzandosi di scatto con la spada in pugno e gettandosi su Alberico.

A fermare il suo fendente fu una barriera d’ametista.

"C… che cosa?!" balbettò sgranando gli occhi.

"Perché tanto stupore? L’ametista è sempre stato il simbolo del nostro casato! Pensavi che proprio io, Alberich o Megres I, fondatore della dinastia da cui prendi il nome, non fossi in grado di adoperarlo?" domandò, ridendo del suo sbigottimento.

"Uh… uuh…!" impallidì Megres, cercando di trovare nuove energie.

"Un cucciolo come te non dovrebbe mostrare le zanne ai suoi anziani!" commentò Alberico alzando una mano al cielo. "Anime della Natura!" Obbedendo al suo comando, un fulmine attraversò il cielo, abbattendosi su Megres.

Con gli occhi sbarrati ancora aperti e l’armatura fumante, il ragazzo cadde all’indietro, precipitando giù dal pendio.

"Sciocco! Non conoscevi nemmeno i grandi poteri del nostro casato, la natura è ben più che alberi e lava! Essa è acqua, vento, fulmini e il creato tutto! Ti ringrazio per avermi aperto la via, ma un vero Megres ora completerà l’opera!" esclamò Alberico, guardandolo cadere.

Afferrata la spada d’ametista, che era scivolata di mano al Cavaliere e rimasta accanto a lui, la soppesò tra le mani. "Un’arma interessante…" commentò, fissandola alla cintura. Poi alzò portò due dita alle labbra per lanciare un lungo fischio, in risposta al quale centinaia di soldati di Hela emersero dal fitto degli alberi e sciamarono verso di lui, il capo chino in segno di rispetto e obbedienza.

"Asgard, per mano di chi un tempo ti ha fondato ora cadrai!" esclamò scoppiando a ridere sguaiatamente e guidando l’esercito alla conquista della città.