L'ULTIMA NOTTE

Illuminate dagli ultimi chiarori del sole, cinque figure attraversarono alla velocità della luce il cielo sopra l'Oceano Atlantico, comparendo istanti dopo ai margini di una fitta foresta, all'estremo Nord della Norvegia.

"Asgard, il regno del Dio Odino… siamo dunque arrivati nella terra ai confini del mondo dove combatteremo l'ultima battaglia?" domandò Ioria, rabbrividendo istantaneamente per la gelida temperatura ed osservando le distese innevate, baciate da una calma quasi irreale a confronto con la violenza del campo di battaglia che si erano appena lasciati alle spalle. Accanto a lui, Scorpio era ugualmente sorpreso, mentre Toro si limitò a sorridere, avendo già visitato quei luoghi appena un giorno prima.

Non fu però il Cavaliere della Seconda Casa a rispondere, ma colui che ad Asgard era fiero di essere nato.

"Siamo ai confini del regno, questa foresta separa Asgard dal resto del mondo. Sarebbe rischioso, in questi tempi di guerra, penetrare inattesi all'interno della città alla velocità della luce. Rischieremmo di essere scambiati per nemici ed attaccati prima ancora di essere riconosciuti" spiegò Orion, ma la sua voce risuonò quasi tentennante, e non salda come poco prima.

Voltandosi, Ioria si accorse che lui ed Artax non si erano praticamente mossi da quando avevano messo piede lì, e lo sguardo fiero dei loro occhi era velato da una patina di commozione. Entrambi si guardavano attorno con calma, e insieme con gioia, come ad imprimersi negli occhi e nel cuore ogni dettaglio di quei luoghi che tanto avevano amato. Il gelo polare non sembrava infastidirli minimamente, ed anzi respiravano profondamente, riempiendosi i polmoni ed assaporando quell'aria pura e frizzante, ricca degli odori della foresta. Ma scorgendo più in profondità negli occhi cristallini del Cavaliere del Drago, Ioria scorse anche una punta di malinconia e, forse, timore.

"Impediremo ai flagelli di Erebo di portare anche qui la loro mortifera mano!" esclamò il Leone con fierezza, intuendo, o credendo di intuire, quel che si agitava nella mente dei due alleati.

Accennando un sorriso, Orion incrociò il suo sguardo, scrutandone la profondità, ma poi sospirò "L'oscurità contro cui ci apprestiamo a combattere è più grande di qualsiasi altra abbiamo mai affrontato in passato. Non potremo impedire che le bianche nevi di Asgard si tingano di sangue… ad altro, alla vittoria, dovranno essere tesi i nostri sforzi!"

I Cavalieri d'Oro apprezzarono la nobiltà insita nel suo tono, ma non poterono fare a meno di provare un fremito di amarezza al pensiero che, se fossero riusciti a fermare prima i plotoni nemici, forse tutto ciò non sarebbe necessario.

"Il nostro regno è sempre stato teatro di feroci battaglie, molti eserciti invasori hanno trovato la morte sotto le sue mura fortificate. Non vi è luogo più adatto ove far fronte alle sterminate armate di Erebo!" aggiunse allora Artax, con un misto di fierezza e mestizia.

In quel momento, il cielo si illuminò ed altri cinque fasci di luce comparvero accanto a loro, anticipando l'apparizione di altrettanti Cavalieri.

"Libra! Mur!!" gridarono all'unisono Scorpio, Toro e Ioria, felici di rivedere i compagni per le cui sorti avevano temuto. Il Cavaliere d'Ariete in particolare era pallido e coperto di sangue, ed emanava un cosmo appena percettibile. Insieme a loro, vi erano Mime, Luxor e Thor, che dopo aver ammirato per qualche attimo i boschi a loro cari, scambiarono un breve sguardo d'intesa con Orion ed Artax.

"Perdonate il ritardo, la battaglia è stata più violenta del previsto. Le schiere di Erebo già sciamano in Oriente… le abbiamo sconfitte, ma non tarderanno a riorganizzarsi!" riassunse Thor.

"Dobbiamo affrettarci a palazzo! Lì troveremo… chi potrà aiutarci!" annuì Orion, esitando appena un attimo. Fra tutti, solo Artax comprese il vero motivo del suo tentennamento, ma prima che potesse dire qualcosa all'amico, egli si voltò incamminandosi a passo di marcia nella foresta. Immediatamente, gli altri lo seguirono, con Toro che prese Mur dalle braccia di Mime, ponendoselo delicatamente in spalla.

Guidati dal passo sicuro dei Cavalieri del Nord, gli eroi intrapresero subito la via più diretta verso il palazzo reale, scambiandosi nel frattempo informazioni su quel che era successo nelle ultime ore. In particolare, i Cavalieri d'Oro narrarono delle battaglie contro i Guardiani di Avalon, della comparsa di Erebo, e della tragica caduta di Kanon, Virgo, Pegasus, Sirio, Cristal, Andromeda e Phoenix. Quest'ultima notizia in particolare amareggiò profondamente gli eroi di Asgard, che ai cinque amici erano ormai uniti da un profondo legame.

Dal canto loro, Orion e gli altri raccontarono come Odino avesse aperto le porte del Valhalla prima di recarsi a combattere contro Erebo sull'Olimpo, affidando loro il comando delle schiere di Einherjar, i prodi guerrieri raccolti nel corso dei secoli per lottare alla fine del mondo.

"Poc'anzi, mentre affrontavamo le armate nere, ho sentito numerosi cosmi di dimensioni spropositate esplodere e poi scomparire ad Ovest, in direzione di Grecia! Ed altri due, persino più possenti, attimi dopo, quando stavamo per partire" ricordò preoccupato Libra "Possibile che persino gli Dei…"

"No, è assurdo! Per quanto grande sia il cosmo di Erebo, non può aver avuto ragione di tutti gli Dei dell'Olimpo!" esclamò Scorpio, fermandosi per un attimo con gli occhi sbarrati.

"Eppure… se loro… o il Signore Odino avessero trionfato, gli eserciti oscuri starebbero fuggendo in preda al panico, anzichè calcare ancora la Terra…" notò amaramente Mime, e per quanto terribile fosse l'alternativa, nessuno trovò modo di obiettare.

In quel momento, la conversazione si interruppe e tutti i Cavalieri si allertarono. Un'istante dopo, una figura balzò di fronte a loro uscendo dagli alberi, ma, anzichè attaccarli, rimase totalmente immobile, con gli occhi sbarrati, mentre gli ultimi raggi di sole si riflettevano sulla sua armatura verde, creando affascinanti giochi di luce sulla neve.

Riconoscendolo subito, Toro sorrise. "Eh eh, pur tra tanti lutti, abbiamo ancora qualche alleato al nostro fianco!"

Di fronte a loro, il Cavaliere avanzò di un passo, quasi incespicando.

"N… non è possibile… Orion, Artax, Luxor, Mime, Thor… non sto sognando, siete davvero voi?!" balbettò incredulo Mizar, spalancando sbalordito gli occhi.

"Non di sogno o illusione si tratta, amico mio. La sorte ci ha davvero concesso un'ultima occasione per combattere fianco a fianco!" gli sorrise calorosamente Orion, appoggiandogli una mano sulla spalla, mentre anche Thor, Artax e Mime si avvicinavano. Stessa cosa fece Luxor, seppur più timidamente e fermandosi fuori dal gruppo, a qualche passo di distanza, cosa che non sfuggì allo sguardo attento di Scorpio.

In giorni migliori, la gioia di aver ritrovato amici creduti perduti per sempre avrebbe dominato l'atmosfera per molte ore, ma stavolta a Mizar non occorsero che pochi attimi per comprendere il significato più profondo che la presenza dei suoi vecchi compagni implicava.

"Se le porte del Valhalla si sono aperte… allora il Crepuscolo degli Dei… il Ragnarok è su di noi?!" intuì, incupendosi subito.

Orion annuì gravemente, e spostò lo sguardo in direzione di Asgard.

"Poco è il tempo a nostra disposizione, non ci è concesso spenderlo in prolungate spiegazioni. Accompagnaci ad Asgard, vi diremo tutto una volta arrivati!" suggerì.

Annuendo a sua volta, Mizar si voltò verso la via da cui era venuto. Prima di incamminarsi però, scoccò un'occhiata ai Cavalieri d'Oro, sorridendo alla vista del custode della seconda casa.

"Felice di rivederti, Cavaliere del Toro! Un pò più malconcio, ma sano e salvo!"

"Eh eh, non è così facile abbattermi! Ma i venti di guerra non hanno risparmiato neanche te, a quel che vedo!" rispose il corpulento Cavaliere, sorridendo, ma anche notando le ferite ben evidenti sul corpo del guerriero, e le crepe sulla sua armatura.

"Temo che in questo momento non esista luogo al mondo al sicuro da tali venti scellerati…" rispose amaramente Mizar, per poi rivolgersi indistintamente a tutti i Cavalieri d'Oro

"Alcor e Syria delle Sirene ci attendono ad Asgard, e con loro la nobile Ilda, e Kiki! E' stato proprio lui a percepire il comparire dei cosmi di alcuni di voi, spingendomi a venirvi incontro! Le ferite accumulate ci hanno impedito di accorrere al vostro fianco, nella battaglia di Scozia, ma stavolta combatteremo insieme!" promise con fierezza, prima di iniziare a correre sul sentiero, immediatamente seguito da tutti gli altri.

Nel giro di pochi minuti, la foresta si aprì, rivelando in lontananza le mura fortificate e le alte torri innevate di Asgard. Senza esitare, il gruppo raggiunse la strada maestra, oltrepassando di slancio i pesanti portoni della cittadella che conducevano alla zona abitata, e poi al palazzo reale. Accanto ad essi, i soldati di guardia aprirono increduli la bocca alla visione di così tanti Cavalieri, ed anche donne e bambini uscirono dalle loro case di legno, indicando sbalorditi e sollevati i redivivi eroi ed i loro compagni dalle dorate armature, la cui stirpe era ormai parte del mito.

Attimi dopo, gli eroi varcarono l'anello di mura della cinta interna della cittadella, entrando nei corridoi che conducevano al grande piazzale del palazzo. Pur nella gravità della situazione, Ioria, Scorpio e Libra non poterono fare a meno di ammirare lo splendore della fortezza di Asgard. Le mura merlate, alte e compatte; le torri, con le strette feritoie per arcieri e lancieri, ed i tetti bianchi di ghiaccio che brillava intensamente nel rosso fuoco del tramonto; i ponti di pietra sospesi a mezz'aria, tra un torrione e l'altro, coperti da spesse coltri di neve; i pesanti portoni in legno massiccio, e dietro di loro i bui corridoi rischiarati dalla luce delle fiaccole. Persino più del Grande Tempio di Grecia, Asgard apparve loro come una città forgiata per la battaglia, ultimo bastione in cui gli uomini liberi potessero arroccarsi per lo scontro finale contro le armate di Erebo.

Finalmente, Mizar attraversò di scatto l'ultima arcata, salendo le scale e raggiungendo l'enorme piazzale dove, tempo prima, Pegasus e gli altri avevano combattuto per liberare Ilda dall'influsso dell'Anello del Nibelungo. Lì, lui e gli altri arrestarono la loro corsa, essendo giunti di fronte ad una moltitudine di persone che si era riversata all'esterno dai corridoi, le sale e le torri del palazzo: accompagnati da numerosi soldati semplici, vi erano infatti Alcor, Syria, Kiki, Flare e soprattutto Ilda, che con le labbra quasi tremanti e gli occhi spalancati fissò immobile i nuovi venuti.

"Incredibile…le stelle dell'Orsa sono tornate a splendere nel firmamento del Nord!" commentò Syria in un sussurro.

"E' sinistro presagio la loro presenza, se le porte del Valhalla sono state aperte è segno che il Ragnarok è ormai imminente… eppure non riesco ad esser triste per questo ritorno, i campioni di Asgard sono di nuovo tra noi, non importa a che prezzo!" sorrise Alcor.

"Siete… davvero voi?!" balbettò Flare coprendosi la bocca con le mani, mentre le lacrime le rigavano il viso.

Sorrisi di gioia indescrivibile comparvero sui volti dei Cavalieri del Nord, ma nessuno di loro fece un passo. Soltanto Orion avanzò in direzione di Ilda, incrociandone fieramente lo sguardo senza tradire un'emozione. A pochi passi da lei, l'eroe si inginocchiò ai suoi piedi. L'attenzione di tutti nel piazzale si spostò immediatamente su di loro.

"… Mia regina, io, Orion, le offro ancora una volta la mia vita, quelle dei miei compagni, ed il comando degli Einherjar che il sire Odino ci ha affidato. Disponga di noi come meglio crede!" disse solennemente.

Annuendo in maniera appena percettibile, Ilda, che si era immediatamente ripresa dalla sorpresa di poco prima, gli poggiò la punta della lancia sulla spalla destra.

"Ti ringrazio, Cavaliere! E' dono del cielo il vostro ritorno come il vostro aiuto, ne avremo bisogno nelle ore buie che ci attendono!" esclamò rigidamente, per poi guardare verso i Cavalieri d'Oro ed aggiungere con più dolcezza "Nonostante le circostanze, siate i benvenuti, protetti di Atena! I medici reali tenderanno immediatamente alle vostre ferite!"

"A nome di tutti, io, Doko di Libra, la ringrazio!" disse rispettosamente il Cavaliere della settima casa, mentre già Kiki si avvicinava preoccupato a Toro e Mur.

Scorpio intanto si affiancò a Ioria, che aveva lo sguardo fisso su Ilda ed Orion, ancora immobili uno di fronte all'altro, intenti a fissarsi negli occhi.

"Consapevole degli sguardi di tutti, non ha lasciato vacillare per un attimo la propria autorità persino di fronte al ritorno dei suoi paladini. Una dimostrazione di debolezza emotiva potrebbe essere tragica in tempo di guerra… seppur giovane, quella donna possiede il piglio di una vera regina!" commentò il custode dell'ottava casa.

Il Cavaliere del Leone però non rispose nulla, ed incuriosito Scorpio ne scrutò il viso, gli occhi spalancati, la bocca leggermente aperta, l'espressione immobile. Solo dopo qualche attimo, resosi conto dello sguardo inquisitore del compagno, il guerriero si scosse, bofonchiando qualcosa in cenno di assenso e voltandosi verso gli altri.

Nel frattempo, Flare aveva abbracciato calorosamente Artax, scoppiando in lacrime, mentre Mizar stava rapidamente presentando Alcor a Thor e Mime, che, finchè in vita, non avevano mai saputo nulla di lui. Toro e Kiki stavano aiutando Mur a rimettersi in qualche modo in piedi, e Libra scrutava pensieroso l'orizzonte, su cui ormai era calata la notte. Persino i soldati semplici sembravano pervasi da un senso di vaga euforia, e guardavano con ammirazione i loro ritrovati eroi. Solo Syria e Luxor sembravano interdetti, entrambi esitanti ai margini del gruppo.

Dopo qualche minuto, un pò a malincuore, Ilda abbandonò lo sguardo di Orion, alzando la voce affinchè tutti potessero udirla, ed invitando i Cavalieri a palazzo, cosicchè potessero consultarsi sulla migliore strategia da adottare. "Non ci è permesso abbandonarci a ricordi ed emozioni, poco è il tempo che ci resta! Presto il nemico potrebbe attaccare Asgard, dovremo farci trovare pronti a respingerlo! Che ancora una volta, come in tante epoche passate, l'esercito invasore apprenda a sue spese cosa comporti invadere le nostre terre!" gridò con enfasi, sollevando minacciosamente la lancia. Il suo proclamo fu accolto con grida entusiaste dai soldati, che strinsero le armi che avevano in pugno.

"Voglia il cielo che in futuro vi siano ancora momenti per gioire insieme…" sussurrò poi tra se e se, mettendo per un attimo da parte la sua maschera da regina prima di voltarsi.

Ma in quel momento, un luce abbagliante comparve nel cielo, per poi dividersi in cinque astri dei colori dell'arcobaleno, le cui tinte illuminarono la notte.

"Fiere parole, Ilda, degne della sovrana che ricordavo! Ma questa battaglia non la combatterete da soli, nessuno più di noi ha conti in sospeso con Erebo, e per saldarli siamo tornati appositamente dalle porte dell'inferno!" esclamò orgogliosamente una voce ben nota, mentre gli occhi di tutti si spalancavano per la meraviglia.

Emergendo dalla luce e con indosso le loro nuove armature splendenti di energia, Pegasus, Sirio, Cristal, Andromeda e Phoenix comparvero di fronte ad amici e alleati.

"Anche troppo è durato questo regno di oscurità e terrore! E' ora di finirla, una volta per tutte!"

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Mentre i suoi eserciti di soldati neri sciamavano sul mondo, in Polonia Erebo in persona camminava sulla Terra, circondato da un alone mortifero. La sua aura oscura infatti annientava istantaneamente qualsiasi essere umano normale ne incrociasse anche solo lo sguardo, lasciandosi alle spalle sterminate distese di cadaveri.

Incurante di tutto ciò, la Prima Ombra continuò indisturbato, fino a raggiungere la sua destinazione nella parte meridionale della regione, a meno di cinquanta chilometri da Cracovia. Lì infatti si trovavano le porte di uno dei luoghi più infausti della storia dell'umanità, il campo di sterminio di Auschwitz.

Accennando appena un sorriso, Erebo ne divelse i cancelli con un solo sguardo, avanzando al suo interno fino a raggiungere il cuore della struttura. Soddisfatto, chiuse gli occhi e, sollevata una mano, espanse il suo cosmo color ebano, lasciando che esso riempisse l'aria e si insinuasse nel sottosuolo. Grida di dolore e lamenti senza origine iniziarono a risuonare attorno a lui, prima sparuti e flebili, poi sempre più acuti, numerosi e distinti.

"Più crudele tra i Flagelli che a me sono fedeli, signore del dolore e maestro di ogni pena, risorgi al mio cospetto! Tua è l'arte dell'estrema sofferenza, la ferita che dilania il corpo del nemico senza tuttavia offrirgli il conforto della fine! Qui, nel luogo ove un numero incalcolabile di esseri umani patì indicibili tormenti, io, Erebo, ti invoco! Vieni a me, Agonia!" proclamò, e come convocata dalla sua voce, una figura totalmente avvolta in un manto nero comparve dal suolo, inginocchiandosi ai suoi piedi e piegando il capo in cenno di obbedienza.

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Ad Asgard, i cinque Cavalieri Divini, i Cavalieri d'Oro, i Cavalieri di Asgard, Syria ed Ilda erano riuniti in consiglio in uno dei saloni principali, alla presenza anche di Kiki e Flare. Tutti i presenti avevano ascoltato il racconto dei cinque eroi, prima con meraviglia, poi con terrore nello scoprire quello che, in caso di sconfitta, sarebbe stato il destino del mondo. Per delicatezza, i ragazzi non entrarono nei dettagli del possibile futuro di Kiki, ma non poterono comunque esimersi dal riassumere quel che avevano visto, o le parole di Zeus.

"Quindi è vero… il signore Odino non è più tra noi…" mormorò con amarezza Ilda, abbassando per un attimo lo sguardo, mentre un senso di perdita riempiva la sala.

"Sire Nettuno… anche lei è caduto?!" si chiese Syria in un sussurro.

"Atena… Odino… Nettuno… e poi Virgo, Kanon, Bres, Oberon… in troppi sono già perduti, è ora di porre fine a queste stragi!" esclamò a voce alta Ioria, serrando il pugno con rabbia.

"Hai ben detto! Basta restare fermi in attesa di un grido di guerra, è ora di prendere l'iniziativa!" si associò Alcor, mentre anche Scorpio, Artax, Thor ed altri annuivano convinti.

"Sarebbe… tutto inutile. Morireste invano!" si intromise in quel momento Pegasus, spostando l'attenzione di tutti verso se. Il ragazzo parlava in tono inusualmente sommesso per le sue abitudini, ma la voce era salda, seppur amareggiata, e lo sguardo diretto.

"Credetemi… so bene quel che state provando, ma cedere all'ira ed al desiderio di vendetta sarebbe un errore madornale! Erebo è nemico troppo superiore alle vostre forze… non avreste speranza. Ora come ora… gli unici a poter qualcosa contro di lui siamo noi cinque!" affermò.

"C… che intendi dire, Pegasus?" domandò improvvisamente Flare, appoggiandosi alla parete per trovare sostegno, come se sapesse già la risposta che stava per ricevere.

Fu però Cristal a replicare, anticipando l'amico, e nella cupezza del suo tono era ben evidente la gravità della situazione.

"Ne abbiamo già parlato… Noi… andremo ad Avalon… da soli!" disse semplicemente, senza avere il cuore di guardare la fanciulla negli occhi.

Per qualche secondo, un silenzio irreale calò sulla sala, poi Scorpio si alzò di scatto, fissando con sguardo ferito e accusatorio i cinque ragazzi.

"Vorreste estrometterci?! Lasciarci da parte proprio ora che il nemico più potente ha fatto la sua comparsa? Come potete pensarlo?! Anche noi abbiamo visto l'oscura forza di Erebo, per mano sua Virgo è caduto! Ma siamo Cavalieri, non per correre a nasconderci quando le speranze si affievoliscono abbiamo combattuto per tutto questo tempo!" gridò con rabbia.

"E non dimenticate che è proprio per affrontare questa minaccia che il signore Odino ci ha condotti nel Valhalla, donandoci una nuova vita da utilizzare per combattere le forze oscure dell'Apocalisse!" intervenne Artax.

"Cercate di capirci… sappiamo bene quel che provate, ma a cosa gioverebbe un vano sacrificio? E' così grande la forza di Erebo… anche ora che abbiamo imparato ad usare il nono senso… anche con queste nuove armature rinate con il sangue divino, non siamo per niente sicuri di poterlo sconfiggere!" cercò di intercedere Andromeda.

"Un motivo in più per cui dovremmo accompagnarvi! L'esperienza non ci fa difetto, e chi può dire che piega potrebbero prendere gli eventi?" ribattè Toro, mentre dall'altro lato del tavolo anche Thor annuiva.

"Nel momento in cui le porte del grande palazzo divino si sono spalancate, noi e tutti gli Einherjar siamo tornati ad essere dei mortali esseri umani. Combattere nell'ultima battaglia per la fine del mondo è nel nostro destino, di uomini e di guerrieri del Dio Odino! Non possiamo rinunciarvi!" esclamò il gigante, con fierezza.

"Adesso basta, non giova discutere tra noi… non in un momento così critico!" intervenne in quel momento Ilda, sollevando la sua voce sopra le altre e ponendo fine con fermezza alla discussione.

Sospirando profondamente, la regina, che era seduta a capotavola, si alzò. La sua espressione della fanciulla era tormentata, ma decisa, propria di chi ha fatto una scelta ed è pronto a portarla a termine nonostante tutto.

"Per quanto possa essere doloroso ammetterlo, Pegasus ha ragione! Loro cinque sono gli unici ad avere una speranza, ad Avalon noi non gli saremmo che d'intralcio. E' giusto… che vadano da soli!" esclamò.

"Sorella…!" balbettò Flare incredula. Pegasus sorrise, rilassandosi sulla sedia, e gli altri Cavalieri del Nord fissarono la loro sovrana con un misto di delusione e rassegnazione. Solo Orion però si accorse che la donna non aveva ancora finito, ed infatti bloccò sul nascere ogni commento con un perentorio gesto della mano.

"Pegasus e gli altri andranno da soli… ma questo non significa che noi resteremo in disparte! Faremo la nostra parte in modo diverso, spianando loro la strada per quanto possibile. Attireremo le armate di Erebo qui, ad Asgard!" concluse.

"Ehi… come sarebbe?!" esclamò confuso Pegasus, alzandosi di scatto ed appoggiando entrambe le mani sul tavolo.

"Che cosa avete intenzione di fare?" domandò più pacatamente Sirio.

Ilda chiuse gli occhi per un attimo, ma la sua espressione non vacillò.

"Dalla vostra visita nel futuro, avete detto che l'esercito di Erebo si muoveva seguendo qualsiasi traccia di cosmo, e usandola per annientare ogni forma di resistenza. Dopo aver affrontato i Cavalieri in America e Giappone, è molto probabile che ora i suoi seguaci stiano facendo la stessa cosa. Espanderò dunque al massimo il cosmo che mi è proprio, facendolo brillare come un faro, che indichi loro la nostra posizione! Avalon si svuoterà delle sue armate, lasciandovi campo libero!" spiegò con fredda calma.

"Ma così… vi trovereste di fronte l'intero esercito oscuro. Migliaia, forse milioni di soldati… Asgard non resisterà al loro impeto!" disse Cristal, sbiancando e lanciando involontariamente un'occhiata in direzione di Flare.

"Uuh… è assurdo… un suicidio! Non possiamo permetterlo!" aggiunse Pegasus, ma Ilda lo zittì con lo sguardo.

"Non dimenticare che sono la regina di Asgard, Pegasus! E' solo il signore Odino a potermi dare ordini, non sta nè a tè nè a nessun altro decidere cosa io possa o non possa fare!" esclamò con pacata fermezza, facendo risuonare nella sua voce tutto il piglio di una sovrana

"Sin dall'inizio eravamo pronti a fare di Asgard il campo di battaglia della contesa finale! Le sue mura hanno respinto mille e un assedio, non cederanno facilmente, non importa in quanti tentino di abbatterle! Ed inoltre… non dimenticare che in questo stesso momento, migliaia di persone nel mondo stanno venendo massacrate senza alcuna possibilità di difendersi. Dovremmo abbandonarli solo perchè le loro vite sono un sacrificio più facile da accettare? Credete che Atena… che Lady Isabel lo vorrebbe? No, Cavalieri, non cercate di farmi cambiare idea. Ad altro… alla vittoria dovrebbero essere tesi i vostri pensieri! Invadete Avalon e ponete fine al regno di Erebo! Noi… resisteremo, qui, alla fine del mondo!"

Sconfitto, Pegasus tornò a sedersi, scuotendo il capo sconsolato, mentre tutti gli altri non poterono fare a meno di ammirare la forza d'animo della regina.

Ignorandoli, Ilda si voltò verso Orion, che la stava fissando con la più tenue ombra di un sorriso sul viso, e verso gli altri Cavalieri del Nord. Le loro espressioni erano mutate, una serena calma aveva sostituito l'incertezza di poco prima. Nell'accorgersene, la donna non potè trattenere un fremito di colpa, consapevole che con la sua scelta forse aveva condannato le loro vite, per la seconda volta in alcuni casi.

"Ha ben detto!" esclamò in quel momento Orion, parlando per la prima volta "Le sue sono state le parole di una vera regina, noi Cavalieri di Asgard siamo fieri di esserle fedeli! Qualsiasi sorte ci attenda, le andremo incontro con un sorriso nel cuore ed una spada nel pugno!"

Sollevata, e consapevole della rassicurazione insita nelle parole del suo primo Cavaliere, la Celebrante trattenne un sorriso, limitandosi ad un formale cenno di assenso prima di voltarsi verso gli altri.

"Cavalieri d'Oro di Atena, e tu, Generale di Nettuno… siete qui in veste di ospiti, non ho autorità su di voi, nè diritto di mettere in gioco le vostre vite. Ciononostante vi chiedo… siete disposti ad aiutarci? Ad eseguire i miei ordini nel corso di questa crisi? Vi è spazio per un solo comandante sul campo di battaglia…"

Pur se rivolta a tutti, era Libra che la donna aveva guardato nel porre il quesito, e fu proprio il Cavaliere della Bilancia a rispondere, dopo un breve scambio di sguardi con i compagni.

"Regina di Asgard, due volte siete accorsi in nostro aiuto nel momento del bisogno in queste ultime ore. Concedeteci quindi di ricambiarne almeno una: aveva già il nostro rispetto, ora ha anche la nostra fedeltà!" rispose semplicemente.

"Io… non posso parlare che per me. Non ho più compagni da affiancare, nè sovrano da proteggere. Per quel che vale, prenda pure la vita di Syria delle Sirene, gliela offro volentieri…" aggiunse il Generale. Osservandolo, Orion non potè fare a meno di pensare quanto fosse diverso l'uomo che ora sedeva con lui al tavolo, con l'armatura coperta di crepe ed il corpo ancora pieno di ferite, dal guerriero sicuro di se e del proprio Dio che era comparso ad Asgard tempo prima.

"La decisione è presa quindi… inutile provare a farvi cambiare idea…" sospirò Pegasus, mentre sia lui che gli altri sentivano una fitta al cuore al pensiero del rischio che gli amici avrebbero presto corso, unito al ricordo dei drammi cui avevano assistito nel futuro. Mizar, Alcor, Syria ed i Cavalieri d'Oro erano infatti decisamente malridotti, sporchi di sangue e ferite e con i cosmi quasi esauriti. Persino le loro armature erano a pezzi, pallide ombre dello splendore passato, e Mur aveva spiegato come, a causa della distruzione degli attrezzi dello Scultore, non sarebbe stato possibile ripararle questa volta. In qualsiasi modo si guardasse la situazione, i cinque eroi non potevano non pensare di star condannando a morte i loro compagni. Come in Ade, ancora una volta avrebbero dato la vita per permettere loro di proseguire.

Ma per quanto il pensiero li ripugnasse, le parole di Ilda erano veritiere, ed il piano sensato. Senza la protezione del suo esercito, ci sarebbe stata forse una speranza in più di sconfiggere Erebo, e soprattutto muovendo la guerra ad Asgard sarebbe stato possibile risparmiare migliaia, forse milioni di vite innocenti. Una consapevolezza, questa, che però non rendeva più facile la scelta.

"Non ci resta… che andare" propose alla fine Phoenix, facendo per alzarsi senza incrociare gli sguardi degli altri.

Ilda scosse il capo, appoggiandogli una mano sulla spalla per fermarlo.

"Saranno necessarie alcune ore prima che il mio cosmo conduca qui le armate di Avalon, e da giorni voi non fate altro che combattere. Riposate un pò, almeno fino all'alba… vi aiuterà a recuperare le forze… ed a porgere saluto, prima di partire…" esortò, scoccando un'occhiata di sottecchi a Cristal e Flare, entrambi con gli occhi abbassati e persi nel vuoto, le espressioni contrite.

Sospirando, Pegasus annuì.

***************

Più o meno in quello stesso momento, alcune centinaia di chilometri più a Sud, Erebo proseguiva nella sua missione, attratto dai luoghi ove sentiva più forte lo spirito dei cinque Flagelli dell'umanità, coloro che sarebbero stati la sua schiera più fedele nei millenni a venire.

Accompagnato da un vento nero, partì dalla Polonia viaggiando verso Sud e attraversando Slovacchia e Ungheria, per poi entrare in Romania. Con i suoi sconfinati poteri, avrebbe potuto raggiungere la sua destinazione in meno di un istante, ma un'eternità di prigionia gli aveva insegnato il valore dell'attesa, ed i sentimenti negativi di terrore che gli uomini provavano nel vederlo avvicinare fluivano nel suo corpo quasi come piacevoli scariche di energia.

Alla fine, attraversando il paese, raggiunse la sua destinazione, una foresta nella regione della Valacchia. Qui, chiudendo gli occhi, allargò soddisfatto le braccia, permettendo di nuovo al suo cosmo nero di permeare l'aria e la terra.

"Più brutale tra i Flagelli che a me sono fedeli, risorgi al mio cospetto! Tuo è lo spirito primigenio che accomuna uomini e donne, infanti ed anziani, Dei ed eroi! E tua è la forza selvaggia che non conosce limiti, come infinita è la capacità umana di sfruttare per capriccio la natura che ti è propria! Qui, nel luogo ove in migliaia vennero sterminati per mera esibizione di forza, io, Erebo, ti invoco! Vieni a me, Violenza!" gridò.

In risposta a tal comando, il suolo ai suoi piedi esplose in un vortice di energia oscura, dal quale emerse una corpulenta figura completamente avvolta in un manto nero. Con un cenno del capo, essa si inchinò ai piedi di Erebo.

***************

Sul palazzo reale di Asgard era calata la notte, ma non la quiete di corpo e di spirito che di solito essa porta con se. Al contrario, la gente volgeva con timore lo sguardo verso il cielo, stranamente sereno per quei luoghi, temendo che la luna che alta brillava sarebbe potuta essere l'ultima mai vista.

Circa un'ora prima, l'armata degli Einherjar era finalmente arrivata alla cittadella, rimpinguando con migliaia di veterani le schiere dell'esercito. Instancabile nonostante l'aver dato ordini ed organizzato preparativi per tutta la sera, Ilda li aveva accolti personalmente, informandoli della situazione e della decisione presa. Alcuni, non conoscendo di persona la regina e preferendo una strategia di offesa ad una di difesa avevano cercato di obiettare, ma la presenza di Orion, sommamente stimato da tutti i guerrieri che avevano imparato a conoscerlo nel Valhalla, aveva sedato ogni rimostranza sul nascere.

Ad alcuni soldati Ilda aveva inoltre chiesto di supervisionare l'ingresso degli abitanti della città nella cinta muraria interna del palazzo. La Celebrante aveva infatti ordinato un'evacuazione immediata delle abitazioni più esterne, consapevole che non avrebbero retto l'urto delle armate nere di Erebo. Avvolti nei loro abiti, anziani, donne e bambini, inadatti alla battaglia, stavano quindi spostandosi nel palazzo reale, ove, nei limiti del possibile, erano stati messi a disposizione per loro stanze e giacigli.

Al centro del grande piazzale, tre enormi pire funerarie, ultimo saluto ad eroi caduti, stavano bruciando, rischiarando di bagliori rossastri la statua di Odino.

Appoggiato al bordo di pietra di una delle balconate del palazzo, incurante del gelo polare, Ioria osservava malinconicamente le lingue di fuoco protendersi verso il cielo.

"Virgo… Kanon… Bres… dei guerrieri come voi meriterebbero ben altro saluto. Neppure le vostre spoglie ci è concesso onorare, perdute sotto cieli stranieri, forse per sempre! Siete lontani ormai… insieme a Micene, Capricorn, Gemini e tutti i compagni ed amici che abbiamo perso in questi anni così bui! Ma portate pazienza… chissà quanti di noi domani saranno a farvi compagnia…" pensò con cupa ma anche determinata rassegnazione.

Ad un tratto, qualcosa lo strappò dai suoi pensiero. Emergendo da sotto un arco, Pegasus era uscito a sua volta sulla balconata, andandosi a poggiare al bordo ghiacciato accanto a lui.

"Neache tu riesci a dormire?" gli domandò il Leone con un sorriso tirato, non potendo fare a meno di notare l'espressione serie e contrita del ragazzo.

"No… non è più un ragazzo… è un uomo ormai, e un vero Cavaliere…" si corresse tra se e se, ripensando al giorno del loro primo incontro, quando Pegasus non era che un apprendista monello agli ordini di Castalia. Un sorriso un pò più spontaneo del precedente gli si disegnò sul viso.

"Non credo ci sia qualcuno che possa dormire, stanotte. Troppa tensione da affrontare… troppi saluti da fare. Il piano di Ilda è sensato… ma quanto vorrei che non fosse necessario!" mormorò l'eroe, fissando indistintamente il fuoco delle pire.

"Almeno tanto quanto noi vorremmo potervi accompagnare…" replicò Ioria "ma non ci è concesso di vedere esauditi i nostri desideri, altro ha per noi in serbo il destino… proprio come ad altro devono essere tesi i nostri sforzi!"

"A combattere contro un nemico che rasenta l'invincibile…" pensò Pegasus, senza però dar fiato ai suoi timori.

Per qualche minuto, i due rimasero così, in silenzio uno accanto all'altro, ciascuno perso nei propri pensieri. Poi Ioria sorrise, attirandosi uno sguardo incuriosito del ragazzo.

"Ricordavo i giorni della battaglia delle Dodici Case… un gruppo di ragazzini di bronzo venuti a sfidare la stirpe dei custodi dorati!" spiegò.

"E ve le abbiamo date di santa ragione…"

"Eravamo convinti di aver già vinto… ma chi scende in campo sicuro della propria vittoria… o della propria sconfitta… non combatte davvero, si limita a cercare di far avverare il destino che si è scelto. È solo chi deve ribaltare il fato avverso che lotta fino all'ultimo… fino a compiere miracoli!" disse, scoccandogli intenzionalmente un'occhiata prima di spingersi su e rientrare nel palazzo.

Seguendolo con lo sguardo, Pegasus si arruffò i capelli con una mano, ricordando i consigli che il Leone gli aveva dato quando non era che un bambino.

"Sei sempre stato un buon fratello maggiore…" pensò, concedendosi un vero sorriso e guardando distrattamente un gruppo di soldati ed Einherjar, tra i quali spiccava la gigantesca corporatura di Thor, seduti chiassosamente attorno ad un falò.

"Hai le braccia un pò sottili, sicuro di essere un guerriero?" rise il gigante, sollevando senza sforzo uno dei presenti, per poi lasciarlo ricadere comicamente.

"Domani ti rimangerai queste parole, la mia ascia farà strage di nemici!" ribattè l'altro, un giovane uomo di neanche trent'anni, brandendo l'arma che teneva affianco.

"L'esercito di Erebo farà bene a temere Ivan il Terribile allora! Ah ah ah" scoppiò a ridere uno dei Einherjar, coinvolgendo ben presto tutti gli altri, incluso lo stesso Ivan.

"O magari dovremmo avvisarli che ci sei anche tu… scapperanno a gambe levate! Vinceremo senza nemmeno levare una spada!" aggiunse un altro.

"Ah ah ah, ammesso che riescano ad avvicinarsi! Che ne sanno di noi questi soldatini infernali? Un assaggio del gelo di Asgard e saranno felici di tornare a riscaldarsi alle fiamme di Hel!" rise Thor, sollevando al cielo un corno in cui era stato versato del vino diluito con acqua e svuotandolo con un solo sorso. "Per gli Dei! Spero che dopo la vittoria potremo brindare con qualcosa di meglio di questa roba annacquata! Mi viene quasi nostalgia dei banchetti del Valhalla!" esclamò con finta indignazione, scoppiando di nuovo a ridere.

Il fragore delle sue risate risuonò per il piazzale, attirando man mano altri soldati e disperdendo la paura e la tensione che albergavano nelle loro anime. Uomini che fino a poco prima avevano sentito vicino a loro il tocco della morte, improvvisamente dimenticarono ogni pensiero, lasciandosi andare al cameratismo sull'onda dell'entusiasmo del gigante.

"E' bello averla con noi, signore! Ma non dovrebbe stare con gli altri Cavalieri suoi pari?" gli chiese ad un tratto un veterano, ma Thor scosse la testa.

"Noh… che c'entro io tra nobili e Cavalieri d'alto lignaggio?! Il mio posto è tra la gente comune, tra voi soldati! Ed ora qualcuno mi porti un altro corno, chissà che tra tanta acqua non ne venga fuori uno con un pò di vero vino!" tuonò, tra risa e grida, lasciando vagare lo sguardo verso una delle finestre illuminate nella zona dei quartieri reali.

Lì, nella sua stanza, Flare era in piedi, e singhiozzava disperatamente abbracciata a Cristal. Sul suo viso, le lacrime di gioia per l'insperato ritorno del Cavaliere del Cigno erano unite a quelle di paura e dolore in vista della sua nuova partenza. Ma anche lo sguardo dell'eroe non era esente da dubbi e incertezze. Il pensiero di partire lasciando la donna che amava proprio nel luogo di maggior pericolo lo tormentava, e mai come stavolta avrebbe desiderato mettere da parte i suoi doveri di guerriero per poterla portare via, lontano da guerre e stermini, al sicuro per sempre.

Ma c'era anche qualcos'altro a turbarlo, conseguenza diretta della visita al tempio di Zeus. Una possibilità che non aveva mai considerato, e che ora si stava facendo strada nella sua mente e nel suo cuore, mettendo persino da parte i timori per la partenza imminente, ma d'altra parte anche il pensiero di un atto egoista per un Cavaliere, la cui vita è consacrata ad Atena.

Sospirando in preda al dubbio, poggiò entrambe le mani sulle spalle di Flare, allontanandola gentilmente da se, e poi le portò al proprio collo, sfilandosi la croce d'oro che gli aveva donato sua madre e lasciandola scivolare attorno al capo della principessa.

"C… Cristal?" balbettò lei, osservando confusa il monile.

"È la Croce del Nord, simbolo della costellazione del Cigno. Me la donò mia madre tanti anni fa, quando ero ancora bambino…" spiegò, sorridendole dolcemente "essa mi ha protetto per tutti questi anni… mi ha persino salvato la vita, una volta. Adesso… vorrei che la tenessi tu… che poggiandola sul cuore ti ricordi che ti sarò sempre vicino, qualsiasi cosa accada!"

Sentendo queste parole, la ragazza cominciò a scuotere febbrilmente la testa. "No… no… devi tenerla tu se è così preziosa! Avrò attorno a me mura, eserciti e Cavalieri, mentre tu sarai praticamente da solo, contro chissà quali nemici! Sarà la tua vita ad essere in pericolo, non la mia!" balbettò, cercando di sfilarla.

Il Cigno però le fermò la mano, stringendola teneramente nelle proprie, e guardando nei suoi occhi verdi trovò il coraggio per dire quel che provava.

"Non è solo per proteggerti, che ti dono questo gioiello… ma come pegno d'amore" sussurrò alla fine, ritraendo le mani. Guardandosi le dita meravigliata, Flare vide attorno al proprio anulare uno splendido anello, del ghiaccio più cristallino.

Con il cuore che le batteva nel petto all'impazzata, la ragazza aprì la bocca per dire qualcosa, ma Cristal la precedette, piegandosi su un ginocchio di fronte a lei, e continuando a fissarla negli occhi le disse

"Non sono principe nè sovrano… non ho gioielli o monili da darti in dono, nè terre o casati di cui fregiarmi. Neppure la mia vita mi appartiene davvero, ma il cuore è mio soltanto, e te ne faccio dono! Flare di Asgard, vuoi sposarmi?"

Fuori dalla porta, Artax udì la proposta ed avvertì come una fitta al cuore. Credeva di aver da lungo tempo messo da parte i suoi sentimenti, ed aveva deciso di passare a salutare Flare prima della battaglia, ma si era bloccato sulla soglia nel sentire la voce di Cristal.

Ora tutto sembrava aver perso ogni senso, ed il ragazzo si allontanò in silenzio nei corridoi del palazzo, in attesa che la battaglia del giorno dopo ponesse fine alle sue sofferenze.

***************

A migliaia di miglia più ad Est, nel cuore dell'India, Erebo comparve sulle rive del Gange, terrorizzando i fedeli che lì erano ammassati, e che cominciarono a fuggire in preda al panico. Fuori controllo per il terrore, gli animali si imbizzarrirono, spingendo e calpestando chi li circondava, ed i cadaveri di coloro che cadevano appena fissato per qualche secondo lo sguardo sulla nera figura.

Incurante di ciò, la Prima Ombra entrò nel fiume, le cui acque imputridivano e poi evaporavano al minimo tocco con la sua armatura. Raggiunto il centro, chiuse gli occhi, chiamando a se il terzo Flagello.

"Più insidioso tra i Flagelli che a me sono fedeli, maestro della sottile arte di manipolare e spezzare lo spirito, risorgi al mio cospetto! Tua è la capacità di scorgere sin nei meandri più profondi dell'umana coscienza, portando alla luce i trascorsi più reconditi e che più provocano dolore! Tu che affliggi gli uomini tutti senza alcuna distinzione, tormentando i loro sogni e ridendo di ogni tentativo di celarti dietro veli di menzogne! Qui, tra le acque ove ogni giorno migliaia vengono nella vana speranza di lavare i peccati che li affliggono, io, Erebo, ti invoco! Vieni a me, Colpa!" proclamò.

Una figura ammantata di nero, alta e sottile, emerse dalle acque, inchinandosi al cospetto del suo sovrano.

***************

Nella foresta attorno alla cittadella di Asgard, Luxor correva agilissimo tra gli alberi, assaporando l'aria fredda della notte ed il senso di libertà che solo l'essere a contatto con la natura gli trasmetteva. Al suo fianco, gli unici esseri che riusciva davvero a considerare compagni, il branco di lupi che negli anni era stato per lui come famiglia inseparabile, e che si era immediatamente radunato vicino al palazzo non appena il vento del Nord aveva diffuso nell'aria l'odore del Cavaliere.

Con un misto di compiacimento e delusione, Luxor si era subito accorto che il branco era cresciuto rispetto all'ultima volta che l'aveva visto. Quelli che erano stati semplici cuccioli, rimasti nelle tane al tempo del combattimento con Sirio, adesso erano esemplari giovani e forti, a loro volta accompagnati da altri più piccoli, impegnati ad apprendere l'arte della caccia.

Ciò lo aveva rallegrato, perchè aveva mostrato che la morte del capobranco, il lupo grigio King, non aveva avuto ripercussioni fatali sul resto del gruppo. Ma al tempo stesso gli aveva fatto provare una sensazione strana, quella di non appartenere più completamente neanche lì. I cuccioli non lo conoscevano, ed i lupi più giovani correvano al suo fianco solo seguendo l'esempio del nuovo capobranco. Durante la sua assenza, il loro mondo aveva continuato ad andare avanti, e improvvisamente il giorno in cui anche il branco lo avrebbe lasciato indietro, preferendo seguire la sua strada, non sembrava più uno spettro all'orizzonte, ma una possibilità concreta.

Ad un tratto, qualcosa lo strappò dai questi pensieri melanconici. I suoi sensi da Cavaliere, ben più affinati di quelli dei lupi, avevano percepito qualcosa non molto lontano: degli animali, probabilmente un gruppo di renne o alci, intenti a spaccare il suolo ghiacciato con gli zoccoli per mangiare un pò d'erba.

Facendo un cenno al capobranco, prese il comando del gruppo e si lanciò silenziosamente in quella direzione, abbandonandosi all'istinto della caccia e diventando ferino e impalpabile come un fantasma nella notte. Facendo attenzione a restare sottovento, in pochi istanti raggiunse la radura dove gli animali stavano mangiando, osservandoli acquattato tra i cespugli. Erano una dozzina di alci adulte, e quattro o cinque cuccioli.

Sorridendo, attese pazientemente il momento più propizio, accarezzando nel frattempo i lupi a lui più vicini per calmarli. In più giovani in particolare stavano visibilmente fremendo per lanciarsi all'attacco, ma un gesto imprevisto avrebbe vanificato tutto, permettendo alle prede di disperdersi e fuggire. Certo, avrebbe potuto facilmente abbatterle tutti con i suoi poteri da Cavaliere, ma ciò sarebbe stato contro il principio di giustizia che regola la natura, e soprattutto avrebbe annullato l'ebbrezza della caccia.

Finalmente, Luxor si accorse che tutti gli adulti avevano il capo chino per mangiare dell'erba. Con un balzo uscì allora allo scoperto, abbattendo istantaneamente un'alce con un colpo ben assestato al collo, mentre gli altri lupi si lanciavano sul gruppo, trascinando a terra altri due adulti. Le povere bestie, resosi conto del pericolo, iniziarono a scappare in tutte le direzioni, ma il guerriero, ancora non del tutto pago, saltò sul dorso di un altro maschio adulto, conficcandogli i propri artigli nel fianco ed abbattendolo. Solo a questo punto si rilassò, permettendo agli altri animali di fuggire con i loro cuccioli.

Soddisfatto, iniziò il banchetto, strappando a mani nude pezzi di carne ancora calda dalla carcassa e lasciando le altre tre vittime, inclusa la sua prima preda, al resto del branco. Solo allora si accorse che qualcuno lo stava osservando, maledicendosi internamente per non averlo notato prima. Non era però un cosmo ostile nè sconosciuto, ma quello di un presunto alleato.

"Uh uh…stai progettando anche tu un agguato?" rise, guardando verso i cespugli. Dopo un istante, da essi emerse la figura di Scorpio, sul viso un misto di repulsione e curiosità.

"La fama di cacciatore che ti circonda è meritata a quel che vedo…" esordì il Cavaliere d'Oro, avvicinandosi. Alcuni lupi alzarono la testa digrignando le fauci sporche di sangue, ma Luxor li calmò accarezzandoli.

"Non tutti possono vestirsi d'oro, nè sono cresciuti tra palazzi e banchetti… per alcuni, è la caccia l'unico modo per sopravvivere. Ma non sarà certo per cercare del cibo che mi hai seguito qui nella foresta, Cavaliere di Scorpio…" rispose, lanciandogli un'occhiata di sottecchi.

"No, hai ben detto… è da quando sono arrivato ad Asgard che ho notato che sei diverso dai tuoi compagni, più scostante e distaccato. Non hai salutato nessuno con calore pur mancando da tempo, e durante la discussione di sei mantenuto ai margini, senza mai offrire la tua opinione. Così, quando ti ho visto uscire dal palazzo…"

"… hai pensato che stessi fuggendo, o peggio passando al nemico" concluse per lui Luxor, non particolarmente ferito da questi sospetti.

"Nella battaglia di domani non ci sarà spazio per dubbi o fraintendimenti, dovremo fidarci incondizionatamente gli uni degli altri se vogliamo avere almeno una speranza di sopravvivere abbastanza a lungo da permettere a Cristal e gli altri di sconfiggere Erebo. Ed il Cavaliere del lupo di cui ho sentito parlare non provava che odio e disprezzo per gli esseri umani…" proseguì Scorpio, andando direttamente al punto e studiando con attenzione la reazione del ragazzo, in modo da essere pronto persino allo scontro se necessario.

Luxor però non si scompose, restando in silenzio per molti secondi prima di parlare "Io non sono veramente parte dei Cavalieri di Asgard. Anche se il tempo trascorso insieme nel Valhalla ha rafforzato i nostri legami, la mia vera casa è nella foresta, tra i lupi, piuttosto che in mezzo agli uomini. A balli, risa e banchetti preferisco l'ululare del vento tra gli alberi e lo scorrere impetuoso dei fiumi…"

"Perchè combattere al nostro fianco, allora? Perchè rischiare la vita per persone in cui non credi?" insistette Scorpio.

"La mia vita ha scarso valore, non temo di perderla. Ma non temere, non vi volgerò le spalle in battaglia… combatterò per riabilitare il nome del casato dei Luxor, un tempo vanto di Asgard ed ora troppo a lungo dimenticato! Per Sirio, il primo essere umano che mi abbia mai mostrato compassione, nonostanti molto tempo mi sia servito per comprendere il senso delle sue accorate parole. Ed anche per i lupi e le foreste che tanto amo, e che sarebbero vittima dell'oscurità di Erebo!" rivelò alla fine, quasi imbarazzato, senza incrociare lo sguardo del Cavaliere d'Oro.

"Ho capito… è questa quindi la tua determinazione…" sospirò Scorpio, accennando un sorriso.

"La mia… determinazione?"

"Si… quel che ti spinge a combattere nonostante tutto e tutti, anche quando minime sono le speranze di vittoria! Proprio come per me combattere è un modo per onorare l'armatura che indosso, la stirpe cui appartengo, ed i compagni al cui fianco sono fiero di aver vissuto!" disse, prima di voltarsi di nuovo in direzione del palazzo. Dopo qualche passo però si fermò, voltando leggermente la testa

"Chi non ha cura della morte è solo chi non ha niente di importante per cui vivere… ma a volte è chi ha qualcuno da proteggere e qualcosa cui aggrapparsi che riesce a sprigionare la vera forza… ricordalo questo!" salutò, allontanandosi.

"Non hai intenzione di verificare se farò davvero ritorno a palazzo?" lo chiamò Luxor, ma Scorpio scosse il capo.

"Verificherò la forza della tua determinazione direttamente domani, sul campo di battaglia!" e scomparve tra gli alberi, lasciandolo da solo a riflettere.

Nel frattempo, in un'altra delle tante stanze del palazzo di Ilda, Sirio guardava pensieroso fuori dalla finestra, la mente lontanissima dalla battaglia che lo attendeva. Queste ore di riposo suggerite da Ilda, per quanto rinfrancanti per il corpo, lasciavano troppo tempo per pensare al passo che si stava per compiere, ed alle conseguenze che avrebbe avuto.

Ad un tratto, la porta si aprì, annunciando l'ingresso di Libra.

"Maestro!" lo salutò subito rispettosamente il ragazzo, ma Doko scosse il capo, sorridendo.

"Ormai non siamo più maestro ed allievo, credevo di avertelo già detto all'alba della guerra contro Hades… siamo solo compagni di battaglia e Cavalieri di Atena! Anzi, per forza ed esperienza è molto probabile che la tua capacità oramai sia molto superiore alla mia!" gli disse, guardandolo orgoglioso.

Imbarazzato, Sirio chinò il capo, non sapendo cosa rispondere.

"Stavi pensando a Fiore di Luna, non è vero?" chiese allora Libra, notando la tristezza in fondo ai suoi occhi.

Sospirando, il ragazzo annuì.

"Io…sono sollevato che lei non sia qui, saperla in pericolo domani sarebbe un tormento indicibile… e poi vedermi partire ancora una volta le causerebbe un dolore insopportabile… però… " iniziò, incerto su come spiegare le proprie emozioni contrastanti. Rendendosi conto dei suoi dubbi, Doko sorrise di nuovo, appoggiandogli una mano sulla spalla.

"Come sempre l'amore è l'unico campo in cui la saggezza ti fa difetto!" lo rimproverò giocosamente "E' ben legittimo il tuo desiderio, vorresti almeno averla potuta salutare per l'ultima volta…e sono certo che anche lei ne sarebbe felice. La tristezza nel vederti partire sarebbe misera cosa a confronto con la più completa incertezza sulla tua sorte. Il dubbio… è agonia ben maggiore di qualsiasi certezza…"

Nel dire queste parole, l'espressione di Doko cambiò, facendosi di rammarico "Se esistessero ancora Dei in cui pregare… e se potessi chiedere loro un solo desiderio…sarebbe che tu e Fiore di Luna potesse vivere felicemente insieme per sempre, lontano da guerre e Cavalieri, battaglie ed eccidi! A volte rimpiango di averti permesso di combattere contro Hades… forse, se te lo avessi vietato…"

"Non sarebbe cambiato nulla" rispose però subito Sirio, con fermezza "Se la forza senza giustizia è sbagliata, la giustizia senza forza è impotente, me lo avete insegnato voi. Combattere come Cavaliere è il mio destino… qualsiasi prezzo esso comporti!"

Doko e Dragone si fissarono negli occhi per qualche secondo, leggendo l'uno nei pensieri dell'altro.

"Non temere, Sirio! Terrò informata io Fiore di Luna!" intervenne in quel momento una voce, e sulla soglia comparve Kiki, sorridendo sornione come sempre "E' probabile che sia ancora a Nuova Luxor, non dovrebbe essere difficile teletrasportarmi lì da Avalon! Andandoci ora finirei per rivelare la loro posizione al nemico… ma sono sicuro che durante la guerra nessuno si accorgerà se mi teletrasporto un pò avanti e indietro. Lei, Asher e gli altri saranno felici di sapere cosa sta succedendo!"

Inspirando, Sirio e Doko si scambiarono uno sguardo pieno di significati, ed il Cavaliere di Libra aprì la bocca per parlare al bambino. Sirio però gli fece un cenno, fermandolo ed inginocchiandosi di fronte a Kiki, in modo da poterlo guardare negli occhi.

"Mi dispiace… ma quel che abbiamo detto durante la riunione vale anche per te… stavolta non verrai con noi. Andremo da soli ad Avalon!" disse pacatamente ma con decisione.

Sgranando gli occhi per la sorpresa, Kiki vacillò un attimo, prima di farsi avanti.

"Ma… ma… vi ho sempre accompagnato in ogni missione, senza esservi mai d'intralcio! Non vi ho forse aiutati nel regno di Nettuno? O contro i Cavalieri d'Argento? Eppoi anche voi combatterete più serenamente sapendo come procede la battaglia qui ad Asgard!" si ribellò, ma l'espressione di Sirio rimase la stessa, contrita e solenne.

Resosi conto di quanto palese fosse la sua delusione, prova dell'affetto che li legava a tutti loro, per qualche secondo il Cavaliere esitò, alla ricerca delle parole più adatte. Poi però gli tornò in mente l'espressione vuota e sconsolata del Kiki del futuro, ridotto ad un involucro vuoto privo di ogni gioia di vivere, e decise di rivelargli la verità.

"Ci hai sempre aiutati, è vero… ma questa volta è diverso! Gli altri… non vorrebbero che te lo dicessi, ma ormai non sei più un bambino, le avventure vissute ti hanno dato più esperienza di qualsiasi apprendista Cavaliere, ed è giusto che tu sappia!" iniziò, guardandolo diritto negli occhi e parlando lentamente "La forza di Erebo è talmente immensa… che non so se riusciremo a sconfiggerlo! Ma se vinceremo, una cosa è certa: sarà a prezzo delle nostre vite! Pegasus, Andromeda, Phoenix, Cristal ed io ne siamo ben consapevoli… Questa… è una missione senza ritorno!"

Doko deglutì nervosamente, avvertendo lo stomaco chiudersi, ma si fece forza, limitandosi a serrare il pugno. Kiki invece, sconvolto, barcollò come se avesse avuto uno schiaffo, scuotendo lentamente la testa.

"No… non scherzare, Sirio! Che novità è mai questa… voi siete sempre tornati… contro qualsiasi nemico! E se Erebo è così potente… allora un motivo in più per venire con voi, così potrò portarvi in salvo se sarete feriti…" balbettò con voce rotta.

Ancora però l'espressione di Dragone non cambiò, e nel vedere la sua determinazione Kiki sentì gli occhi iniziare a riempirsi di lacrime.

"Io… io verrò lo stesso, che lo vogliate o no!" gridò alla fine, chiudendo gli occhi per il timore di uno schiaffo.

Sirio però si limitò a sospirare e, portate le mani alla cintura, stacco l'estremità della coda del drago che aveva arrotolata in vita, porgendogliela.

"Ascoltando le parole di Zeus sull'Olimpo ho capito una cosa: è impossibile sconfiggere per sempre il male in tutte le sue forme. Esso continuerà sempre a risorgere, perchè, proprio come il bene, è indispensabile all'equilibrio dell'universo! Se anche vinceremo Erebo, una nuova minaccia farà un giorno la sua comparsa sulla Terra… ed allora forse starà a te guidare una nuova generazione di eroi contro l'oscurità!

"Se non dovessimo tornare… questa scaglia dell'armatura ti aiuterà a non dimenticarci, ma non gettare la tua vita inutilmente! Essa è preziosa… ben più preziosa della nostra… perchè tu sei il futuro, Kiki! Vivi portando nel cuore gli ideali di giustizia che ci hanno sempre sostenuti… vivi, qualsiasi cosa accada!" gli disse, abbracciandolo.

Alle sue spalle, Libra ricacciò indietro le lacrime

"Figliuolo… perchè proprio tu? La vita avrebbe così tanto ancora da offrirti… non hai vissuto neanche un decimo della mia esistenza! Dovrei essere io ad andarmene, non certo tu! Oh, Dei del cielo, nessun genitore dovrebbe mai sopravvivere ai propri figli…" pensò sconsolato, troppo triste per notare una malinconica melodia di flauto risuonare flebile in lontananza.

In penombra in uno dei saloni, illuminato solo dalla pallida luce della luna, Syria stava infatti dando fiato al suo strumento. Stavolta però non si trattava di una melodia d'attacco, nè della celestiale musica con cui, insieme a Julian, aveva per un pò di tempo incantato i bambini del mondo, ma di un canto funebre, colmo di tristezza, ultimo saluto al suo signore Nettuno.

Il Dio dei Mari tuttavia non era l'unico destinatario di questa nenia: essa serviva anche a porgere gli ultimi saluti a Kanon, la cui scomparsa aveva rattristato il guerriero ben più di quanto egli avrebbe creduto possibile.

"Dei sette prodi Generali degli Abissi che un tempo affollavano la Reggia dei Sette Mari, solo io sono rimasto. Kira, Abadir, Cavallo del Mare, Krisaore, Lemuri… ora anche Kanon si è unito a voi, che dall'alto dei cieli vegliate. Non vogliategliene, per quanti lutti ci abbia arrecato, credo che alla fine il suo pentimento sia stato sincero, e la sua morte consacrata ad un ideale! Mi duole non esser stato lì nel momento del supremo trapasso…questi Cavalieri sono così diversi da noi, uniti da legami personali oltre che dal credo… stare al loro fianco è bello… ma difficile, così difficile! Eppure chissà, forse il mio tempo giungerà presto e allora potrò rivedervi, accompagnato da un'ultima melodia di requiem…" pensò, riversando sentimenti ed emozioni nel suono del flauto, lasciando la musica libera di andare là dove la portava il cuore.

Ad un tratto, un'altra melodia si affiancò alla sua, una melodia di lira.

"E' da tanto che non ci vediamo, maestro…" lo salutò Mime, entrando nella stanza ed andandosi a sedere di fronte a lui senza però smettere di suonare.

"'Maestro'… è immeritato questo titolo, non ho fatto che insegnarti ad imprimere nella musica la forza di un cosmo che già possedevi. Probabilmente ci saresti riuscito anche da solo, col tempo…" si schernì il Generale, chiudendo gli occhi per godere al meglio della melodia di lira.

Per alcuni minuti, i due smisero di parlare, mentre le note di Mime danzavano nell'aria, diffondendosi nel palazzo e cullando i sogni dei pochi che erano riusciti a ottenere la quiete del sonno. Poi, Syria riaprì gli occhi.

"La tua musica… è cambiata!" commentò incuriosito "Un tempo era colma di tristezza, di malinconica amarezza, ma anche di collera e odio. Ora invece è… appagata, come priva di un peso."

"Come la mia anima" rispose Mime, continuando a suonare "Gli spettri del passato che tormentavano il mio spirito non esistono più! Due Cavalieri, Phoenix ed Andromeda, me ne hanno liberato, e, grazie a loro, la musica è di nuovo soave melodia, com'è giusto!"

"Andromeda e Phoenix…" sorrise Syria, ben memore delle sue esperienze con i due fratelli, soprattutto con il più giovane, le cui parole avevano saputo colpirlo fino al cuore.

"Perchè ti sei ritirato in questo buio antro? Il tuo flauto è capace di emettere splendide note ben più della mia lira, soldati e Cavalieri apprezzerebbero la tua presenza…" chiese ad un tratto l'Asgardiano.

"Che diritto ho di stare in mezzo a loro… io che come parte delle schiere di Nettuno ho arrecato così tanti lutti alla vostra gente? Ora che il mio signore è caduto, non vi è più posto per me in alcun esercito…" si giustificò Syria. Mime però non parve convinto.

"Eppure, ho sentito dire che hai combattuto al fianco di Mizar, di Alcor e persino di Ilda. Molti soldati già parlano del tuo valore, non dovresti ignorarli… e poi, poca importanza ha il passato, quando si ha davanti agli occhi la distruzione del Ragnarok!

"Per la prima volta, domani le nostre melodie risuoneranno insieme, sul campo di battaglia! Allora non esisteranno più Cavalieri o Generali, esseri umani o Einherjar, ma solo guerrieri che lotteranno fino al sacrificio estremo per la causa in cui credono! Gli altri sapranno accettarti, non temere…" sussurrò.

Riflettendo dubbioso su queste parole, Syria si riportò il flauto alle labbra, affiancando la propria melodia a quella della lira, ed in cuor suo Mime sorrise, perchè la musica del compagno si era fatta più leggera, anche se di poco.

La melodia raggiunse anche le stanze reali, ma Ilda non vi fece caso. Lontana da sguardi indiscreti, finalmente aveva potuto lasciar cadere la maschera di regina, dando libero sfogo alle emozioni ed abbandonandosi a lacrime di gioia. Aveva chiesto ad Orion di raggiungerla, e non appena il Cavaliere fece il suo ingresso corse ad abbracciarlo, affondando la propria testa sul suo torace.

"Oh, Orion, quanto ho sentito la tua mancanza! Quante volte ho sussurrato il tuo nome tra le lacrime, nelle notti più buie, a metà tra la veglia e il sonno!" confidò con voce rotta "Perdonami se ti ho rivolto freddezza poc'anzi, il cielo sa che non avrei voluto…"

"Non volevate mostrare debolezza, lo capisco!" la rassicurò il Cavaliere, contraccambiando l'abbraccio, anche se con qualche attimo di esitazione "Essere sovrano è difficile… ben più difficile dell'essere guerriero! Dovete sempre essere forte… reprimere le vostre emozioni, o l'esercito cadrebbe in scoramento, e non mostrare preferenze che possano dare alito a dubbi e incomprensioni! A confronto, il cammino di un soldato è misera cosa…" sussurrò accarezzandone i capelli.

"Quando il cosmo di Atena si è spento, e poi quando l'armatura di Odino è ricomparsa ad Asgard, ho creduto che tutto fosse perduto… che fosse solo una questione di tempo! Ma nel momento in cui vi ho visti, è stato come se avessi sentito rinascere la speranza. Asgard ha di nuovo i suoi paladini, e tu sei ancora una volta al mio fianco! So che è follia viste le circostanze… ma non posso fare a meno di essere felice ora! Credevo che mai più avrei potuto averti vicino, godere della sicurezza che la tua presenza emana!" proseguì la donna, concedendosi un sorriso ed appoggiando teneramente la guancia sul pettorale dell'armatura.

"Anch'io ho sentito la vostra mancanza… avrei rinunciato a tutti gli splendori del Valhalla per poter essere ancora un momento al vostro fianco!" ammise il ragazzo.

"Tu… sai quel che provo per te… non è vero? Quel che ho sempre provato?" domandò la Celebrante in un sussurro, staccandosi da lui, inclinando il capo chiudendo gli occhi ed alzandosi sulle punte dei piedi.

"Quello… che proviamo tutti e due…" sussurrò Orion, chiudendo a sua volta gli occhi, ed i due scambiarono finalmente un bacio appassionato.

Per la prima volta non erano più Regina e Cavaliere, protetta e protettore, ma solo due giovani che troppo a lungo avevano nascosto l'amore che li univa. Per un attimo, mentre la melodia di Syria e Mime ancora risuonava in lontananza e le stelle alte brillavano nel firmamento, Ilda di Polaris ed Orion di Duhbe furono davvero felici.

Ma fu solo un secondo. Poi il Cavaliere si staccò da lei, volgendole rapidamente le spalle per non incrociarne lo sguardo.

"Non fatelo, vi prego… non donate a me il vostro cuore! Sarebbe come gettarlo via… segregarlo in un pozzo senza fondo! E non potrei sopportare l'idea di farvi soffrire!" sussurrò tra i denti.

Colpita da questo repentino cambiamento, Ilda barcollò.

"N… non capisco… è per la battaglia di domani? Ora che i Cavalieri guidati da Pegasus sono tornati, possiamo nutrire almeno una speranza di vittoria! E' poco, è vero, ma proprio per questo…" iniziò, ma Orion scosse la testa, continuando a voltarle le spalle.

"E allora cosa? Spiegati, ti prego!" lo supplicò Ilda, sentendo il panico affiorarle nella voce.

"Il… destino degli Einherjar… è solo quello di combattere nel Ragnarok. La loro sopravvivenza non è contemplata da alcuna profezia!" ammise alla fine il Cavaliere, quasi con voce spezzata.

"C… che vuol dire?" ansimò la Celebrante, appoggiandosi ad un comodino, improvvisamente incapace di reggersi sulle gambe.

"Il palazzo del Valhalla è pregno del cosmo del sire Odino! Esso riempie l'aria, il cibo e la terra, venendo gradualmente infuso nei nostri corpi e permettendoci di sopravvivere al passare del tempo!" cominciò, ricordando quanto spiegatogli dalle Valchirie e poi dal Dio in persona, tempo addietro.

"Quando le porte del Valhalla si aprono però, questo processo si interrompe, ed è solo il cosmo accumulato che concede ai nostri corpi mortali l'illusione della vita! Qui, a Midgard, esso si disperde rapidamente… specie se il corpo è ferito, e per questo possiamo morire di nuovo! Ma anche senza subire ferite, le nostre carni non potrebbero contenere a lungo un'essenza di natura divina… pochi giorni e sarà scomparsa!" disse, chinando amaramente il capo.

Spalancando gli occhi per la comprensione, Ilda si portò la mano alla bocca "Quindi… se anche dovessimo vincere…se anche doveste sopravvivere…"

"Pochi giorni… forse poche ore… ed i nostri corpi scomparirebbero, riconducendo le anime tra le sale del palazzo divino… o in Hel! E' credo del sommo Odino che la vita sia una sola, e che sia questo a renderla così grande e piena… a nessuno… uomo, Einherjar, Dio o Cavaliere… è concessa una seconda possibilità!" concluse.

Sconvolta e addolorata da questa verità, Ilda si lasciò cadere su una sedia, nascondendosi il viso tra le mani.

"La vita è una sola… ed a causa mia voi l'avete persa! Se fossi stata più forte… se fossi riuscita a resistere alla volontà dell'anello maledetto… la guerra contro Atena non avrebbe mai avuto luogo, e oggi sareste vivi!" si lamentò.

Stavolta fu il turno di Orion di avvicinarsi ed abbracciarla, accarezzandole il capo per confortarla. "Non giova abbandonarsi ai rimpianti del passato! Non lasciate… non lasciare che il senso di colpa ti distrugga!" sussurrò, mettendo per la prima volta da parte il tono formale che si deve ad una sovrana.

"Ma come posso?" rispose Ilda alzando il capo "Senza la Guerra dell'Anello…"

"… probabilmente oggi saremmo vivi, si. Ma tra le nostre schiere avremmo ancora Megres, infido tessitore d'inganni… e l'animo di Luxor, Mime, Alcor sarebbe ancora distorto da un odio che ormai li ha abbandonati! E non avremmo stretto alleanza con i Cavalieri di Atena, il cui aiuto è così prezioso per la salvezza del mondo! La grande alleanza che quest'oggi abbiamo forgiato affonda le sue radici proprio nella Guerra dell'Anello! Le nostre vite sono un misero prezzo a confronto…" disse, con gentile fermezza.

Sospirando, la Celebrante distolse lo sguardo. Il ragionamento di Orion era corretto nella sostanza, ma non rendeva meno dolorosa la realtà delle cose. Il cuore, che fino a poco prima aveva sobbalzato di gioia, ora sembrava divenuto un mero peso morto nel suo petto.

"Sei donna di straordinaria bellezza e forza d'animo, capace di unire la fermezza di un sovrano alla gentilezza di una Dea. Quanto vorrei poter trascorrere il resto dei miei giorni con te… ma prima o poi troverai qualcuno che sappia amarti come meriti, rendendoti felice ben più di come potrei fare io…" pensò Orion guardandola, ma non disse niente, consapevole che nessuna parola avrebbe potuto rincuorarla ora.

Fu un colpo leggero sulla porta ad interrompere il silenzio. Un attimo dopo, Flare entrò nella stanza, gli occhi rossi di lacrime ed un sorriso sul volto.

Nell'infermeria del palazzo, Andromeda, Phoenix, Alcor e Mizar erano in compagnia di Mur e Toro, cui il guaritore Neffethesk e le donne che lo assistevano stavano tamponando e ricucendo in qualche modo le numerose ferite. Il Cavaliere d'Ariete in particolare versava in gravi condizioni, al punto che nonostante la guerra imminente l'uomo aveva cercato a lungo di convincerlo a restare in disparte, avvertendolo che anche ferite leggere avrebbero potuto essergli fatali. Mur però era stato irremovibile, ed alla fine il medico aveva dovuto arrendersi, consapevole che difficilmente avrebbe potuto trattenerlo contro la sua volontà.

Nel frattempo, Andromeda e Phoenix avevano ascoltato con attenzione i racconti dei loro duelli contro i Guardiani di Avalon, narrando a loro volta di nuovo, e con maggiori dettagli, la sorte cui era andato incontro il signore dell'Isola Sacra, caduto di fronte ai loro occhi.

"Chi avrebbe mai immaginato che alla fine Oberon si sarebbe pentito, arrivando fino a morire pur di cercare di fermare Erebo…" commentò Toro.

"Anche se corrotto e minato per secoli da un male atavico, alla fine il suo vero spirito è risorto, anche se per poco. Non fosse accaduto questo, forse non saremmo qui ora… così immensa era la sua forza, avrebbe potuto annientarci tutti!" disse Phoenix, provando una sorte di istintiva simpatia per il defunto sovrano, la cui storia era per certi versi simile alla sua.

"Di certo la sua forza ci sarebbe stata utile nella guerra contro Erebo… i Guardiani gli erano sommamente fedeli e sarebbero stati potenti alleati! Con loro al nostro fianco, domani la vittoria sarebbe molto più probabile…" concordò Alcor, memore del terribile duello contro Lugh, capace di tener testa a lui, Mizar, Syria ed Ilda insieme.

"Non tutti però gli erano fidati… un demone come Balor, dedito solo al massacro, avrebbe seminato morte incontrollata alla prima opportunità!" avvertì Mur, passando una mano sulle sua vestigia coperte di crepe.

Guardando le condizioni pietose in cui si trovavano le armature d'oro, e quelle solo in parte migliori delle corazze dei gemelli, Andromeda chinò il capo corrucciato.

"Se solo uno di noi potesse restare indietro ad aiutarvi! Sarebbe sicuramente tutto più facile…" lamentò.

Gli altri si girarono a guardarlo e per qualche istante nessuno disse nulla, ma poi Toro scoppiò in una fragorosa risata.

"Ah ah ah, offerti di essere difesi da un Cavaliere di Bronzo! Le gerarchie si sono proprio sovvertite! Dovresti avere più fiducia, non avremo scalato l'Olimpo e non indosseremo armature rinate con il sangue divino, ma siamo comunque molto forti anche noi!" disse, scuotendolo energicamente per una spalla.

"E poi Erebo non è nemico che si possa affrontare a ranghi ridotti, ormai dovreste saperlo bene!" aggiunse Mur.

"Il nostro non è che un diversivo. Tutti gli sforzi per attirare il suo esercito saranno vani se non riuscirete ad approfittarne per sconfiggerlo! E poi non crederai che Asgard sia così facile da invadere?" si accodò Mizar, mentre anche Alcor accanto a lui annuiva.

Andromeda abbassò lo sguardo, non del tutto convinto delle rassicurazioni degli amici, ma anche consapevole della loro veridicità. Ad ogni modo, prima che potesse controbattere qualcosa, Cristal entrò nella stanza, avvicinandosi al compagno. Guardandolo, il ragazzo si accorse subito che c'era qualcosa di strano. L'espressione del Cigno era diversa dal solito, quasi imbarazzata.

"Che ti prende, Cristal?" domandò alla fine.

Per diversi secondi l'altro non rispose niente, come incerto sulle parole da usare, poi si rasserenò "Vorrei… che tu mi facessi da testimone, Andromeda…"

"Testimone?" ripetè confuso il Cavaliere, mentre l'attenzione di tutti, Phoenix in particolare, si spostava verso Cristal.

Il volto dell'eroe si distese in un sorriso che arrivava ad illuminargli anche gli occhi "Si! Io e Flare… ci sposiamo!"

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In Belgio, nella regione della Vallonia, Erebo comparve emergendo nella notte. La luce stessa della luna sembrava ritrarsi dalla sua persona, non osando illuminare l'armatura che indossava.

Senza mostrare la minima esitazione, il Dio antico proseguì il suo cammino, incurante dell'esercito belga che, dopo aver trascorso la giornata combattendo contro alcune truppe del suo esercito, ora gli sbarrava la strada, ignaro della sua identità. Una pioggia di fuoco si abbattè sulla Prima Ombra, senza che egli neppure si degnasse di rispondere, ignaro dei colpi come se non fossero che le mere gocce di una pioggia primaverile, concentrato solo nel seguire la traccia del prossimo Flagello, colui che tra tutti gli sarebbe stato più fedele e prezioso.

Con questo obiettivo in mente, Erebo si limitò ad attraversare le fila nemiche, semplicemente, ed il suo cosmo mortiferò massacrò chiunque fosse anche solo a diversi metri di distanza, lasciando un tappeto di morte sulla sua scia.

Arrivato al centro di una vasta pianura, ancora una volta egli chiuse gli occhi, alzando le mani ed espandendo la sua aura fino a saturare il suolo. Rumori di battaglie lontane iniziarono a risuonare nell'aria, uniti a grida di soldati, nitriti di cavalli ed esplosioni.

"Primo tra i Flagelli che a me sono fedeli, guerriero di suprema abilità e modellatore del mondo, risorgi al mio cospetto! Tue sono l'arte della battaglia e la padronanza delle armi, l'astuzia e la forza che annientano il nemico senza concedere scampo alcuno! Qui, nel luogo ove uno dei più grandi conflitti della storia ebbe luogo, io, Erebo, ti invoco! Vieni a me, Guerra!" comandò.

Una figura ammantata di nero, dalla corporatura possente ma bilanciata, quasi elegante, emerse dalle profondità della terra, inginocchiandosi al suo signore.

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Nella sala del trono del palazzo di Asgard, Pegasus, Sirio e Phoenix erano in piedi in prima fila, seguiti da Ioria, Toro, Mur, Scorpio, Doko, Alcor, Mizar, Thor e, un pò in disparte e visibilmente a disagio, Luxor.

Dopo una notte di tensioni, lacrime e paure, le loro espressioni per almeno qualche minuto erano rilassate, felici. Pegasus aveva persino ritrovato parte del suo tipico buonumore nell'apprendere la notizia, e non era riuscito a trattenersi dall'imbarazzare Cristal con qualche battuta. Dal canto suo, il Cigno sembrava aver messo da parte la proverbiale freddezza, ed accolto con calore gli abbracci e auguri dei compagni. Ora, mentre stava diritto ad un passo dal trono, idealmente adibito ad altare, con Andromeda accanto, sentiva il cuore martellargli nel petto per una gioia irrefrenabile, una felicità non più grande ma diversa da quella provata per le tante vittorie in nome di Atena e la giustizia.

Unica ombra era l'assenza di Artax, evidente tra le fila degli eroi radunati. Cristal lo aveva cercato ovunque per informarlo di persona, ma non era riuscito a trovarlo, ed alla fine aveva a malincuore concluso che il ragazzo avesse appreso la notizia da altra fonte, e stesse cercando di evitarlo. Ciò lo aveva amareggiato, sia perchè indicava che i suoi sentimenti per Flare non erano sopiti come credeva, e sia perchè non avrebbe mai voluto ferirlo volontariamente.

Ad un tratto, la musica soave di Mime iniziò a risuonare nell'aria, per una volta componendo note felici, e lo strappò ai suoi pensieri. I Cavalieri presenti si disposero ordinatamente lungo due file, aprendo la via per il trono. Un attimo dopo, le porte della sala di spalancarono maestose, annunciando l'ingresso di Orion e Flare.

La principessa era splendida in un vestito bianco come la neve, con fregi verdi e in oro, e portava sulla testa la corona nuziale tipica della tradizione di Asgard, la stessa che sua madre e tutte le sue antenate prima di lei avevano indossato il giorno delle nozze, sin dai tempi più antichi. D'argento ma splendente come il ghiaccio, con punte a forma di trifoglio, era decorata con fili di seta rossi e verdi che risaltavano sui capelli dorati e gli occhi color smeraldo della fanciulla.

Fiero, Orion accompagnò la principessa verso l'altare, badando bene a non incrociare lo sguardo di Ilda per timore della malinconia che avrebbe potuto scorgere nei suoi occhi. In tempi migliori, la cerimonia sarebbe stata ben più lunga e complessa, preceduta da riti antichi di secoli, scambi di spade, preghiere agli Dei. Ma le circostanze, unite alle diverse fedi dei due sposi, avevano fatto optare per qualcosa di più rapido e simbolico, fondendo elementi della tradizione Cristiana e nordica.

Di fronte al trono, Orion lasciò andare il braccio di Flare, che salì i gradini e strinse le proprie mani in quelle di Cristal. Scambiatosi un sorriso radioso, i due si girarono verso Ilda, chinando il capo.

"Flare di Polaris, principessa di Asgard; Cristal il Cigno, Cavaliere di Atena! L'amore che da tempo vi unisce è a tutti ben noto: esso è sbocciato tra le avversità, ed ha saputo resistere alle prove del destino, rinforzandosi grazie alla purezza dei vostri animi! Questo rito nuziale oggi simboleggia non solo la comunione di due cuori, ma anche l'unione imperitura di Asgard e Atene, a testimonianza che persino dalle ceneri della guerra può nascere una sincera amicizia!

"Il cuore sa quanto avrei voluto che queste nozze avessero luogo in tempi migliori. L'oscurità è forte ora, nera come mai… è impossibile negarlo! Ma proprio questo matrimonio ci insegna e ci ricorda che la speranza non deve essere mai abbandonata, perchè capace di sbocciare anche tra le avversita! Che la vostra unione sia un faro nella notte, una stella luminosa in grado di rischiarare le tenebre sul mondo intero! Cristal, Flare, in nome dell'autorità a me conferita come Celebrante di Odino, io vi dichiaro marito e moglie!" proclamò la regina. Dopo essersi scambiati uno sguardo raggiante, Cristal e Flare si baciarono, accompagnati dagli applausi e risa dei presenti.

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La cinta muraria del Grande Tempio di Atene andò in pezzi, anticipando l'ingresso della notte più buia nel luogo da sempre devoto al culto della giustizia. Fermandosi solo per un istante, Erebo contemplò il panorama delle Dodici Case dello Zodiaco, fino a quella del Sacerdote ed al tempio ove un tempo si trovava la statua della Dea.

"Quale ironia del fato…" commentò in un sorriso distorto, prima di incamminarsi.

Diversi manipoli di guardie, tra le poche ormai rimaste al Grande Tempio, gli sbarrarono coraggiosamente la strada. Gli anni trascorsi al servizio di Atena ed il duro addestramento ricevuto avevano insegnato loro se non altro a distinguere una parvenza di cosmo ed a resistere all'aura mortifera emanata dalla sola presenza di Erebo.

"Per Atena!!!" gridarono all'unisono e, pur in parte consapevoli che si trattava di un nemico superiore alle loro forze, si lanciarono disperatamente all'attacco con lance, spade, fruste e catene.

Il loro fu un atto nobile, ma purtroppo vano. Un movimento impercettibile della Prima Ombra scatenò un'ondata di energia nera che li massacrò senza alcuna fatica, lasciando il Dio libero di proseguire fino alla scalinata delle Dodici Case.

Raggiuntala, iniziò a risalire i gradini, varcando una dopo l'altra le Case dell'Ariete, del Toro e dei Gemelli. Al suo passaggio, le colonne si incrinarono e cedettero, i soffitti e le pareti crollarono, la terra si spaccò, quasi come se il Grande Tempio stesso stesse cercando di tenere lontano l'oscuro invasore, ma la sola presenza di Erebo riduceva tutto in polvere prima ancora che potessero sfiorarlo.

La casa del Cancro però non reagì, ed arrivato al suo interno il Dio antico sorrise, prima di chiudere gli occhi, allargare le braccia ed espandere il proprio cosmo. Attorno a lui, il soffiare del vento mutò in pianti e lamenti, poi le teste, scomparse dopo la caduta del Cavaliere di Cancer, ricomparvero sulle mura, il pavimento ed il soffitto, seguite infine da un vorticare di anime, bianche ed incorporee.

"Più temuto tra i Flagelli che a me sono fedeli, meta finale di ogni viaggio e sinistro mietitore, risorgi al mio cospetto! Tu, da tempo immemore costretto a donare il tuo potere a Dei minori, sei l'incubo che agita ogni sonno, lo spettro che si cela in ogni ombra! Tua è la capacità di recidere il filo della vita, l'arte di affogare nel terrore i cuori delle vittime! Qui, nel luogo che è stato a lungo come un tempio in tuo onore, ove forte è sempre stata la tua influenza, io, Erebo, ti invoco! Vieni a me, Morte!" comandò.

I lamenti degli spiriti si fecero assordanti, colmi di un nuovo terrore, poi cessarono di colpo, mentre tutte le ombre della Quarta Casa parvero riunirsi in un unico punto, ai piedi del Dio. Istanti dopo, una figura ammantata di nero, dagli occhi di ghiaccio, emerse dal suolo, inginocchiandosi ai piedi di colui che l'aveva evocata.

Soddisfatto, Erebo scoppiò in una fragorosa risata trionfante

"Agonia! Violenza! Colpa! Guerra! E Morte! I cinque Flagelli dell'umanità sono finalmente riuniti al mio cospetto, nessuna forza nell'universo potrà più contrastarmi! Il creato tutto avrà ora in me, Erebo, indiscusso sovrano!" gridò, ebbro di potere, e la sua risata, trasportata dal vento, gelò i cuori di chiunque fosse così sventurato da udirla.

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A bordo della più grande e maestosa tra le Naglfar, in quel momento sopra i cieli del Sud America, Hela aprì gli occhi. "I cinque Flagelli sono stati risvegliati… l'esercito di Lord Erebo è finalmente al completo! E' ora di mettere a ferro e fuoco la Terra, che gli esseri umani apprendano il significato del terrore!" esclamò trionfante, prima di sollevarsi dal trono su cui sedeva ed alzare uno scettro nero.

"Venite a me, dieci Comandanti del mio esercito!" ordinò stentorea.

Un istante dopo, dieci guerrieri dai cosmi variopinti comparvero nella sala del trono, inginocchiandosi rispettosi di fronte a lei e disponendosi come a piramide. Nel vederli riuniti, Hela sorrise.

"Mia regina…" esordì colui che della piramide rappresentava il vertice, alzando il capo.

"Primo tra i dieci Comandanti e capo supremo delle mie armate… parla pure, Fafnir! Che cos'hai da dirmi?"

"Un cosmo potente si leva dalle terre del Nord… da Asgard! E' probabile che i nemici che cerchiamo siano lì!" spiegò con voce sicura.

"Folli, tentano di nascondersi al nostro occhio che tutto vede… amara sorte li attende! Dai ordine a tutte le Naglfar di fare subito rotta verso Asgard: soffocheremo nel sangue ogni tentativo di rivolta al sommo Erebo!" comandò.

Annuendo soddisfatto, Fafnir si alzò per riportare l'ordine, quando una risatina lo fermò sui suoi passi.

"Il settimo Comandante…" pensò, incupendosi, ma non potè far nulla per impedire al compagno di parlare.

"Mia regina, lasciate che sia io a condurre la prima fase dell'attacco! Asgard è terra difficile da conquistare, molti possenti eserciti si sono infranti contro le sue mura… ma io la conosco bene… fin nei più remoti passaggi!" sorrise maliziosamente.

Hela lo guardò pensierosa per un pò, ma alla fine annuì.

"Sei stato il penultimo a unirti a noi, ma in poco tempo hai già raggiunto il titolo di settimo Comandante! E sia, lascerò a te la prima mossa… dopotutto, chi meglio di te? Fino a poco tempo fa Asgard era la tua patria… non è così, Megres?"

Soddisfatto, il guerriero sollevò il capo e sorrise.

***************

Alcune ore dopo, i cinque Cavalieri si riunirono di fronte alla statua di Odino, mentre le prime luci dell'alba facevano brillare i ghiacci delle tinte dell'arcobaleno. Le nozze avevano aiutato a rilassarli, e tutti loro si erano finalmente riusciti a concedere qualche ora di sonno, ma adesso erano pronti alla battaglia.

Tutti gli altri Cavalieri erano presenti per salutarli, e tra loro vi era anche Kiki, con gli occhi rossi e l'espressione corrucciata. In mano, stringeva la punta della coda del drago donatagli da Sirio.

Salutata a malincuore Flare con un ultimo bacio, Cristal si unì al gruppo. Cercò di incrociare Artax con lo sguardo, ma l'eroe nordico fissava un punto nel vuoto, ignorandolo.

"Tra pochi istanti farò esplodere al massimo il mio cosmo, la sua aura dovrebbe celare la vostra partenza agli occhi del nemico!" disse Ilda rivolgendosi a Pegasus "Le speranze dell'umanità sono riposte in voi! Che il cielo e gli Dei tutti vi assistano, Cavalieri della Giustizia!"

"Grazie per tutto quello che avete fatto, amici! Sconfiggeremo Erebo, di questo vi faccio solenne promessa di Cavaliere!" giurò il ragazzo, guardando tutti i presenti con tristezza ed imprimendosi i loro volti nel cuore, ben consapevole che probabilmente non li avrebbe mai più rivisti.

Il cosmo di Ilda brillò intenso, splendente come una stella, rischiarando lo spiazzo. Quando la luce si fu affievolita, cinque comete lucenti sfrecciavano nel cielo.