GIUSTIZIA

Pegasus aprì stancamente gli occhi, scoprendo con vaga sorpresa di essere totalmente avvolto dalle tenebre, tra le quali fluttuava leggero.

"Dove… mi trovo?" si chiese, cercando di guardarsi attorno per orizzontarsi, e di ricordare cosa fosse accaduto. Ovunque lasciasse vagare lo sguardo però non c’era che il vuoto, e la testa per di più gli doleva, rendendo difficile riflettere e ragionare.

"Neanche tu riesci a dormire?" udì ad un tratto qualcuno domandare.

Girandosi verso quella voce familiare, il Cavaliere si trovò davanti il volto sorridente di Ioria, non come lo aveva lasciato ad Asgard, con l’armatura in pezzi ed il corpo coperto di ferite medicate il più velocemente possibile, ma incolume, con il diadema sulla fronte ed il mantello sulle spalle. Proprio come lo aveva accolto quel lontano giorno alla Quinta casa di Atene, anche se ora l’espressione non era certo fredda e ostile, ma calda ed amichevole.

"Ioria… perché sei qui? Dove siamo?" domandò perplesso, guardandosi attorno di nuovo.

E restando con la bocca spalancata.

Al posto dell’oscurità c’erano infatti le navate ed i colonnati della casa del Leone, proprio come la ricordava: illuminata dalle torce, con le mura maestose, l’alto soffitto e le ali laterali. Sbalordito, il ragazzo mosse un passo avanti, dando le spalle a Ioria e chiedendosi come ciò potesse essere possibile.

In quel momento, un lampo d’oro di luce illuminò il corridoio in lontananza, accompagnato subito dopo da grida di dolore e dal rumore di mura in frantumi. Il Cavaliere socchiuse gli occhi per vedere meglio, e lentamente di fronte a lui comparve la sagoma di Ioria, ferocemente intento in battaglia, nonostante egli fosse ancora immobile alle sue spalle. La cosa più incredibile però era l’identità del suo avversario: Pegasus stesso, con indosso la sua prima armatura, intento a cercare disperatamente di schivare i colpi alla velocità della luce.

"E’ la nostra battaglia… il duello alla Quinta casa, quando eri stato plagiato dall’Illusione dell’Oscurità di Gemini! Ma come può essere, che abbia di nuovo viaggiato nel tempo?" chiese, rivolgendosi in parte a se stesso ed in parte al Cavaliere di Leo.

"Eravamo convinti di aver già vinto… ma chi scende in campo sicuro della propria vittoria… o della propria sconfitta… non combatte davvero, si limita a cercare di far avverare il destino che si è scelto. È solo chi deve ribaltare il fato avverso che lotta fino all'ultimo… fino a compiere miracoli!" disse la figura alle sue spalle, ignorando la domanda.

"Queste parole…" mormorò Pegasus girandosi, solo per scoprire che accanto a lui non c’era più Ioria del Leone, ma qualcun altro, qualcuno che aveva desiderato rivedere con tutto se stesso sin dalla tragica apparizione di Erebo, ed il cui nome aveva sempre stampato nel cuore e nella mente.

"I… Isabel…!!" balbettò incredulo, con gli occhi che gli tremavano, quasi spaventato al pensiero di battere le ciglia e scoprire, nel riaprirli, che la fanciulla era scomparsa. Come Ioria, anche lei non era macchiata da ferite, nè indossava la propria armatura divina, ma solo il candido abito bianco con cui in tante battaglie aveva guidato lui e gli altri eroi.

"Sei… sei proprio tu… sei viva?! Quanto ti ho pensato!" disse, muovendo un passo verso di lei.

La ragazza però indietreggiò, scuotendo la testa. "No, non venire da me, non è ancora il tuo momento…" disse, sorridendo ma con vistosa malinconia, e solo allora, guardando con attenzione, il Cavaliere si accorse che la sua figura era quasi evanescente.

Comprendendo improvvisamente tutto, Pegasus scoppiò a piangere lacrime amare. Il cuore, appena colmatosi di speranza, sembrava contorcersi e bruciargli nel petto, schiacciato da un dolore troppo grande da poter sopportare.

"Io… io…" iniziò, alzando la testa e cercando di spiegarsi.

Isabel però sorrise, e gli appoggiò delicatamente un dito sulle labbra. Il suo tocco era debole, quasi etereo, ma anche caldo.

"Non soffrire della mia sorte, era necessaria… a volte servono il dolore e la sconfitta per crescere e migliorarsi. Se non è degno comandante colui che cede a dubbi e paure, altrettanto immeritevole dell'altrui rispetto è chi avanza abbagliato dalla propria luce…" sussurrò.

"Questa frase…" realizzò il Cavaliere spalancando gli occhi. Nello stesso momento però si accorse che la figura di Isabel stava diventando sempre più tremula, come se stesse per scomparire.

"No! Ti prego, non andare! Non di nuovo!" gridò, tendendo la mano verso quella di lei, solo per passarle attraverso come se non fosse altro che nebbia.

"Perdonami… flebile è la forza che mi ha permesso di parlarti" si scusò, con il viso ora rigato dalle lacrime nonostante il sorriso fosse sempre sul volto. Poi però la sua espressione si fece più risoluta "Ma ricorda le mie parole, portale sempre nel cuore, e forse…"

E con questo, Isabel svanì.

Pegasus ebbe appena la fugace impressione di intravedere una sagoma più piccola, quasi infantile, alle spalle di quella della ragazza, che l’oscurità attorno a lui iniziò a dissolversi, squarciata dalla pallida luce del sole di Avalon.

Riaprendo gli occhi, Pegasus scoprì di essere a terra, prono nella polvere ed il terreno, da solo. Di Isabel o Ioria o chiunque altro non c’era traccia, anche se il suolo era umido di lacrime sotto il suo viso.

"Un sogno? Era così reale…" pensò, sollevandosi un po’ stordito su un ginocchio ed iniziando a ricordare quel che era accaduto.

Alto nel cielo di Avalon, e con la mente persa tra mille pensieri, aveva subito l’attacco fiammeggiante del nemico più violentemente dei compagni. Una delle sfere di fuoco gli era esplosa vicino al volto, abbagliandolo e intontendolo con l’onda d’urto, che lo aveva fatto cadere direttamente nella traiettoria di un’altra.

Centrato alla schiena ed alla nuca, là dove l’elmo non lo proteggeva, il ragazzo era stato separato dagli amici ed era precipitato a spirale, privo di sensi.

Guardandosi attorno, Pegasus si accorse che a terra accanto a lui vi erano numerosi rami, spezzati dagli alberi scheletrici che lo sovrastavano, svettando alti in quella che fino a poco tempo prima era stata una lussureggiante foresta.

"Hanno spezzato la caduta, e l’armatura ha fatto il resto… stavolta sono stato davvero fortunato!" commentò con un sospiro di sollievo, anche se la sensazione lasciata da quella strana visione era ancora forte in lui.

"Non di fortuna si è trattato! Al contrario, inviso dalla sorte sei tu che sei sopravvissuto solo per trovare la morte contro di me!" tuonò una voce a pochi metri da lui, dove comparve una sagoma avvolta da un cosmo fiammeggiante.

Saltando indietro e alzando la guardia, Pegasus rimase comunque sprezzante. "A privarmi della vita ci hanno provato già molti, e come vedi nessuno c’è riuscito! Sei libero però di provarci, chi sei?"

"Surtur è il mio nome, Demone del fuoco portatore della fine, uno degli Imperatori agli ordini del sommo Erebo!" rispose con orgoglio l’altro, avanzando verso di lui ed indebolendo il suo cosmo abbastanza da permettere a Pegasus di vederlo bene.

Appena pochi centimetri più alto di lui ma dalla corporatura visibilmente muscolosa come quella di Ban, indossava un’armatura principalmente rossa, con fregi arancioni e gialli. L’elmo era a maschera in modo da proteggere le guance, le tempie e gli zigomi, e dalla fronte partivano due corna nere nella forma quasi identiche a quelle della prima armatura di Andromeda. Il torso era protetto da un pettorale aderente ma massiccio, con una spessa piastra orizzontale tondeggiante sul torace ed altre più semicilindriche sui fianchi e l’addome, fino al lungo cinturino frangiato. I coprispalla erano doppi su ciascun lato, tondeggianti ma ricurvi all’estremità in modo da piegarsi attorno all’articolazione del guerriero. La parte inferiore era più piccola e liscia, mentre quella superiore era ornata da un paio di corna ritorte, distese parallelamente al resto del pezzo. Un altro paio di corna ornava l’estremità superiore del bracciale destro, mentre da quella inferiore, in corrispondenza del pugno, sporgevano zanne ricurve verso il basso. Decorazioni simili si trovavano all’altezza della caviglia, e spiccavano su schinieri lisci e aderenti.

I capelli del guerriero erano di un nero corvino, corti e crespi, ma la cosa più inquietante erano gli occhi: due fessure giallo fuoco, prive di iride o pupilla.

"E’ inquietante costui… devo stare in guardia!" pensò Pegasus, prima di domandare "Demone del fuoco? E’ a te che dobbiamo quell’accoglienza allora?"

"Hai ben detto, a me e a me solamente! Per ordine del sommo Erebo le fiamme di cui sono sovrano vi hanno abbattuti in volo, anche troppo oltre vi eravate spinti! Non credevo però che sareste sopravvissuti… le vostre armature non sono di forgia comune, qualsiasi altra corazza sarebbe andata in pezzi!"

"Non si tratta di armature comuni infatti! I grandi Dei dell’Olimpo ce ne hanno fatto dono, e prima di loro Etri di Asgard! Sono corazze forgiate per sconfiggervi, e far trionfare la giustizia!" proclamò il Cavaliere con enfasi. Surtur però non parve impressionato.

"Non parlare di giustizia tu che sei solo un essere umano… non è parola che uno come te possa comprendere!" rispose.

"La giustizia la difendo da anni contro qualsiasi nemico! Tu, Surtur del fuoco, ed il tuo signore Erebo siete solo gli ultimi di una lunga serie!" disse sprezzante il ragazzo, espandendo il suo cosmo ed iniziando a disegnare in aria le tredici stelle. "Fulmine di Pegasus!!"

"Che assurde farneticazioni!" commentò Surtur, spazzando l’aria con il braccio in un movimento quasi seccato. Di fronte a lui si innalzò immediatamente un muro di fuoco, contro il quale si infranse l’attacco del nemico. Un altro gesto, e dal muro eruttarono lingue fiammeggianti in direzione del Cavaliere.

"Era troppo sperare di colpirlo al primo tentativo…" pensò Pegasus, scartando lestamente sulla destra ed iniziando a muoversi tra i getti di fuoco senza alcuna apparente difficoltà, cercando nel contempo delle aperture da sfruttare per contrattaccare. "Ancora! Fulmine di Pegasus!!"

Una seconda pioggia di dardi azzurri volò verso Surtur, rapidamente seguita da una terza. Entrambe le volte tuttavia l’Imperatore compì degli impercettibili movimenti con la mano, e nuove fiamme si eressero a sua difesa, bloccando o intercettando i colpi del Cavaliere ben prima del bersaglio.

Al quarto assalto però qualcosa cambiò, ed uno dei fasci di luce emerse dall’altro lato del muro di fuoco, sfiorando l’armatura dell’Imperatore.

"I suoi colpi stanno crescendo in potenza…" notò Surtur, accigliandosi leggermente e serrando a pugno le dita della mano. In tutta risposta, i getti di fuoco che Pegasus aveva già schivato si piegarono su se stessi, tornando indietro verso di lui.

"Stai iniziando a fare sul serio!" commentò ad alta voce il ragazzo con un sorrisetto sornione, prima di aggiungere "In questo caso, vedrò di adeguarmi!"

Con uno scatto improvviso, Pegasus aumentò la propria rapidità di movimento, schivando gli attacchi con una serie di passaggi a zig zag ad una velocità persino superiore a quella della luce, e bruciando contemporaneamente il suo cosmo.

"I suoi movimenti non sono soltanto difensivi, si sta avvicinando!" si accorse dopo alcuni secondi Surtur, muovendo di nuovo la mano, stavolta con maggior frenesia.

Le pire di fuoco si divisero, alcune trasformandosi in una miriade di strali fiammeggianti, altre in turbini, ed intrappolando Pegasus letteralmente tra due fuochi che cercavano di schiacciarlo. Ciononostante, il sorriso del ragazzo non scomparve, ed anzi, nell’istante in cui i due poteri si chiusero su di lui nascondendolo alla vista del nemico, si accentuò.

Soddisfatto, Surtur osservò il mare di fuoco che aveva di fronte. Una vera e propria distesa ardente alta oltre un metro, da cui si sprigionava un calore spossante. Gli alberi secchi circostanti si erano mutati in torce che svettavano verso il cielo, accompagnate da colonne di fumo nero e facendo ricadere sull’Imperatore una cascata di scintille.

Ma nonostante tutto, Surtur sapeva che il duello era ben lungi dall’essersi concluso. "Hai intenzione di restare nascosto ancora a lungo?" domandò.

Un istante dopo, un vortice azzurro s’innalzò dal mare di fuoco allargando le fiamme circostanti, e da esso con uno scatto emerse Pegasus, avvolto nel suo cosmo brillante, le ali piegate attorno al corpo come un guscio.

"E così te n’eri accorto, ma non ti servirà a molto!" esclamò, spiegandole di colpo e rivelando il pugno incassato nel fianco destro, ricolmo di energia. "Fulmine di Pegasus!!"

"Ha usato le fiamme come copertura per avvicinarsi!" realizzò Surtur, innalzando di nuovo il muro davanti a se e rafforzandolo in previsione dell’assalto del Cavaliere.

"Vuoi fermarmi di nuovo con lo stesso trucco? Eh no, non credo proprio!" commentò Pegasus, facendo esplodere il suo cosmo e scagliando un’altra scarica.

Istante dopo istante, una pioggia sempre più intensa di colpi si abbattè sul muro di Surtur, fino a farlo tremare vistosamente.

"Iaiiii!!!" gridò l’eroe, intensificando ancora l’assalto, al punto che persino l’espressione sicura di Surtur divenne velata di sorpresa.

"Sta… abbattendo il muro di fuoco!" dovette ammettere incredulo l’Imperatore, ed un istante dopo uno dei fasci luminosi emerse finalmente dall’altra parte, sfiorandolo. Poi un altro, ed un altro ancora, finchè l’intera raffica di colpi perforò completamente la difesa del Demone di fuoco, abbattendosi su di lui in pieno petto e spingendolo indietro.

"E’ tutta qui la sua forza?" si chiese Pegasus, sorridendo nel vederlo barcollare e lanciandosi in picchiata per finirlo con la Cometa.

Improvvisamente però, l’Imperatore fermò i piedi a terra, e nello stesso momento il suo cosmo avvampò: non una semplice luce, ma una vera aura di fuoco dalla quale si sprigionava un calore tremendo, tale da incenerire il suolo e le rocce. Contemporaneamente, Surtur fece passare la mano nelle fiamme e tra le dita si formò una spada di fuoco, con la quale vibrò un fendente.

Accorgendosi appena in tempo del pericolo, Pegasus cambiò direzione a mezz’aria con un colpo di reni, ruotando su se stesso appena in tempo e toccando terra a qualche passo di distanza.

"Di nuovo una spada di fuoco…" pensò, memore del duello con Megres di Asgard, e delle difficoltà nel fronteggiare la sua arma d’ametista.

"Ti sei nascosto tra le mie stesse fiamme per avvicinarti e colpire con maggior veemenza… Un’abile strategia, resa possibile dalla corazza che indossi. Benchè ne avessi già notato le capacità, l’avevo ancora sottovalutata… E non si limita solo a difenderti, anche la velocità dei tuoi movimenti ne trae beneficio…" commentò Surtur studiandolo con attenzione.

"Proprio così, è inutile negarlo! Delle tue origini ti ho già parlato, ma ora ti dirò anche il suo nome, che ti sia d’avvertimento: essa è il Destriero dell’Empireo, e proprio come la cavalcatura e agile e leggera nonostante le apparenze! In lei ruggisce lo spirito guerriero del possente Eracle!" rispose Pegasus con un certo orgoglio.

"Un’armatura nata dalla forgia di Etri e dal sangue divino di colui che aveva fama di invincibile! Non mi sorprende, oh Cavaliere, che abbia resistito alle mie fiamme poc’anzi…" disse l’Imperatore, senza tuttavia che il suo sguardo vacillasse minimamente. Al contrario, parve solo più convinto di una vittoria per lui fuori ogni dubbio.

"Ora però so, so che un fuoco comune non basterà ad aver ragione di te! Ma per tua sfortuna la fiamma che hai visto finora non era che la più debole delle armi a mia disposizione!" avvertì.

"La più debole?" ripetè Pegasus, accigliandosi.

"Il fuoco divino che flagellerà la terra, il cielo e l’empireo tutto, è in esso la vera forza di Surtur, forse il più potente tra gli Imperatori di lord Erebo! La fiamma che hai assaggiato poco prima era nulla a confronto… il pettorale della tua armatura, guardalo!" dichiarò.

Abbassando lo sguardo, il ragazzo si accorse che il pezzo della sua corazza era leggermente annerito nonostante la spada l’avesse appena sfiorato.

"Era appena un fendente, un misero assaggio, ben altro si abbatterà su di te!" proseguì Surtur.

Accigliandosi, Pegasus sollevò prudentemente la guardia. "E’ pericoloso, ma devo solo stare lontano dalla sua spada e sfruttare la mia velocità per mettere a segno un attacco decisivo…" pensò, prima di scattare di nuovo lateralmente e sferrare un fascio di luce.

Senza scomporsi, Surtur lo intercettò a mezz’aria con la spada, annullandolo, e la cosa non sfuggì al Cavaliere. "Bene, pare aver abbandonato il muro di fuoco, ma la spada non può difenderlo altrettanto agevolmente! Mettiamolo alla prova con un attacco più forte! Fulmine di Pegasus!!" si disse, scagliando ancora il suo colpo segreto e nel frattempo correndo in modo da disegnare un cerchio attorno al nemico.

Piovendo da tutte le direzioni, i fasci di luce azzurra saettarono concentrici verso Surtur, che si guardò rapidamente attorno, prima di accennare un sorriso e sollevare la spada. Con un tocco, la fece schioccare in aria, mutandola in una frusta e facendola girare attorno a se in maniera simile alla catena di Andromeda, intercettando tutti i colpi del nemico.

"Sciocco, posso plasmare la fiamma a mio piacimento, la forma della mia arma non ha alcuna importanza!" dichiarò, voltandosi e facendola improvvisamente scattare verso Pegasus.

Con un balzo però il Cavaliere saltò in aria e la evitò, planando in avanti sulle ali dell’armatura divina e caricando ancora una volta il pugno destro. "Sai, sarai anche un Dio dell’Apocalisse ma non mi sembri molto portato alla battaglia! I tuoi colpi sono prevedibili! Fulmine di Pegasus!!"

"Prevedibili, forse… o più semplicemente una trappola in cui sei ingenuamente caduto!" rispose minacciosamente Surtur aprendo e ruotando il palmo della mano libera.

Sotto lo sguardo sorpreso del Cavaliere, le sfere del Fulmine rallentarono e si fermarono, venendo avvolte ed inglobate dal cosmo fiammeggiante dell’Imperatore, per poi innalzarsi in aria all’interno di pire ardenti.

"Il fuoco tutto mi obbedisce, incluso quello del tuo cosmo e dei tuoi colpi segreti! Difenditi ora dal tuo stesso attacco, carico del mio cosmo divino! Vampa del Demone!!"

Obbedendo all’ordine dell’Imperatore, una pioggia di meteore di fuoco al cui interno ancora brillava il cosmo di Pegasus si innalzò al cielo, per poi piombare sull’allibito Cavaliere.

"Il mio… Fulmine!" balbettò appena l’eroe, riuscendo a stento a proteggersi il viso con le braccia prima di essere travolto in pieno da centinaia di colpi alla velocità della luce che lo centrarono alle spalle, il torace, l’addome e le gambe. Per di più, ad ogni tocco il calore del fuoco passò almeno in parte attraverso l’armatura divina, ustionando leggermente la pelle sottostante.

Con un grido di dolore, Pegasus volò verso alcuni alberi, ma istanti prima dell’impatto Surtur fece di nuovo schioccare la sua frusta, e da essa si innalzarono quattro colonne di fuoco, disposte a gabbia attorno al protetto di Atena. Incapace di fermarsi in tempo o di cambiare direzione, il ragazzo sbattè con la schiena contro una di esse, gridando in agonia nel sentire il calore penetrare la corazza e bruciargli le spalle.

"Il calore è insopportabile… devo uscire di qui, o sarà la fine!" comprese zuppo di sudore, accorgendosi che sempre più pire si stavano innalzando attorno a lui, bloccandogli ogni via di fuga.

Non appena ebbe spiegato le ali annerite della sua armatura però, le sbarre di quella rozza prigione iniziarono a fondersi insieme ed a vorticare, fino a formare un vero e proprio gorgo attorno a lui, un imbuto di fuoco dal quale non vi era alcuna uscita. Un istante dopo, l’imbuto si mutò in sfera, ruotando sempre più velocemente.

"Hai sottovalutato le fiamme eterne di Surtur, pagane il prezzo!" comandò l’Imperatore, sollevando entrambe le mani al cielo.

Obbedendo ai suoi ordini, il vortice si chiuse su Pegasus ed alzò maestoso, eruttando con la potenza selvaggia di un vulcano prima di esplodere a mezz’aria, in una pioggia di fiamme e scintille.

Con l’armatura quasi ardente ed annerita in più punti, l’eroe precipitò a terra avvolto in una scia rossastra e sbattè violentemente al suolo, mentre sottili rivoli di sangue filtravano dalle ustioni sottostanti.

"E’ come contro Nettuno o Hades… ha ribaltato il mio Fulmine… ma è riuscito anche a potenziarlo con il suo cosmo di fuoco, ed a farmi cadere in una trappola! Se non fosse stato per l’armatura sarei sicuramente morto, ma anche così impervia è la salita…" pensò a denti stretti.

"E’ abile costui, ed io non ho armi adatte ad affrontarlo… Cristal o Phoenix sarebbero nemici ben più consoni. Ma è sulla mia strada che il destino lo ha messo, ed è quindi a me che tocca vincerlo!" pensò, affondando le dita nella cenere e nel terreno, prima di serrare il pugno e rimettersi in qualche modo in piedi.

Osservandolo, Surtur annuì. "Ti rialzi, ma non mi sorprende, la luce nei tuoi occhi è lontana dallo spegnersi!"

"La luce che ho dentro di me non si spegnerà mai, puoi starne certo! Non finchè avrò un ideale di giustizia a sostenermi!" ritorse il ragazzo.

Pensieroso, l’Imperatore lo guardò per alcuni secondi, prima di affermare "Il tuo nome, non te l’ho chiesto all’inizio del nostro duello…"

"Pegasus! Pegasus, di Atena Cavaliere, così mi chiamo!" si presentò, chiedendosi dove l’altro volesse arrivare.

"E’ la seconda volta che parli di giustizia, Pegasus, e che dici di ergerti in suo nome. Ebbene sappi che è per la medesima ragione che io combatto, per creare un’utopia, un mondo nuovo dove regni proprio la giustizia di cui parli! " dichiarò, sorprendendo non poco l’eroe.

"Tu combattere per la giustizia? Che vuoi dire?! Parole menzognere sono queste, come puoi combattere per la giustizia e servire un tiranno come Erebo?" domandò con enfasi.

A questa frase, un’ombra di disprezzo comparve sul volto dell’Imperatore, che alzò la testa al cielo, lasciando vagare il suo sguardo nell’immensità azzurra.

"Tu che sei solo un essere umano non puoi capire le grandi leggi del creato. Obbedire al sommo Erebo non è che un atto di passaggio, una fase di un disegno più grande. Purificando la Terra da Dei e Cavalieri, egli mi sta aprendo la strada, ma un giorno anche lui dovrà bruciare tra le mie fiamme purificatrici… ardere insieme a me ed al creato tutto. E dalle nostre ceneri nascerà un nuovo mondo paradisiaco in cui una nuova umanità vivrà in pace e armonia. Un mondo di giustizia!" spiegò, e neppure l’assoluta solennità del suo tono impedì a Pegasus di fissarlo attonito.

"Intendi tradire Erebo quindi? Ma che giustizia è una costruita su stragi e carneficine?" insistette.

"Una giustizia divina, che trascende i concetti di giusto o sbagliato degli esseri umani o persino degli Dei. Il mio senso di giustizia è molto diverso dal tuo così infantile…" commentò.

"Infantile?!" ripetè Pegasus vistosamente sdegnato.

"Tu, i Cavalieri, Atena o Odino, non fate altro che reagire alle altrui azioni… a ciò che percepite come ingiusto, giudicando secondo un sistema di valori arbitrario e personale. Convinti che lord Erebo sia ingiusto, gli avete mosso guerra, macchiandovi degli stessi crimini che a lui additate ma nascondendovi dietro la maschera della giustizia. Laddove una morte compiuta per nostra mano è un vile omicidio, una vostra vittoria sul nemico è un sacrificio necessario, un trionfo in nome della vostra causa…" riflettè.

"Alla fine, se anche doveste vincere, vi sarebbero comunque schiere di cadaveri sul campo di battaglia, ma non sarebbero che vittime necessarie per far trionfare un ideale, come tutti coloro che avete affrontato e sconfitto sinora. E’ giustizia questa?" domandò.

"E’ atto di difesa!" esclamò Pegasus. "Non siamo stati noi ad iniziare questa guerra, nè a massacrare migliaia di persone innocenti!"

"Come ho detto, questa non è che una visione arbitraria, cavaliere di Atena, dettata da idee e da un credo secondo cui esistono innocenti e colpevoli, buoni e malvagi. La mia giustizia invece non fa differenza, nè è costruita su preconcetti morali. Essa calerà uguale su tutti, anche su di me… un inferno di cenere ardenti in cui mi consumerò, un inferno che cancellerà tutto e tutti, senza alcuna distinzione! Un sacrificio, forse, ma uno necessario, perché dalle ceneri di quel mondo in rovina nascerà l’utopia di cui parlo: un mondo privo di dolore o sofferenza, i cui abitanti saranno veramente uniti da legami fraterni!"

"Un mondo nato comunque dal sacrificio di migliaia… milioni di vite! Se anche fosse un Paradiso quel che vuoi creare, il prezzo da pagare è troppo grande! L’utopia di cui parli è un nobile fine, ma il fine non giustifica i mezzi, mai, neppure in questo caso! Quel mondo idilliaco è necessario crearlo con le generazioni attuali, innalzandolo ad obiettivo verso cui tendere!" ribattè Pegasus, senza però far mutare l’espressione di Surtur.

"Non capisci, ma è naturale… sei così giovane dopo tutto, un infante a confronto di chi esiste da millenni! Proprio come la cenere che concima la terra, così la distruzione è necessaria per il rinnovamento e la rinascita! Ma il mio non sarà un tradimento, la mia fedeltà al sommo Erebo è sincera… le fiamme che ci avvolgeranno non ne sono che la naturale conseguenza. Egli è consapevole del mio desiderio, e di certo lo appoggia, perché è per questo che io, Surtur, sono nato".

Nel sentire ciò, Pegasus si fece avanti di un passo.

"Ti sbagli! Forse è convinto di poterti soggiogare, o forse ti sta sfruttando… io ho visto il futuro! Ho visto un mondo sprofondato nelle tenebre e nel terrore… Erebo non ha alcuna intenzione di lasciarsi bruciare per creare un’utopia, egli intende conquistare il potere assoluto!" avvertì con enfasi.

"Non posso crederti, Cavaliere, lord Erebo è un Dio tra gli Dei, un essere del mondo antico che ha assistito all’alba del creato… non può essere schiavo di sì bassi desideri di conquista!" rispose, scuotendo la testa come se l’idea non fosse neppure da prendere in considerazione.

"Ma anche se tu avessi ragione… anche se tu avessi ragione non farebbe differenza! Nè cambia la tua sorte qui ora, è tempo di porre fine a questo duello: per te ed i tuoi amici è giunto il momento del tramonto!" concluse, circondandosi di nuovo di fiamme.

"Parli con molta sicurezza, ma non hai portato a segno che un attacco, ne occorrono molti di più per sconfiggere Pegasus!" ritorse il ragazzo, bruciando il suo cosmo ed iniziando ancora una volta a disegnare in aria le tredici stelle della sua costellazione.

"Ancora quella tecnica? Dovresti aver capito che è inutile!" ammonì Surtur, ma l’espressione di Pegasus non vacillò.

"Il mio Fulmine ha sorpreso più di un nemico, chi può sapere quando toccherà a te! Fulmine di Pegasus!!"

Senza rispondere nulla, l’Imperatore alzò e ruotò la mano, rallentando visibilmente gli strali del Fulmine ed avvolgendoli di fiamme. Come poco prima, pire di fuoco si alzarono al cielo, per poi cambiare direzione e precipitare verso l’eroe di Atena.

"Vampa del Demone!!"

Pegasus socchiuse gli occhi in due fessure, osservando con attenzione la pioggia di meteore di fuoco che cadeva verso di lui. "Stavolta non mi lascerò sorprendere, sono pronto ad accoglierle! Fulmine di Pegasus!!"

La nuova raffica di fasci di luce si scontrò a mezz’aria con le sfere di fuoco, contrastandole in una cascata di scintille e bagliori cremisi e azzurri.

Per diversi secondi i due poteri parvero in equilibrio, poi il maggior numero di colpi del Cavaliere parve prendere il sopravvento, e Pegasus sorrise, rendendosi conto che era arrivato il momento giusto. "Di frecce nel mio arco ne ho ancora molte! Cometa Lucente!!" gridò, facendo esplodere il suo cosmo.

Immediatamente, i fasci del Fulmine si fusero in una sola cometa sfavillante di energia, la cui vista sorprese persino Surtur. In una frazione di secondo, la Cometa sfrecciò tra meteore di fuoco, disintegrandole al suo passaggio ed abbattendosi sul suo verso bersaglio.

"E’ fatta, non può evitarlo!" gioì Pegasus, ed in effetti un attimo dopo il suo colpo segreto più potente si schiantò sull’Imperatore, spingendolo indietro con un grugnito di dolore.

Ma, con immenso stupore dell’eroe, Surtur non cadde. Al contrario, si risollevò diritto, con appena delle piccole crepe sul pettorale della sua corazza e sempre circondato dal suo cosmo fiammeggiante.

"Nascondevi un’arma molto potente, e del nono senso ormai sei quasi padrone! Ma purtroppo per te, le risorse di Surtur sono infinite! Soffio del Demone!" proclamò.

A questo comando, il cosmo di fuoco che lo circondava iniziò a vorticare ed ad abbandonarlo, concentrandosi in un punto sempre più piccolo dinanzi a lui, una sfera delle dimensioni di un pugno che bruciò minacciosa sospesa a mezz’aria.

"Queste non sono fiamme come le altre: è il fuoco dell’apocalisse, destinato a purgare l’universo intero nel nome della giustizia suprema! Da queste fiamme, che un giorno avvolgeranno il creato, quest’oggi sarai sconfitto Cavaliere di Atena!" disse, con un misto di orgoglio e commiato, prima di far partire il suo colpo segreto.

Straordinariamente veloce, il Soffio del Demone schizzò come un proiettile verso l’eroe, che in tutta risposta fece esplodere il suo cosmo. "Devo respingerlo! Cometa Lucente!!"

Ancora una volta i due poteri si scontrarono a mezz’aria, ma stavolta per meno di una frazione di secondo. Anche se all’apparenza soverchiato dalle dimensioni della Cometa Lucente, il Soffio del Demone la perforò da parte a parte, riducendola in cenere di cosmo.

Incredulo alla vista della sua arma più potente annullata così facilmente, Pegasus fece appena in tempo ad incrociare le braccia e piegare le ali attorno a se che il colpo segreto di Surtur si schiantò su di lui, rilasciando improvvisamente tutta la sua energia. Con un’esplosione di fuoco, il Cavaliere venne sbalzato di diversi metri in aria mentre le fiamme lo avvolgevano in una sfera pulsante.

Un istante dopo questa esplose, lasciandolo ricadere malamente a terra con la corazza fumante. Il dolore più intenso però veniva dagli avambracci: abbassando a stento lo sguardo, Pegasus si accorse che il Soffio del Demone aveva fuso e perforato sia le ali che, in parte, i bracciali della sua armatura, ustionando la carne ed i muscoli sottostanti.

Agonizzante, il ragazzo strinse i denti cercando di rialzarsi, ma nel frattempo Surtur gli si avvicinò, osservandolo con un misto di pietà e interesse.

"La forza leggendaria del leone Nemea rivive nella tua armatura, nessun’altra corazza sarebbe sopravvissuta al Soffio del Demone. Le ali ed i bracciali ti hanno salvato la vita, se le mie fiamme ti avessero raggiunto al cuore, il tuo corpo sarebbe stato devastato dall’interno… ma non sarebbe stato meglio rispetto all’agonia che ora ti tormenta?" domandò.

"La resa e la morte non sono mai preferibili… specie se si ha qualcosa di importante per cui lottare!" ritorse il Cavaliere a denti stretti.

"La convinzione che ti sostiene è ammirabile… ma così malriposta!" commentò Surtur, calando il piede sul torace del ragazzo per bloccarlo a terra e alzando gli occhi al cielo.

"La tua defizione di giustizia è colma di passione, ma anche infantile… priva di lungimiranza. Per difendere quel che ritieni un bene immediato, ignori le conseguenze delle tue azioni nell’ordine superiore delle cose. La giustizia cui io aspiro è la giustizia assoluta, riesci a capirlo, Cavaliere?" domandò, abbassando la testa.

"No… no non capisco, mi dispiace! La giustizia in cui io credo pone sopra ogni cosa la difesa della vita, nessuna filosofia spicciola mi convincerà ad ignorarla! Come può proclamarsi difensore della giustizia qualcuno che al tempo stesso pensa al massacro di milioni di innocenti?!" rispose con evidente disprezzo il ragazzo.

Poi però i suoi occhi incrociarono quelli di Surtur, e la sicurezza del Cavaliere vacillò. Nello sguardo dell’Imperatore non c’erano odio o sete di sangue, ma tristezza, unita al peso di una consapevolezza che era fardello anziché sollievo, quasi come se fosse schiacciato da un destino cui non poteva opporsi. Uno sguardo simile a quello di Hades nell’Elisio, ma per certi versi più umano, privo di quella profonda freddezza.

"La giustizia di cui parli non è che una chimera…" commentò Surtur. "Quanti nemici avete affrontato? Quanti compagni avete perso? Eppure il male e l’oscurità sono sempre ricomparse, mietendo nuove vittime. Dici di voler proteggere la vita, ma non hai la forza di mantenere il tuo proposito. Io sono colui che spezzerà questo ciclo di dolore, dando vita ad un nuovo mondo purgato dalle tenebre a costo della mia stessa esistenza. E’ troppo chiedere agli uomini lo stesso sacrificio che io sono pronto a compiere?" domandò, sollevando il piede.

Pegasus rotolò subito su un fianco e si rialzò di scatto, ma, forse per la prima volta nella sua vita, sentì che la sua determinazione vacillava. Le parole di Surtur erano contrarie alle sue convinzioni, ma non poteva negarne la logica di fondo, nè lo spirito di sincero sacrificio che scorgeva negli occhi dell’Imperatore.

"Che ti prende, Pegasus?! Non è il momento di perderti in dilemmi filosofici!" si disse, lanciandosi verso Surtur, che era rimasto immobile, ed afferrandolo dietro le spalle.

"Io… devo vincerti! Spirale…" iniziò.

"E’ un’esitazione quella che corgo nella tua voce?" lo interruppe Surtur, bruciando il suo cosmo. Nuove fiamme avvolsero entrambi e contemporaneamente la sua armatura divente ardente come una brace, obbligando Pegasus a lasciare la presa e barcollare indietro.

"Si, inizi a capire!" commentò l’Imperatore, studiando a lungo gli occhi del ragazzo. "Sai quindi perché non posso permetterti di sconfiggermi!"

Sollevando la mano, lanciò un’ondata di fuoco, investendo il Cavaliere e facendolo volare indietro.

"E… se avesse ragione?" pensò Pegasus, barcollando, spossato dal calore e con la vista appannata.

Un momento dopo però avvertì vagamente i cosmi dei compagni impegnati in battaglia e, serrando il pugno, decise di stringere i denti. "Non posso farmi frenare da costui, non ora! Come potrei guardare negli occhi i miei amici nell’aldilà se mi lasciassi vincere?!"

Qualche secondo dopo, Surtur vide le sue fiamme gonfiarsi ed aprirsi, mentre Pegasus balzava verso la libertà, completamente avvolto dal suo cosmo.

"Per quanto ardente, un cosmo non ferisce colui che lo genera. Hai usato il calore della tua aura per difenderti dal mio fuoco, una mossa molto astuta…" commentò l’Imperatore, con una certa ammirazione anche se nessun timore.

Senza rispondere, senza neppure incrociare lo sguardo dell’avversario, il ragazzo continuò a bruciare il suo cosmo per tentare un nuovo attacco. "Fulmine di Pegasus!"

Osservando le meteore luminose del nemico, Surtur socchiuse gli occhi. "Ti ostini a lottare, ma la determinazione dietro i tuoi colpi sta scemando… dentro di te sai che ho ragione!" notò, alzando e ruotando la mano per assorbire l’offensiva e rispedirla al mittente. "Vampa del Demone!"

Martoriato da una pioggia di fuoco, il Cavaliere venne spinto indietro e rotolò a terra dolorante, con le ferite alle braccia che ormai sanguinavano copiosamente.

Affondando le dita nella cenere che ormai ricopriva il suolo cercò di issarsi su un ginocchio, ma Surtur sollevò di nuovo la mano, limitandosi a ripetere "Vampa del Demone!"

Sfere di fuoco si alzarono al cielo, esplodendo in una miriade di colpi più piccoli ed abbattendosi sulla schiena dell’eroe, spingendolo di nuovo a terra dolorante. E, soprattutto, con la mente costellata dai dubbi sollevati dalle parole di Surtur. Dubbi che, per quanto cercasse di non darlo a vedere, gli rodevano l’animo.

"Le nostre battaglie hanno davvero avuto un senso? Quanti nemici abbiamo sconfitto… solo per vederne altri ergersi a minacciare la pace al posto loro? Erebo non è che l’ultimo tra questi… ma se anche dovessimo vincerlo, sarà solo per aprire la strada a qualche nuova minaccia?" si chiese, incapace di trovare una risposta.

"Non ho bisogno di un tuo attacco per sferrare la Vampa del Demone! La resistenza della tua armatura, dovresti maledirla ormai… arrenditi e smetti di soffrire!" suggerì intanto il suddito della Prima Ombra, ignaro dei tormenti del suo giovane avversario.

"M… mai!" rispose Pegasus, alzandosi di scatto e tentando un pugno al volto di Surtur, solo per essere centrato in pieno addome da un calcio e scaraventato indietro.

"E’ mera testardaggine ormai a sostenerti… orgoglio e nulla più" disse l’Imperatore, sollevando la mano ed avvolgendolo in una spirale di fuoco, solo per vederla andare quasi immediatamente in pezzi.

"Contro certi avversari non c’è bisogno d’altro!" rispose Pegasus tra i denti, mentre le fiamme attorno a lui venivano spazzate via dall’accumularsi e dal vorticare del suo cosmo. "Cometa Lucente!!"

Risplendente di energia, la cometa azzurra volò verso Surtur alla velocità della luce, quasi con rabbia, a voler spazzar via i pensieri che pesavano sul cuore dell’eroe.

"Il tuo coraggio ti fa onore, ma è del tutto vano…" disse Surtur, ripetendo ancora il gesto di poco prima, una torsione dell’avambraccio unita all’espandersi del suo cosmo. Sotto gli occhi increduli di Pegasus, la Cometa, come il Fulmine prima di lei, si fermò a pochi centimetri dal bersaglio e venne avvolta dalle fiamme, per poi salire al cielo in una pira di fuoco.

"Vampa del Demone!" sussurrò Surtur, reindirizzandola verso colui che l’aveva creata.

Come un serpente dalla coda fiammeggiante, la Cometa ruotò alta nel cielo, prima di piombare verso Pegasus. A pochi metri da lui, Surtur sferzò l’aria con la mano, scindendola in numerose sfere esplosive, che detonarono attorno al ragazzo, investendolo con le loro onde d’urto e facendolo barcollare ormai allo stremo delle forze, con l’armatura fumante.

"Così finisce!" disse Surtur, facendo eruttare una colonna di fuoco ai suoi piedi e lanciandolo in aria. Contemporaneamente, le fiamme del suo cosmo ancora una volta lo abbandonarono, formando un globo ardente dinanzi a lui, quasi un piccolo sole traboccante di energia.

"Hai combattuto con valore, peccato che la tua causa fosse sbagliata! Prenderò la tua vita adesso e me ne rammarico, sinceramente, ma ti prometto che il tuo sacrificio non sarà vano! Esso mi aiuterà ad erigere un mondo migliore!" disse l’Imperatore in tono di commiato, prima di sollevare la sfera di fuoco con il palmo della mano e indirizzarla verso il Cavaliere a mezz’aria. "Soffio del Demone!"

Simile ad un raggio di luce tanto incredibile era la sua velocità, il Soffio del Demone trapassò Pegasus al fianco destro, perforando il suo corpo e l’armatura prima di continuare la sua corsa e perdersi nel vuoto. Per il ragazzo fu un dolore intenso ma breve, mentre precipitava verso terra.

"Prive di forze, si spengono le tredici stelle, e cade Pegasus verso l’oblio… eppure non soffro di questa sconfitta. Forse Surtur ha ragione… forse l’unica speranza per spezzare questo ciclo di dolore è davvero un grande fuoco purificatore, che purghi la terra da ogni male. Non so… sono dilemmi troppo grandi per me, come posso io trovare una risposta se neppure Zeus, Odino o Oberon vi sono riusciti?" si lamentò.

Ma in quel momento, nell’attimo in cui gli occhi stavano per chiudersi, un vento fresco gli accarezzò il viso, allontanando il calore opprimente del campo di battaglia. Un vento che, nel suo delirio, a Pegasus parve portare con se l’eco di una voce lontana. Una voce che non aveva udito che una volta, per pochi istanti, al Muro del Pianto, ma che in un certo senso lo aveva sempre sostenuto, e che ora gli stava parlando direttamente al cuore, con parole cariche di convinzione.

"Anche dopo che un’anima ha abbandonato il corpo, i pensieri che dimorano in lei non vanno perduti! E per difendere i propri cari, gli uomini sono capaci di una forza infinita! Io ho consacrato il mio animo alla battaglia affinché la pace perduri su questo pianeta. Io credo che il cosmo, il più grande potere dell’uomo, sia votato alla realizzazione della pace" esclamò in tono di gentile rimprovero, scuotendo l’eroe, riecheggiando attorno a lui.

"M… Micene!" lo riconobbe, prima che la voce nell’eco cambiasse, facendosi sofferente.

"Se il destino di Atena è davvero la morte, io tenterò di mutarlo anche a costo di dare la mia anima in pasto alle tenebre. Poiché noi Cavalieri di Atena… esistiamo unicamente per proteggere la nostra Dea!" disse con decisione. "Poiché noi Cavalieri di Atena… esistiamo unicamente per proteggere la nostra Dea!"

"Ha dato la vita per Atena, senza lasciarsi frenare da dubbi o esitazioni. Ha dato la vita per colei in cui credeva… è così che deve agire un paladino della giustizia…" riflettè Pegasus, memore del sacrificio del Sagittario anni addietro.

"Sei ancora qui, moccioso?!" lo rimproverò in quel momento una seconda voce nel vento, ben più aggressiva della prima. Ma neanche questa era nuova al giovane eroe.

"Cassios!" balbettò spalancando gli occhi.

"Lascia che doni la mia vita a Tisifone, lasciami questo! Chissà, forse mi ricorderà per aver salvato chi così tanto ama…" supplicò, riportando ancora una volta alla memoria del guerriero i giorni delle Dodici Case.

"Si sacrificò per colui che amava, senza perdersi tra dilemmi e false incertezze. Seguì il suo cuore, proprio come Micene, senza chiedersi da che parte fosse la ragione. Erano certi… certi che li avrebbe condotti nella giusta direzione! Posso essergli da meno io, che sulle spalle porto le speranze di tutti?" pensò, ricordandosi delle parole di commiato della sua controparte futura, prima che desse la vita per permettere a lui e gli altri di raggiungere l’Olimpo.

"Per me, per Kiki… per tutti gli abitanti di questo mondo in rovina, la vita è ormai soltanto un fardello… un'andare avanti in un tunnel infinito! Ma voi… voi potete cambiare la storia… mutare le tenebre in luce, permettere alle stelle di tornare a brillare! Potete riuscire dove noi abbiamo fallito… non rendete inutili decenni di sforzi e sacrifici! Sconfiggete Erebo, e tutto questo scomparirà per sempre!"

"Abbiamo promesso, non di perderci tra questioni filosofiche, ma di sconfiggere Erebo e porre fine al suo regno di terrore! Nobili che siano le sue intenzioni, non posso permettere a Surtur di sconfiggermi!" dichiarò, serrando il pugno con ritrovato vigore.

Avvolto da un bagliore accecante, il Cavaliere spiegò le ali della sua armatura, ruotando su se stesso e mutando la caduta in gentile discesa, prima di toccare di nuovo terra di fronte a Surtur, barcollante ma pieno di determinazione.

"Sei sopravvissuto al Soffio del Demone? Com’è possibile?!" domandò l’Imperatore, osservandolo per la prima volta davvero sorpreso.

"Ho scoperto il segreto della tua tecnica, Demone del Fuoco!" sorrise Pegasus. "Hai bisogno di tempo per dare alle tue fiamme divine la massima potenza, per riversare in loro il calore capace di annientare ogni difesa! E’ per questo che usi un fuoco normale quando possibile…

"Se mi avessi abbattuto al primo assalto sarei sicuramente morto, arso vivo da quella fiamma che tutto travolge! Ma la seconda volta, il Soffio del Demone non aveva la stessa energia distruttiva, ed anziché annientarmi, il suo calore ha cauterizzato la ferita, arrestando l’emorragia!" spiegò, dando un’occhiata al fianco dove l’armatura era macchiata da rivoli di sangue di poco conto a paragone della gravità della ferita, e poi risollevando la guardia.

"I tuoi occhi hanno ritrovato la convinzione che avevano all’inizio!" notò Surtur. "Devo arguire che hai trovato una risposta al mio quesito? Che hai deciso che la tua giustizia è superiore alla mia?"

"No… non ho una vera risposta…" ammise Pegasus. "E’ legittimo il dilemma che poni, e forse la tua giustizia è davvero migliore della mia, più adatta a creare un mondo in cui regni la vera pace…"

"Eppur consapevole di questo, hai deciso di continuare a combattere?" domandò l’Imperatore.

"Alla fine, non sono che un ragazzo… come posso pensare di poter trovare risposta a dubbi che per millenni devono aver attanagliato gli Dei tutti? Ma in fin dei conti… tutto ciò non ha importanza! Quel che conta è fare sempre del proprio meglio, seguendo le proprie convinzioni ed i propri ideali anche a rischio della vita! Non sono in grado di risponderti, ma Atena lo ha già fatto per me, dedicando la sua stessa esistenza alla difesa di una giustizia che non richiede sacrifici o stragi sommarie! Io, che sono suo Cavaliere, crederò in lei!" dichiarò, preparandosi alla battaglia.

"Come preferisci, la tua sorte è comunque scritta, che tu lo voglia o meno!" rispose Surtur, circondandosi di fiamme. "Vampa del Demone!"

"Fatti sotto! Fulmine di Pegasus!!"

Meteore di fuoco e fasci di luce azzurra si scontrarono in aria, equilibrandosi per alcuni secondi, ma alla fine l’attacco di Surtur prese il sopravvento. Pegasus sollevò allora le braccia innanzi a se, gli occhi socchiusi per la concentrazione, prima di essere travolto e scaraventato a terra.

"Uh… uuh…" grugnì l’eroe rotolandosi su un fianco, mentre rivoli di sangue gli grondavano dalla bocca.

"E’ stato un colpo potente ma non definitivo a quel che vedo!" notò Surtur mentre il ragazzo si rialzava.

"Mi spiace… sono come la gramigna, non so mai quando rinunciare… eh eh…" ridacchiò Pegasus rialzandosi ed asciugandosi il labbro con il dorso della mano, prima di tornare a disegnare in aria le tredici stelle.

"Perché tanta determinazione?" si chiese l’Imperatore.

"Fulmine di Pegasus!!"

"Vampa del Demone!!"

Ancora le fiamme del demone di Asgard presero il sopravvento, travolgendo il Cavaliere, ed ancora il ragazzo si rialzò, sollevandosi su un fianco e poi issandosi in piedi, barcollante. Per di più, un sorrisino gli si disegnò sul volto, sorprendendo Surtur.

"Sei impazzito per il dolore delle ferite?"

"Affatto… sorridevo al pensiero della lungimiranza di Zeus!" rispose Pegasus.

"Che intendi dire? Che lungimiranza può aver avuto un Dio ormai defunto?"

"Quando le nostre armature sono rinate grazie al sangue divino, quelle dei miei compagni hanno cambiato forma, evolvendosi. Non la mia però, Destriero dell’Empireo è esteticamente quasi identica alla veste divina che ho risvegliato nel corso della battaglia con Hades all’Elisio! Un dettaglio su cui mi ero a lungo interrogato, senza riuscire a trovare una risposta" iniziò il ragazzo.

"E ora invece ci sei riuscito?" domandò l’Imperatore con malcelato disinteresse.

"Si… l’ho capito guardando il modo in cui resiste ai tuoi assalti, la forgia difensiva di quest’armatura è straordinaria! Zeus sapeva che, a differenza dei Cavalieri miei amici, io non ho mai posseduto armi o tecniche di difesa… e scudi o barriere avrebbero appesantito troppo la corazza per consentirmi di combattere come mi è più congeniale! Ha così usato l’intero potere del sangue di Eracle per rafforzarla oltri ogni dire, rendendola impervia a qualsiasi attacco! Se fosse stata la stessa che ho indossato in passato, probabilmente sarei morto al nostro primo scontro!" concluse, ripensando con gratitudine al gesto del signore dell’Olimpo, nonchè alla resistenza dell’armatura di Ercole, ben messa alla prova nel corso del combattimento al Tempio di Nettuno.

"Il sangue di Eracle è certamente il più adatto alla tua armatura se è questo il tuo stile di lotta. Ma neanche la più resistente delle corazze potrà salvarti per sempre!" avvertì Surtur.

"Non è necessario che lo faccia così a lungo… anzi, essa ha già pienamente svolto il suo compito! Difendendomi finora, mi ha messo nelle condizioni di scoffigerti!" disse Pegasus, sorprendendo l’avversario.

"Sconfiggermi? Come puoi dire una cosa del genere, la tua inferiorità è evidente!"

"Questo è da vedere, ma di una cosa sono sicuro: la Vampa del Demone non offenderà più il Destriero dell’Empireo!" proclamò, espandendo il suo cosmo.

"Devi essere impazzito, non c’è altra spiegazione! Me ne dispiace, avevo apprezzato il tuo modo di combattere, ma è evidente che ormai hai perso la ragione! Le fiamme che dici di non temere più ti sconfiggeranno! Vampa del Demone!" esclamò Surtur scatenando il suo colpo segreto.

"Vedrai, Imperatore di Erebo… proverai sulla tua pelle di cosa è capace di Pegasus!" rispose il ragazzo, sollevando entrambe le mani davanti a se ed avvolgendole nel suo cosmo.

Un istante dopo, con una cascata di scintille la Vampa del Demone andò a segno, e per un attimo Pegasus parve sul punto di essere travolto. Ma un momento dopo, l’Imperatore vide con immenso stupore che le sue sfere di fuoco non stavano esplodendo. Al contrario, il cosmo dell’eroe le aveva avvolte, ed esse si stavano rapidamente estinguendo.

"Sta… riuscendo a contenerle!" realizzò sbalordito, mentre il Cavaliere continuava a resistere, pur venendo spinto indietro tanto da scavare a terra due solchi con i piedi.

"Quante volte ho subito la Vampa del Demone? Così tante che neppure le ricordo! Ma ormai ho capito come contrastarla!" gridò Pegasus, arrestandosi ed incassando il pugno ancora fumante nel fianco. "E dopo la difesa… Fulmine di Pegasus!!"

"La potenza… la potenza del Fulmine è aumentata!" balbettò Surtur alla vista di quella tempesta di colpi alla velocità della luce. Prima ancora di riuscire a difendersi, venne investito in pieno e scaraventato a terra mentre il diadema volava via, perdendosi tra le fiamme.

"E non è ancora finita! Eccoti un’altra scarica!!" ripetè il Cavaliere, attaccando di nuovo.

"Non sottovalutarmi!" ritorse Surtur con una punta di rabbia, sollevando e torcendo le mani, e stavolta il Fulmine cadde sotto il suo controllo, proprio come negli scontri precedenti. Anzichè rilanciarlo indietro all’interno della Vampa di Fuoco però, l’Imperatore lo lasciò disperdersi nel cielo, prima di rialzarsi a fronteggiare l’avversario.

"Non so come tu sia riuscito ad annullare il mio colpo segreto, ma non importa. Non hai armi per sconfiggermi, sia il Fulmine che la Cometa si sono già rivelati inefficaci su di me! Io invece posso ancora contare sulla mia tecnica più potente: il Soffio del Demone! E stavolta la fiamma divina non ti darà scampo!" minacciò, facendo esplodere il suo cosmo. "Bada, Imperatore: in questo momento per te sferrare il Soffio del Demone equivale alla sconfitta!" avvertì Pegasus, guardandolo seriamente negli occhi.

"Di che stai parlando?" sibilò Surtur.

"Ormai ne sono certo: le fiamme che ti circondano sono alla base delle tue difese! Poc’anzi le avevi indebolite, per sferrare la Vampa del Demone, ed è stato questo a permettere al mio Fulmine di colpirti! Per sferrare il Soffio del Demone devi estinguerle per tutto, e così facendo ti esponi ad un rischio fatale! E’ per tale motivo che cerchi di non usare troppo spesso la tua tecnica suprema, o ne riduci la potenza!" disse.

Nel sentirlo parlare, Surtur sorrise e chiuse per un attimo gli occhi.

"E così hai capito anche questo… lo spirito d’osservazione non ti fa difetto! Nondimeno tale conoscenza non ti sarà d’aiuto: è vero, le mie difese saranno inesistenti dopo il Soffio del Demone, ma per allora tu sarai già morto! L’armatura non ti salverà una terza volta!" dichiarò. Nello stesso momento Le fiamme che ardevano attorno a lui lo abbandonarono, formando la sfera di plasma fiammeggiante.

"E’ una sfida tra i nostri sensi di giustizia adesso! Se vincerai, sarai libero di proseguire per andare a combattere contro lord Erebo e cercare di mettere fine a questa guerra! Ma se vincerò io, nulla mi impedirà di avvolgere la Terra in una fiamma purificatrice! Soffio del Demone!!" esclamò, scagliando il suo colpo segreto.

Veloce più della luce stessa, la sfera di fuoco attraversò in una frazione di secondo lo spazio che la separava dal bersaglio, incendiando l’aria stessa sul suo cammino.

Ma nonostante tutto, il Cavaliere era pronto.

"E sia! Brucia, costellazione delle tredici stelle, fino all’ultimo cosmo!!!" gridò facendo esplodere la sua aura e sollevando e ruotando le mani davanti a se nel momento dell’impatto.

"Quella posizione…!" la riconobbe Surtur spalancando gli occhi "E’ la posa della Vampa del Demone!! Vorresti farmi credere di essere in grado di imitare il mio colpo segreto?! Non puoi farlo, nessun essere umano ha tali capacità!" urlò incredulo.

"Uuuuaaaarrghh!!!" ringhiò Pegasus, concentrando tutta la sua energia nelle mani, e continuando a ripetere quella sequenza di movimenti. Davanti a lui la sfera continuava a ruotare potentissima, al punto che i palmi del Cavaliere sanguinavano attraverso la corazza.

"E’ inutile!!" ripetè Surtur. "L’energia del Soffio del Demone è troppo grande per poter essere dissipata! Per quanto a lungo riuscirai a trattenerla prima che la sua forza ti travolga?!"

"Abbastanza… abbastanza a lungo da permettermi di vincere! In nome di Atena, brucia cosmo, e compi un miracolo!!" urlò con quanto più fiato aveva in gola il ragazzo, sollevando di scatto le mani e deviando la sfera di fuoco verso il cielo, avvolgendola del suo cosmo.

Sotto lo sguardo sbalordito di Surtur, la pira azzurra cambiò direzione, dirigendosi verso l’Imperatore.

"Lacrime di Pegasus!!" esclamò l’eroe, ed a suo comando le sfere di luce si spaccarono in migliaia di dardi alla velocità della luce, una cascata di colpi al cui interno convivevano le fiamme del Dio ed il cosmo sfavillante di Pegasus.

Incapace di evitarle e privo di difese, Surtur venne investito in pieno petto con un grido di dolore. I fasci di luce frantumarono e perforarono la sua armatura, trapassandone le carni, e flotti di sangue scarlatto grondarono al suolo.

Incapace di restare ancora in piedi, l’Imperatore mosse appena due passi e poi cadde supino, ormai in fin di vita.

"E’ finita…" sussurrò Pegasus ansimante, crollando in ginocchio e guardandosi per diversi secondi le mani, sanguinanti ed annerite.

Fu un colpo di tosse del nemico morente a scuoterlo, spingendolo ad alzarsi ed avvicinarsi.

"Nascondevi… un colpo così potente?" gli chiese Surtur a fatica.

"No… ma la necessità aguzza l’ingegno. Avevo notato che per riflettere il mio Fulmine eseguivi una serie di movimenti con le braccia, in modo da creare una corrente ascensionale che ti rendesse più facile prendere il controllo del mio colpo segreto. Ho tentato così di fare lo stesso… ed a quanto pare sono stato fortunato!" spiegò.

"Se ti fossi sbagliato… saresti morto…" notò Surtur, ma Pegasus si limitò a chiudere gli occhi senza dir niente.

"Uh uh… a quanto sembra… alla fine i nostri sensi di giustizia non erano così diversi… entrambi siamo pronti a morire per ciò in cui crediamo…" commentò l’Imperatore, sforzandosi di sorridere. "Le Lacrime di Pegasus…"

"Nel mito greco, l’eroe Bellerofonte venne disarcionato da Pegaso, precipitando nel vuoto. Addolorato per questa colpa, il leggendario cavallo pianse lacrime pure e splendenti, che nel cadere a terra si scomposero in migliaia di frammenti, risplendendo alla luce del sole. Questo nome… mi ricorderà il dolore che ho sofferto alla morte di Atena, ma anche come ho saputo farmi forza e superarlo! Ed in parte… ciò lo devo anche a te!" confidò.

Stavolta fu il turno di Surtur di restare in silenzio, limitandosi a guardarlo, e Pegasus proseguì.

"Nel creare la mia nuova armatura, Zeus mi diede un consiglio. Disse ‘E sappi che se non è degno comandante colui che cede a dubbi e paure, altrettanto immeritevole dell'altrui rispetto è chi avanza abbagliato dalla propria luce!’ Più volte ho dubitato di me nel corso delle ultime battaglie, della mia abilità al comando, ripensando ai tanti errori commessi ed a quel che hanno comportato. Ma mai, prima di incontrare te, avevo messo in dubbio i miei ideali di giustizia! Farlo è stata una lezione di umiltà… ed è stata proprio l’umiltà a spingermi a creare un nuovo colpo segreto partendo da quello di un nemico!" ammise.

"Chi può saperlo… forse… era un segno del… destino… Ora… nelle tue mani… è la giustizia degli uomini…" disse Surtur con un filo di voce. "Ma stai attento… il cammino che ti separa… da lord Erebo… è ancora irto… di ostacoli…" avvertì.

"Che vuoi dire?!" domandò Pegasus, piegandosi su un ginocchio per sentire meglio.

"Gli Imperatori… non sono l’unica difesa… i Flagelli… i cinque Flagelli… noi siamo misera cosa… a confronto… guardati… guardati… da loro…" sussurrò con le ultime forze, prima di chiudere gli occhi e ripiegare la testa a terra, ormai privo di vita.

Pensieroso, Pegasus lo fissò ancora per alcuni secondi, poi si alzò per riprendere il cammino.

***************

LA GRANDE GUERRA DI ASGARD

Per un futuro splendente

"Per l’onore e la gloria eterni!! Per Asgaaard!!!" gridò di nuovo Thor, roteando le asce e facendosi strada tra le orde di nemici che invano cercavano di circondarlo ed abbatterlo. Ogni movimento di Mjolnir era accompagnato da schizzi di sangue e grida di dolore, ossa spezzate e scudi spaccati, mentre i soldati più vicini, nel disperato tentativo di allontanarsi dalla sua furia assassina, inciampavano e cadevano nei corpi dei caduti, venendo facilmente falciati dalla collera del Cavaliere.

Persino per uomini che avevano già provato la morte e l’orrore di Hel, l’ira di Thor era spaventosa a vedersi, e per un attimo sembrò quasi che il guerriero potesse vincere l’intera battaglia da solo, falciando ed abbattendo chiunque osasse avvicinarsi.

Attorno a lui, un centinaio di Einherjar e soldati veterani si unì alla lotta, balzando dalle mura con le armi tra i denti, ben consapevoli che impedendo al nemico di avvicinarsi alle fortificazioni avrebbero drasticamente aumentato le speranze di vittoria di Asgard. Stando ben attenti a non avvicinarsi troppo a Thor per non rischiare di essere accidentalmente feriti, questi uomini formarono numerosi piccoli manipoli, isolando e massacrando rapidamente i nemici a colpi di spada, ascia o lancia.

Anche se sulla maggior parte della cinta muraria si continuava a combattere, insieme Thor ed i soldati erano riusciti a creare una zona franca proprio davanti al cancello principale, in modo da permettere alle forze sulle mura di concentrarsi sul perimetro alla destra ed alla sinistra dell’ingresso. I numerosi Cavalieri in particolare sembravano essere dappertutto, correndo su e giù ovunque ci fosse bisogno di loro ed annientando nemici su nemici.

Ben presto però, i guerrieri di Hel si riorganizzarono, indietreggiando di alcuni passi, formando una linea compatta e riprendendo ad avanzare spalla a spalla anziché alla rinfusa, con cadenza decisa e ritmata.

Riconoscendo quella formazione da combattimento, Thor sollevò Mjolnir al cielo e con un grido convocò attorno a se gli Einherjar e gli altri soldati che lo avevano seguito. Senza esitare un attimo, costoro intuirono il suo volere e si posizionarono nell’antico schieramento vichingo: il muro di scudi di origine greca, che per secoli scandinavi, sassoni e britanni avevano adoperato in battaglia, testimonianza di fiducia reciproca tra guerrieri che affidano alla resistenza ed al coraggio dei compagni la loro stessa vita.

Dopo alcuni secondi, i due schieramenti si scontrarono, con il fragore di due onde che sbattono l’una contro l’altra, cercando ognuna di prendere il sopravvento. L’esercito di Hela era molto più numeroso ed esercitava una pressione terribile sui soldati asgardiani in prima fila, colpendoli dall’alto con lance ed asce scagliate dalle retrovie.

Ma i difensori della città combattevano per la loro gente e la loro terra, per Odino e la gloria di Asgard, per Ilda e le persone che amavano, e questo li spingeva a mettere tutto se stessi in ogni gesto ed ogni passo, resistendo stoicamente all’avanzata nemica. Inoltre, avvantaggiato dalla sua enorme mole, Thor riusciva facilmente a svettare sui compagni e scagliare più e più volte le sue asce in avanti, spaccando la linea avversaria e sfondando scudi e corpi, equilibrando almeno in parte le sorti del conflitto con la sua sola presenza.

Le sue gesta però non stavano passando inosservate. Dalle retrovie dello sterminato esercito di Hela e sospese in aria a bordo della Naglfar ammiraglia, diverse figure osservarono lo scontro per vari secondi, studiando in particolare Thor ed i Cavalieri in cima alle mura. Alla fine, una di loro, in piedi con le braccia conserte sull’orlo di poppa di una delle navi, strinse il pugno, espandendo un cosmo bronzeo.

"E’ tempo di scendere in campo…" si disse soddisfatto.

In quello stesso momento, a terra, un oggetto velocissimo saettò dalle linee posteriori dell’esercito di Hela, falciando tutti coloro che si trovava davanti ed aprendosi un varco tra le sue stesse linee, prima di sbattere con violenza inaudita sul muro di scudi asgardiano, pochi passi alla destra di Thor. Voltandosi appena in tempo, il Cavaliere si accorse che era un’enorme ascia, bipenne come Mjolnir ma più tozza e dal manico più corto, avvolta in un cosmo rosso sangue.

Prima che chiunque potesse fare qualcosa, l’arma, che dopo aver trapassato tre guerrieri si era conficcata in profondità nel torace di un quarto, esplose in un’ondata di energia e polvere, travolgendo gli Einherjar più vicini e spaccando la linea difensiva di Asgard, che si ritrovò spezzata in due. In un istante, l’esercito di Hela approfittò del momento, sciamando in avanti incurante dei propri caduti ed abbattendosi sui difensori della città.

Sbilanciato dall’esplosione, Thor si ritrovò in ginocchio, e subito numerosi soldati nemici si gettarono su di lui, cercando di tenerlo bloccato a terra e di perforare la sua armatura con le loro armi mortifere. Per alcuni secondi, il gigantesco guerriero di Asgard scomparve completamente alla vista di tutti, sepolto da quella marea umana, ma poi il suo cosmo violetto esplose, e con un gesto rabbioso il Cavaliere si scrollò di dosso gli avversari, travolgendoli e rialzandosi con le asce strette nel pugno.

"Marmaglia come voi non ha speranze! Neanche in centinaia riuscireste a sconfiggere Thor!" minacciò, sollevando uno dei caduti sopra la testa e lanciandolo con forza contro i suoi compagni, che caddero malamente nella neve.

Guardandosi attorno in quel momento di respiro, il gigante vide che gli Einherjar ed i soldati che avevano lottato al suo fianco nel muro di scudi erano stati circondati dal nemico, e stavano invano tentando disperatamente di difendersi. Con un grido rabbioso corse allora verso il gruppo più vicino per portare soccorso, ma improvvisamente l’oggetto che poco prima li aveva attaccati tornò a solcare il cielo, conficcandosi con un’esplosione nella neve di fronte a lui ed obbligandolo a fermarsi e ripararsi gli occhi dalla nuvola di polvere.

Quando questa si fu diradata, Thor si trovò davanti un massiccio guerriero dall’armatura cremisi e argento, il volto incorniciato da una folta barba fulva in cui si intravedevano numerosi fili bianchi, gli occhi sadici e crudeli.

"Hai uno stile di lotta interessante, ora mettilo alla prova contro un vero guerriero!" esclamò costui, impugnando l’ascia e avvolgendola del suo cosmo rosso sangue, per poi emettere un rabbioso grido di guerra, sollevarla sopra la testa e lanciarsi all’attacco.

"Di guerrieri Asgard è piena, non ho certo bisogno di cercarli tra le schiere nemiche!" replicò Thor, lasciando cadere il Mjolnir che stringeva nella mano sinistra ed afferrando il destro con entrambe, poi spostando il baricentro in avanti e bilanciandosi in modo da reggere all’offensiva nemica ed intercettarla con la sua lama.

Con un clangore metallico, le due asce si scontrarono in aria, stridendo una sull’altra e rilasciando una cascata di scintille. Forte del maggior peso della sua arma, il guerriero di Hela aumentò la pressione, iniziando a far affondare i piedi di Thor nel suolo ghiacciato ed obbligando il Cavaliere ad arcuare la schiena.

"La forza bruta non ti fa difetto… chi sei?" domandò l’eroe.

"Eric, Eric Bloodaxe, nono Comandante dell’esercito della regina Hela!" rispose l’uomo, pronunciando il proprio nome con una certa tracotanza.

"Eric Bloodaxe…" ripetè Thor, memore di aver già udito questo nome anni addietro, nei giorni dell’infanzia. Per qualche secondo cercò di ricordare in che contesto, poi sbuffò, concludendo che la cosa non aveva importanza, e con un gesto improvviso piegò la gamba di sostegno, lasciandosi cadere all’indietro e lasciando la presa della mano sinistra su Mjolnir.

Colto di sorpresa e sbilanciato, Eric cadde con lui, e subito Thor ne afferrò il polso, sollevandolo in aria e lanciandolo nella neve alle sue spalle. Con un colpo di reni però il Comandante ritrovò l’equilibrio e ruotò sul proprio asse, eseguendo un movimento a spazzare con la sua arma, ed obbligando Thor a difendersi ancora con Mjolnir.

"E’ inutile difenderti, uno spreco di tempo ed energie, ma fa pure! La mia ascia di sangue apprezza sempre un po’ d’esercizio!" rise l’uomo, alzando e abbassando quasi meccanicamente il braccio.

Con una furia crescente, le due armi cozzarono più volte a mezz’aria, facendo tremare i polsi dei guerrieri per il contraccolpo, ma restando sostanzialmente in equilibrio. Ben presto però l’aggressività di Eric iniziò ad aumentare, il respiro a farsi più spezzato.

"E’ abile costui, ma la foga con cui si batte non è accompagnata dalla dovuta cautela, posso sconfiggerlo!" pensò Thor, osservandolo con attenzione per alcuni secondi in modo da leggerne meglio i movimenti. Ad un tratto, il Cavaliere fece un salto all’indietro e lanciò contemporaneamente Mjolnir verso l’avversario, obbligando Eric a fare lo stesso con la propria arma. Avvolta dal suo cosmo scarlatto, l’ascia di sangue deviò il maglio di Thor e continuò a volare verso il guerriero di Asgard, ma quest’ultimo, afferrata l’altra lama che aveva lasciato a terra poco prima, disegnò un arco a mezz’aria, intercettando al volo il proiettile ed allontanandolo.

Accennando un sorriso, Thor scattò in avanti preparandosi a colpire, mentre Eric sollevava entrambe le mani, espandendo il suo cosmo più di quanto fatto finora.

"Ha in mente qualcosa ma poco importa, vediamo se la sua forza è degna di Thor!" pensò il Cavaliere, preparandosi a colpire.

All’ultimo momento però, un raggio d’energia color bronzo esplose tra i due contendenti, sbalzandoli entrambi indietro di qualche passo, coperti da neve e detriti. Nell’alzare la testa, Thor vide con stupore che un nuovo guerriero era comparso di fronte a lui e si ergeva dritto davanti ad Eric, che lo osservava con un misto di fastidio, sorpresa e rispetto.

"Il sesto Comandante… Gunther!" lo riconobbe strabuzzando gli occhi, prima di aggiungere "Perché è intevenuto nel mio combattimento? Ero già impegnato io in battaglia contro costui…!"

"Fa silenzio, Eric Bloodaxe! Ho scelto per me questo guerriero, e non è mia abitudine discutere le decisioni con i miei sottoposti! O intendi opporti al volere di un tuo superiore?" lo apostrofò l’uomo chiamato Gunther, guardandolo con la coda dell’occhio.

Per qualche secondo, Eric ne sostenne lo sguardo, poi chinò contritamente il capo ed annuì, anche se palesemente di malavoglia.

"Bene, una saggia decisione… è comunque superiore a te costui, nemico molto più adatto al sesto Comandante che al nono. Tra quelle schiere di soldati troverai di certo avversari ben più adatti a saziare la sete di sangue della tua arma…" commentò Gunther, indicando i numerosi gruppi di Einherjar che stavano venendo ferocemente abbattuti dall’esercito semplice.

Eric non parve troppo convinto, ma preferì non dire niente, raccogliere la propria ascia dalla neve ed allontanarsi, lanciandosi con un grido rabbioso su un gruppetto di avversari. Questi ultimi, presi tra due fuochi tra il Comandante ed i soldati semplici, sollevarono disperatamente gli scudi a loro difesa, solo per venire falciati dall’ascia di Eric, che con uno sguardo di fuoco fece cenno agli altri di non interferire.

Nel sentire i suoi uomini gridare e cadere, Thor si voltò per correre in loro aiuto, ma con un balzo Gunther gli sbarrò la strada, obbligandolo a fermarsi ed alzare la guardia.

"Non ho ordinato ad Eric di allontanarsi solo per vederti fuggire… come ho appena detto, sarò io il tuo avversario!" esclamò sogghignando. "E con la gloria di questa vittoria mi assicurerò che Megres non prenda il mio posto e grado nelle grazie della regina Hela!" aggiunse tra se e se.

Accigliandosi, Thor osservò con attenzione il nemico. Di corporatura slanciata simile alla sua ma più basso, era visibilmente più vecchio rispetto ad Eric, con l’aspetto di un uomo sulla quarantina. Laddove il nono Comandante aveva una barba di un rosso scuro, chiazzata solo occasionalmente da qualche filo bianco, Gunther ne aveva una quasi completamente argentata e baffi dello stesso colore, con soltanto poche tracce del biondo ramato della gioventù.

L’armatura che indossava era verde scuro, con fregi bianchi. L’elmo era a casco, liscio e complementare alla calotta cranica come quello degli antichi soldati, con il bordo esterno ripiegato su se stesso e la parte posteriore che scendeva fino alla base del collo, piegandosi leggermente verso dietro come uno scivolo in modo da non ostacolare i movimenti della testa e proteggere la colonna vertebrale cervicale. Su di esso erano incise diverse rune, ma la decorazione più evidente era un drago alato d’oro, appollaiato sopra la testa con le fauci spalancate e le ali spiegate. Thor non aveva mai incontrato il Grande Sacerdote Arles, ma in caso contrario avrebbe di certo notato la somiglianza tra l’elmo di Gunther e quello rosso del messo di Atena in terra. Sul volto, l’elmo terminava in una visiera squadrata a protezione degli occhi ma priva di lenti, e lasciava scoperto il naso, le guance, la bocca ed il mento.

I coprispalla erano diversi tra loro. Quello destro era rettangolare e disposto diagonalmente rispetto alla spalla, mentre il sinistro era rotondo ed aderente, coperto di piccoli spuntoni argentati. Il pettorale e il cinturino erano un pezzo unico, con l’aspetto di una cotta di maglia, composta da centinaia e centinaia di minuscoli anelli metallici incastrati tra loro. Indossata quasi come una mantellina, copriva il torace, la schiena, l’addome ed il bacino del Comandante, arrivando fino a metà della coscia dove si sovrapponeva alle ginocchiere ed agli schinieri. Questi, come i bracciali, erano composti da fasce circolari sovrapposte, sormontate da spesse placche rotonde sulle rotule, i malleoli ed i gomiti.

L’elemento più evidente dell’armatura però era una pietra preziosa, un enorme rubino grosso come il pugno di un neonato, incastrato esattamente al centro del pettorale, all’interno di un anello in filigrana d’oro lavorata finemente fino a formare piccole foglie di quercia.

"Fa sfoggio delle vesti che indossa ed ha l’aspetto di un consigliere piuttosto che di un guerriero, ma Eric Bloodaxe ha obbedito subito al suo ordine e sembrava essere spaventato… Devo temere costui?" si chiese il Cavaliere di Asgard, prima di lanciare un’occhiata preoccupata al resto del campo di battaglia.

Privi di ostacoli sul loro cammino, sempre più nemici si stavano arrampicando sulle mura di Asgard, obbligando i difensori della cittadella a lottare fino allo stremo delle forze contro quel fiume di uomini. Nel frattempo, impossibilitati a porsi di nuovo in formazione difensiva e sparpagliati in numerosi gruppetti, i guerrieri che lo avevano seguito stavano venendo massacrati, non solo da Eric ma anche dalle truppe regolari di Hela.

Tra loro, impegnato disperatamente a difendersi, la mano sanguinante, una profonda ferita sul fianco e lo scudo di legno ormai in pezzi, Thor riconobbe Ivan, il giovane con cui aveva scherzato attorno al fuoco appena poche ore prima. In mano stringeva ancora la sua ascia e vibrava fendenti attorno a se, ma la luce della vita stava chiaramente per lasciare i suoi occhi.

"É per seguire me che sono in questa situazione ora, devo aiutarli!" pensò il Cavaliere, stringendo la presa su Mjolnir e cercando un modo di scavalcare l’avversario.

Con uno scatto improvviso, fintò un fendente verso destra per poi tentare di sgusciare accanto al nemico dal lato opposto. Gunther però era ben piazzato e con un semplice piegamento in avanti schivò il colpo d’ascia, centrando Thor all’addome con un pugno, abbastanza forte da farlo barcollare e ricadere indietro, con un rivolo di sangue sulla bocca.

"Oh no!" imprecò il gigante, rialzandosi su un ginocchio ed iniziando seriamente a temere di non poter aiutare i suoi uomini.

In quel momento però, una voce risuonò nella sua mente, accompagnata da un cosmo d’oro. "Non temere! Chi cerca di portar aiuto ai propri compagni in battaglia non è mai da solo, ma può contare su valorosi alleati!"

Un istante dopo, il seguace di Odino vide il Cavaliere d’Oro del Toro balzare agilmente giù dalle mura e porsi a difesa dei soldati sbalorditi, torreggiando su di loro con la sua mole e dandogli le spalle, mentre fissava con le braccia incrociate l’esercito nemico. Dopo un attimo di esitazione, numerosi guerrieri di Hela risero delle malridotte condizioni della sua armatura e si lanciarono su di lui con le armi in pugno, venendo però abbattuti da un’accecante onda di luce dorata.

Lanciando un’occhiata in direzione di Thor, Toro accennò un sorriso, prima di fronteggiare le nuove orde di nemici che correvano verso di lui.

"Ti ringrazio…" pensò grato il guardiano di Asgard, rialzandosi in piedi e fronteggiando finalmente colui che aveva di fronte.

"Finalmente mi degni dell’attenzione che merito, non è mia abitudine essere ignorato a tal modo! Il mio nome e rango già li hai sentiti, ma li ripeterò, che tu sappia meglio chi hai di fronte: dei dieci Comandanti della regina Hela, io sono colui che presiede al sesto seggio! Il mio nome è Gunther, il Munifico!" dichiarò.

"Il munifico? Bizzarro aggettivo da usare sul campo di battaglia… sei soldato o tesoriere?" commentò ironicamente Thor di rimando.

"Strano forse, ma di certo giusto, è così che amo soprannominarmi, per i doni di cui riempio chi mi è fedele. Tesori e preziosi non mancano mai a chi mi segue in battaglia, e di conseguenza nessuno tra i dieci Comandanti ha legioni più fedeli delle mie!" sottolinedò Gunther.

Stavolta, al posto di un sorrisetto divertito, sul volto di Thor comparve un’espressione sprezzante. "Tsk… tesori e gioielli razziati dai corpi dei caduti, immagino! Ed è assurdo che guerrieri già morti siano ancora legati a beni così materiali… per un vero suddito del sommo Odino sono solo la gloria e l’onore a contare!"

Fu ora il turno di Gunther a sorridere sarcastico. "Mpf… parli come un poveraccio… ma è naturale, in fondo non hai certo l’aspetto di qualcuno cresciuto tra agi e ricchezze. L’oro… non è per tutti. Gloria e onore non sono che belle parole per smuovere gli animi dei villici, importanti certo, ma altrettanto vuote".

"Vuote dici?!" ripetè Thor con decisione. "Quanto ti sbagli, non vi è nulla di più prezioso per un guerriero di Odino! Una morte gloriosa in battaglia ed un’eternità nel Valhalla valgono ben più di denaro ed orpelli!"

"Il Valhalla non esiste più, a quest’ora la grande Hela ne avrà fatto ceneri fumanti!" notò Gunther, prima di scrollare le spalle "Ma è inutile sprecare il fiato con te, che evidentemente non conosci le vie del mondo. Eri certamente avversario più adatto ad Eric ed alla sua ascia che a me… e chissà, forse avresti anche potuto sconfiggerlo, in fondo sembri abile e capace. Ma per tua sfortuna non è contro il nono Comandante che dovrai lottare, ma con il sesto! Piegarti mi permetterà di mantenere il posto d’onore che possiedo, e chissà, magari anche di sopravanzare qualcuno… specie se la caccia di quell’arrogante di Sigmund si rivelerà inutile…"

"Non so di cosa tu stia parlando, e neppure mi interessa! Hai attaccato Asgard come nemico di Odino, pagane il prezzo!" ringhiò Thor, lanciando Mjolnir contro di lui e colpendolo in pieno all’addome.

Per un attimo, il Cavaliere sorrise, ma poi la sua espressione si mutò in una di stupore quando l’ascia venne avviluppata da una luce bronzea e rimbalzò indietro, schizzando verso di lui senza aver recato il minimo danno all’avversario.

Reagendo d’istinto, Thor si piegò di lato, ricevendo appena un taglio sulla guancia ed evitando di essere decapitato dalla sua stessa arma, ma ora guardò il nemico con molta più attenzione, confuso da quel che era accaduto.

"Purtroppo per te, io e la mia armatura non apprezziamo i colpi del nemico!" esclamò sibillino Gunther, sferrando improvvisamente una serie di pugni all’addome del Cavaliere e poi un raggio d’energia, che colpì Thor in pieno petto e lo fece barcollare indietro nonostante la mole. "Non credere che la mia età mi renda straniero alla battaglia, i migliori maestri del mio tempo mi hanno addestrato ed insegnato i loro segreti, non ho rivali!" dichiarò e, approfittando del momento, incassò il pugno nel fianco e scagliò un altro fascio di luce.

Stavolta però Thor, piantati i piedi a terra, lo parò con il palmo della mano, annullandolo completamente e sorprendendo l’uomo, che balzò indietro, afferrando uno dei Mjiolnir che era sulla neve.

"I maestri del tuo tempo? Di che stai parlando?" domandò Thor, prendendo l’altra ascia, quella che Eric aveva deviato nella breve schermaglia di poco prima, e lanciandosi verso di lui.

Incrociando le lame, i due scambiarono diversi fendenti, restando per qualche secondo in equilibrio. Poi il fedelissimo di Ilda, forte di una maggiore possanza fisica, iniziò a prendere il sopravvento ed a far indietreggiare Gunther. Notata un’apertura nella guardia avversaria, calò un colpo con tutte le forze sulla spalla dell’uomo, ma anche stavolta Mjolnir venne respinto da un’energia misteriosa, obbligandolo ad indietreggiare un paio di passi per il contraccolpo.

Immediatamente, Gunther sferrò un colpo a spazzare, scheggiando il fianco dell’armatura dell’eroe.

"Tutto l’orgoglio e la gloria di Midgard non bastano a rinforzare un’armatura! L’oro che hai tanto disprezzato invece mi ha reso invulnerabile, le mie vesti della Corona sono impervie a qualsiasi attacco!" gongolò il Comandante, cercando di affondare di nuovo l’ascia in avanti.

"Basta con questi enigmi!" ringhiò Thor di rimando, e con un colpo deciso dal basso verso l’alto fece volare via di mano l’arma all’avversario, riprendendola al volo. "Non amo segreti e mezze verità, palesa il tuo pensiero! Tu non parli da guerriero o Cavaliere, chi sei veramente? Come possono oro e tesori aver rinforzato la tua armatura?!"

"Come avevo immaginato, il nome di Gunther, re di Borgogna non ti dice niente?" chiese, con un misto di derisione e irritazione.

"Tsk… dovrebbe? Io non sono come Orion o Mizar, non mi interessano la storia antica e vicende sepolte sotto la polvere del tempo, è nel presente che viviamo le nostre esistenze!" ribattè il guerriero con convinzione.

L’espressione sul volto di Gunther si mutò in una di aperto disprezzo. "Un villico ignorante, ti avevo ben giudicato…" commentò, strappando un sorriso sarcastico al Cavaliere.

"Mentre tu invece saresti un re?"

"Un grande re, l’intera Borgogna era sotto il mio giogo un tempo!" rispose l’altro, irritato dall’espressione disinteressata di Thor. "E con lei i suoi eserciti ed i suoi tesori… con mano sapiente seppi guidare i primi ed accumulare i secondi, sfruttandoli per accrescere la mia fama tra gli altri sovrani! Ben presto iniziarono ad inviarmi doni e uomini, e ad offrirmi la loro prole, supplicando la mia alleanza, o almeno la mia neutralità, e implorandomi di non razziare i loro territori! Conquistare con la forza o comprare a peso d’oro, due strategie semplici ma di sicuro effetto…"

"Due strategie che comunque non spiegano la tua presenza su questo campo di battaglia, o intendi dire che è la forza di un Cavaliere quella di cui parli?" notò Thor.

"No, non era la forza di un Cavaliere, non ancora, ma era solo una questione di tempo! Per anni ero stato accompagnato da storie di guerrieri leggendari, dotati di una possanza straordinaria e protetti da armature invincibili, la cui vita era votata alle divinità. Interessato e affascinato, ordinai a spie ed esploratori di indagare su di loro, riportandomi ogni leggenda, ogni racconto, ogni voce, finchè non ebbi ottenuto abbastanza informazioni da decidere che un tale potere poteva essermi utile.

"Votarmi ad una vita di fedeltà e sacrificio però non mi allettava, nè volevo avere costantemente a corte uomini la cui forza non avrei potuto controllare. Dopo molti sforzi, convinsi un Cavaliere ad addestrarmi di nascosto, coprendolo di oro, terre e doni… una prospettiva allettante dopo una gioventù sprecata dietro le parole di un celebrante!"

"Sprecata?!" ripetè Thor accigliandosi "Una vita votata al sommo Odino è ben più piena dell’esistenza che descrivi!"

"Può essere…" commentò senza troppa convinzione "ma di certo il mio maestro non la pensava allo stesso modo. Fu ben felice di insegnarmi a padroneggiare il cosmo, ed io che di lotta ero già maestro mi rivelai allievo abile e veloce nell’apprendere. In pochi anni, la mia abilità divenne pari alla sua… solo una cosa ancora ci separava!"

"L’armatura…" intuì il Cavaliere.

"Proprio così! Nessuna cifra nè promessa bastò a convincerlo a farmi dono della sua… e, quando ogni altro tentativo fallì, nemmeno la tortura! Un’armatura poteva essere indossata solo dal suo legittimo proprietario, o con il consenso di quest’ultimo, mi disse. Conquistata con la forza, essa mi avrebbe probabilmente ucciso, o condotto alla follia…

"Destino volle però che tra le caverne e gli anfratti del mio regno avesse fatto la sua tana un poderoso dragone, una delle ultime grandi bestie del mondo antico! Lì egli custodiva un tesoro accumulato da secoli, massacrando chiunque tentasse di avvicinarsi per sottrarglielo. La cupidigia che questo comportamento indicava mi mostrò la strada da seguire: ancora una volta, oro e gioielli mi aprirono porte che per chiunque altro sarebbero rimaste serrate! In cambio di un adeguato pagamento, acconsentì a farmi dono di una sua scaglia, e di usare la sua stessa fiamma per forgiare un’armatura. La corazza della Corona, che vedi con i tuoi occhi!" raccontò con soddisfazione.

A queste parole, Thor si accigliò ulteriormente, iniziando a scorgere la verità dietro alcuni degli enigmi di quel duello.

"Un’armatura forgiata dalla fiamma di un drago e con una sua scaglia… deve aver ereditato almeno parte dell’invulnerabilità dell’animale!" dedusse.

"Proprio così, essa è impervia agli assalti del nemico, inclusi quelli delle tue asce!" proclamò Gunther, prima di espandere il suo cosmo. "Un sordido inganno mise fine alla mia vita in passato, ma la grande Hela seppe riconoscere la mia utilità, e stavolta niente mi impedirà di tornare al potere, nel nome del grande Erebo!" disse, lanciandosi all’attacco.

"Non finchè Thor combatte!" ringhiò in tutta risposta il gigante, lanciando ambo le asce con tutta la sua forza. Vorticando come mulinelli, esse colpirono in pieno Gunther, ribalzando però sulla sua armatura e finendo nella neve.

"E’ inutile, te l’ho già detto!" esclamò Gunther, alzando il palmo della mano verso il Cavaliere e ruotandolo esternamente. Un cosmo lucente comparve attorno al suo avambraccio ed iniziò a ruotare su se stesso. "Abbandona ogni desiderio di lotta ed ammira la tecnica che ho saputo forgiare! Vortice d’Oro!"

Facendo scattare il braccio in avanti, il Comandante scagliò improvvisamente un turbine orizzontale di energia, del diametro di appena pochi centimetri ma talmente concentrato da avere una forza devastante. Incapace di difendersi, Thor venne colpito in pieno petto e scaraventato dall’indietro di diversi metri, cadendo nella neve e continuando a rotolare finchè non sbattè contro il grosso tronco di un pino, che tremò vistosamente per l’impatto.

Guardando il pettorale della sua armatura, il guerriero si accorse che era crepato in pieno centro, e da esso scorreva qualche rivolo di sangue. Anziché preoccuparlo però, questa visione lo spinse a stringere i denti e rialzarsi di scatto con un moto d’orgoglio.

"La lotta vuoi, Gunther di Borgogna? E lotta avrai, non avrò pietà!" gridò, facendo esplodere il suo cosmo e lanciandosi a testa bassa contro il nemico, che stava ancora correndo verso di lui. "Non solo in Mjolnir è la forza di Thor! Braccio di Titano!!"

Con la forza devastante di un maglio, il Braccio di Titano affondò nell’addome di Gunther, esplodendo contro la sua armatura e lanciandolo indietro. Per la prima volta, il Comandante non potè trattenere un grido mentre cadeva rovinosamente di schiena al suolo, scavando un solco nella neve. Quando si rialzò su un ginocchio, era indenne, ma anche visibilmente dolorante e, nonostante l’armatura fosse intatta, con una mano sulla bocca dello stomaco.

"Come immaginavo! La tua invulnerabilità è solo una chimera! L’armatura della Corona può respingere gli assalti di media forza, ma solo smorzare quelli più potenti!" notò Thor, trovando conferma nell’espressione improvvisamente guardinga del nemico.

"E’ nel sangue che risiede la vera invulnerabilità di un drago del Nord, e tutto il tuo oro non è bastato ad ottenerla! Le scaglie emeraldine, il respiro infuocato, offrono solo una difesa parziale! Una difesa destinata a cadere contro un guerriero di Asgard! Braccio di Titano!!" dichiarò l’eroe sferrando un’altra volta il suo colpo segreto, e stavolta centrando Gunther al lato dell’elmo.

Ancora una volta il Comandante di Hela volò indietro di alcuni metri, rotolando nella neve e nella fanghiglia lasciata dal passaggio dell’esercito. In pochi istanti però si rialzò, avvolto dal bagliore del suo cosmo.

"Hai scoperto il mio segreto, ma non importa! L’armatura indebolisce comunque i tuoi assalti abbastanza da renderli inoffensivi!" esclamò, indicando l’elmo ancora intatto, prima di far esplodere il suo cosmo e sollevare il braccio destro. "Tu invece non hai di queste difese, la furia dei miei attacchi presto sarà insostenibile! Vortice d’Oro!!"

"Non basterà!!" ribattè Thor, incrociando le braccia per prepararsi a riceverlo.

"Ti sbagli, tu non conosci ancora la vera forza del mio colpo segreto!" sibilò Gunther, alzando improvvisamente anche il braccio sinistro e ruotandolo nella direzione opposta. "Mio vortice, mutati in gorgo che tutto travolge!!"

Di fronte agli occhi sbalorditi del Cavaliere, un secondo vortice partì dal braccio sinistro, fondendosi con quello scagliato dal destro.

"Ma che cosa…?!" esclamò Thor, accorgendosi che la loro unione non era semplicemente mirata a raddoppiarne la forza. I due turbini infatti ruotavano in direzioni opposte, orario il primo, antiorario il secondo, e la loro fusione aveva al centro una devastante corrente distruttiva, capace di dilaniare e strappare tutto quel che incontrava.

Senza possibilità di difendersi, il guerriero venne colpito in pieno e spazzato via, mentre la foga dei vortici mutava direzione, innalzandosi verso il cielo fino alle nuvole e creando una vera tromba d’aria, tale da far tremare persino le Naglfar più vicine.

Thor sentì l’elmo venirgli strappato dal capo e perdersi nella tempesta, mentre l’energia del turbine strideva contro la sua armatura, spaccando un coprispalla e aprendo numerose crepe sui bracciali, gli schinieri ed i fianchi del pettorale.

Dopo diversi secondi, quando ormai la sua forza stava per esaurirsi, l’attacco mutò di nuovo direzione, piegandosi verso terra e schiantando il guerriero al centro di una voragine.

Con un grido strozzato di dolore, il campione di Asgard strinse i denti, cercando di ignorare la sofferenza e rialzarsi, ma anche finalmente consapevole dell’abilità del nemico che stava affrontando.

"E’ strano costui… diverso da me per ideali e valori, ma la sua forza è reale… Ho sbagliato a sottovalutarlo, il sesto seggio che dice di possedere tra le schiere di Hela è ben meritato!" ammise, issandosi su un ginocchio.

Subito, Gunther si avventò su di lui, tempestandolo di pugni e calci velocissimi senza dargli respiro. Con uno sforzo di volontà, Thor cercò di contrattaccare, ma i suoi pugni non sortivano alcun effetto sull’armatura del Comandante, i cui assalti invece si facevano sempre più serrati.

"Deve… avere un punto debole… ma dove? Dove?!" pensò il guerriero, mentre la vista ormai iniziava ad appannarsi e l’oscurità a prendere il sopravvento. Scorse un bagliore scarlatto senza riuscire a capire da dove provenisse, poi udì a stento il nemico gridare "Vortice d’Oro" che un nuovo colpo lo centrò all’addome, scaraventandolo ancora una volta a terra, sempre più malconcio, sempre più prossimo all’oblio.

"Che ti succede, Thor, il tempo trascorso nel Valhalla ti ha rammollito?" esclamò allora una voce. Per un istante, il guerriero pensò che fosse Gunther che si prendeva gioco di lui, ma poi si accorse che non l’aveva udita con le orecchie, ma con il cosmo e la mente.

"Pegasus!" realizzò, riconoscendo il ragazzo, la cui sagoma sfocata gli apparve davanti, nel buio che ormai lo circondava.

"Non fosti avversario così facile anni fa, quando, primo tra i difensori di Asgard, ti ergesti a sbarrarci la strada!" ricordò con enfasi il protetto di Atena, sollevando il pugno davanti al viso. La sua voce era flebile ma chiara e colma di vitalità. "No, combattesti fino all’ultimo, per la tua patria e la tua sovrana! Fai lo stesso ora, brucia il tuo cosmo e rialzati! Non è per te il disonore della sconfitta, non in questa battaglia finale, non di fronte alle mura di Asgard, e agli occhi della tua regina!" lo esortò, prima di svanire.

"Rincuorato… da un ragazzo…" sorrise amaramente Thor, riaprendo gli occhi e scoprendo di essere rischiarato da un pallido raggio di sole, filtrato dal buco nelle nubi aperto dal colpo segreto di Gunther. "Ma ha ragione… ero dalla parte del torto l’ultima volta che ho combattuto… l’onore e la gloria che mi sono tanto cari sarebbero persi per sempre se adesso morissi senza aver riparato a quell’errore!"

Tossendo sangue, e grondando linfa vitale da numerose ferite, in particolare alla spalla e alla fronte, il gigante si rimise in piedi, gli occhi nuovamente determinati e pronti alla battaglia. Le gambe però erano insicure, ed un solo passo bastò a farlo barcollare, mentre Gunther si lanciava di nuovo in avanti.

"Sei ancora in piedi, è un miracolo! Non credevo che esistesse qualcuno capace di sopravvivere così a lungo alla piena energia del mio Vortice, ma ormai sei piegato, non mi resta che sferrarti il colpo di grazia!" esclamò con convinzione, incassando il braccio destro.

Nel far ciò, entrò di slancio nella zona rischiarata dal sole.

Illuminata dall’astro, la sua armatura risplendette di tinte emeraldine, che a loro volta si rifletterono sul candore della neve, creando un gioco di luci e bagliori. Tra essi, uno solo però colse l’occhio di Thor: un bagliore scarlatto che già aveva scorto prima di cadere, un dettaglio fino a quel momento ignorato.

"Ooh… lo… lo vedo!" balbettò il Cavaliere. In un istante, la sua espressione si mutò in una di determinata sicurezza.

"In nome di Ilda e del sommo Odino, brucia mio cosmo!!" gridò con quanto più fiato aveva in gola, facendo esplodere la sua aura ed incassando il pugno. "Braccio di Titano!!!"

"Sciocco, non hai capito che è inutile?! Vortice d’Oro!!" ritorse Gunther.

I due assalti esplosero a distanza ravvicinata, ed il vortice si avvolse attorno al braccio teso di Thor, frantumando il bracciale e spezzando l’osso sottostante. Con uno sforzo di volontà però, il Cavaliere piantò le gambe al suolo e si diede la spinta per affondare il pugno in avanti, diretto verso un bersaglio ben preciso, che brillava di fronte ai suoi occhi.

Con un rumore di cristallo infranto, il Braccio di Titano andò a segno, ed un istante dopo l’espressione di Gunther si mutò in una di incredulo stupore. Pochi attimi e flotti di sangue gorgogliarono nella bocca del guerriero, grondando a terra.

"N… non… è… possibile…" mormorò inorridito.

Abbassando lo sguardo, vide che il pugno di Thor gli aveva perforato il petto, devastando la cassa toracica ed affondando fino a metà avambraccio. Attorno ad esso, sul punto d’ingresso, c’erano i frammenti di un rubino spaccato.

"N… no…" balbettò, comprendendo quel che era successo.

"Hai capito, ma è troppo tardi… il tuo stesso amore per tesori e gioielli ti ha perduto…" confermò Thor, mentre Gunther gli si accasciava tra le braccia. "Il sole mi ha indicato quel che prima mi era sfuggito: sottili crepe attorno all’incastonatura del rubino. Esso non era parte dell’armatura in origine, non discendeva dalla scaglia del drago! Indossandolo… hai indebolito la tua stessa corazza, creato un punto debole che ho dovuto solo sfruttare…" disse mestamente.

"E… era il gioiello… della mia corona… c… come potevo… lasciarlo… da… parte…" sussurrò Gunther, crollando del tutto, il collo reclinato all’indietro ormai privo di vita.

"Se non l’avessi notato, probabilmente con il prossimo attacco mi avresti ucciso. Ti è costata cara questa leggerezza, sesto Comandante. Tutto l’oro del mondo… non può comprare l’esperienza da battaglia…" pensò Thor, liberando il braccio e lasciando cadere il cadavere nella neve.

"L’esperienza… ed i consigli di un amico!" sorrise.

Finalmente libero dal duello, il gigante si guardò attorno. I soldati di Hela si erano tenuti cautamente lontani da lui e Gunther, ma a solo qualche metro di distanza la battaglia continuava ad infuriare.

Con un sorriso di sollievo, Thor vide che Ivan e gli altri erano in salvo, ancora saldamente difesi da Toro nei pressi del portone, e mosse un passo verso di loro.

In quel momento però, con un fragore assordante, un proiettile rosso sangue schizzò verso un punto delle mura, aprendo finalmente una breccia.

"La via è nostra!" gridò trionfalmente Eric Bloodaxe, riafferrando al volo la propria ascia ed incitando gli uomini a seguirlo verso quella nuova apertura.

Con una luce di trionfo negli occhi, sollevò la propria arma grondante sangue e si tuffò nella breccia, ma nel medesimo istante un muro luminoso si innalzò di fronte a lui, respingendolo e sigillando quel passaggio.

"Crystal Wall!" esclamò Mur da sopra le mura, espandendo il suo cosmo d’oro. Nello scorgerne il bagliore, Eric alzò la testa, e per un istante gli sguardi dei due si incrociarono, vedendo ciascuno riflesso negli occhi dell’altro quel che più disprezzava: la placida calma e la selvaggia sete di sangue. Poi il fiume di uomini li avvolse, celandoli alla vista reciproca.

"Ben fatto, Cavaliere d’Ariete!" pensò Ilda, prima di trapassare con la lancia il petto di un uomo che si era appena issato sopra le mura. Accanto a lei, Orion sferrò un raggio di energia, annientando un intero gruppo che cercava di avvicinarsi, per poi travolgerne un altro con la Spada di Asgard.

Concedendosi un momento di respiro, la Celebrante si guardò attorno: le difese reggevano ancora, anche se tutti erano impegnati al massimo in una serie di duelli. A pochi passi alla sua sinistra, Ioria sembrava instancabile e abbatteva chiunque osasse avvicinarsi, al punto che persino i nemici sembravano timorosi di avvicinarsi ed incrociarne il passo. Un po’ più lontano, Mur faceva lo stesso, sebbene con maggiore calma e autocontrollo, limitando al massimo i movimenti e l’energia dei colpi per non sprecare le forze.

Dal lato opposto, Mizar e Syria lottavano spalla a spalla, il musico costretto a usare il suo flauto per il corpo a corpo, per non rischiare di influenzare anche gli alleati con la sua melodia, mentre la tigre vibrava fendenti precisi e letali.

Qualcosa però colpì l’attenzione della donna, un punto della cinta muraria in cui i difensori stavano stentando, perché era protetto solo da soldati ed Einherjar, ma non da Cavalieri. Colui che lì avrebbe dovuto trovarsi era infatti scomparso.

"Artax! Dov’è Artax?!" si chiese, accorgendosi per la prima volta dell’assenza del guerriero e guardandosi attorno alla sua ricerca. Ovunque gettasse lo sguardo tuttavia non c’era traccia delle vestigia rosse e argentate.

"Non l’ho visto cadere, ne sono certa… ma dove può essere andato?" pensò preoccupata. Prima che potesse ponderare la questione però, un ruggito minaccioso risuonò sul campo di battaglia, gelando il sangue dei difensori e facendo rallentare persino l’esercito invasore.

Un istante dopo, una figura fulminea saettò verso le mura, scavalcandole quasi con un balzo e frantumando una torretta di guardia a pochi passi da Mizar e Syria, vicino all’estremità sinistra del bastione.

Abbattuto un Einherjar con l’ascia, Eric se ne accorse e sorrise.

"Finalmente anche i seggi più alti hanno iniziati a muoversi…" notò, eccitato al pensiero del massacro imminente.

Intanto, altri cosmi si erano accesi, impegnati in battaglia.

*******

Al Grande Tempio, Scorpio ed Alcor fissarono con espressioni opposte Luxor, il cui viso era solcato da copiose lacrime. Al senso di sorpresa e confusione del Cavaliere d’Oro, facevano da contraltare l’evidente preoccupazione ed il pallore della Tigre bianca.

Fu però proprio Alcor a scuotersi per primo, rialzandosi in piedi nonostante le gravi ferite e facendo cenno a Scorpio di fare lo stesso. "Assistimi in battaglia, custode dell’Ottava Casa! Dobbiamo sconfiggere Sigmund ed al più presto, o la vita di un compagno sarà persa!" sussurrò, voltandosi verso il secondo Comandante, che era rimasto impassibile ad osservare l’intera scena con un sorrisino divertito.

"Una vita sarà persa? Che significa?" domandò di rimando Scorpio, spostando rapidamente lo sguardo dal compagno a Luxor e poi a Sigmund.

Prima che l’altro potesse rispondere però, l’ottavo Comandante Semargl si rimise del tutto in piedi, sanguinante da numerose ferite sul corpo. Furioso per essere stato interrotto proprio mentre assorbiva la linfa vitale di Alcor, si voltò verso Luxor facendo esplodere il suo cosmo.

"La vita che mi hai impedito di rubare sarà la tua adesso!" gridò. "Ecatombe di Piume!!"

Una cascata di proiettili saettò verso il Cavaliere del Lupo che rimase del tutto immobile, scomparendo per qualche istante alla vista. Soddisfatto, Semargl sorrise e corse in avanti, avvolto da un’ombra nera. "Abbraccio del Corvo!!"

"I suoi artigli si sono rigenerati!" notò Alcor, memore di come pochi istanti prima fossero stati tranciati dai Denti del Lupo. Istintivamente mosse un passo in direzione del compagno, ma Scorpio lo fermò, trattenendolo per il braccio ed indicando Sigmund. Anche se all’apparenza interessato a seguire questi nuovi sviluppi, il Comandante aveva ancora entrambi nel suo raggio d’azione, ed abbassare la guardia sarebbe potuto essere fatale.

Obbligato ad annuire, Alcor vide gli artigli di Semargl saettare verso Luxor, e l’ottavo Comandante ridere sguaiatamente al pensiero della vita che stava per conquistare.

Poi però la sua espressione si mutò in una di sorpresa, ed infine di terrore. Anziché penetrare nel corpo di Luxor, gli artigli andarono in pezzi, come se non fossero che frammenti di cristallo scagliati contro una parete. Nello stesso momento, il Cavaliere del Lupo alzò la testa ad incrociare lo sguardo del suo assalitore, ed un cosmo gigantesco lo avvolse.

In un’esplosione di energia, un lupo spaventoso comparve alle sue spalle, gli occhi scintillanti, le fauci spalancate, i denti aguzzi e gli artigli pronti a colpire. Una belva assetata di sangue, la cui vista fece rabbrividire persino Alcor e Scorpio.

Con il viso ancora rigato dalle lacrime, Luxor mosse il braccio in avanti ed in una frazione di secondo la fiera ruggì maestosa e si abbattè sull’impietrito Semargl, che urlò di paura e dolore, tentando invano di difendersi incrociando le braccia.

Investito in pieno, venne sbalzato in aria. La sua armatura andò completamente in pezzi, le carni sottostanti furono straziate, ed un istante dopo l’ottavo Comandante precipitò al suolo in un lago di sangue, privo di vita.

Come se nulla fosse accaduto, Luxor ritirò il braccio, tornando immobile.

"Il suo cosmo è cambiato, sembra quello di una belva assetata di sangue… ma è anche ricolmo di un’energia che prima non aveva! Che sta succedendo, se sai qualcosa parla!" esclamò Scorpio, voltandosi verso Alcor.

"E’ quello che temevo… di fronte a noi rivive il mito!" rispose il Cavaliere.

"Non è tempo per enigmi e frasi sibilline!" insistette Scorpio.

"Il simbolo dei Cavalieri della stella Epsilon dell’Orsa è Fenrir, il grande lupo del Ragnarok! Sin dai tempi più antichi, si racconta che nei momenti di estremo bisogno coloro che appartengono a questo segno possano risvegliare in loro la Berserkergang, la furia omicida della belva!" spiegò allora Alcor, facendo una pausa prima di riprendere, con parole cariche di tensione.

"Grande però è il prezzo da pagare: per un essere umano, la vera Berserkergang dona un immenso potere… ma a patto di una fine prematura. Se non viene fermata in tempo, l’energia di una vita intera brucia in pochi minuti, simile a fiamma che brilla luminosa prima dell’ultimo afflato! Si racconta che prima di raggiungere questo stadio ultimo, i Cavalieri piangano lacrime amare, dando l’estremo saluto alla loro umanità, ed alla vita che avevano davanti!" concluse.

"Una tecnica suicida…!" comprese Scorpio, mentre un rivolo di sudore gli scorreva sul viso.

"Non se possiamo evitarlo!" ribattè Alcor, voltandosi torvo verso Sigmund. "E’ necessario qualche secondo prima che il pieno potere della Berserkergang esploda! Se riusciremo a sconfiggere prima costui, potremo ancora permettere a Luxor di tornare in se!"

"Combattiamo dunque!" annuì Scorpio, espandendo il suo cosmo.

"Tsk, che illusi…!" ridacchiò Sigmund, girandosi del tutto verso di loro. "Pensare di potermi vincere con trucchi così banali! La mia forza non è così facile da conquistare!"

Accigliandosi, e memori della celerità con cui erano stati abbattuti pochi minuti prima, Alcor e Scorpio studiarono con attenzione il nemico. Ora che il mantello era stato strappato via, la sua armatura era totalmente visibile.

Era una corazza d’oro dalle forme abbastanza classiche, liscia e formata da quelle che sembravano piastre sovrapposte. Il pettorale partiva da un collare a girocollo per poi scendere a coprire interamente il torace, l’addome e la schiena, terminando a pochi millimetri dal cinturino. Le piastre superiori riproducevano in qualche modo la forma dei muscoli pettorali, mentre quelle sottostanti erano triangolari anteriormente e tondeggianti sui fianchi, i bordi evidenziati da fregi di un oro più brillante rispetto alla tonalità principale relativamente scura. I coprispalla erano semicilindrici, orizzontali e abbastanza lunghi da superare di diversi centimetri il bordo della spalla. La cintura era un gonnellino, formato da una fascia circolare cui erano agganciate delle piastre triangolari capovolte e sovrapposte, un pò più lunghe sulle anche che sul bacino vero e proprio. Bracciali, copribicipite, cosciali e schinieri erano cilindrici e ricoprivano gli arti quasi interamente, lasciando solo qualche spazio scoperto attorno al gomito, sotto la spalla e nella parte interna del bacino. L’elmo infine era un sottilissimo diadema, quasi un cerchietto per capelli, dal valore più ornamentale che difensivo.

Appeso al fianco sinistro con una catena d’oro pendeva il fodero di cuoio di una spada, e l’arma stessa era nel pugno destro del guerriero, che solo pochi istanti prima l’aveva usata per dilaniare facilmente l’armatura dello Scorpione.

Per quanto minacciosi fossero il suo aspetto e la sicurezza che traspariva dal suo sguardo, era l’ampiezza del suo cosmo a preoccupare maggiormente gli eroi.

"E’ potente costui, mentre noi siamo malridotti per le numerose battaglie sostenute finora! Sconfiggerlo non sarà facile, ma non possiamo esitare!" pensò Alcor, facendo crescere le unghie della mano fino a mutarle in artigli.

"La sua capacità d’offesa è grande, ma della difesa non sappiamo nulla, finora ha sempre evitato i nostri attacchi! Cavaliere d’Oro, asseconda i miei colpi e che gli Dei ci siano propizi!" sussurrò, espandendo il suo cosmo. Annuendo, Scorpio fece lo stesso, ed insieme i due si lanciarono in avanti.

"Venite… venite pure incontro al vostro destino!" commentò Sigmund, scattando a sua volta verso di loro.

"Bianchi Artigli della Tigre!"

"Cuspide Scarlatta!!"

Artigli luminosi e punture cremisi spazzarono l’aria, ma il Comandante vi si gettò contro senza alcun timore.

"Uh uh, con colpi così deboli non vincerete mai!" esclamò, schivandoli con una serie di movimenti laterali fino a penetrare le difese dei due e portarsi in mezzo a loro. In quel momento, fece esplodere un’onda di energia dorata, travolgendoli entrambi lateralmente.

Con un colpo di reni però, Alcor saltò all’indietro, toccando terra con le mani e dandosi la spinta per balzare verso una delle colonne.

"Dall’alto intendi attaccarmi, Cavaliere?" domandò ironicamente Sigmund alzando la testa.

"Proprio così!" rispose il ragazzo, dandosi la spinta sul pilastro. "Dall’alto, precludendoti ogni possibilità di fuga con i Bianchi Artigli della Tigre!!"

La pioggia di fendenti volò verticalmente verso Sigmund, e nello stesso momento anche il cosmo d’oro di Scorpio si accese.

"Cuspide Scarlatta!!" gridò l’eroe da terra, sferrando il suo attacco in modo che si intersecasse con quello di Alcor, creando un reticolato da cui sarebbe stato impossibile fuggire.

Neppure questo però bastò a far vacillare l’espressione sicura di Sigmund.

"Ingenui! Credete che sarei degno del titolo di secondo Comandante se sapessi solo schivare?" li derise. Con un gesto preciso, sollevò la spada davanti a se e la capovolse, in modo da intercettare i due colpi segreti con il piatto della lama.

"Non un’arma comune…" comprese Scorpio spalancando gli occhi.

"No, infatti! Questa lama è parte integrante della mia armatura: il suo nome è Gram, ed è per me sia spada che scudo, resistente agli attacchi come in grado di sfondare ogni difesa!" disse baldanzoso l’uomo, travolgendo l’avversario con un fendente di energia, ed aprendogli un profondo taglio sulla coscia destra.

"Per quanto grande, la forza di qualsiasi arma è pari solo a quella di colui che l’impugna!" avvertì Alcor, tuffandosi in soccorso del compagno dall’alto, con le dita serrate.

"Motivo in più perché io sia invincibile!" rispose con un mezzo sorriso Sigmund, balzando a sua volta con il pugno teso ed intercettandolo a mezz’aria.

Respinto, il Cavaliere del Nord venne sbalzato via, cadendo malamente a terra sulla spalla e strisciando di qualche metro. Consapevole del pericolo, cercò subito di mettersi carponi e rialzarsi, ma contemporaneamente Sigmund, mostrando un’agilità paragonabile a quella della Tigre di Asgard, ruotò sul proprio asse, si diede la spinta con le gambe sul soffitto e sferrò un fascio d’energia, centrando il guerriero in piena schiena.

Con un grido di dolore, Alcor sputò sangue e cadde in avanti, lo schienale in frantumi, la carne sottostante ustionata e sanguinante.

"Ci sta… massacrando…!" pensò a denti stretti Scorpio, rialzandosi in piedi ma zoppicando vistosamente. Un fiume di sangue grondava dalla ferita alla coscia, gocciolando a terra in flotti copiosi, ed anche le ferite al torace ed alla spalla erano profonde.

"Devo tentare di nuovo la Cuspide Suprema… è la nostra unica speranza…" si disse, cercando di mettere a fuoco la vista, indebolita dall’emorragia, e di bruciare quel che restava del suo cosmo.

Accorgendosi di lui, Sigmund si voltò a fissarlo e lo indicò con la spada, accennando un sorriso di sfida.

In quel momento però, con un grido ferino, Luxor si scosse. Entrambi i contendenti si voltarono di scatto verso di lui, ma fu Sigmund a dover balzare improvvisamente all’indietro per evitare un raggio di luce, talmente potente da abbattere le colonne e la parete alle sue spalle.

L’attacco tuttavia non era finito. Avvolto da un cosmo quasi accecante, il Cavaliere di Asgard raggiunse a mezz’aria il nemico, sferrandogli un calcio in pieno addome e sbattendolo a terra, con un’espressione finalmente contrariata.

Sbalordito, Scorpio vide il compagno balzare a metà strada tra loro ed il nemico, e voltarsi a guardarlo con la coda dell’occhio. Le lacrime ancora macchiavano il suo viso, ma la pupilla era contratta, quasi animalesca, ed i denti mordevano il labbro inferiore con tanta forza da farlo sanguinare.

"Andate… via…" sussurrò con un grugnito profondo, quasi come se la cosa gli causasse dolore.

"L… Luxor…" balbettò Alcor, issandosi in qualche modo sulle gambe.

"Andate… via…!" ripetè il Cavaliere, con maggiore enfasi stavolta. "Combatterò… da solo!"

"Dovremmo abbandondarti?!" esclamò a gran voce Scorpio, avanzando di un passo con il pugno serrato. "Non è degno di essere un uomo chi lascia un compagno per salvarsi la vita!"

L’ombra di un sorriso comparve sul volto di Luxor, ma solo per un istante.

"Mia è la scelta… rispettate la mia volontà… e pensate alla missione!" li implorò.

Scorpio rimase ancora immobile, inorridito, ma Alcor alla fine annuì.

"E’ giusto! Non dimenticare tutti coloro che in questo momento stanno rischiando la vita ad Asgard! Amici che potrebbero non avere speranza se non porteremo a compimento l’incarico assegnatoci! Non possiamo farci frenare dalle nostre emozioni, dobbiamo proseguire!" disse, avvicinandosi a Scorpio e guardandolo negli occhi.

"Frenati dalle emozioni…" ripetè il Cavaliere d’Oro, ripensando al suo amico Acquarius, che avrebbe sicuramente concordato con le parole del guerriero del Nord.

Annuendo, lanciò un’ultimo sguardo a Luxor, per poi voltarsi verso l’uscita, seguito da Alcor.

"Vi ringrazio…" pensò Luxor sorridendo "Andate… e non voltatevi mai indietro! Mi dispiace non avervi potuto conoscere meglio… ma vi prometto che in questi pochi minuti che mi restano, con questa vita che sta per finire, espierò le colpe dei miei errori passati!"

Nel vedere i due allontanarsi, Sigmund si rialzò di scatto per cercare di inseguirli, ma Luxor gli si parò davanti con un’espressione di sfida.

"Come desideri, morirai tu per primo!" disse allora il Comandante, stringendo la presa sull’elsa della spada e sferrando un fendente di energia.

Con un sorriso animalesco, Luxor si lanciò all’attacco, muovendosi ad una velocità persino superiore a quella della luce e schivando il fendente, per poi portarsi a ridosso di Sigmund e tentare un affondo con la mano.

Reagendo d’istinto, il guerriero di Hela schivò lateralmente e nello stesso momento vibrò un fendente dal basso verso l’alto, cercando di ferire l’avversario ma riuscendo solo a tranciare in due il coprispalla destro. Luxor infatti era ruotato su un tacco, spostandosi di fianco a Sigmund e centrandolo con un manrovescio, che lo fece barcollare all’indietro.

Senza sosta, il Cavaliere di Asgard sferrò una tempesta di colpi di luce, spaccando in diversi punti il pavimento e le colonne, ed obbligando Sigmund a indietreggiare ulteriormente per evitarli. Solo dopo alcuni salti, il secondo Comandante ruotò la spada, deviando uno dei colpi diretti con il piatto della lama, per poi torcere il polso e scagliare una serie di fendenti dorati, dei veri e propri piani di energia orizzontali, diagonali e verticali che illuminarono la settima casa.

Senza esitare, Luxor corse loro incontro, il baricentro spostato in avanti e la schiena arcuata come un vero lupo. Muovendosi ad una velocità incredibile, li evitò tutti uno dopo l’altro, infrangendo l’ultimo con un’improvvisa artigliata di energia che colse di sorpresa persino Sigmund e lo raggiunse al fianco, sfregiando la sua armatura senza però riuscire a perforarla.

Sorridendo, il Cavaliere liberò allora una pioggia di colpi affilatissimi, e, con suo enorme stupore, Sigmund si ritrovò ad indietreggiare di un passo, poi di un altro, ed un altro ancora.

"Combatte come una belva!" pensò, schivando più attacchi possibile con movimenti piccoli ma precisi, e parando i rimanenti con la spada.

Il lupo d’energia alle spalle di Luxor parve ululare alla vista della preda. Secondo dopo secondo, la pressione dell’assalto si fece insostenibile, il numero di raggi luminosi incalcolabile, un vero diluvio di colpi che stridevano sulle vesti dei Nibelunghi cercando di abbatterle.

Alla fine, con un grido di dolore che sorprese persino lui, Sigmund venne catapultato all’indietro e cadde a terra, strisciando per qualche metro e perdendo per un attimo la presa sulla spada.

"Denti del Lupo, azzannate!!" ringhiò Luxor, le pupille dilatate, la bocca distorta in un’espressione animalesca.

Il colpo segreto esplose, ma in una maniera molto più concentrata del solito: due soli affondi, brillanti di energia, che schizzarono verso Sigmund.

Avvedendosi del pericolo, l’uomo schivò il primo rotolando per terra su un fianco, ma l’impatto con il suolo della settima casa aprì una vera e propria voragine che fece perdere l’equilibrio al Comandante e lo fece ricadere all’indietro, direttamente nella traiettoria del secondo attacco.

Nonostante tutto, Sigmund non era però uomo da poco. In una frazione di secondo si diede la spinta con la gamba sul suolo in pendenza, riuscendo ad allontanarsi abbastanza da impedire al fascio di energia di trapassarlo da parte a parte. Ciò riuscì a salvarlo, ma solo in parte: venne infatti raggiunto di striscio al fianco sinistro, e stavolta l’armatura in quel punto andò in pezzi, accompagnata da schizzi di sangue ed un grugnito di dolore strozzato.

Come una vera belva, Luxor parve spronato alla vista del sangue e si tuffò di nuovo in avanti, atterrando con le ginocchia sull’addome del Comandante e tempestandolo di pugni e artigliate, al punto da obbligare l’uomo a difendersi il volto con il dorso del braccio.

Furioso per quest’umiliazione inaspettata, e seccato al pensiero di Scorpio e Alcor che si allontanavano, Sigmund sentì la rabbia montare dentro di se.

"Vade… retro!" esclamò, facendo esplodere all’improvviso il suo cosmo con un’onda di luce che costrinse Luxor a balzare indietro. In quella frazione di secondo, il Comandante afferrò la propria spada e disegnò un arco a mezz’aria, tranciando in pieno il braccio destro del nemico all’altezza del bicipite.

Di fronte agli occhi di entrambi, l’arto mozzato volò per aria verso il soffitto, ruotando e schizzando sangue in tutte le direzioni. Certo che il dolore e lo shock avrebbero spinto Luxor ad abbassare la guardia, l’uomo sorrise, afferrò Gram con ambo le mani e si preparò ad un affondo, ma con suo enorme stupore il guerriero di Asgard parve del tutto indifferente e addirittura scoppiò a ridere, come se non sentisse alcun dolore.

Sigmund aveva combattuto centinaia di battaglie nel corso dei secoli, sia quando era stato in vita che dopo la morte, nei panni di Comandante di Hela, ma la visione di quel ragazzo con il braccio mozzato e sanguinante, il volto rigato di lacrime in contrasto con occhi accesi di una gioia quasi folle, avvolto da un cosmo dalla luce accecante, fu tale da farlo rabbrividire e rallentare, forse per la prima volta nella sua esistenza.

Approfittando del momento, Luxor lo colpì alla tempia con quel che restava del braccio destro, accecandolo temporaneamente con il suo stesso sangue, e poi lo centrò all’addome con un calcio, spingendolo indietro.

Solo in quel momento il ragazzo sentì una fitta di dolore al cuore, accorgendosi che stava battendo all’impazzata, e di essere pesantemente in affanno.

"Mi resta… poco tempo…" comprese stringendo i denti, per poi far esplodere il suo cosmo e concentrarne la forza nel braccio sinistro.

"Lupi… nella Tormenta!" ululò, scagliando il suo colpo segreto più forte alla massima potenza, con un’energia tale da mandare in pezzi il bracciale della sua armatura e lacerare il muscolo sottostante.

Rialzatosi appena in tempo, Sigmund vide la furia dei lupi saettare verso di lui, troppo veloce per poter essere schivata. Piantando i piedi a terra con tutte le sue forze, sollevò allora la spada, imprimendo in essa il suo cosmo e cercando di parare l’assalto con il piatto della lama.

Per alcuni secondi, i due cosmi parvero in perfetto equilibrio, mentre le pareti e le colonne della settima casa tremavano e cadevano, investite da quella tempesta d’energia d’oro e violetta. I lastroni del pavimento si spaccarono attorno ai piedi del guerriero, e persino il soffitto iniziò a crollare, perforato da raggi di luce. Poi però il lupo alle spalle di Luxor ululò maestoso, e, di fronte agli occhi sbalorditi ed increduli di Sigmund, delle crepe comparvero alla base di Gram.

Un istante dopo, la lama andò in pezzi, mentre la forza dell’attacco si abbatteva sul suo braccio destro, frantumando bracciale e copribicipite e facendolo cadere a terra sanguinante.

"Senza la spada… mi avrebbe strappato il braccio!" dovette ammettere il Comandante, guardando inorridito le ferite che aveva sull’arto, profonde fino all’osso.

Ad alcuni metri di distanza, Luxor barcollò in avanti. Lo sforzo lo stava visibilmente distruggendo: il volto ed i capelli erano madidi di sudore, le vene del viso pulsavano e si gonfiavano, risaltando su una carnagione sempre più pallida e cerulea, mentre il torace era schiacciato dal dolore acutissimo di un infarto imminente.

Stringendo i denti, il ragazzo alzò la testa in direzione del nemico e bruciò di nuovo il suo cosmo. "Un… un colpo… un altro colpo soltanto… Odino… dammi ancora la forza…!" gridò con voce rotta, gettandosi all’attacco.

"Non… non credevo che mi avresti obbligato a tanto!" esclamò però Sigmund, sollevando il braccio sinistro sopra la testa e disegnando in aria un cerchio d’oro, proprio nel momento in cui Luxor stava per avventarsi su di lui. "Prigione dei Nibelunghi!!"

L’anello dorato di energia scese su Luxor, stringendosi su di lui all’altezza del torace ed intrappolandolo. Urlando di dolore, il ragazzo lo sentì penetrare nel braccio sinistro e nel fianco destro, frantumando l’armatura e le ossa. Per di più, era come se un fuoco ardente lo stesse avvolgendo, facendolo bruciare vivo.

Spalancando gli occhi al cielo e con in bocca il sapore del sangue, egli cercò allora di dare fondo alle ultime forze e liberarsi.

"Non farlo, è inutile, prolungherai soltanto la tua agonia!" lo avvertì Sigmund. "La Prigione dei Nibelunghi non è un semplice catenaccio, essa riversa sulla vittima il calore del suo cosmo, facendola bruciare nella sua stessa aura! Più cerchi di bruciare le energie che ti restano e più esse ti distruggeranno, rinuncia! Non avrei voluto ricorrere ad un’arma così crudele, nè amo la sofferenza del nemico! La battaglia è persa, arrenditi e ti concederò una fine rapida!" propose, con sincera enfasi.

Luxor reclinò il capo all’indietro, ma neanche sentì le sue parole. Davanti agli occhi non aveva più la settima casa, il sangue o il Comandante, ma le luci della foresta, ed il calore dei suoi lupi. Nelle orecchie il loro ululare, e con esso il gorgogliare dei fiumi in piena ed il soffiare del vento tra gli alberi, il crepitare del fuoco ed i rumori degli animali della foresta, insieme ad altri suoni, persino più felici. La risata cristallina di sua madre, la voce confortante di suo padre.

"Mamma… papà…" sussurrò, mentre nuove lacrime gli velavano gli occhi "Quando ci rivedremo… sarete fieri… di me!"

Di fronte allo sguardo sbalordito di Sigmund, il cosmo del Cavaliere esplose, distruggendo la Prigione dei Nibelunghi e quello che restava dell’armatura del Lupo. Con un gesto meccanico, Luxor, i cui capelli erano improvvisamente diventati bianchi come la neve, sollevò il braccio sinistro e tese le dita per l’ultimo attacco.

Cadendo sulla schiena ai suoi piedi, Sigmund sentì una sensazione di panico impadronirsi di lui e congiunse le mani davanti al torace, i palmi rivolti verso l’esterno. "Flutti del Reno!!"

Un’ondata di energia d’oro sfondò e trapassò da parte a parte la cassa toracica di Luxor, abbattendosi poi sulla parete alle sue spalle e abbattendola completamente.

Solo allora Sigmund, con il respiro affannoso ed il volto zuppo di sudore, si accorse che quell’ultimo attacco era stato inutile.

Gli occhi di Luxor erano infatti chiusi: il ragazzo di fronte a lui era ormai morto.

Stroncato forse da un infarto, forse dalle ferite, era spirato nella posa di battaglia, lottando fino all’ultimo.

Eppure, il Comandante di Hela non potè fare a meno di notare che l’espressione sul suo viso era serena. Un sorriso spontaneo, sui cui risvolti non poteva formulare che ipotesi, ma che per qualche motivo lo rattristava profondamente.

Guardando il proprio corpo, le ferite al fianco sinistro ed al braccio destro, e la spada Gram in frantumi per terra, Sigmund comprese quanto aveva rischiato.

"E’… la prima volta che qualcuno mi impegna fino a questo punto…! Non è mia abitudine onorare il nemico, nè ho parole per i Comandanti che qui sono caduti… ma tu, Luxor di Asgard, sei degno della mia lode!" mormorò, prendendo delicatamente in braccio il ragazzo e poggiandolo a terra, prima di voltarsi verso l’uscita della settima casa e correre all’inseguimento.