L'INIZIO DELLA FINE

Incontrai un viaggiatore che veniva

via da un paese antico, e disse: due

grandi gambe di pietra, senza tronco, stanno

nel deserto. Vicino, sulla sabbia, mezzo

sepolto, c'è un volto smangiato, ma le sue

ciglia aggrottate, e il labbro corrugato, e

il sorriso obliquo freddo di comando

dicono che il suo scultore lesse

bene le passioni che calcate

sulla materia inerte sopravvivono

ancora alla mano che le finse

e al cuore che le nutrì.

Sul piedistallo queste parole appaiono:

il mio nome è Ozymandias, re dei re,

guardatele le mie opere, voi Potenti, e

piangete. Niente qui resta. Intorno al consumarsi

di questo colossale relitto, sconfinate, nude

le solitarie e uniformi vanno

stendendosi lontano.

Veloci come lampi, cinque comete solcarono il cielo notturno, tingendo per un attimo le tenebre con i loro brillanti bagliori. Lasciatisi alle spalle la Grecia, Pegasus, Sirio, Cristal, Andromeda e Phoenix, finalmente liberi dalla lunga prigionia sull'Olimpo imposta da Oberon, attraversarono diagonalmente l'Adriatico e l'Italia del Nord, in direzione della Francia, dell'Inghilterra e, infine, delle coste di Scozia, oltre le quali avrebbero trovato la loro destinazione: Avalon, isola delle nebbie.

"Il cosmo di Oberon è completamente scomparso! E' quasi come se si fosse dissolto insieme alla barriera!" osservò ad un tratto Andromeda, spezzando il silenzio che li aveva avvolti da quando avevano lasciato il tempio di Zeus, attimi prima. Pur avendone la possibilità, non stavano volando alla velocità della luce, ma solo a varie volte quella del suono, per risparmiare le forze in vista del confronto che li attendeva.

"Non farti ingannare! Sa che stiamo venendo da lui, e cerca di nascondersi per impedirci di trovare la sua Avalon! Ma stavolta le cose non andranno come nei suoi piani… troppo a lungo siamo rimasti a contatto con il suo cosmo, in quelle maledette ore in cui eravamo prigionieri! La sua natura ci è ormai familiare, abbiamo avuto ben modo di percepirne la sorgente!" esclamò Pegasus con insolita rabbia, le sopracciglia aggrottate e pieghe profonde sulla fronte. Gli altri Cavalieri gli lanciarono un'occhiata preoccupata, ma non dissero nulla, ben consapevoli che i loro cuori erano uno specchio del tumulto che si agitava in quello del ragazzo.

La fatica, il dolore, l'esasperazione della lunga battaglia sull'Olimpo erano stati lavati via per un attimo dalla gioia della vittoria contro Zeus, solo per essere mutati in ore di frustrante e drammatica disperazione dall'azione inattesa di Oberon. Sentire i loro amici combattere, e non poter far nulla per aiutarli, aveva pesato su di loro persino più dei colpi segreti delle divinità di Grecia.

In quel momento, i cinque amici avvertirono di aver quasi raggiunto il promontorio teatro dello scontro finale tra i Cavalieri d'Oro e Titania, e, pur avendo già deciso di non fermarsi dai compagni, per evitare di dare ad Oberon il tempo di organizzare qualcosa, e soprattutto timorosi che volessero accompagnarli ad Avalon, ridussero istintivamente la velocità, gettando occhiate preoccupate verso terra.

Illuminati dalla pallida luce della luna, che si rifletteva tenue sulle loro corazze, videro immediatamente i Cavalieri d'Oro, in compagnia di un guerriero dai capelli rossi, riuniti in un cerchio e con il capo sollevato verso il cielo, nella loro direzione. Il senso di sollievo nei loro cuori fu istantaneo, ma altrettanto breve.

Bastò uno sguardo infatti per accorgersi delle condizioni in cui i valorosi guerrieri erano ridotti: capaci a stento di reggersi in piedi, coperti di sangue, fango e sudore. Le gloriose armature d'Oro, un tempo vanto e orgoglio dell'esercito di Atena, sembravano ora pallide imitazioni della gloria passata, ed erano sporche, piene di crepe e danni, con alcuni pezzi completamente distrutti.

A questa visione, alla consapevolezza che era stato anche per salvare loro che i Cavalieri d'Oro avevano combattuto fino a ridursi in questo stato, lame di ghiaccio trapassarono i cuori dei cinque ragazzi.

Poi i loro sguardi si spostarono all'interno del cerchio formato dagli amici, e le lame di ghiaccio si mutarono in pugnali roventi, capaci di strappar loro un gemito di dolore. Poggiata a terra e circondata da schizzi di sangue c'era infatti la statua dell'armatura dei Gemelli, nuovamente assemblata, dalla cui figura spirava un'infinita malinconia.

"K… Kanon…" quasi singhiozzarono i cinque, comprendendo subito cosa stessero facendo i Cavalieri d'Oro al loro arrivo: porgendo il loro ultimo saluto ad un compagno di battaglia che li aveva lasciati per sempre.

In silenzio, Pegasus e gli altri chiusero gli occhi, lottando invano per trattenere le lacrime, e davanti a loro rividero colui che era stato amico ed avversario, con la solita espressione sicura di se stampata sul viso. Kanon che incoraggiava Pegasus e Andromeda a proseguire senza esitazioni, Kanon che ignorava i tentativi di scuse di Cristal e Sirio, Kanon che combatteva contro Phoenix, incapace di accettare il crollo dei suoi sogni di dominio.

Ma in quel momento, anche altre immagini comparvero davanti a loro, scene che non appartenevano ai loro ricordi e che non avevano avuto modo di vedere, relative alle numerose battaglie dei Cavalieri d'Oro contro i Guardiani, al viaggio ad Asgard, alla defezione di Bres, alla devastazione di Villa Thule, ed all'ultimo saluto di Kanon al mondo.

Il dolore esplose incontrollato nei loro cuori, seguito poi da onde di rabbia, verso una guerra che era stata scatenata per futili motivi di rivalsa. "Kanon… Aspides… Ban… giuro che sarete vendicati! Fosse anche il mio ultimo atto da Cavaliere, Oberon pagherà per quel che vi ha fatto! Pagherà per aver privato il mondo di tre eroici difensori, come per la paura e l'angoscia che ha instillato nei cuori di Patricia, Nemes, Fiore di Luna, Mylock, Kiki, Ilda, Flare, e tutti coloro che loro malgrado si sono ritrovati coinvolti in quest'assurda guerra! Porremo fine a questa catena di dolore!" sussurrò Pegasus, stringendo il pugno talmente forte da quasi incrinare la protezione per il palmo della sua armatura.

"Coraggio, Cavalieri! Che il nostro destin si compia!" esclamò poi, rialzando di nuovo lo sguardo verso l'orizzonte, ed insieme i cinque aumentarono la velocità, saettando verso le nebbie di Avalon.

A terra, Mur, avvolto dal tenue bagliore del suo cosmo, sospirò amaramente.

"Sono decisi a raggiungere Avalon, e soltanto loro possono superare le nebbie che proteggono l'isola sacra, per questo ho telepaticamente mostrato loro quel che è successo nelle ultime ore: la conoscenza che abbiamo appreso combattendo contro Titania ed i Guardiani" spiegò sconsolato, rispondendo allo sguardo interrogativo di tutti i compagni, con la sola eccezione di Virgo "Soltanto in questo modo ci è concesso aiutarli… amaro disegno di un destino che ci obbliga a farci da parte proprio all'iniziare dell'atto finale. A lasciare che a rischiare la vita siano coloro che abbiamo così faticosamente tentato di salvare!"

"Come possiamo biasimarli… sono guerrieri, e prima ancora uomini! Al loro posto non faremmo forse lo stesso?!" mormorò Ioria, con gli occhi chiusi ed il pugno serrato, lottando per mantenere piatta la voce.

"E… Atena?" domandò Scorpio perplesso.

"Sarà certamente al sicuro… Pegasus e gli altri non l'avrebbero mai lasciata indifesa! No, è per loro che temo… spero che la collera non li conduca al massacro… che l'irruenza della loro giovane età non li tradisca rendendoli imprudenti! Già troppe lacrime abbiamo versato in questo maledetto giorno, non sopporterei altre perdite!" esclamò a fatica Toro, dando voce alle paure di tutti loro.

Soltanto Bres rimase da parte, il capo chino, gli occhi serrati, la testa rivolta verso l'orizzonte, verso il mare su cui stava calando la nebbia.

"Sembra che Oberon non possa più fare a meno di notare la nostra presenza!" esclamò sarcasticamente Pegasus, indicando la nebbia che era comparsa davanti a loro, e che all'avvicinarsi dei Cavalieri sembrava vorticare e contorcersi, reagendo alla loro presenza quasi come se fosse viva.

Poi, nel tempo di un respiro, essa si avvolse a formare enormi tornadi, talmente grandi da congiungere il cielo con il mare, ed un attimo dopo si abbatterono contro i cinque eroi, colpendo dall'alto e dal basso, cercando di avvolgerli nelle loro spire. Nei punti in cui veniva investita, la superficie marina si increspava e spezzava, sollevando immense onde e schizzi, mentre alcuni tornadi si trasformavano in trombe marine, innalzando i loro flutti verso le nuvole.

"Se si illude che questo basti a fermarci…Fulmine di Pegasuuus!!" gridò l'eroe, scagliando migliaia di fasci di luce, il cui spostamento d'aria annullò alcuni tornadi, aprendogli la via. Rifiatando, Pegasus continuò ad avanzare a testa bassa, virando agilmente tra un vortice e l'altro grazie alle ali della sua armatura, che pur danneggiate nel corso della battaglia sull'Olimpo, gli fornivano ancora abbastanza mobilità.

Attorno a lui, anche gli altri Cavalieri fecero lo stesso, schivando la maggior parte dei tornadi, e dissolvendo con i loro attacchi quelli che non potevano essere evitati. Il calore del cosmo di Phoenix in particolare dissolveva al solo contatto l'acqua che lo colpiva, sollevando nuvole di vapore, mentre il gelo di Cristal mutava tutto in ghiaccio, trasformando il mare in distese bianche scintillanti e le onde in splendide e immobili sculture.

Dopo alcuni minuti trascorsi in questo modo, i tornadi scomparvero, lasciando solo una nebbia sempre più fitta. Senza esitare, Pegasus sfrecciò al suo interno, affiancato dagli amici, e contemporaneamente essa si richiuse alle loro spalle, facendo svanire qualsiasi traccia del mondo esterno.

"Questa sensazione… è come al tempio di Zeus, o alla terza casa di Atene! Come se avessimo varcato le porte per un'altra dimensione!" commentò Cristal.

"Dev'essere la barriera di nebbia di cui parlava Mur… il velo che separa Avalon dal mondo esterno, impedendo a qualsiasi straniero di raggiungerla contro la volontà di Oberon. Titania poteva usarla in battaglia con il suo mantello…" riflettè Sirio meditativo.

"Tsk! Non essendo riuscito a tenerci lontani con la forza, ora spera di farlo con l'astuzia! Beh, lo aspetta una bella sorpresa… questo posto non è poi molto diverso dalla dimensione che separava l'Inferno dall'Elisio, e noi indossiamo armature forgiate con il sangue divino! Grazie a loro, nessuna barriera può trattenerci!" esortò Pegasus in tono sprezzante, chiaramente desideroso di lasciarsi presto alle spalle questi preamboli.

Bruciando più intensamente il suo cosmo, il Cavaliere chiuse gli occhi, affidandosi solo al proprio istinto per trovare la strada, alla memoria dell'aura del signore di Avalon, poi sfrecciò in avanti. Dopo un attimo di esitazione, Cristal e Dragone saettarono al suo fianco. Andromeda aprì la bocca per raccomandar loro prudenza, ma Phoenix gli poggiò una mano sul braccio, scuotendo la testa "E'… il suo modo di affrontare il dolore della perdita. Quando verrà il momento, saprà controllarsi" sussurrò, prima di accellerare a sua volta. Annuendo tristemente, Andromeda lo seguì, ed insieme i due raggiunsero gli amici, portandosi sulle ali esterne della formazione.

Per diversi minuti, gli eroi viaggiarono ciechi nella nebbia, privi di qualsiasi punto di riferimento eccezion fatta per la flebile memoria del cosmo di Oberon. Eppure, pur non potendo praticamente vedere nulla, tutti loro riuscivano ad avvertire di essere sulla direzione giusta, come se un'invisibile fiammella all'orizzonte indicasse loro la strada, diventando leggermente più intensa ad ogni metro compiuto nella direzione giusta. Poi, improvvisamente, sentirono qualcosa davanti a loro, una sorta di resistenza, più simile alla superficie elastica di una bolla che a quella solida di un muro, e contemporaneamente vennero spinti indietro.

"Ci siamo finalmente, questo è l'ultimo ostacolo! Nessuna barriera basterà a fermarci, veniamo da te, Oberon!" esclamò Pegasus, sollevando minacciosamente il pugno per sferrare il suo colpo segreto. Di fronte a lui, la barriera invisibile sembrò tremare, ma la sua resistenza non diminuì.

"La fai difficile, eh?" mormorò, apprestandosi a imprimere maggiore energia nel suo attacco, ma in quel momento una saetta viola schizzò accanto a lui, abbattendosi a sua volta contro la barriera, immediatamente seguita da un vortice di fuoco.

"Non sei il solo a portare il peso del dolore nel cuore, permetti anche ai tuoi amici di darti una mano!" gli sorrise gentilmente Andromeda. Contemporaneamente, anche un tornado di ghiaccio e le fauci di un dragone emeraldino si schiantarono sulla barriera difensiva, mentre Cristal e Sirio incrociavano a loro volta lo sguardo di Pegasus. Dopo un attimo d'esitazione, il Cavaliere annuì, socchiudendo gli occhi e accennando un sorriso tirato prima di voltarsi e attaccare di nuovo l'ostacolo che sbarrava loro la strada, unendo il suo cosmo a quello dei compagni.

Per alcuni istanti, la barriera divenne finalmente visibile, attraversata da riflessi multicolore, poi tutte le tinte si fusero in un bianco abbagliante, e senza emettere un suono essa andò in pezzi.

Il cambiamento fu istantaneo. Laddove prima vi era la nebbia, si vedeva ora un limpido cielo notturno, rischiarato dalla luce della luna senza che una sola nube lo macchiasse. Di fronte ai Cavalieri si trovavano le coste di un'isola, piccole spiagge sabbiose limitate da alte scogliere di roccia, in cima alle quali, posti sopra delle colonne, ardevano dei bracieri a mò di fari.

Risalendo la scogliera, un sentiero sembrava condurre verso l'interno dell'isola, e pur restando prudentemente in volo, i cinque eroi decisero di seguirlo. Ben presto, il panorama brullo e roccioso si trasformò in un bosco, ampio ma dall'aspetto amichevole, ricco di radure e attraversato da numerosi fiumi e ruscelli, le cui acque scorrevano placide. Qui e là, si potevano scorgere gruppi di cervi o altri piccoli animali, tutti erbivori, intenti a nutrirsi o abbeverarsi, senza alcuna traccia di predatori a spaventarli. Nel complesso, il luogo trasmetteva un senso di pace e quiete.

"Non è certo il rifugio del male che mi sarei immaginato…" commentò Cristal un pò sorpreso.

"Neanche l'Elisio lo era, e per poco non vi abbiamo trovato la morte! Non abbassate la guardia!" suggerì Pegasus, indicando loro la meta. Proprio al centro dell'isola, ben evidente all'interno di un'enorme radura circondata da quelli che sembravano frutteti e giardini, si trovava l'enorme castello di Oberon. Rialzato sulla roccia, e protetto da altissime mura e torri merlate, non avrebbe sfigurato in un racconto medioevale, anche se alcuni dettagli, come l'inusuale ampiezza delle finestre, rendevano evidente che il suo aspetto era più frutto di un capriccio estetico che dell'effettiva necessità di difendersi da attacchi nemici.

Muovendosi ora a velocità ancora più sostenuta, i Cavalieri si diressero verso quel luogo, prestando maggiore attenzione al panorama dell'isola, per poter scorgere eventuali attacchi a sorpresa. Il bosco copriva la maggior parte del territorio, e solo nell'estremità opposta a quella da cui erano venuti, si potevano scorgere delle montagne dalle cime innevate, tra cui quella che sembrava la bocca di un vulcano. Man mano che si avvicinavano al castello invece, gli alberi assumevano una conformazione più ordinata, disponendosi in lunghe file, a volte persino delimitate da steccati, l'erba era tagliata bassa ed uniforme, ed erano visibili archi di pietra, fontane e cespugli di rose. Solo le tracce di alcuni detriti, ben evidenti nonostante su di essi fossero ormai cresciuti muschio e rampicanti, spezzavano l'armonia della scena.

"Devono essere i resti dell'antica battaglia tra Oberon e Maab di cui Puck ha parlato a Virgo. Mi chiedo però perchè non siano mai stati rimossi… anche se segnati dallo scorrere del tempo, la loro presenza è palese. Sembrano quasi… un memento" notò malinconicamente Andromeda osservandoli.

Nessuno aggiunse altro, ed i Cavalieri raggiunsero la cintura muraria, atterrando su di essa in mezzo alle numerose sculture raffiguranti gargoyles di pietra. Di fronte a loro, il castello era totalmente silenzioso, il pesante portone di legno chiuso.

"E' come se fosse deserto, non si avverte alcun cosmo provenire dall'interno" sussurrò Sirio, lanciando una fugace occhiata alla catena di Andromeda, rimasta immobile "Eppure è sicuramente lì, non avrebbe mai lasciato la sua isola."

Andromeda aprì la bocca per dire qualcosa, ma Pegasus scosse impazientemente la testa.

"Sembra proprio che Oberon non ci reputi neppure degni della sua divina attenzione! Ma che lo voglia o meno, dovrà riceverci! Non è più tempo per le esitazioni, Kanon e gli altri gridano vendetta!!" ringhiò balzando in avanti e sferrando un raggio di luce contro il portone, che esplose in pezzi. "Andiamo, Cavalieri!"

I cinque sfrecciarono negli ampi corridoi di pietra, prestando scarsa attenzione ai dipinti che pendevano dalle pareti o alle cotte d'armi con spade incrociate, alla ricerca di un indizio che li conducesse dal nemico, il cui cosmo era sempre impercettibile. Attraversarono numerose stanze e sale, alcune finemente ammobiliate, con le pareti tappezzate e ricche d'ornamenti, altre totalmente spartane e fredde, ma continuarono a non trovare nulla.

"Questo posto è immenso!" sbottò Pegasus, irrompendo all'interno dell'ennesimo salone e guardandosi attorno. Poi però i suoi occhi si fissarono sull'enorme porta all'estremità opposta della stanza e la sua espressione delusa mutò in una d'interesse. Oltre ad essere ben più grande di tutte quelle incontrate finora, al punto da toccare il soffitto del salone a vari metri d'altezza, quella non era di semplice legno, ma coperta da fregi a rilievo in oro massiccio. A terra, un tappeto rosso passava sotto la soglia, dividendo in due la stanza in cui i Cavalieri si trovavano, e facendo maggior attenzione i ragazzi si accorsero che l'intero salone sembrava in qualche modo disposto verso quella direzione.

"Questa dev'essere… l'anticamera della sala del trono!" realizzò Sirio.

"Lo penso anch'io. E questo significa che con ogni probabilità Oberon è dietro quella soglia!" concordò Pegasus. Il ragazzo lanciò uno sguardo veloce verso i compagni, che annuirono all'unisono, e poi scattò verso il portone.

"Veniamo da te, Oberon!" pensò di nuovo, caricando il pugno pronto a farsi largo.

A pochi passi dalla soglia però, due cose avvennero contemporaneamente: l'intero salone fu illuminato da un bagliore accecante, ed un cosmo immenso comparve innanzi ai cinque eroi, scaraventandoli facilmente indietro con un'onda di energia.

"Come osate tentare di accedere alla sala del trono! Non siete degni del suo splendore, voi che qui siete giunti come invasori! Quest'anticamera sarà teatro della vostra disfatta, anche troppo a lungo avete calcato i gloriosi pavimenti di Avalon!" tuonò una voce ricolma di autorità, facendo tremare il castello stesso con la sua potenza.

I Cavalieri alzarono la testa, e videro finalmente davanti a loro il nemico a lungo cercato: Oberon, signore dell'isola sacra. Per la prima volta poterono osservarne l'aspetto nel dettaglio: alto quanto loro, di corporatura imponente e con le spalle larghe, aveva i lineamenti squadrati, e le stesse orecchie a punta di Puck, Banshee e Titania. Proprio come la sposa, la sua carnagione tendeva all'azzurro, il che faceva risaltare maggiormente i capelli, bianchi come la neve e raccolti in una coda di cavallo lunga fino a metà delle spalle. Gli occhi erano piccoli e freddi, egualmente privi di malvagità e di bontà. Indossava un lungo mantello bianco, che scendeva dietro le spalle fino a toccare terra, con una sorta di bavero che incorniciava la testa, ed un'armatura d'oro e cremisi, che copriva la maggior parte del corpo, lasciando indifese solo la parte più alta delle braccia e delle gambe. A differenza di quelle dei Cavalieri però, era evidente che quella corazza non avesse alcun potere, proprio come le mura di Avalon era più ornamento che difesa, un mero simbolo di regale autorità.

"Finalmente ci incontriamo faccia a faccia, Oberon!" esclamò Pegasus, saltando subito in piedi "Ci hai fatto cercare parecchio, speravi che ci stancassimo e andassimo via?!"

"Mpf… presumi molto a credere che la vostra presenza fosse per me causa di interesse. Ad altro erano rivolte le mie attenzioni, ai preparativi per fronteggiare un attacco ben più pericoloso del vostro. Quello delle Olimpiche armate, che di certo presto si riverseranno su Avalon! Voi che siete misera avanguardia, siete appena degni del mio interesse!" rispose serafico, muovendo le labbra in maniera appena percettibile.

"Ci sottovaluti!" sibilò Sirio, già in posizione di guardia.

"Affatto! Il vostro valore lo conosco bene, a lungo l'ho osservato mentre seguivo con attenzione ogni atto della battaglia sull'Olimpo! L'impresa che avete compiuto è senza precedenti… mi siete stati utili oltre le mie più rosee aspettative!" disse con una punta d'enfasi.

"Utili?" ripetè Andromeda.

"Utili, si. Utili a indebolire la forza degli Olimpici, a distogliere l'attenzione di Zeus abbastanza a lungo da permettermi di agire indisturbato! E nell'istante in cui le sue difese erano abbassate, ho colpito! Ma ciò non cambia la realtà dei fatti! Anche se avete passato le ultime ore a recuperare le forze, il vostro cosmo è ben lontano dal mio: l'esito di uno scontro è già scritto!" affermò Oberon, sottolineando le ultime parole con una punta di minaccia.

"Se dovessimo ritirarci ogni qualvolta un nemico ci dice che non abbiamo speranze, trascorreremmo la vita chiusi nelle stanze di Villa Thule! I tuoi discorsi li ho già sentiti, divino Oberon, per bocca di centinaia di avversari! Ultimo tra loro è stato Zeus, ed anche lui è stato sconfitto, come tutti coloro che l'hanno preceduto! Tu non farai differenza!" ringhiò Pegasus con una punta di sarcasmo.

"Poveri stolti, vi credete invincibili senza neppure conoscere le vere ragioni delle vostre vittorie sull'Olimpo! Nondimeno, non ho astio nei vostri confronti, nè mi interessano le vostre vite! Andate via, adesso, e sarete risparmiati! Ben altri avversari mi preme affrontare!" offrì il Dio, ma Pegasus non gli lasciò nemmeno il tempo di finire e si lanciò verso di lui, incapace di trattenersi ulteriormente.

"Dovremmo accettare la generosità di chi è stato diretto responsabile della morte dei nostri amici?! Non credo proprio! Fulmine di Pegasus!!" gridò, sferrando il suo colpo segreto alla velocità della luce.

Con un movimento rapidissimo, Oberon schivò l'assalto, indicando conteporaneamente il Cavaliere con la mano e spingendolo indietro con un'onda di energia. Preparato però, il ragazzo ruotò il torso, riuscendo a frenare la spinta piantando a terra i piedi, e nello stesso momento la catena difensiva di Andromeda si legò attorno al polso destro del Dio, mentre quella d'attacco scattava in avanti.

Impassibile, Oberon l'afferrò tra il pollice e l'indice della mano sinistra, immobilizandola, e nello stesso fluido movimento, per nulla limitato dalla catena difensiva, sollevò il palmo della destra per intercettare un attacco di Cristal. Con una certa sorpresa però, il getto d'aria congelante lo spinse indietro di qualche passo, lasciando un sottile strato di brina sul suo avambraccio.

A liquefarla, fu l'energia rosata del cosmo di Andromeda, che avviluppò entrambe le catene, ritirando a se quella difensiva ed aumentando la spinta con quella d'attacco che, all'apparenza bloccata, si tese di nuovo, folgorando le dita del Dio ed obbligandolo a bloccarla con la mano intera.

"Ti abbiamo già avvisato, non siamo avversari facili per nessuno! Onda del Tuono!" gridò Andromeda, scagliando di nuovo in avanti la catena di difesa, che schizzò a zig-zag verso il bersaglio.

"Bada, mortale!" ringhiò Oberon, colpendo a mezz'aria la catena con il dorso della mano e deviandola via, per poi sferrare un'onda di energia contro Andromeda, sbilanciato all'attacco.

Con un balzo, Sirio intercettò l'assalto con quello che restava dello scudo, proteggendo il compagno. Nello stesso fluido movimento, sostenendo lo sguardo irato del signore di Avalon, Dragone scattò in avanti, concentrando il cosmo nel pugno destro e mantenendo lo scudo sollevato con il sinistro.

"Quell'armatura rinata grazie all'abilità del nano Etri ti ha permesso di sopravvivere al potere dell'Olimpo… ma ormai non è altro che un'ombra ricoperta di crepe, inadatta di fronte alla celeste pienezza che è Oberon!" esclamò il Dio, lanciando un raggio più potente. In quel momento però, Sirio si gettò di lato, rotolandosi a terra, e nel punto in cui si trovava fino ad un istante prima comparve Phoenix, avvolto dalle fiamme e teso all'attacco.

"Ad affrontare nemici ben più potenti di noi siamo abituati, non è certo con la sola forza che speriamo di sconfiggerti! Colpo Segreto del Drago Nascente!!" tuonò l'eroe, scatenando il suo colpo segreto da posizione decentetrata.

"Ali della Fenice!!" lo accompagnò Phoenix, attaccando frontalmente.

Aggrottando le sopracciglia, Oberon abbandonò la presa sulla catena di Andromeda e sollevò le mani di fronte a se, con i palmi rivolti verso l'esterno, ricevendo in pieno l'attacco combinato e disperdendolo, seppur con una smorfia di fatica. Il signore di Avalon poi sbattè le mani un'unica volta, come per applaudire, scatenando un'onda d'urto che scaraventò Dragone e Phoenix contro le pareti della stanza.

Non appena cercò di fare un passo verso di loro però, si accorse che attorno alle sue gambe si stava materializzando uno spesso strato di ghiaccio, e con la coda dell'occhio vide Cristal bruciare intensamente il suo cosmo, congelando il pavimento di pietra attorno a se.

"Notevole… un ghiaccio capace di rallentare persino una divinità! Ma non è certo abbastanza per fermarla!" dichiarò, spaccandolo con un deciso movimento delle gambe. Nello stesso momento, tagliò l'aria con un fendente, generando una folata di vento che investì in pieno il Cigno, sbattendolo contro il muro.

Prima di poter proseguire l'offensiva però, Oberon si bloccò, percependo un cosmo carico di energia sfrecciare verso di lui, e voltandosi di scatto afferrò con la mano il pugno di Pegasus, che si era lanciato di nuovo all'attacco. Circondato da un'aura sfavillante, il Cavaliere spinse in avanti, fissando i gelidi occhi del Dio che aveva di fronte.

Per qualche secondo, Oberon ricambiò il suo sguardo con uno di vaga sorpresa, poi la bocca si allargò in un sorriso freddo "Nonostante tutto, sembra che avessi davvero sottovalutato la vostra forza… la battaglia dell'Olimpo vi ha fatti crescere nel corpo e nello spirito! Il nono senso, fonte di suprema grandezza, abisso che divide gli uomini dagli Dei… state iniziando a colmarlo… a dominarne i poteri! Non siete più gli stessi che hanno sconfitto Hades!"

"No, non più! Siamo quelli che sconfiggeranno te adesso!" rimarcò Pegasus con convinzione, aumentando inutilmente la spinta.

A queste parole, il sorriso di Oberon si allargò in uno di scherno "Sciocco presuntuoso! Il fatto che riconosca la vostra forza non significa comunque che debba temerla! Per voi, io sono e resterò un astro inarrivabile… un faro la cui luce sarà fonte di disperazione anzichè sollievo! Della mia vera possanza… non avete visto che un flebile riflesso!" sibilò, e in quel momento dal suo pugno partirono vampe infuocate, il cui calore penetrò senza sforzo la danneggiata armatura di Pegasus, obbligandolo a saltare indietro avvolto dalle fiamme.

"Ma che cosa… un attacco di fuoco?!" balbettò il ragazzo, lottando furiosamente per spegnere l'improvviso incendio che lo aveva avviluppato, ma crollando in ginocchio dopo qualche secondo, sopraffatto dal calore.

"Resisti, Pegasus!!! Polvere di Diamanti!!" gridò Cristal, accorgendosi del pericolo e stemperando appena in tempo le fiamme con il suo gelo. Il Cavaliere del Cigno si schierò subito a difesa dell'amico per proteggerlo da ulteriori attacchi, espandendo il suo cosmo di ghiaccio in direzione di Oberon, che sollevò minaccioso la mano.

"Sogni di poter contrastare il mio potere con il tuo?! Contempla le fiamme che tutto ardono, lasciando un oceano di cenere al loro passaggio! Vortice di Vampe Eterne: Sìorruidh Àin Feàrsaid!" tuonò, scatenando un turbine di fuoco contro i due amici.

"Innalzati fino allo zero assoluto, mio cosmo! In nomine tuo, Acquarius!!" ribattè Cristal, sollevando le mani congiunte sopra la testa per il colpo supremo delle energie fredde.

In una frazione di secondo, le due energie si scontrarono, liberando un'ondata di vapore, ma un'istante dopo le fiamme di Oberon ebbero il sopravvento, dissolvendo i ghiacci del Sacro Acquarius ed investendo Cristal e Pegasus.

Dagli angoli opposti della stanza, Sirio e Phoenix scattarono immediatamente in loro soccorso, ma ad un gesto di Oberon un muro di fiamme comparve innanzi a loro, spingendoli indietro a guardare impotenti gli amici che venivano avvolti dalle vampe.

"E' incredibile… il suo fuoco è persino più potente di quello di Estia! Se non facciamo subito qualcosa le armature fonderanno!" realizzò il Cigno, allargando disperatamente le braccia per erigere di fronte a loro un muro protettivo di ghiaccio, ma non ottenendo che un attimo di respiro prima che anche quella barriera venisse liquefatta.

"Non riesco… a resistere!" mormorò zuppo di sudore, stentando a restare cosciente, e accorgendosi con la coda dell'occhio che Pegasus aveva perso i sensi ed era crollato a terra, dove stava affondando nel pavimento di pietra, che si stava sciogliendo per il calore estremo.

Improvvisamente, il dolore sembrò aumentare, come se un vento intensissimo stesse spingendo contro di lui l'aria infuocata, ma poi pian piano le fiamme iniziarono a spegnersi, permettendogli di vedere una figura in piedi di fronte a lui e l'amico.

"Ruota, Catena di Andromeda, e disponiti a difesa!!" comandò il discepolo di Albione, facendo vorticare la sua arma talmente velocemente da creare un vero e proprio mulinello, nel cui occhio si trovavano i tre eroi. Ben presto, la catena divenne di un rosso incandescente, ma la sua rotazione non accennò a rallentare.

"Il risucchio… sta spegnendo le fiamme privandole dell'ossigeno!" intuì Cristal crollando in ginocchio "Andromeda…".

"Un tempo il fuoco era uno dei punti deboli della mia catena, i suoi anelli erano troppo radi per fermarlo! Ma col passare del tempo, essa è diventata sempre più potente, più impenetrabile… ed in questa forma divina neppure le vampe del più profondo degli abissi infernali potrebbero impensierirla se la faccio ruotare abbastanza velocemente!" affermò il ragazzo, stringendo nel pugno l'arma triangolare "E ora, incurante del fuoco vai, catena di attacco!!"

Al suo ordine, la catena schizzò ancora una volta in avanti, attraversando le fiamme in direzione di Oberon, che non accennò neppure una difesa. A pochi metri dal bersaglio però, essa sembrò bloccarsi, e cadde a terra inanimata.

"Non è possibile!" trasalì Andromeda con gli occhi sbarrati.

"Le fiamme eterne non sono certo l'unica arma di cui sono dotato… visto che ne rifiuti il calore, opposta sarà la tua sorte! Che i cieli si aprano, e che la tua disfatta giunga avvolta da una gelida coltre! Danzate, nevi! Cathadh Danns" gridò, alzando la mano al cielo.

Di fronte agli occhi sbalorditi di Andromeda, la parete alle spalle del Dio, una di quelle laterali in direzione dell'esterno, andò in pezzi, lasciando penetrare una gelida tormenta di neve, che si abbattè sulla catena difensiva coprendola di ghiaccio.

"É un gelo innaturale… alla soglia dello zero assoluto!" avvertì immediatamente Cristal, ancora a terra accanto a Pegasus.

"Devo muovere la catena, o sarà congelata! Catena di Andromeda!!" intuì l'eroe, scuotendo la propria arma affinchè respingesse il gelo. Ma in quello stesso momento, la catena di difesa tintinnò come un diapason, rallentando fino a fermarsi, e con un rumore di vetri infranti andò in pezzi, davanti allo sguardo sbalordito e incredulo del Cavaliere.

"No… non è possibile…! Neppure lo zero assoluto dovrebbe riuscire a distruggerla ormai… eppure non è incubo o illusione, la difesa su cui contavo maggiormente è in pezzi!" balbettò con gli occhi sbarrati.

"E' stato… tutto calcolato! Quando la Danza delle Nevi ha colpito, la catena era ancora incandescente per il calore del vortice di fuoco… l'improvviso e drammatico sbalzo di temperatura l'ha indebolita più del gelo stesso, mandandola in frantumi! Oberon non è solo forte… ha saputo combinare le sue tecniche per ottenere il risultato più devastante!" riflettè Cristal, fissando preoccupato il Dio di Avalon, attorno al quale danzavano insieme scintille di fuoco e fiocchi di neve, e cercando di rimettersi in piedi, mentre Andromeda stringeva con entrambe le mani la catena di attacco, che sembrava starsi lentamente scuotendo dalla paralisi di poco prima.

"Un lodevole sforzo, preferite vivere i vostri ultimi attimi restando ben saldi sulle gambe!" disse freddamente Oberon, sorridendo "In nome di cotanto coraggio, vi concederò di cadere da guerrieri: nè il ghiaccio nè il fuoco distruttore saranno vostri carnefici, ma una tempesta di cerulei aghi! Abhainn Snàthad Sian".

A questo comando, parte del ghiaccio attorno al Dio si sciolse, trasformandosi in un numero incalcolabile di particelle d'acqua, che per un istante galleggiarono placidamente di fronte a lui, prima di schizzare contro i due Cavalieri ad una velocità superiore a quella della luce.

"Sono… degli aghi d'acqua!!" riuscì appena a gridare Andromeda, poi lui e Cristal vennero investiti in pieno e sbalzati all'indietro da migliaia e migliaia di sottilissimi aculei, che trafissero le loro carni e l'armatura, infilandosi tra le numerose crepe e riuscendo persino a perforarla.

In quel momento, il muro di fiamme che circondava i tre combattenti fu tagliato in due, aprendo un corridoio dal quale emersero Phoenix e Dragone, la cui mano destra, aperta a taglio, era circondata da un alone di cosmo. I due si guardarono intorno per un attimo, accorgendosi dei due amici in pericolo.

"Andromeda!" gridò Phoenix, saltando verso di loro, ma prima che potesse raggiungerli, gridando di dolore i due ragazzi sbatterono rovinosamente contro la parete alle loro spalle, crollando a terra in un lago di sangue.

"Li ha abbattuti in pochi secondi! La forza di Oberon… sembra persino superiore a quella di Zeus! Ma come può essere, tra loro non dovrebbe esserci una tale differenza…" pensò preoccupato Sirio, i cui occhi si mossero rapidamente da Pegasus a Cristal ad Andromeda, che ora giaceva immobile tra le braccia di Phoenix.

"Fratello…" mormorò a denti stretti il ragazzo, per poi voltarsi rabbiosamente verso Oberon, avvolto nel suo cosmo di fuoco.

"Signore di Avalon, ora conoscerai la collera di Phoenix!" ringhiò, lanciandosi all'attacco.

"«La collera di Phoenix»… dovrei temerla? Misera cosa è la sfuggevole rabbia di un uomo, ben altre ire ho affrontato in passato!" lo schernì Oberon, circondandosi di nuovo di aghi d'acqua "Abhainn Snàthad Sian".

"Non bastera!" sibilò il Cavaliere, e anzichè rallentare il passo balzò direttamente nella tempesta di aghi, bruciando al massimo il suo cosmo. Il calore sviluppato fu tale che gli aculei d'acqua si trasformarono instantaneamente in innocuo vapore prima di raggiungerlo, ed in pochi istanti Phoenix fu ad un passo da Oberon, il pugno sollevato pronto a colpire.

Con sua enorme sorpresa, un muro di danzanti fiocchi di neve si frappose tra lui ed il bersaglio, avvolgendo il suo pugno in un guanto di gelo talmente intenso da annullare il fuoco cosmico.

"Abbandona gli impuri sogni di vittoria, il tuo fato è già scritto! Cathadh Danns!" sussurrò il Dio dell'isola delle nebbie, e la danza di neve si trasformò in tormenta, travolgendo con violenza l'eroe.

Nel medesimo secondo in cui Phoenix veniva scagliato via però, un dragone di energia saettò dal lato opposto in direzione di Oberon.

"Difendersi dall'assalto di Phoenix l'ha obbligato a scoprirsi, potrebbe essere vulnerabile ora!" pensò Sirio.

Oberon parve non accorgersi neppure della minaccia incombente e non sollevò alcuna difesa, limitandosi a piegare leggermente la testa in direzione di Dragone, con fare quasi annoiato. Per un attimo, gli sguardi dei due si incrociarono, e dagli occhi gelidi del Dio Sirio percepì provenire una sensazione di fine imminente. Reagendo d'istinto e spiegando quel che restava delle ali della sua armatura divina, cambiò repentinamente direzione. Un istante dopo, un oceano di fiamme mortali avvolse il punto in cui si era trovato.

"E' la tecnica di prima, il Sìorruidh Àin Feàrsaid! Può controllare sia il fuoco che le nevi contemporanamente!" realizzò Sirio, sforzandosi di evitare le vampe divine che cercavano di abbatterlo nonostante lo spazio relativamente ristretto della stanza, poco adatta al volo.

Intuendo i suoi pensieri, Oberon sorrise sarcasticamente "Dalle battaglie contro Apollo ed Efesto ti credevo più saggio! Illudersi che potessi controllare una sola tecnica alla volta è leggerezza imperdonabile, non vi è limite ai miei poteri! Abhainn Snàthad Sian!"

Ancora una volta, la tempesta d'aghi d'acqua saettò all'attacco, trafiggendo in pieno la gamba sinistra di Sirio, e nello stesso momento le fiamme vorticanti lo raggiunsero al lato destro della schiena, distruggendo del tutto l'ala già danneggiata, e facendo precipitare malamente l'eroe.

Con la vista annebbiata per il dolore, Dragone percepì più che vedere la nuova scarica dell'Abhainn Snàthad Sian, ma il suo corpo, stordito e reso insensibile dal dolore, rifiutò di muoversi. A proteggerlo, giunse inaspettata una tempesta di fasci di luce azzurri, che si scontrarono a mezz'aria con gli aghi d'acqua.

"Fulmine di Pegasus!!!" gridò una voce ben nota, e, volando sulle ali della sua armatura divina, il discepolo di Castalia superò Sirio a tutta velocità, attaccando Oberon frontalmente.

Temendo per lui, Dragone aprì la bocca per gridargli di cambiare strategia, quando si accorse che Pegasus non era solo. Phoenix e Cristal si erano infatti ripresi, e si stavano avventando lateralmente sul nemico, sfruttando le nature dei loro cosmi per resistere alle ondate di fuoco e ghiaccio che lo circondavano.

"Se hai davvero spiato con attenzione tutte le nostre battaglie sull'Olimpo, dovresti sapere che non ci arrendiamo mai, non importa quanto forti siano gli avversari che abbiamo di fronte! Fuoco, neve o pioggia non ti basteranno a sconfiggerci!!" gridò Pegasus, imprimendo un'energia sempre maggiore nel suo colpo segreto, mentre anche Cristal e Phoenix facevano lo stesso su entrambi i lati.

Ma nonostante l'esplodere di cosmi che si stava per abbattere su di lui, Oberon rimase impassibile, limitandosi a fissarli.

"Il coraggio non vi fa difetto, ma la saggezza non è certo pari! Continuate a non capire la vera natura dei poteri al mio servizio! Non sono certo fuoco o ghiaccio le uniche armi a mia disposizione, il vento stesso obbedisce ai miei ordini, mutandosi in affilate lame! Àile Lan!" esclamò perentorio, e folate di vento intensissimo spirarono dal suo corpo in tutte le direzioni, scavando sottili solchi sul pavimento di pietra ed investendo frontalmente i tre Cavalieri. Per qualche attimo, gli eroi sembrarono solo sospesi in aria, incapaci di muoversi in avanti mentre la loro spinta offensiva si esauriva, poi l'impeto del vento colpì in tutta la sua potenza, scaraventandoli in aria e scheggiando in più punti le loro armature con tagli diagonali. Laddove le corazze erano già danneggiate inoltre, il vento aprì tagli profondi, facendo schizzare flotti di sangue che, catturati dalle correnti, fluttuarono sospesi, tingendo in pochi attimi l'aria di una macabra nebbia cremisi.

"Se non faccio qualcosa i loro corpi saranno fatti a pezzi!" pensò preoccupato Sirio, rimettendosi in piedi e preparandosi ad attaccare il sovrano dell'isola. Ma non appena ebbe compiuto due passi, Oberon girò leggermente la testa nella sua direzione, investendo anche lui con le lame di vento.

"Portate pazienza, pochi istanti ancora e la vostra sofferenza finirà!" sibilò il Dio con distacco.

In quell'istante, qualcosa sfrecciò davanti ai suoi occhi, venendo respinta dal vento, ma incuriosendolo abbastanza da fargli quietare le correnti per poter vedere meglio. La nebbia di sangue si mutò in pioggia grondando al suolo, accompagnata dai quattro Cavalieri che crollarono a terra agonizzanti. A meno di un metro dal suo viso, sospesa in aria come la testa di un serpente, vi era la punta scheggiata della catena di attacco di Andromeda.

"Anche tu hai ripreso i sensi… il tuo cosmo è meno aggressivo di quelli dei tuoi compagni, speravi di potermi cogliere impreparato?" domandò vagamente incuriosito. Nel far ciò, guardò distrattamente il viso del giovane nemico, ed il suo interesse aumentò. Lungi dall'apparire assetato di lotta o bellicoso, Andromeda portava sul volto i segni di un profondo dolore interiore.

"Questo spirito minaccioso teso alla battaglia… quanto ho sperato di non doverlo più avvertire nei cuori dei miei amici!" sussurrò, con lo sguardo perso nel vuoto.

"Nel momento in cui abbiamo sconfitto Zeus, eravamo… così felici! Pensavamo che sarebbe stata l'ultima battaglia, che più nessuna forza del male sarebbe comparsa per attentare alla vita di Atena! E avevamo vinto senza perdere nessun compagno… i Cavalieri d'Oro erano di nuovo assieme a noi, il dolore del loro sacrificio in Ade ormai dimenticato!"

"Eppure, in un solo giorno, il tuo attacco ha distrutto tutto questo! Imprigionati sull'Olimpo, siamo stati costretti a percepire i cosmi di amici che per noi sono come fratelli esplodere più e più volte, brillando come stelle e precipitando negli abissi dell'oblio! Li abbiamo sentiti cadere e rialzarsi, gioire e soffrire, colpire ed essere colpiti… e tre di loro… morire!" proseguì, alzando ora gli occhi a fissare quelli di Oberon. Con una certa sorpresa, il Dio si accorse che non c'era traccia di accusa nello sguardo del ragazzo, solo dolore.

"Anche per te dev'essere stato lo stesso… anche tu devi aver sentito i cosmi dei tuoi figli e Guardiani… della tua stessa sposa, spegnersi per compiacerti! E' stato davvero necessario tutto questo? Il tuo odio per l'Olimpo è talmente grande da giustificare un simile massacro?!" domandò con trasporto, un trasporto tale da far muovere qualcosa nelle profondità dell'animo di Oberon, come se una porta a lungo serrata stesse improvvisamente cercando di riaprirsi in fondo al suo cuore.

Ignorandola, il Dio sostenne con freddezza gli occhi del Cavaliere "E' stato necessario, si, altro non posso dirti. Secoli fa, Zeus e Odino mi mossero un grave torto, che per poco non decretò la fine di tutto quel che avevo faticosamente creato e costruito. La vendetta che oggi finalmente assaporo la bramo da allora, poche vite, anche se dei miei sudditi o della mia sposa, sono un giusto prezzo per poter finalmente bere da quel dolce calice!"

"Il torto cui ti riferisci è la battaglia contro la regina Maab, ne siamo a conoscenza! Ma sono passati millenni da allora, e le ragioni del mancato intervento di Zeus e Odino ancora non le conosci! Prima di muovere guerra…" cercò di persuaderlo il ragazzo, ma Oberon lo interruppe con decisione.

"Ora basta! Non pretendere di poter capire le ragioni degli Dei, tu che sei semplice mortale! Il dado è già stato tratto, la battaglia è l'unica via possibile! Affrontami… o cadi insieme ai tuoi compagni!"

"Combattere o morire… crudele è il destino che così tante volte mi ha messo davanti a questa scelta! La risposta l'ho decisa tanto tempo fa… se non intendi tornare sui tuoi passi, altrettanto farò io…" disse malinconicamente Andromeda, chinando il capo e ritraendo a se la catena, mentre un cosmo brillante lo circondava. Un attimo dopo, anche dal suo corpo sembrò sprigionarsi un potente vento.

"La Nebulosa di Andromeda…" la riconobbe Oberon.

"La Nebulosa di Andromeda, tempesta che tutto travolge! Anche con la forza del nono senso, non so se funzionerà contro un Dio tuo pari, ma ugualmente non esiterò!" esclamò l'eroe, scatenando la piena forza del suo colpo segreto, che si abbattè sul signore di Avalon rimasto completamente immobile.

Per un attimo, l'impeto del vento nascose Oberon agli occhi di Andromeda, e sembrò davvero che il Dio fosse destinato ad essere spazzato via dalla forza dell'uragano.

Poi però attorno al suo corpo si creò come una bolla di vuoto, di fronte alla quale il potere della Nebulosa veniva facilmente disperso nelle altre direzioni. Una difesa che ad Andromeda non era nuova, avendo già scorto qualcosa di simile sull'Olimpo, nel corso del duello con Eolo.

"Stai usando le tue correnti come scudo!" comprese.

"Per le mie lame di vento, che possono penetrare persino la più resistente tra le armature, è misero sforzo deviare le tue raffiche, per quanta energia sia in esse impressa! Un piccolo cenno ed esse non si limiteranno più a difendere, sei pronto a subirne il filo sul tuo fragile corpo?" minacciò Oberon, senza lasciar trasparire alcun sentimento.

Andromeda non rispose nulla, limitandosi a bruciare ancora di più il suo cosmo e intensificare la potenza della Nebulosa. Annuendo solennemente, Oberon sollevò la mano nella sua direzione, sibilando "Àile Lan", e la sua corrente difensiva si mutò in una d'attacco, sferzando l'aria attorno al Cavaliere.

Numerosi tagli e scheggiature comparvero sull'armatura dell'eroe, prima superficiali e sottili, poi sempre più profondi, man mano che i venti colpivano ripetutamente gli stessi punti. E come era già stato per Pegasus e gli altri, laddove la corazza era assente o già in pezzi, dalle carni di Andromeda schizzarono flotti di sangue.

Ma per quanto intenso e crescente fosse la sofferenza, Andromeda non cadde, continuando a concentrare tutto se stesso nella Nebulosa, alla disperata ricerca di un'apertura nella difesa del nemico, di un varco da poter sfruttare almeno una volta, per dare ai compagni una speranza di vittoria. Anzichè liberare quest'immensa energia però, Andromeda la raccolse dentro di se, lasciandola accumulare e concentrare più che poteva, emettendone solo una piccola parte, nonostante questo lo esponesse maggiormente alla forza dell'Àile Lan.

Chiudendo gli occhi, ripensò ai giorni dell'addestramento, a quel potere che aveva sentito crescere dentro di se, e che aveva imparato a trattenere e controllare, come sempre timoroso di poter inavvertitamente ferire i compagni di addestramento o il maestro Albione. Quel potere che aveva finalmente rivelato nella tragica battaglia della casa dei Pesci, e cui da allora aveva dovuto far ricorso sempre più spesso, di fronte alla crescente forza dei nemici, nonostante ciò andasse contro la sua più intima natura.

Continuò ad concentrarlo, anche quando sentì il proprio corpo reagire con spasmi di dolore all'accumulo di quell'incontrollabile energia. E poi, all'ultimo istante, spalancò gli occhi, dando fondo a tutte le sue forze.

"Anche ad un passo dall'estinzione, brucia mio cosmo, fino ai limiti massimi!! Nebulosa di Andromeda… ancora una volta ti affido la mia vita… libera dai vincoli scatena tutta la tua immensa forza e colpisci!!" gridò, facendo esplodere il suo cosmo e scagliando l'attacco alla massima potenza di cui era capace.

Con un ululato assordante e la forza compressa di un uragano, l'energia si abbattè sul signore di Avalon, talmente selvaggia da strappare la roccia dal pavimento ed interrompere l'offensiva dell'Àile Lan. Pur spossato per lo sforzo, Andromeda non osò abbassare la guardia, continuando per diversi secondi l'attacco, anche quando il respiro si fece affannoso e la vista cominciò ad appannarsi. Poi, finalmente, la speranza di vittoria si affacciò in lui, strappandogli un accenno di sorriso.

Non durò che un attimo.

Divisi da una forza invisibile, i venti si aprirono, rivelando il signore di Avalon avvolto nel bagliore del suo cosmo, ancora perfettamente incolume, come se fosse stata solo una leggera brezza primaverile a infastidirlo. Nell'incrociare il suo sguardo, chiaramente sgombro da preoccupazione, Andromeda sentì improvvisamente le forze abbandonarlo.

"Un tentativo degno di rispetto… forse neppure i miei figli avrebbero potuto resistere ad un attacco di tale portata. Ma purtroppo per te, il tuo nemico è Oberon, signore della terza razza, e l'abisso che ci separa è troppo vasto perchè le tue sole forze bastino a colmarlo! Àile Lan!!" comandò il Dio con distacco, scagliando ancora una volta le lame di vento, che attraversarono senza sforzo i venti della Nebulosa, abbattendosi sul corpo del Cavaliere. Con un grido di dolore, Andromeda venne scaraventato indietro.

"E' stato dunque inutile… questo mio ultimo sforzo?" si chiese amareggiato, chiudendo gli occhi.

Non fu però l'impatto con la parete a fermarlo, ma una sensazione di freddo e la gentile presa di due mani amiche, che lo afferrarono per le spalle, girando il suo corpo per proteggerlo dall'assalto nemico.

"Non vorrai già lasciarci? E' ancora presto per arrendersi!" lo incoraggiò una voce, e riaprendo gli occhi l'eroe vide davanti a se Cristal fargli da scudo, sfruttando una spessa barriera di ghiaccio.

Accertatosi delle condizioni dell'amico, il Cigno osservò preoccupato il muro appena eretto. Nonostante la sua resistenza fosse pari, se non persino superiore, a quella del Sarcofago di Ghiaccio di Acquarius, le lame di vento lo stavano dilaniando facilmente, e presto avrebbero ripreso ad abbattersi su di loro.

Nel momento in cui esso crollò tuttavia, Oberon interruppe il suo attacco, fissando Cristal con vaga curiosità.

"Tu… tutti voi, continuate a rifiutare sia la resa che l'oblio. Una cieca determinazione brilla nei vostri cuori… e per questo mi chiedo: che cosa la sostiene? Quale recondita ragione anima a tal punto i vostri spiriti? Nella vita di un guerriero, la morte di un compagno è fedele costante ed ineluttabile certezza… il dolore della perdita tanto più profondo quanto forte era il legame che vi univa. Ma voi, che non avete ancora compiuto neppure un'intera esistenza, quanto tempo potete aver trascorso al fianco di color che son caduti? Mesi… pochi anni forse… null'altro che un battito di ciglia, gocce di rugiada di fronte all'immensità del mare del tempo! Un lasso troppo breve per forgiare legami talmente profondi da spingere a rischiare la vita pur di vendicarli!" affermò.

Questa riflessione accigliò visibilmente Cristal, che facendo un passo in avanti serrò il pugno con frustrazione, scoccando al nemico evidenti occhiate di sdegno, incurante della sua forza.

"Parole bizzarre le tue, sovrano di Avalon! Bizzarre ed incoerenti se pronunciate da chi ha fatto scoppiare una guerra e mandato uomini al massacro solo per vendicare il proprio onore ferito! E' vero… poco è tutto sommato il tempo da cui conosciamo i Cavalieri d'Oro… siamo stati persino nemici in passato, vittime di inganni ed oscure trame… ma ciò non ha alcun riflesso sul legame che ci unisce! Noi cinque… loro… gli altri Cavalieri di Bronzo… siamo fratelli che hanno sempre combattuto spinti dal medesimo ideale, che insieme hanno imparato a gioire e a soffrire, assaporato l'estasi della vittoria e l'amarezza della sconfitta! Non potremmo mai ignorare la morte di alcuno di loro, non in un conflitto scatenato per ragioni talmente futili! Ma come puoi capire tu, che non ti rammarichi neppure della caduta della tua sposa o dei tuoi stessi figli?! Chi è incapace di versare lacrime di fronte a tali sacrifici, accecato solo da desideri di rivalsa, potere o gloria, non è per Cristal nè Dio nè uomo, ma soltanto un nemico da abbattere! Metti da parte la tua falsa curiosità, e preparati allo scontro!!" ringhiò, sollevando le mani sopra la testa e facendo esplodere il suo cosmo.

Di fronte a questo discorso, Oberon rabbrividì. Non per timore o ammirazione, ma perchè, come quelle di Andromeda prima di lui, le parole appassionate del Cavaliere spinsero qualcosa a muoversi dentro di lui, stavolta con più forza, come in un disperato tentativo di emergere dagli abissi della dimenticanza. Immagini e sensazioni a lungo sepolte si affacciarono alla mente del Dio, memorie vaghe e indistinte di un tempo lontano in cui lui stesso si sarebbe battuto per gli ideali che il suo giovane avversario aveva appena espresso.

Ma non fu che un attimo, poi i ricordi scomparvero in un manto di ombra, e l'espressione di Oberon tornò ad essere un misto di disinteresse e arroganza.

"Parole cariche di disprezzo le tue, tipiche di un uomo che non riesce a vedere oltre la propria mortalità! Parole vuote, come le minacce che porti! Libera pure l'impeto dei ghiacci su cui sei immeritevole sovrano, che il tuo ultimo gesto in questa vita sia votato agli ideali in cui tanto credi!" lo sfidò.

"Che la forza del nono senso mi conceda una speranza di vittoria! Per il Sacro Acquarius!!" gridò Cristal, colpendo con tutta la forza che ancora gli restava.

Senza neppure accennare una difesa, Oberon rimase immobile lasciandosi colpire.

Il gelo del colpo supremo delle energie fredde si abbattè su di lui come una tormenta, e sottili strati di brina comparvero su qualche punto dell'armatura o tra i capelli, agitando il mantello alle sue spalle. Ma ciononostante, il sovrano di Avalon rimase impassibile, privo di qualsiasi danno evidente, e la facilità con cui teneva testa al suo colpo più potente fece piombare Cristal nella disperazione. Sentendo le forze abbandonarlo, il ragazzo iniziò ad abbassare le braccia, ed a disperdere l'energia dell'attacco.

Prima che potesse farlo però, gli occhi di Oberon si spalancarono di scatto, anticipando di una frazione di secondo una pioggia di fasci di luce, che si schiantarono ad altissima velocità contro il suo corpo, facendolo barcollare un attimo, più per la sorpresa che per l'impatto.

"Sei completamente uscito di senno?!" esclamò Pegasus a Cristal, in tono apparentemente oltraggiato, portandosi accanto a lui senza però interrompere l'assalto "Non avremmo mai sconfitto alcun nemico se ci fossimo lasciati scoraggiare dalla loro forza! Non importa quanto grande sia il potere di Oberon, esso non si fonda su solide radici, non è sorretto da mura di giustizia e amicizia, ma solo da effimere fondamenta d'orgoglio e brama! Una forza così priva di virtù non potrà mai sconfiggerci!!"

"Anche Zeus sembrava invincibile, e prima di lui Hades, Nettuno, Ilda e Gemini! La forza dei tiranni non ci ha mai spaventato! Colpo Segreto del Drago Nascente!" lo appoggiò Sirio, appena rimessosi faticosamente in piedi.

"Egli è accecato da se stesso, proprio come lo ero io un tempo! Riusciste a sconfiggermi trovando nei vostri cuori la forza per superare il mio cosmo… nello stesso modo vinceremo Oberon stavolta! Non importa quanto grande sia l'energia che ha a disposizione! Ali della Fenice!!" si unì Phoenix, dopo essersi sincerato per un attimo delle condizioni di Andromeda.

Annuendo accanto a lui, il discepolo di Albione sollevò di nuovo i venti della Nebulosa, e nel vedere i compagni di nuovo pronti alla battaglia e fiduciosi nella vittoria, Cristal sentì un nuovo vigore avvolgerlo, riprendendo l'attacco con rinnovata fiducia.

Le pareti e il pavimento della stanza si incrinarono o spaccarono, il mobilio ed i tappeti andarono in pezzi, ghiaccio e scintille danzarono nell'aria. Al centro del loro assalto, avvolto da luce e neve, fuoco e uragano, Oberon rimase immobile, con gli occhi sbarrati. La furia dei colpi segreti neppure lo scalfiva, ma c'era qualcosa nella luce che brillava negli sguardi dei suoi nemici che lo faceva esitare, quasi desiderare la sua stessa sconfitta. I suoi arti rifiutavano di muoversi, il suo cosmo non riusciva più a bruciare.

"Avrei potuto distruggerli dal primo momento in cui hanno messo piede ad Avalon, ma qualcosa me lo ha impedito! Che cosa mi succede, quale maledizione è mai questa, che i miei immortali arti del loro vigore priva?!" si chiese frustrato, fissando ancora più intensamente i nemici.

Ed in quel momento la vide.

In mezzo ai cinque Cavalieri c'era una sesta figura, trasparente come uno spettro, che lo fissava con commiserazione. Una figura dalla carnagione azzurra e dai lunghi capelli bianchi, con le orecchie a punta ed indosso un'armatura d'oro e cremisi.

"Ma quello… sono io! Che… che significa?!" sussurrò trasalendo, incapace di sostenere il peso dell'accusa negli occhi dell'altro Oberon, e nel contempo di distogliere lo sguardo.

Colui che aveva di fronte era uguale a lui, e nel contempo diverso. Il viso rendeva impossibile decifrarne l'età, ma l'espressione era più giovanile e sollevata, priva delle ombre che vi si erano accumulati negli ultimi secoli. Ma la parte più dolorosa da fissare erano gli occhi, caldi, puri e cristallini, colmi ed insieme bramosi di giustizia, scevri da qualsiasi traccia di malvagità o freddezza. Occhi che Oberon non aveva più visto da tempi immemori, e che stentava a ricordare. Occhi del tutto identici a quelli dei cinque Cavalieri di Atena.

"Che ne è del tuo sogno di amore e giustizia? Che cosa sei diventato, Oberon?" gli chiese lo spettro, parlando direttamente al cuo cuore.

Con un grido di dolore, il signore di Avalon crollò in ginocchio, stringendosi la testa con le mani. Più e più immagini si affollarono nella sua mente: il matrimonio con Titania, i viaggi per il mondo, i sorrisi ai progressi degli uomini che vivevano nel suo territorio, le discole monellerie di Puck, il saluto dei Guardiani, e la loro evidente fierezza nel servire la sua causa.

"Volevi proteggere il mondo dal male, ricordi? Sincero desiderio di giustizia guidava i tuoi passi! Gli ideali che un tempo muovevano te, muovono questi giovani Cavalieri ora! Non è troppo tardi, poni fine a questo duello e torna quel che eri nato per essere!" lo esortò la voce, con trasporto e vigore sempre maggiori, e solo nel prendere in considerazione questa possibilità, Oberon sentì il proprio cuore alleggerirsi.

"Io…"

In quel momento però, un'ombra calò sui suoi occhi, celando l'altro se stesso e i Cavalieri, precipitandolo nell'oscurità. Dal buio, due figure emersero davanti a lui, guardandolo con scherno e sarcasmo: Zeus e Odino, alti abbastanza da sovrastarlo.

"Combatti le tenebre, Oberon! Combattile anche per noi! Combattile al posto nostro!" esclamarono, scoppiando a ridere all'unisono.

Quella risata riecheggiò in profondità nella mente e nel cuore del Dio, cancellando qualsiasi altra immagine vi avesse fatto capolino. Un'ondata di furia avvampò nel signore di Avalon, che si rialzò di scatto, ogni traccia di luce scomparsa dai suoi occhi. Di fronte a lui, l'altro Oberon indietreggiò tremulando.

"Non… farlo…" sussurrò in voce appena percettibile.

"Non sarò più vittima di inganni, da parte di nessuno! E' tempo che questa battaglia abbia fine!" tuonò il Dio, allargando di scatto le braccia, ora di nuovo colme di energia e vitalità. Un'ondata di tremenda energia distruttiva esplose, cancellando lo spettro e scontrandosi con i cosmi uniti dei Cavalieri, in un'impari lotta.

"Che sta succedendo?! Il suo cosmo, che sembrava sul punto di sparire, ora brilla con straordinario vigore! E' troppo potente!!" gridò Pegasus, iniziando a venire spinto indietro.

"Piccoli stolti, ora conoscerete la vera potenza che è Oberon! Soffiate, venti del nord, e spazzateli via!!" urlò innalzando le braccia lo sposo di Titania, ormai privo di ogni controllo.

Una tempesta di vento come mai mortale aveva visto esplose dal suo corpo, travolgendo i cinque eroi, e scaraventandoli contro le pareti, la cui resistenza non era però sufficiente a trattenere la collera divina. Le spesse mura di pietra andarono in pezzi, più e più volte, mentre i Cavalieri venivano scaraventati attraverso le varie stanze del castello, fino all'ultima esplosione, che li gettò nel giardino esterno.

Gridando di dolore, i cinque precipitarono sul terreno, agonizzanti.

"Il suo cosmo… ha una forza inaudita… non ho mai sentito niente del genere!" mormorò Pegasus, sforzandosi di rialzarsi.

Prima che potesse rimettersi del tutto in piedi, qualcosa lo colpì al fianco, gettandolo di nuovo per terra, mentre anche gli altri eroi erano bombardati da fruste e proiettili. Gli alberi, i massi ed il giardino stesso si stavano sollevando contro gli invasori, colpendoli con ogni mezzo.

Presi alla sprovvista ed ormai esausti, i Cavalieri si guardarono attorno confusi e impotenti.

"E' come le Anime della Natura di Megres!" ricordò Cristal, costretto in ginocchio da un colpo alla gamba "Che anche Oberon possa controllare gli spiriti naturali?"

"No… la sensazione è diversa! Ad Asgard potevo sentire gli spiriti della natura, ma ora non avverto che un'unica volontà, tesa alla nostra distruzione!" rispose Sirio, parando un masso con lo scudo.

"E' naturale, avete forse dimenticato dove vi trovate?" domandò Oberon, comparendo sul varco nel muro del castello e fluttuando fino a terra.

"Io sono il signore e padrone di Avalon, e l'isola riconosce il suo maestro, diventando arma al mio servizio! Qui, tra queste perdute coste… sono imbattibile!" tuonò, sollevando le mani dinanzi a se come se volesse afferrare qualcosa. Nello stesso momento, la terra ai piedi di Phoenix si aprì, e da essa emersero due enormi mani di lava cocente, che strinsero il guerriero in una stretta mortale.

"Phoenix!!" urlarono all'unisono Cristal, Andromeda e Pegasus, liberandosi della natura che li intralciava per correre in aiuto dell'amico.

Senza neanche voltarsi nella loro direzione, Oberon però sorrise, ed i suoi capelli si agitarono come se avessero vita propria, allungandosi a dismisura e muovendosi a bloccare i tre, legandosi attorno ai loro corpi con una forza tale da crepare le armature divine, stringendo le gole, e penetrando le loro carni con le punte.

"P… Phoenix…" mormorò Cristal tra i denti, sollevando a stento il dito, da cui partì un raggio d'aria ghiacciata che colpì le mani di lava, mutandole in semplice roccia, che poi andò in pezzi lasciando cadere prono a terra il ragazzo, in larga parte protetto dalla sua armatura, particolarmente efficace contro il fuoco, ma comunque coperto di ustioni sanguinanti.

Il guerriero della Fenice strinse i pugni per rialzarsi, ma con un solo gesto Oberon sollevò telepaticamente un'enorme maceria del muro di pietra del palazzo, abbattendogliela sulla schiena come se fosse una mazza e facendogli sputate sangue. Nello stesso momento, strinse la presa su Cristal e gli altri, che urlarono di dolore.

"Cavalieri!!" gridò Sirio, correndo verso di loro.

Immediatamente, una nuova ciocca volò verso di lui, ma un colpo di reni Dragone compì una giravolta, incontrandola con il taglio della mano destra e facendola a pezzi. Sfruttando lo stesso slancio, il ragazzo saltò in aria in direzione dei compagni, il braccio sollevato sopra la testa e avvolto in un'aura dorata.

"Excalibur!!" gridò, tranciando di netto i capelli del Dio e liberando gli amici, che crollarono a terra respirando affannosamente, e sciogliendo gli ultimi fili che ancora li legavano.

Con una smorfia di stupore, Oberon sfiorò le punte dei suoi capelli tagliati, che tornarono alla lunghezza normale, e osservò con maggiore attenzione Sirio, che adesso si era posto davanti ai tre amici per permettere loro di rifiatare.

"Quel che avevo scorto sull'Olimpo è vero quindi. Excalibur… la sacra spada è in tuo possesso, solo lei avrebbe potuto arrecarmi danno così facilmente! Ma credevo che il suo possessore, il Cavaliere di Capricorn, fosse morto da tempo!" disse, socchiudendo sospettosamente gli occhi.

"Vedo che la sua fama è giunta sino a te! Excalibur, la spada che Atena donò al Cavaliere a lei più fedele! E' vero, non è più tra noi il prode Capricorn, ma prima di lasciarci egli mi fece dono di questa lama, affinchè la adoperassi per la causa della giustizia! Presta bene attenzione al suo taglio, perchè questa spada può ferire persino una divinità!" minacciò Sirio, correndo verso l'immobile nemico con il cosmo concentrato nella mano.

"Per Atena, Excalibur!!!" gridò, sferrando il suo fendente a distanza ravvicinata, sotto lo sguardo speranzoso degli altri eroi.

Incredibilmente però, Oberon neppure si difese, limitandosi a sollevare la mano, con cui bloccò il taglio di Dragone senza riportare alcun danno, e ne strinse il polso.

"Hai fermato la spada sacra a mani nude… com'è possibile?!" sussurrò sbalordito, cercando invano di liberare il polso dalla ferrea presa del Dio.

Ignorandolo per alcuni secondi, Oberon continuò a fissare il suo braccio, come per esaminarlo, ed alla fine un sorriso sarcastico si allargò sul suo volto.

"La sorte ti è stata avversa, seguace di Atena! Quest'arma che porti con te è realmente in grado di uccidere una divinità, ma per tua sfortuna essa è del tutto inutile su di me! E come potrebbe essere altrimenti, visto che fui io a forgiarla, millenni fa, la prima e più potente delle quattro grandi armi di Avalon!" esclamò, ridendo dell'espressione di completo stupore comparsa sul viso del nemico, e lasciando finalmente andare il polso, solo per colpire il Cavaliere con un'onda di energia che lo scaraventò a terra.

"No… non è vero… tu menti!" balbettò Sirio, sollevandosi carponi "Efesto mi ha narrato la storia di Excalibur… fu lui a forgiarla!"

"Ah! Avevo sentito dire che l'olimpico storpio si era preso il merito della forgia di un'arma di tal fattura. Pronto a prendersi meriti non suoi, come tutta la stirpe di Zeus! Efesto è solo il responsabile della rinascita di Excalibur, non della sua creazione!" rispose Oberon con un misto di sdegno ed ironico disprezzo.

"Spiegati…!"

Dopo aver soppesato per un secondo la richiesta, il Dio annuì. "Ti accontenterò, in fondo è giusto che tu conosca la vera storia dell'arma che sei così fiero di usare!"

"Millenni fa, forgiai quattro armi invincibili, che sarebbero dovute servire a difendere l'Isola Sacra da eventuali attacchi! Quattro armi di cui il mondo non aveva mai visto eguali, se non tra la folgore di Zeus e la falce di Crono! L'Arco di Luce, la Lancia di Vittoria, lo Scudo Sovrano, e per ultima la spada Caledfwlch, tra tutte la più potente! Grazie a loro, mai nessun nemico, nè umano nè divino avrebbe mai osato invadere le nostre coste!"

"Caledfwlch, l'antico nome di Excalibur nelle leggende gallesi!" ricordò Sirio in un sussurro.

"Per me, che non usavo nè scettri nè corone, Caledfwlch era molto di più di una semplice lama: era un simbolo di comando, della mia regale autorità! Era sempre con me, salda sotto il mio mantello… fino al giorno in cui mi recai ospite sull'Olimpo, a banchettare con Zeus e Odino, che allora mi illudevo di poter chiamare amici! Lì incontrai Atena, prossima a quella che sarebbe divenuta la prima di innumerevoli battaglie contro Nettuno, arrogante signore dei mari! Zeus le negò il suo aiuto - atto che avrebbe dovuto farmi riflettere se la giovanile ingenuità non avesse offuscato il mio discernimento - e quando la vidi pronta a rischiare la vita in nome di quegli stessi uomini che anch'io tenevo in alta considerazione, decisi di aiutarla!" ricordò, senza lasciar trasparire alcuna malinconia o emozione.

"Tu…alleato di Atena in nome degli uomini?" domandò Dragone sorpreso.

"Non ho nulla contro gli esseri umani, te l'ho già detto… ed ero giovane allora…così giovane e sciocco! Rincorsi Atena, offrendole in dono la più potente delle armi al mio servizio, la grande Caledfwlch! All'inizio rifiutò, contraria all'idea delle armi, ma poi la convinsi, suggerendole di trasformarla in una lama che solo i puri di cuore, protettori della giustizia, potessero impugnare! Non più un semplice gladio, ma una spada di cosmo, che avrebbe dormito nel braccio del guerriero a lei più fedele, venendo poi passata di generazione in generazione, bandiera della causa degli uomini! Un simbolo dell'amicizia che ci univa, della nostra comune visione! Atena accettò… e portò Caledfwlch da Efesto, affinchè la modificasse secondo tali richieste! Così Caledfwlch divenne Excalibur, nome che è simbolo di rinascita. La spada dei giusti, che nelle mani di un uomo dal cuore oscuro sarebbe andata immediatamente in pezzi, diventando inutilizzabile… ma che nelle mani di colui che alla giustizia anela, è arma invincibile!"

"Mai però avrei immaginato che un giorno contro me sarebbe stata usata quella lama! Evidentemente, anche la fiducia in Atena era malriposta… se l'avessi tenuta al mio fianco, la vittoria sugli odiati nemici sarebbe forse giunta prima!" concluse con rammarico.

A quest'ultimo appunto, Sirio, che finora era rimasto in silenzio, sbalordito da quell'inaspettato retroscena, scosse la testa e si alzò, con il pugno serrato.

"Caledfwlch forse ti sarebbe stata compagna in battaglia… ma Excalibur non avrebbe mai sposato la tua causa!" esclamò con sicurezza "Lei che per tua stessa ammissione non può essere adoperata per scopi malvagi… sarebbe stata corrosa fino alla distruzione dall'oscurità che alberga nel tuo cuore!"

Quest'affermazione accese di collera il volto di Oberon "Taci! Come può essere oscuro un legittimo desiderio di rivalsa?! Zeus e Odino mi abbandonarono nel momento del bisogno, a causa loro quasi persi la vita, e Avalon fu distrutta! La vendetta contro di loro è atto di giustizia!"

"No, non lo è, non quando conduce a massacri e sacrifici! E dentro di te nei sei ben consapevole, il Dio che donò Excalibur ad Atena, indebolendo le sue stesse difese in nome degli uomini, non avrebbe mai permesso che una sola vita andasse perduta per così sterili ragioni!!"

La forza dell'accusa fece quasi barcollare il re, che per un attimo non potè fare a meno di chiedersi se Dragone non avesse detto il vero. Ma ormai in lui non c'era più linfa per ripensamenti, e la risposta fu negativa, affidata al sinistro accendersi del suo cosmo, segnale della ripresa della battaglia.

Immediatamente Sirio sollevò le difese, pronto ad un nuovo assalto, allarmato dall'elettrizzarsi dell'aria attorno al suo nemico.

"Hai levato su di me la tua lama… accetta ora medesimo trattamento, perchè quella che ti colpirà non è fiamma o tormenta, ma la Lancia di Fulmine! Dealan Craoiseach!" tuonò, materializzando una lama di pura energia tra le mani e sferzando l'aria in un fendente obliquo così veloce da essere appena percettibile.

Un attimo dopo schizzarono flotti di sangue, e una profonda spaccatura diagonale comparve sul pettorale di Dragone, che barcollò all'indietro con gli occhi sbarrati.

I Cavalieri alle sue spalle videro il compagno cadere e mossero un passo per aiutarlo, quando la semplice onda d'urto del colpo di Oberon li investì in pieno, sbalzandoli in aria. Impietoso, il Dio sollevò una mano comandando "Sìorruidh Àin Feàrsaid!", e vampe di fuoco saettarono verso i tre, intrappolandoli in una palla di fuoco che divenne sempre più grande e poi esplose, lasciandoli precipitare di nuovo a terra, agonizzanti.

"U… uuh… siamo… completamente soverchiati… non un solo attacco è andato a segno…! Perchè tale differenza… neppure Zeus ci aveva ridotti in questo stato… possibile che Oberon sia talmente superiore?" mormorò a stento Pegasus, faticando a tenere aperti gli occhi.

Per quanto flebile, la sua domanda non passò comunque inascoltata, giungendo alle orecchie di Oberon, che iniziò a ridere sommessamente.

"Superiore a quel vigliacco di Zeus lo sono di certo, ma non tanto quanto voi credete! In una vera battaglia… potremmo persino cadere entrambi!" ammise, senza che però il sorriso abbandonasse le sue labbra.

"E allora perchè?!" insistette Pegasus, trovando la forza di alzarsi sui gomiti. Attorno a lui, gli altri quattro Cavalieri erano immobili, ma anche i loro occhi erano fissi sul sovrano di Avalon.

"Sciocchi arroganti, ve lo dissi all'inizio dello scontro: non da soli avete sconfitto gli Dei dell'Olimpo, altre forze sono scese in campo! Prima che la vostra scalata iniziasse, Zeus ha usato su di se e gli altri olimpici custodi il Rito di Sigillo, riducendo la sua e la loro forza di più della metà!" rivelò.

Un silenzio irreale seguì queste parole, mentre le loro ramificazioni si espandevano nelle menti degli eroi, simili a lame che recidevano qualsiasi speranza di vittoria ancora nutrissero.

"N… non è vero… non può essere vero…Perchè mai Zeus avrebbe dovuto compiere un'azione del genere?!" balbettò Pegasus.

"Non conosco le sue ragioni. Orgoglio forse, convinzione di potervi sconfiggere comunque, oppure il paterno desiderio di dare ad Atena almeno un'opportunità! Quale che sia, è stata un'imprevista sorpresa che è servita perfettamente ai miei piani: non sarei mai riuscito ad imprigionare tutti gli Dei altrimenti! Speravo li avreste distratti, forse fiaccati, e invece mi è stata messa di fronte un'opportunità unica! Oh, se solo anche Nettuno avesse partecipato al rito, l'Olimpo sarebbe adesso una landa desolata scevra di vita!" disse con rabbia.

"E… gli altri Dei…?" domandò Andromeda.

"Hanno obbedito agli ordini di Zeus, come prevedibile, senza ricevere in cambio alcuna spiegazione! Non tutti hanno accettato con entusiasmo… il bellicoso Ares in particolare è stato a un passo dal rivelare i suoi veri poteri, durante la battaglia del sesto tempio!" rispose, lanciando un'occhiata a Phoenix, che ricordò subito a cosa si stesse riferendo. Un momento in cui il cosmo del Dio della guerra si era innalzato immenso ed invincibile, prima di essere quietato da una forza persino superiore.

"Quella volta…" balbettò.

"Si, per un fugace istante hai percepito il suo vero cosmo, prima che Zeus, talmente superiore persino con il proprio potere ridotto della metà, lo obbligasse a tornare nei ranghi, privandolo di parte della sua forza!" rivelò, ricordando le scene spiate di nascosto dalla sala del trono.

Nello scoprire la verità, i Cavalieri si sentirono mancare, accasciandosi definitivamente a terra, ormai privi di qualsiasi residua traccia di determinazione. Tutti gli sforzi compiuti per sconfiggere gli Dei a rischio della vita, e persino la tremenda battaglia con Zeus, erano in realtà stati compiuti contro nemici privi di metà della loro normale forza.

La loro espressione demoralizzata non sfuggì ad Oberon, i cui angoli della bocca si piegarono lievemente verso l'alto.

"Non siatene troppo rammaricati, è comunque miracolo quel che avete compiuto! Mai, in innumerevoli eoni, un Dio era stato sconfitto da un essere umano, e voi avete trionfato per ben dodici volte… La vostra forza è indubitatamente cresciuta rispetto alla battaglia dei Campi Elisi, dove in cinque riusciste appena a ferire Hades. Sareste sopravvissuti… se non per la cieca follia che vi ha spinti a venire a sfidare me… per l'arroganza che vi ha fatto credere di avere speranze di vittoria contro uno dei signori della terza razza! Ora morirete… e potrò finalmente volgere di nuovo all'Olimpo le mie attenzioni!" concluse minaccioso.

Quest'ultima affermazione scosse Pegasus, che alzò di nuovo la testa "Intendi attaccare di nuovo il monte sacro? Sterminare gli Dei approfittando del sigillo?" domandò, stretto in una morsa di terrore al pensiero di lady Isabel, sola ed indifesa ai piedi del primo tempio, dove loro l'avevano lasciata credendola al sicuro.

"Attaccare… o essere attaccato. Zeus non ignorerà un gesto come il mio, presto la piena forza dell'Olimpo si abbatterà su Avalon, trasformandola in un campo di battaglia. Posso sentire il suo cosmo, anche se così distante… proprio in questi momenti sta finendo di annullare gli effetti del Rito di Sigillo, gli Dei torneranno presto alla loro vera possanza!" ammise, con una traccia di preoccupazione. Un attimo dopo però questa scomparve, sostituita da un sorriso beffardo e malvagio "Ma se un Rito mi ha quasi portato alla vittoria, un altro me la concederà su un piatto d'argento…!"

"Un altro Rito?!" ripetè Pegasus, visibilmente spaventato da questa novità.

"L'arma proibita che avrei dovuto usare subito, anzichè riporre fiducia in Titania e nei Guardiani! Il Rito della Chiamata, grazie al quale potrò richiamare a me uno schiavo invincibile dagli abissi dello spazio e del tempo! Una creatura la cui forza potrò abbattere come arma sugli Dei dell'Olimpo, condannandoli al massacro!" disse estasiato, con una luce di follia negli occhi.

"Un massacratore di Dei… ma che razza di essere può avere una tale potenza?" domandò Sirio.

"Non lo so, la sua natura è sconosciuta persino a me! Il Rito della Chiamata è stato a lungo proibito, troppo grande la forza che rischia di essere liberata! Titania ne aveva paura… temeva che l'essere risvegliato potesse rivelarsi una minaccia persino per noi! Con le sue suppliche mi convinse ad attendere, promettendo che avrebbe impedito in qualsiasi modo ai Cavalieri d'Oro di spezzare i sigilli… e devo riconoscerle che ha dato fondo ai suoi limitati mezzi. E' stata lei, e non io come credete, ad attaccare i vostri cari!" rivelò, sorprendendo ancora una volta gli eroi.

"Ma tutti i suoi sforzi… persino la sua vita… sono stati vani…" continuò, ed in queste ultime parole ai Cavalieri sembrò di cogliere una nota malinconica ed insieme sofferente. Di breve durata comunque, perchè subito dopo l'espressione tornò sicura di se e della vittoria.

"Sbagliava comunque, nella sua sciocca paura che potesse esistere qualcosa capace di superare me! Il Rito è ormai quasi completo, mancano solo pochi minuti! E' a lui che stavo lavorando quando avete fatto irruzione nella mia reggia! E' a lui che tornerò tra pochi attimi, quando voi sarete scomparsi!" disse, sollevando la mano verso di loro.

Qualcosa si mosse sotto i corpi degli esausti Cavalieri. Obbedendo al suo signore, la terra dell'isola iniziò ad avvolgerli nei suoi tentacoli. Ad assorbirli.

Istintivamente, i ragazzi cercarono di liberarsi, ma i loro sforzi erano deboli, piegati dal dolore e dalla stanchezza, e soprattutto dall'aver perso ogni speranza di vittoria.

"Siate felici! Desideravate tanto accedere ad Avalon, ed ora resterete qui per sempre, come parte integrante!" rise Oberon.

Uno dopo l'altro, Andromeda, Cristal, Sirio, Phoenix e Pegasus smisero di lottare "E' dunque giunto il momento della fine… perdonatemi amici, se vi ho condotto al massacro…" sussurrò il primo protetto di Atena chiudendo gli occhi, e cessando ogni resistenza.

In quel momento però, un nuovo cosmo avvampò vicino a loro, rischiarando con la propria luce l'oscurità in cui erano caduti. Contemporaneamente, una voce decisa gridò "Gladius Avalonis!!" e fendenti di energia distrussero il terreno che stava assorbendo gli eroi, liberandoli.

Dal fitto del frutteto, una figura emerse sul campo di battaglia. Un ragazzo che i cinque amici avevano visto solo accanto ai Cavalieri d'Oro sulle coste di Scozia, e poi nei loro ricordi. Un guerriero il cui intervento fu accolto da Oberon con visibile malcontento.

Nel frattempo, sull'Olimpo, un raro evento stava avendo luogo. Tutte le divinità erano infatti riunite nel piazzale del tempio di Zeus, disposte in cerchio attorno al loro sovrano, i cui occhi erano chiusi. Al suo fianco, unico al di fuori del cerchio, c'era Nettuno, che si appoggiava vistosamente al tridente per restare in piedi. Ai suoi piedi giaceva ancora svenuta Atena, che Eolo aveva trasportato delicatamente in braccio nel risalire le pendici del monte sacro, in risposta all'adunata ordinata dal signore del fulmine.

Lui, Ermes, Efesto, Apollo, Estia, Ares, Dioniso, Artemide, Ercole ed Era fissavano in silenzio il Dio e la sua figlia prediletta. Sui loro corpi, i segni della battaglia, sui visi di alcuni di loro quelli della vergogna per le sconfitte subite. Ed in un unico caso, per qualcosa di più. Era tendeva infatti lo sguardo ostinatamente verso il basso, per non soffermarsi sul viso del suo sposo che, ne era convinta, aveva udito le sue rivelazioni nel corso del combattimento con Phoenix e Andromeda.

In quel momento, dopo un lungo silenzio, Zeus aprì gli occhi, visibilmente sollevato, e gli Dei sentirono una nuova forza tornare pian piano nelle loro membra.

"Il Rito è sciolto!" annunciò semplicemente, con l'autorità che gli era propria.

Un istante dopo, scoppiò un brulicare di voci concitate.

"Quel maledetto bastardo di Oberon sconterà con la sua vita l'onta di quest'offesa!" tuonò Ares, sovrastando in tono le altre divinità e fissando Zeus con il pugno serrato "Lasciami andare, padre, e ridurrò a ferro e fuoco quel campo di Avalon!"

"Chetati, non avresti nessuna speranza! Il cosmo di Oberon è secondo solo a quello di Zeus… non vi sarà futuro per te se tenterai di sconfiggerlo con le tue sole forze!" intervenne Apollo, parlando con un distacco del tutto opposto al tono passionale del Dio della guerra.

"Ed inoltre… sarebbe davvero solo Oberon la tua vittima, fratello? Non lo credo affatto! Alla prima occasione bagneresti la tua lama nel sangue dei Cavalieri di Atena!" lo accusò Eracle, guardandolo fisso negli occhi con una certa ostilità, e ricevendo in cambio un verso più simile al ringhio di una belva che a qualcosa di umano.

"Mio buon Dio della forza, non vedo come ciò potrebbe essere una colpa. Dovremmo forse dimenticare le ferite che quei ragazzini ci hanno inferto? Ferite frutto di sola fortuna, senza dubbio, ma che comunque hanno infangato il nostro onore!" disse Dioniso, sorridendo in una maniera che ad Eracle sembrò viscida, ma a cui Ares rispose con calore.

"I Cavalieri di Atena hanno combattuto e vinto lealmente, rispettando le regole che Zeus aveva decretato! Non esiste motivo nè ragione per levare ancora mano su di loro, sarebbe atto dall'infinita meschinità!" disse solennemente Eolo, e accanto a lui anche Ermes ed Efesto annuirono.

Ares e Dioniso guardarono coloro che non si erano ancora espressi, alla ricerca di supporto, ma Estia parve del tutto disinteressata all'intera questione, ed Artemide si era avvicinata ad Apollo, per esprimere silenziosa il suo supporto, frutto di un nuovo rispetto verso quegli uomini che erano riusciti a sconfiggerla. Era soltanto sembrava incerta, ma evidentemente non abbastanza da palesare i suoi pensieri.

"Ma naturalmente la mia era solo un'ipotesi… un pensiero in libertà! Nessuno qui vuole fare davvero del male a quei ragazzi…" disse infine il Dio dell'ebbrezza, sottolineando le sue parole con un leggero inchino.

"Ai Cavalieri di Atena non dev'essere fatto alcun male!" tuono Zeus, carico di un'autorità tale da far automaticamente irrigidire tutti i presenti.

"Apollo, Eracle, Artemide, Eolo, Ermes: non appena avrete finito di recuperare le forze, andrete ad Avalon per salvarli e ricondurli qui sull'Olimpo! Evitate la battaglia a meno di non esserne costretti. La salvezza di quei Cavalieri è prioritaria su qualsiasi altra cosa, persino la vendetta nei confronti di Oberon!" comandò, ricevendo subito cinque gesti di assenso, ma strappando numerosi sguardi sorpresi e qualche borbottio con questa dichiarazione.

Zeus però non se ne curò, e si chinò verso Atena, poggiandole delicatamente la mano sul viso, e lasciando fluire il suo cosmo dentro di lei.

"E ora è tempo che tu ti risvegli, figlia adorata! Già troppo a lungo ti ho lasciata soffrire…" sussurrò, con una punta di rammarico.

Lentamente, il colore iniziò a tornare sulle sue carni, un alone dorato ad avvolgerla, e le palpebre a tremare, prossime a riabbracciare la luce.

Ad Avalon, Bres avanzò lentamente verso Oberon, i cui occhi si chiusero in una fessura minacciosa.

"E così quello che un tempo era il mio prode Bres, adesso si è schierato dalla parte del nemico! Dopo aver aiutato i Cavalieri d'Oro contro la tua regina, osi persino presentarti a mio cospetto e levar il pugno nella mia direzione! Forte del tuo rango di Guardiano hai superato le mura di nebbia, ma è da Cavaliere di Atena che ora calchi queste terre! Non sorprenderti quindi se da invasore sarai trattato!" sibilò.

Il Guardiano scosse la testa, superando il punto in cui si trovavano i cinque Cavalieri senza degnarli di uno sguardo, e ponendosi a metà strada tra loro e Oberon. Con la schiena e le spalle ben diritte, senza alcun gesto che potesse indicare un attacco imminente, fissò diritto negli occhi colui che era stato il suo signore, la sua espressione totalmente indecifrabile.

Solo dopo lunghi secondi il suo viso tradì una smorfia di amarezza, e Bres si piegò su un ginocchio, prostrandosi di fronte al Dio. Non chinò però la testa, continuando a fissare il viso del sovrano.

"Perdonate il mio attacco di poco fa, non a causarvi danno era teso, ma a salvare quei ragazzi da una fine prematura!" esordì, con voce perfettamente stabile e priva di qualsiasi traccia di timore.

"Una fine che io avevo decretato!" rimarcò Oberon a denti stretti "Sei tornato qui deciso a sfidare il mio arbitrio, quindi alzati e combatti! La mia ira non ti lascerà scampo!"

Bres però non cambiò la sua postura, restando ancora immobile a reggere lo sguardo del Dio.

"Non ho attraversato il mare delle nebbie per combattere contro di voi, ma per parlarvi, per cercare di nuovo traccia del sovrano dal cuore puro come il mare che incontrai quel giorno, in Irlanda, ed a cui avevo giurato fedeltà!" affermò con trasporto "Voi… non siete più quello di allora, un'ombra attanaglia il vostro cuore… posso vederla adesso, nascosta nel profondo dei vostri occhi! Ed in nome di quest'ombra avete fatto quel che un tempo vi avrebbe ripugnato: scatenato una guerra, fonte di infiniti dolori e lutti sia per noi che per i nostri nemici!"

"Come osi, servo insolente? Oberon non è schiavo di nessuno! La mia volontà appartiene a me, e a me solamente!" ribattè immediatamente il sovrano, ma il suo viso parve impallidire, e la sua mano rimase sospesa a mezz'aria, tremante, incapace di liberarsi di chi aveva di fronte.

"Non è così! Il re che io conoscevo amava la sua sposa Titania più della sua stessa vita! Non c'era per lui fonte di gioia più grande di un suo sorriso, sarebbe morto mille e mille volte prima di permettere ad una sola spina di graffiare le sue carni! E' stato anche per questo, per la speranza di vederlo arrivare avvinto dall'amore, mettendo da parte un odio che non gli è mai appartenuto, che ho combattuto al fianco dei Cavalieri d'Oro contro la mia regina!" gridò, con voce che adesso si fece rotta "Ma voi che l'avete lasciata morire, privandola financo di una parola di gentil conforto, non avete più nulla in comune con quella persona! E' morta invocando il vostro nome Titania, è morta per voi!"

"Bastaaa!!!" gridò Oberon, barcollando all'indietro come se quelle parole l'avessero colpito fisicamente, e portandosi una mano al petto, ora attraversato da fitte di dolore. Istintivamente, l'altra si sollevò di nuovo, avvolta da vampe di fuoco, ma ancora una volta rimase sospesa, incapace di andare oltre.

"Levate pure la mano su di me, non esitate! Io, che per tanti secoli ho bramato la morte, adesso, grazie alle accorate parole di uno spirito affine, non desidero altro che vivere! Ma se questo mio sangue scarlatto potrà farvi tornare il sovrano nobile e generoso di un tempo, lo verserò con gioia!" insistette, protraendosi in avanti.

Oberon lo fissò con occhi sbarrati, la mano tremante a mezz'aria. "Potrei ucciderlo così facilmente… dovrei ucciderlo! Perchè allora esito? E' un nemico… un traditore…" sussurrò, come per convincere se stesso, ma al contrario un volto comparve dinanzi ai suoi occhi, acuendo il suo dolore "Titania…".

La sua mano iniziò ad abbassarsi, l'espressione ad addolcirsi, mentre qualcosa dentro di lui lottava ancora una volta per emergere.

In quel momento però, due cosmi si elevarono a centinaia di chilometri di distanza, in direzione della Grecia. Oberon non seppe riconoscere il primo, ma il secondo, il più potente, avrebbe potuto distinguerlo tra mille, e ciò fece avvampare il suo cosmo.

"Zeus, maledetto! Sta recuperando le forze, pochi minuti ancora e il suo cosmo tornerà quello di sempre! Non posso più esitare!" pensò, avvolgendo il pugno di fiamme roventi "Sìorruidh Àin…".

Prima che potesse finire la frase, una sfera di luce lo colpì alla mano, fermandolo. Voltandosi in direzione dei Cavalieri, vide Pegasus rialzarsi, avvolto da un cosmo lucentissimo. Dietro di lui, sorretti dal medesimo vigore, anche gli altri quattro eroi si erano scossi, e si stavano rimettendo in piedi.

"Così simili a quello di Ioria sono i cosmi di questi ragazzi… rivolti alla giustizia, brillanti come stelle…!" commentò impressionato Bres.

"Avevano rinunciato alla battaglia costoro pochi minuti fa… si erano arresi all'oblio! Perchè ora avverto le loro aure bruciare come mai prima, cos'ha causato questo cambiamento?!" si chiese sbalordito Oberon, indietreggiando di un passo per la sorpresa.

Di fronte a lui, Pegasus aveva il capo chino, gli occhi nascosti dai capelli, e stava quasi tremando, sospinto da un'emozione senza pari.

"E' tornato… possiamo sentirlo! Là dove prima c'erano le tenebre, ora è sorto un nuovo sole… la sua luce ci avvolge e ci riscalda, dona vigore al corpo ed allo spirito! Atena… è di nuovo tra noi!" gridò con enfasi, sollevando di scatto la testa in direzione del nemico.

Colto da un'improvvisa comprensione, Oberon riconobbe finalmente il secondo cosmo che si era sollevato insieme a quello di Zeus. Il leggiadro cosmo di Atena, Dea della Giustizia.

Confuso dall'improvviso riaccendersi delle ostilità, Bres si alzò in piedi, dilaniato da un dilemma interiore cui aveva in realtà già dato risposta. Anche se la fedeltà lo legava ad Oberon, anche se la sola idea di levare la mano contro di lui gli causava quasi dolore, dal momento in cui aveva lasciato i Cavalieri d'Oro per tornare ad Avalon aveva deciso che, se la situazione fosse divenuta disperata, avrebbe appoggiato questi giovani Cavalieri portatori di giustizia.

Prima che potesse intervenire però, Phoenix gli poggiò una mano sulla spalla, facendogli cenno di indietreggiare "Hai già fatto molto per noi. Le tue parole, nate dal cuore, ci hanno spronato, ricordandoci gli ideali e le convinzioni che ci hanno permesso di diventare quelli che siamo! Possiamo solo immaginare quanto ciò ti sia costato, permettici di ricambiare e lascia solo a noi la battaglia!" gli disse, mantenendo lo sguardo fisso su Pegasus, il cui cosmo brillava ora intensissimo, persino minaccioso, manifestandosi come un rampante cavallo alato.

"Adesso che la nostra Dea è di nuovo al nostro fianco, nessuno potrà più fermarci, Oberon!! Fulmine di Pegasus!!!" gridò l'eroe con quanto più fiato aveva in gola, scatenando il suo colpo segreto.

Sorprendendo persino se stesso, Oberon incrociò le braccia per difendersi, e ciononostante venne spinto leggermente indietro, mentre qualche strappo compariva sul suo mantello.

"Una nuova energia sostiene le tue membra, ma il cosmo è sempre lo stesso! Non puoi recarmi alcun danno, Pegasus! Àile Lan!" ribattè rabbioso, lanciando le lame di vento.

Con un balzo felino, Pegasus si portò a mezz'aria, spiegando le ali della sua corazza e, poi si precipitò direttamente nell'attacco del nemico, con le braccia incrociate davanti al viso.

"Vuoi affrontare le lame di vento frontalmente? Hai forse deciso di suicidarti?!" esclamò Oberon, modificando la direzione dell'attacco.

"Mi dispiace per te, ma ho ben altri piani!" rispose Pegasus, e con immenso stupore del nemico iniziò a girare su se stesso, sempre più velocemente, volando come un proiettile attraverso l'impeto dell'Àile Lan.

"La velocità di rotazione… annulla la forza delle mie lame!!" realizzò Oberon spalancando gli occhi.

"E non solo!! Cometa Lucente!!" gridò il Cavaliere, trasformando il suo stesso corpo in una stella cadente, e colpendo con tutta la forza il torace del Dio, che barcollò all'indietro digrignando i denti, sorpreso più dall'audacia dell'attacco che dalla sua effettiva forza.

Prima che potesse reagire però, Pegasus fu alle sue spalle, e lo strinse in una presa. "Non credere che sia finita qui!" gli sibilò nelle orecchie, facendo esplodere il suo cosmo.

"Come osi poggiare la mano su di me?! Cosa credi di poter fare!" disse Oberon, espandendo la sua aura per respingere il ragazzo.

Con un grugnito di dolore, Pegasus allentò la presa, ma riuscì a non perderla. "Andromeda!!" gridò, aprendo un'occhio in direzione dell'amico, che annuì e lanciò l'unica catena ancora rimastagli.

"Quel ridicolo catenaccio non può farmi niente, dovresti averlo capito ormai!" li criticò Oberon, aumentando nel contempo l'emissione del suo cosmo per liberarsi di Pegasus, che ora iniziò a gridare.

Incredibilmente però, la catena di Andromeda non schizzò contro di lui come arma, ma si avvolse attorno al suo corpo e a quello di Pegasus, bloccandoli insieme.

"Che significa?!" esclamò il Dio, improvvisamente stretto dai legacci, e nello stesso momento alle sue spalle l'aura di Pegasus lo avvolse.

"Significa che ora noi due faremo un viaggetto insieme, signore di Avalon! Spirale di Pegasus!!" gridò l'eroe, avvolgendo se stesso ed il nemico in un'aura luminosa.

Bloccati insieme dalla catena di Andromeda, i due salirono fino al cielo, compiendo poi una giravolta e precipitando a terra veloci come una meteora, fino a schiantarsi con una forza tale da aprire un cratere.

Una nuvola di polvere si sollevò intorno a loro, solo per essere immediatamente dispersa dal cosmo di Oberon, che fu il primo a rialzarsi, visibilmente contrariato, il mantello strappato, i capelli sporchi di terriccio, stringendo tra le dita della mano il viso di Pegasus e sollevandolo di peso da terra.

Contemporaneamente, senza neppure guardarla, afferrò con l'altra mano la catena di Andromeda, strappandosela di dosso e stringendola con forza, imprimendo in lei una scarica di energia che risalì fino al Cavaliere, fulminandolo.

"E' stata la tua ultima insolenza! Il fuoco del mio cosmo si sprigionerà su di te fino a strapparti la carne dal viso! Fino a renderti immonda larva dalla terra espulsa!" disse, con il viso deformato dal disprezzo, ora più simile ad un demone che ad un Dio celeste.

Prima che la sua minaccia potesse trasformarsi in realtà però, un altro cosmo avvampò attorno a lui.

"Di sangue ne hai versato anche troppo, è tempo che sia tu a subire adesso!" tuonò Phoenix, caricando il cosmo nel pugno.

"Gelerà l'Averno prima che io possa subire per tua mano!" sibilò minaccioso in risposta, materializzando in una frazione di secondo gelo e ghiaccio dirigendole verso il ragazzo con il palmo della mano libera "Danzate, nevi! Cathadh Danns".

Nel vedere l'attacco di Oberon, Phoenix si lasciò sfuggire un sorriso sornione e indietreggiò di qualche passo, non per fuggire ma per lasciar spazio a Cristal, che si frappose tra lui e le nevi invocate dal Dio, con le mani sollevate congiunte ed il cosmo prossimo al parossismo.

"Anche troppo a lungo hai sfruttato le energie fredde! Il loro dominio non ti appartiene, Cristal lo rivendica per se! Per il Sacro Acquarius!!" gridò, eseguendo la sua tecnica suprema, non per ribattere, ma per dominare.

L'impeto del Sacro Acquarius infatti prese il controllo delle correnti nevose di Oberon, ribaltandole contro il loro stesso creatore, che ne venne investito in pieno, subendo per la prima volta davvero il gelo dello zero assoluto, potenziato dal suo stesso cosmo.

Uno strato di ghiaccio, sottile ma solido, si formò sulla corazza del Dio, ed in particolare sulla mano con cui aveva lanciato la Cathadh Danns.

Digrignando i denti, con gli occhi socchiusi in due fessure, Oberon lasciò cadere Pegasus, richiamando a se il potere del fuoco, che già in precedenza gli aveva garantito la vittoria sul Cigno "Sìorruidh Àin Feàrsaid!!".

In un attimo, le nevi divennero vapore, e vampe fiammeggianti saettarono verso il Cavaliere, che balzò indietro preoccupato. Prima di raggiungerlo però, il fuoco sembrò fermarsi, e stavolta fu Phoenix a comparire a difesa del compagno, lanciandosi tra le fiamme con il pugno teso ed un sorriso sarcastico in viso.

Attorno a lui, le vampe di fuoco si condensarono in una sfera, esplodendo poi in una fiammata dalla forma dell'uccello immortale. "Il tuo dominio sugli elementi è grande! Ma anche se non così versatili o potenti, noi non siamo da meno!! Ali della Fenice!!" gridò, seguendo la stessa strategia di Cristal ed unendo la forza delle fiamme di Oberon alle proprie, in un unico straordinario attacco.

Un vortice di fuoco si abbattè sul Dio di Avalon, distruggendo il suo mantello e scaraventandolo indietro in direzione della parete del castello. Dopo meno di un metro però, Oberon piantò i piedi saldamente al suolo, annullando la spinta del colpo di Phoenix, e rialzò la testa a fronteggiare i nemici, livido in viso per la collera.

"Quel che non potete fare con la forza, cercate di conquistarlo con l'astuzia! Ma non esiste mente capace di colmare l'abisso che ci separa, le mie risorse sono infinite! A voi la Dealan Craoiseach!!" disse, materializzando nella mano la Lancia del Fulmine e tagliando l'aria in un fendente.

Bastò un colpo solo per aprire profonde spaccature sulle armature ed i colpi dei due eroi, che, raggiunti insieme, vennero scaraventati a terra in pozze di sangue. Senza dar loro neppure il tempo di un respiro, Oberon sollevò di nuovo l'arma, calandola stavolta dall'alto verso il basso, e mirando ai loro corpi indifesi.

A intercettare la lama d'energia giunse un fendente dorato, che spaccò la terra e deviò la forza della Dealan Craoiseach, di pochi centimetri appena, ma abbastanza per salvare i due Cavalieri.

"Caledfwlch!" esclamò Oberon, riconoscendo quel raggio di luce e voltandosi verso la sua fonte.

"Excalibur!" ribattè Sirio con orgoglio, sollevando ambo le braccia di fronte a se, i palmi rivolti verso l'esterno "E non è la sola arma che ho ricevuto in dono da un Cavaliere d'Oro per la causa di Atena! Della medesima fonte è anche il Colpo dei Cento Draghi!!".

Le forme di centinaia di dragoni di smeraldo illuminarono la notte, tendendo le loro zanne al sovrano dell'isola. In tutta risposta, Oberon non tentò neppure di evitarli e alzò le mani di fronte a se, per affrontarli frontalmente.

Con un sorriso trionfo, si preparò a bloccare l'energia del colpo di Sirio. Meri istanti prima dell'impatto però, si accorse che altre energie si stavano espandendo attorno a lui, sotto forma di folate di vento e lampi di luce.

"Mi dispiace deluderti, ma Sirio non è da solo! Tu che da tempo sembri aver rinunciato alla vicinanza di sudditi e amati, tendi a dimenticare un pò troppo facilmente che nel momento del bisogno i Cavalieri di Atena combattono compatti! Cometa di Pegasus!!" gridò il primo protetto della Dea, unendo il suo colpo a quello dell'amico.

"Anche Andromeda è con voi! Soffiate, venti della Nebulosa!!" comandò l'altro ragazzo.

"Che siate tre o trecento…!" iniziò Oberon, ma non riuscì a finire la frase, distratto da improvvise fitte di dolore provenienti dalle mani. Abbassando su di loro un fugace sguardo, si accorse che una era ancora coperta dal ghiaccio, e l'altra era visibilmente ustionata, effetto del gelo del Cigno e delle fiamme della Fenice subite poco prima.

Un istante dopo, l'impeto dei tre colpi segreti si abbattè su di lui, con una forza molto più grande di quella che il Dio aveva previsto, generando una tremenda esplosione.

Respirando affannosamente, oramai allo stremo, Pegasus, Sirio e Andromeda abbassarono le braccia, fissando speranzosi la nuvola di polvere che aveva invaso il campo di battaglia. Lo stesso fecero Cristal e Phoenix, ancora terra, a stento sollevati sui gomiti, malconci per la Lancia di Fulmine.

Per lunghissimi secondi, cinque paia di occhi conversero nello stesso punto, disperatamente aggrappati a una speranza.

Un'istante dopo, tale speranza fu disattesa.

Un'onda di energia esplosiva senza eguali spazzò via la polvere, investendo i cinque eroi e sbalzandoli in aria, tempestandoli di colpi e sferzate prima di lasciarli precipitare a terra agonizzanti.

Con gli occhi offuscati dal sangue che scorreva copioso, i Cavalieri videro Oberon avanzare di fronte a loro. Il suo aspetto non era più quello regale di prima: le mani quasi fumavano, la corazza era coperta di crepe e spaccata, ed in diversi punti si intravedeva qualche piccola chiazza di sangue. Il suo cosmo però era immenso e minaccioso, persino più potente di prima.

"I vostri cosmi continuano a crescere, ma tutte le strategie del mondo non vi daranno la vittoria! Userò ora su di voi la mia ultima arma, la più potente e terribile! Mai avrei creduto di doverla adoperare su dei mortali, ma non mi resta altra scelta per concludere rapidamente questa farsa!" minacciò, allargando le braccia sui lati e concentrando tra esse il suo cosmo.

Per prima comparve la Lancia del Fulmine brillante d'azzurro, poi vampe di fuoco e cristalli di ghiaccio si fusero, unendosi al chiarore dell'acqua e del vento, ed all'essenza stessa del cosmo di Oberon, generando un nero più oscuro della pece stessa.

Un'energia terrificante, superiore a qualsiasi altra i Cavalieri avessero visto finora, si sprigionò tra le mani del Dio, facendo tremare il cielo e la terra. Nel contemplarla, un sorriso folle si disegnò sul volto di Oberon, illuminando i suoi occhi di una vena di follia.

"E' il controllo degli elementi la mia fonte di forza, e dalla loro fusione nasce la mia arma suprema! Siate orgogliosi, Cavalieri di Atena, sarete distrutti dalla stessa tecnica che ha sconfitto Maab! La grande lama che non lascia scampo!! Oidhche Craoiseach!!!" gridò, preparandosi a lanciarla.

Un'onda di pura oscurità si allargò dalla nera lancia, precedendo l'attacco. I cinque Cavalieri ne vennero avvolti, e il loro mondo sprofondò nelle tenebre. L'ultimo suono che udirono fu la folle risata di Oberon.

Con già negli occhi le immagini della vittoria, il Dio sferrò il suo colpo finale.

Quel che accadde dopo, avrebbe cambiato per sempre la vita del Sovrano di Avalon.

Per qualche secondo, i sensi tradirono Oberon. A seguire l'attacco, non furono il fragore dell'esplosione e le urla dei Cavalieri morenti, ma un silenzio assordante. Accompagnato da un'unica, opprimente sensazione: il calore di flotti di sangue che schizzavano sul suo corpo.

Subito dopo venne l'odore della linfa vitale, penetrante e profondo.

L'udito giunse poi in suo soccorso. Un grondar di gocce. Ed un sussurro, flebile e lontano, che stracciò la quiete.

"Mio… signore…"

E finalmente, ultima tra i sensi, la vista del Dio Oberon tornò a fuoco, mettendolo di fronte a quel che era accaduto.

Davanti a lui, trafitto da parte a parte dalla Oidhche Craoiseach, così in profondità da avere la sua mano conficcata nel petto fino al polso, c'era Bres. Si era frapposto con il suo stesso corpo tra Oberon e il bersaglio, immolandosi sulla lama nera.

Inorridito, con gli occhi sbarrati, Oberon disperse il potere della Oidhche Craoiseach e tremando indietreggiò di un passo, senza tuttavia estrarre la mano dal petto del Guardiano d'Irlanda. Rivoli di sangue comparvero copiosi sugli angoli della bocca del giovane, grondando a terra.

Con le ultime forze, Bres sollevò il capo, fissando Oberon negli occhi. E nell'incrociare il suo sguardo, il sovrano di Avalon sentì qualcosa spezzarsi dentro di se.

Come una goccia che si trasformava in cascata, un dolore senza pari nella storia del mondo lo investì dall'interno, trapassando le sue membra, il suo cuore e il suo spirito, infinitamente più profondo di quello di qualsiasi ferita. In quel momento, Oberon sentì tutta insieme l'agonia della perdita di Titania e Puck, Banshee e Fenor, Dinann e Lugh, e Aircethlam, e Tehtra, e Oghma, e Indech, e anche Kanon, Aspides, Ban. Sofferenza, senso di colpa, solitudine, vergogna, altra sofferenza lo trapassarono una dopo l'altra, ciascuna riflessa negli occhi ormai spenti del morente Bres.

"Che cos'è… questo dolore atroce… che le mie membra scuote?" si chiese, inorridito ed esterrefatto.

Bres sorrise debolmente, e le sue ginocchia cedettero, facendolo crollare in avanti, tra le braccia del Dio.

"Non la riconoscete? E'… la forza più grande di tutte… l'amore…" sussurrò.

"A… amore? Perchè ora? Perchè solo adesso lo provo?" balbettò Oberon.

"Perchè ora… è tornato da voi… Ve n'eravate privato… insieme a ogni altra vostra virtù… nella creazione dei Sigilli…!" disse, parlando con voce incredibilmente chiara, seppur flebile

"Per loro… vi siete ridotto… a un guscio… privo di qualsiasi traccia di umanità! Di ciascuna essenza non avevate mantenuto che una piccola stilla… e quasi privo di amore… non avete provato dolore alle morti degli altri Guardiani."

"Quando i Sigilli cadevano… le virtù tornavano a voi…ma non l'amore… la più potente di tutte… che avevate racchiuso nell'ultima tavola… affidata alla regina Titania…! Come speravo… quando quel Sigillo è stato rotto… l'amore è finalmente rifluito in voi… non ho dovuto far altro… che… svegliarlo…" spiegò con le ultime forze.

Lo shock dello comprensione si allargò sul viso di Oberon, in un fremito convulso. Per lunghi secondi, il signore di Avalon non ebbe parole per esprimere quel che provava.

"Che cosa ho fatto? In nome di tutto quel che è sacro… che cosa ho fatto?" balbettò alla fine, accasciandosi in ginocchio, le gambe improvvisamente incapaci di sorreggere il suo peso.

Dando fondo alle ultime forze, Bres piegò di nuovo la testa, cercando di nuovo lo sguardo del Dio, e stavolta un sorriso sereno gli si accennò sulle labbra.

"Resisti, ora ti salverò! Sei ancora il mio Guardiano, il difensore di Avalon… non ti lascerò morire così!" esclamò, sollevando l'altra mano, ora tesa a donare vita anzichè morte.

Bres però scosse la testa. "E' troppo tardi… Liamwen già mi aspetta oltre le soglie del cielo. Ma sono felice… me ne vado… tra le braccia… del mio… re…" disse sorridendo, con gli occhi velati da lacrime di gioia.

La testa ebbe un ultimo sussulto, poi si accasciò sulle spalle, giacendo immobile. Oberon la guardò ancora una volta, e non potè trattenere un gemito: i capelli di Bres erano ora tornati castani.

Sulle sponde di Scozia, Ioria avvertì un brivido e spalancò gli occhi, improvvisamente consapevole di quel che era successo.

Rialzatosi in piedi, il Dio di Avalon alzò la testa al cielo incurante, fissando il bagliore di stelle lontane con il viso rigato da fiumi di lacrime.

Il pensiero tornò agli ultimi secoli, spesi in quasi totale isolamento. A quella ricerca di una speranza che si era pian piano mutata in bieco desiderio di vendetta. All'odio verso Zeus e Odino.

Dentro di lui, l'oscurità lottò per riemergere, cercando di erodere il suo spirito, ma stavolta seppe ricacciarla indietro. Il dolore lo aveva reso facile, ed ora schiariva la sua mente dalle ombre che l'avevano avvolta. Per la prima volta da secoli riusciva a pensare chiaramente, senza più nulla ad offuscarlo.

Guardando il buio che ancora avvolgeva i Cavalieri, ripensò alla sua battaglia con Maab, primo momento del suo cambiamento, e comprese. Perchè quel lontano giorno, la lama della Oidhche Craoiseach non era stata di nera tenebra, ma di luce accecante.

"Maab, maledetta! Ti sconfissi quel giorno… ma a caro prezzo! Piantasti l'oscurità in me, un nero seme che nei secoli è fiorito, nutrito da sospetti, rancori e solitudine, fino a fare di me il relitto che sono oggi! Perdonami, Titania… se solo ti avessi ascoltata… se solo ti avessi tenuta vicina…" pensò disperato.

Poi il suo sguardo si indurì. Con un gesto, spezzò la fascia che gli stringeva i capelli, facendo si che cadessero a coprirgli il viso, e con un altro disperse le tenebre che avvolgevano i Cavalieri.

Confusi, sbalorditi di essere ancora vivi, i cinque si guardarono attorno frastornato, fissando uno dopo l'altro lo sguardo sulle due figure di fronte a loro.

"Bres…" balbettò Pegasus, guardando il corpo immobile del Guardiano.

"A nulla serve chiamarlo! Bres è morto… ucciso dalla mano di Oberon!" esclamò imperiosamente il Dio, con il capo chino ed il viso sempre celato dai capelli, sollevando la mano ancora tinta di sangue.

Sui volti dei Cavalieri, la confusione si mutò in sorpresa, la sorpresa in dolore, ed il dolore il rabbia. I loro cosmi esplosero luminosissimi.

"Si!" gridò Oberon, allargando le braccia estasiato "Mostratemi lo stadio ultimo dei vostri cosmi, l'immensa forza che ha sconfitto Zeus!!"

"Non hai avuto pietà neppure del tuo ultimo suddito! Maledetto!! Non c'è più nulla nè di divino nè di umano in te… non meriti di vivere!!" gridò Pegasus con il pugno serrato "Cometa di Pegasuuus!!"

Accanto a lui, altre quattro aure avvamparono rabbiose.

"Con tutta la forza che ancora ci resta!" esclamò Sirio.

"In nome di coloro che sono caduti!" aggiunse Andromeda.

"E perchè sul mondo possa regnare la pace!" continuò Cristal.

"Noi ti uccideremo, Oberoooon!!" concluse Phoenix.

Il Colpo dei Cento Draghi, la Nebulosa di Andromeda, il Sacro Acquarius e le Ali della Fenice si unirono alla Cometa di Pegasus in un'unica, sfavillante costellazione, che saettò verso il bersaglio più veloce della luce.

Il re sorrise, annullando il suo cosmo e abbassando ogni difesa. L'oscurità in lui si contorse disperata, incapace di riprendere il controllo.

"Oberon non sarà più la marionetta di nessuno!" pensò il Dio.

Ma in quel momento, avvertì anche qualcosa. Un barlume di cosmo, impercettibile ai sensi umani ma ben chiaro a quelli divini. Un cosmo proveniente dai recessi del castello, e che non avrebbe dovuto esistere.

"Non è possibile! Viene dalla sala del Rito… ma…" esclamò, spalancando gli occhi e voltandosi verso il palazzo.

In quel momento, la forza inaudita dell'attacco congiunto dei Cavalieri lo investì, facendo a pezzi la sua corazza in diversi punti e penetrando le sue carni, scaraventandolo contro le mura del castello, che crollarono in pezzi, e catapultandolo in un salone interno, dove venne nascosto dal crollo delle macerie.

Quando la polvere si fu diradata, Oberon era scomparso.

Sorpresi dall'effetto di quell'attacco, i Cavalieri fissarono ansimanti il punto in cui era scomparso

"Non ha nemmeno provato a difendersi… che significa?" affermò Andromeda.

"Forse credeva di non averne bisogno… di poter facilmente respingere anche questo attacco!" ipotizzò Cristal, ma Pegasus scosse la testa.

"No! Non so perchè… ma per un attimo è parso… spaventato! Sta succedendo qualcosa… dobbiamo seguirlo!" esclamò, allertato dal suo istinto, lanciandosi come meglio poteva verso il varco nelle mura.

Barcollando tra le macerie, i ragazzi entrarono nella stanza, guardandosi attorno alla ricerca di qualche traccia da seguire. Fu Phoenix a scorgerla, sotto forma di chiazze di sangue sul pavimento, che proseguivano in direzione dei corridoi. Con un senso di preoccupazione crescente, i cinque le seguirono.

Qualche centinaio di metri più avanti, Oberon entrò barcollando nella stanza del Rito, il terrore dipinto sul viso alla vista della luce accecante proveniente dal centro del pentagramma della Chiamata. E della figura che attraverso i confini del tempo e dello spazio avanzava verso di lui, i cui contorni si facevano sempre più distinti ad ogni secondo.

"Mancavano ancora i passaggi finali… nessuno dovrebbe poter uscire da solo dagli abissi del tempo! Come può essere arrivato fino a questo punto?!" balbettò sbalordito e spaventato. Poi gli occhi si serrarono determinati.

"Non importa! Devo fermarlo, a qualsiasi costo!" sussurrò, lanciandosi verso la figura che avanzava, e facendo esplodere il suo cosmo divino.

Indietro, i Cavalieri corsero nei profondi corridoi di pietra, in una direzione del tutto diversa da quella presa al loro primo passaggio. Più volte, si trovarono a calcare delle scalinate in discesa, avventurandosi sempre di più verso i sotterranei del castello.

Non appena ebbero imboccato l'ultimo corridoio, percepirono un cosmo immenso e terribile, seguito da un urlo di lancinante agonia, e si bloccarono di colpo.

Un istante dopo, l'urlo si spense, e il muro di fronte a loro andò in pezzi. Tra le macerie, il corpo senza vita di Oberon, con il torace completamente sfondato, i lunghi capelli bianchi intrisi di sangue, il viso dagli occhi ancora aperti contorto in una permanente maschera di terrore.

Sconvolti, i cinque lo fissarono increduli. A parte quelle lievi del loro scontro, non c'erano tracce di lotta su quel cadavere. Per quanto impossibile potesse sembrare, era stato abbattuto con un colpo solo.

A interrompere le loro riflessioni, un rumore di passi, e poi la completa esplosione di quel che restava del muro.

Tra le macerie, una figura alta più di due metri, dai lunghi capelli bianchi con indosso una spaventosa armatura nera si fece avanti, calpestando il cadavere di Oberon come se nulla fosse. I suoi occhi, gialli e iniettati di sangue, brillavano di una gioia oscura.

"Finalmente, dopo millenni di prigionia, Erebo, portatore di caos, è libero!!!" tuonò trionfante.

**********

Sull'Olimpo, Zeus fu attraversato da un brivido, e si accasciò in ginocchio.

Ad Asgard, Odino ebbe una convulsione e cadde dal suo trono di ghiaccio, crollando a terra e portandosi le mani al viso, distorto in una smorfia di terrore.

"Mio signore!!" gridò Orion, soccorrendolo.

Abbassando le mani, il Dio lo fissò atterrito negli occhi.

"Il Ragnarok… è incominciato!"

 

 

 

I Cavalieri dello Zodiaco

Guerra ad Avalon!

FINE

 

 

 

Prossimamente

La trilogia si conclude

Coming Soon: Armageddon