CAPITOLO QUATTORDICESIMO: I DISCEPOLI DIMENTICATI.

Con un balzo Andromeda evitò la pioggia di lance energetiche che Iaculo, il Serpente Giavellotto, gli aveva appena lanciato contro. Quindi contrattaccò in fretta, dirigendo la saettante Catena verso il nemico e osservandola moltiplicarsi in tantissime copie, che guizzarono nel tramonto asiatico, incendiando l’aria di scintille. Nuovamente Iaculo si irrigidì, piantandosi nel terreno e diventando un duro ammasso di materia contro cui la Catena si schiantò, senza riuscire a scheggiarlo né a ferirlo. Inerme, proprio come Andromeda aveva avuto modo di verificare nei minuti precedenti. Il Capitano dell’Ombra assumeva quell’innaturale posizione, sfruttando il potere del suo simbolo anche per difendersi, non soltanto per attaccare.

Le sue riflessioni furono interrotte dallo scatto rapido del suo avversario, che si lanciò contro di lui con tutto il corpo, rigido e pungente, come un giavellotto di energia. Andromeda richiamò le Catene, di cui si circondò per proteggersi, ma venne comunque spinto indietro dall’urto, barcollando sul terreno erboso ed esponendosi in questo modo alla carica del suo secondo nemico. Iemisch, la nera Tigre d’Acqua, affondò nell’interno coscia i sottili e taglienti artigli che ben maneggiava, lasciando che sangue sprizzasse copioso. Di fronte al suo sguardo soddisfatto e malizioso.

"Sei in difficoltà, Cavaliere di Andromeda?!" –Sogghignò Iemisch, osservando il ragazzo tastarsi la gamba, che gli ardeva di dolore per le unghiate appena subite. –"Non sembri proprio corrispondere alla preoccupazione che affliggeva il nostro Signore!" –Ironizzò, prima di concentrare il cosmo sulle mani e caricare un nuovo assalto. Veloce e preciso, ma anche molto potente.

Per difendersi, Andromeda liberò la sua Catena, disponendola sul terreno sotto forma di tagliola, falciando così l’assalto della Tigre d’Acqua, che rimase inizialmente stupito da quella strana tecnica del Cavaliere di Atena. Con un colpo secco Andromeda lo colpì alle gambe, fermando la sua rapida corsa, ma non appena sollevò la Catena d’Attacco, per scagliarla contro di lui, venne raggiunto in pieno petto dal nuovo assalto di Iaculo e spinto indietro.

"Non riesci proprio ad affrontarci entrambi!" –Commentò Iaculo, sfoderando un arcigno sorriso di denti gialli. –"O forse ti trascini nell’attesa che Phoenix venga a salvarti?"

"Co…come?!" –Balbettò Andromeda, incredulo.

"Flegias ci ha informato che tuo fratello ha il vizio di correre sempre in tuo aiuto, ogni volta che sei nei guai! Praticamente… sempre!" –Ironizzò Iaculo, lasciando piovere una fitta sequela di lance di energia contro Andromeda, obbligandolo a muoversi continuamente, a non restare mai fermo, neanche un centesimo di secondo, onde evitare di essere trafitto da quegli attacchi così precisi.

"Non ho bisogno di mio fratello per vincere i miei avversari!" –Commentò Andromeda, sollevando la Catena attorno a sé e disponendola in modo da formare un mulinello roteante, contro cui le lance energetiche di Iaculo si schiantarono.

"Usi ancora la tua arma?! Non hai capito che non basta per fermarmi?!" –Mormorò Iaculo, irrigidendosi nuovamente e scattando verso Andromeda, come fosse un giavellotto vivente. Iemisch, rimasto in disparte, si abbandonò ad un sorriso divertito quando vide Andromeda respingere il Capitano dell’Ombra con un’onda di energia.

"Credi forse che sia stupido? È vero, la Catena non può impedirti di sbilanciarmi all’indietro, ma posso sempre fermarti prima che tu mi raggiunga!" –Esclamò Andromeda, con il braccio destro ancora carico di scintille incandescenti.

"Urgh! Astuto l’amico! Con quell’aria da vergine immacolata…. Ammetto di averlo sottovalutato!" –Disse Iaculo, rimettendosi in piedi e pulendosi il sangue che gli colava dal labbro. –"Ma non accadrà una seconda volta!" –Aggiunse, aprendo il palmo della mano e creando una lancia di energia cosmica verdastra. –"Conosco bene la tua arma, Flegias me ne ha parlato! E so anche qual è il suo punto debole!" –Sogghignò Iaculo, iniziando a correre avanti. Andromeda rimase ad osservarlo con attenzione, pronto per caricare una nuova onda energetica con il quale respingerlo, nel caso avesse tentato di lanciarsi contro di lui. Ma Iaculo si fermò a pochi metri dal Cavaliere, piantando la lancia nel terreno e scaricandovi violente folgori di energia, che infiammarono il suolo, esplodendo proprio sotto i piedi di Andromeda.

"Aaaah!!!" –Esclamò il ragazzo, venendo sbalzato in alto, mentre migliaia di lance di energia sorgevano dal terreno, dirigendosi contro di lui. Molte colpirono la sua Armatura Divina, una protezione difficilmente superabile, ma qualcuna raggiunse le parti del corpo lasciate scoperte dalla corazza, soprattutto le mani e l’interno coscia.

Quando Andromeda ricadde sul terreno, con le Catene tutte sparse attorno a lui, non fece in tempo neppure a rimettersi in piedi, che venne afferrato per il collo da Iemisch e sbattuto contro un albero. Un po’ stordito per le scariche energetiche subite, il ragazzo sembrò non udire altro che lo scricchiolare sinistro delle ossa del suo collo, un rumore così vicino al suo orecchio. Fece per muovere le Catene ma Iaculo piantò due lance di energia nei palmi delle sue mani, crocifiggendolo all’albero in una posa innaturale, che gli piegò le braccia all’esterno, strappando ad Andromeda uno strillo di dolore, subito soffocato da Iemisch.

"Addio, ragazzo!" –Sogghignò la Tigre nera, con soddisfazione e orgoglio per quella missione che doveva concludersi proprio così. Con il suo trionfo. Non avrebbe accettato una soluzione diversa, perché qualunque fosse stata non sarebbe stato ciò che Flegias aveva chiesto. E ciò che egli si era impegnato a mantenere.

Di Andromeda e dei Cavalieri di Atena a Iemisch non importava particolarmente. Lui era un soldato e ciò che voleva era combattere, abbandonandosi a continue prove di forza, dove avrebbe potuto ben dimostrare tutto il suo valore e la sua potenza. Per questo serviva Flegias, affinché i suoi meriti e le sue qualità fossero riconosciute. E anche se il Maestro di Ombre aveva scelto Orochi come Capitano supremo, egli era certo di riuscire a fargli cambiare idea, grazie ai successi che avrebbe riportato in battaglia. Del resto Iemisch era perfettamente convinto di essere l’unico in grado di guidare l’esercito delle ombre che Flegias stava organizzando, poiché era l’unico che disponesse in misura equilibrata di forza e cervello. Cosa che, secondo lui, non poteva affatto dirsi degli altri Capitani.

Orochi era infatti un colosso, privo di qualsiasi forma di intelligenza, e Iaculo e Licantropo erano esseri deformi e grotteschi, buoni solo per insanguinare il campo di battaglia, in attesa dell’arrivo dei veri condottieri. Lamia era una donna, e come tale era inferiore. E Leviatano era troppo coinvolto emotivamente per poter essere veramente utile in guerra. Infine c’era Siderius, di cui Iemisch sapeva ben poco, soltanto che era stato addestrato al Grande Tempio di Atene e che adesso cercasse vendetta, per un qualche torto subito. Quali che fossero i suoi poteri Iemisch non lo sapeva, ma era certo che non sarebbero potuti essere più grandi dei suoi. Del resto egli era stato il primo a stringere tra le mani il collo di un Cavaliere Divino, e lo avrebbe stretto finché Andromeda non avesse esalato l’ultimo respiro. Poi, tenendolo sempre nel suo pugno, lo avrebbe portato a Flegias, trofeo della sua vittoria.

Ciò che non aveva però considerato era la capacità di ripresa dei Cavalieri di Atena, ricchi di valori più profondi dei suoi. Valori per cui valesse davvero la pena combattere.

Improvvisamente la mano di Iemisch iniziò a surriscaldarsi, mentre l’uomo osservava interessato, e con un certo stupore, il corpo di Andromeda avvolto interamente in un cosmo rosa e lucente. Un cosmo che andava crescendo sempre di più, fino a sovrastare il suo. Fino a strappar via le lance di energia piantatesi nelle sue insanguinate mani e a spingere indietro anche lo stesso Iemisch, travolto da una corrente di energia cosmica che non aveva mai provato prima.

"Nebulosa di Andromedaaa!!!" –Gridò il Cavaliere di Atena, liberando la galassia che celava dentro e riversandola sotto forma di tempesta energetica contro i due Capitani dell’Ombra.

Iemisch venne travolto in pieno e, per quanto cercasse di resistere, piantando i piedi nel terreno, venne scaraventato indietro, ruzzolando sul terreno per diversi metri fino a schiantarsi contro un albero, con l’armatura danneggiata in più punti. Iaculo, avvertito il pericolo, balzò in cima ad un albero, prima di irrigidirsi e lanciarsi nella tempesta, come un giavellotto di energia, diretto verso Andromeda. Ma la potenza della Nebulosa era talmente grande da respingere persino il suo assalto, scaraventandolo via quando era a pochi metri dal Cavaliere di Atena. Iaculo riuscì però a far cadere una pioggia di lance energetiche contro Andromeda, colpendolo sulle spalle e scheggiando la sua Armatura, obbligandolo a portare un ginocchio a terra, indebolito dal susseguirsi di scontri di quella lunga giornata e dalla ferita di Biliku, che non aveva mai smesso di infiammarlo.

Questo permise alla corrente della Nebulosa di scemare leggermente e a Iemisch di rimettersi in piedi, osservando Andromeda crollare a terra sfinito, toccandosi lo squarcio al collo. Lo scontro con Biliku aveva succhiato parte della sua energia vitale, come se l’antica creatura non fosse stata interessata a nutrirsi del suo corpo, ma della sua stessa linfa esistenziale. In quell’attimo in cui Andromeda aveva sentito Biliku dentro di sé, nella sua mente, gli era sembrato di scomparire, quasi risucchiato da un vortice di creazione e distruzione capace di portarlo indietro, all’alba dei tempi. Completamente immerso nel nulla.

"Hai combattuto bene, Cavaliere di Andromeda! E forse, se tu non avessi affrontato Biliku, avresti anche potuto vincerci entrambi!" –Esclamò Iemisch, con tono serio, di fronte allo sguardo stupito di Iaculo. –"In effetti, credo proprio di esserti inferiore!"

"Ma che sciocchezze stai dicendo, Iemisch? Uccidiamolo e facciamola finita!" –Ringhiò Iaculo, concentrando il cosmo nella mano destra in una lunga lancia di energia. –"Muori, cane di Atena!" –Gridò, calandola sulla testa di Andromeda.

Ma improvvisamente una luce dorata invase la foresta equatoriale, accecando i Capitani dell’Ombra e spingendoli indietro, con un’onda di energia che risucchiò la lancia di Iaculo, sbattendolo a terra a gambe all’aria. Iemisch invece, per quanto spinto indietro, riuscì a mantenersi saldamente in equilibrio, incrociando le braccia avanti a sé e proteggendo lo sguardo calando una visiera di vetro nero sugli occhi.

"Che succede adesso? È giunto davvero Phoenix a salvarlo?!" –Esclamò Iaculo, rimettendosi in piedi.

Ma del Cavaliere della Fenice non c’era alcuna traccia. Bensì, sospesi nell’aria sopra il corpo svenuto di Andromeda, tre figure avvolte da un aureo manto di luce erano appena comparse, avvolgendo il Cavaliere di Atena in una cupola protettiva, per rinfrancare il suo corpo ferito. Osservandoli, i Capitani dell’Ombra riconobbero che erano due uomini e una donna e non indossavano alcuna armatura da battaglia, soltanto abiti color arancione, di aspetto simile a quelli dei monaci. E questo li stupì non poco, poiché percepivano in loro un potenziale livello di conoscenza del cosmo che soltanto dei Cavalieri avrebbero potuto avere.

"Monaci volanti?!" –Sgranò gli occhi Iaculo. –"Chi diavolo siete, voialtri?"

"Hai così tanta necessità di saperlo? Potremmo anche dirtelo, ma in fondo cos’è un nome? Niente più di un’etichetta con cui indicare una persona, rendendola simile ad un oggetto!" –Commentò uno dei due uomini. –"E il materialismo è deplorevole come la guerra!"

"Anche filosofi siete? Beh, poco importa! Toglietevi di mezzo e lasciateci completare la nostra missione! Ne ho fin sopra i capelli di quest’isola e di tutte le sue stramberie!" –Esclamò Iaculo, facendo avvampare il suo cosmo, che concentrò sulla mano sotto forma di un mucchio di lance di energia.

"Misura le tue parole, straniero! Offendi i misteri di quest’isola e di colei che vi dimora!" –Rispose la donna, mentre l’uomo che ancora non aveva parlato abbandonò la sua posizione meditativa, levitando fino a terra e chinandosi su Andromeda, per aiutarlo a riprendersi e a mettersi in piedi.

"Sei debole? Riesci a camminare?" –Gli domandò con sincera preoccupazione.

"Sì… io credo di sì!" –Balbettò Andromeda, senza capire chi fossero quei tre uomini.

"Adesso basta! Filosofi o mentecatti, vi manderò tutti all’Inferno! Morite! Concatenazione!!!" –E fece piovere sui quattro una pioggia fittissima di lance di energia, che piombarono all’istante dal cielo. Andromeda si mosse per evitarle, ma l’uomo al suo fianco lo pregò di restare calmo e di risparmiare forze. Proprio in quel momento una cupola di luce accecante apparve attorno a loro, sormontandoli e proteggendoli dall’assalto di Iaculo, che non riuscì ad incrinare tale difesa, apparentemente sottile ma molto resistente.

"Kaan!!!" –Gridarono l’uomo e la donna ancora sospesi in aria, prima che anche il cosmo del secondo uomo si unisse a loro, generando un’onda di luce che scivolò fuori dalla cupola di energia, travolgendo la pioggia di lance e abbattendosi su Iaculo. –"Abbandono dell’Oriente!!!" –Esclamarono i tre, mentre il Capitano dell’Ombra veniva scaraventato molti metri addietro, con l’armatura distrutta in più punti.

A sentire quel grido Andromeda si voltò verso di loro e si accorse soltanto allora che i tre avevano gli occhi chiusi, e questo lo fece sobbalzare, ricordandogli un Cavaliere d’Oro che aveva affrontato in passato. Il custode della Sesta Casa di Virgo.

"Ma… questo colpo segreto!!! È il colpo di Virgo!" –Esclamò Andromeda.

"Di lui infatti siamo stati discepoli, Andromeda!" –Affermò pacatamente l’uomo sospeso in aria più in alto: Dhaval, il puro.

"Discepoli di Virgo, hai detto? Mio fratello me ne parlò… Durante la scalata alle Dodici Case, prima di giungere in nostro aiuto, egli affrontò due di voi! Loto e Pavone, questi erano i loro nomi!" –Esclamò Andromeda.

"Umpf, Loto e Pavone!" –Affermò Dhaval, con tono dubbioso, e a tratti scocciato. –"Non sono certo stati un modello da imitare! Troppo chiusi e accecati dal loro borioso integralismo da non saper discernere la verità dalla menzogna!"

"Pur tuttavia sono stati nostri compagni, e abbiamo pregato per loro quando abbiamo udito i loro cosmi spegnersi nell’oblio!" –Aggiunse la donna, prima che la voce di Iaculo richiamasse tutti loro.

"Credete forse di essere in un salotto a conversare?!" –Ringhiò, stringendo una lancia di energia in mano. –"Qua siamo in un guerra, e in guerra… si combatte!!!" –Aggiunse, scattando contro di loro, ancora protetti dalla dorata cupola del Kaan, e piantando la sua lancia nella barriera, infondendogli violente scariche di energia, che la fecero tremare fino in profondità, obbligando i tre discepoli di Virgo ad uno sforzo ancora maggiore per mantenerla integra.

Non ci riuscirono, a causa delle tremende scariche cosmiche di Iaculo, e il Kaan andò in frantumi, proprio mentre i tre discepoli e Andromeda scattavano in direzioni diverse, portandosi attorno al Capitano dell’Ombra, in modo da accerchiarlo. Iemisch rimase di lato, con le braccia incrociate al petto, ad osservare interessato quel nuovo scontro. Era un felino, e possedeva l’istinto del predatore, e come tale sapeva bene che prima di scattare verso la preda era importante studiarla attentamente. Per poter sfruttare i suoi errori e le sue debolezze. Tattica, la chiamava lui. Codardia, gli avrebbe risposto Iaculo.

Ma il Serpente Giavellotto non si lasciò intimorire dalla superiorità numerica dei suoi avversari, che sapeva fosse soltanto di facciata. Poiché, a livello di cosmo, era certo di essere loro superiore.

"Concatenazione!!!" –Gridò, dirigendo verso la donna una fitta pioggia di giavellotti di energia, obbligandola a ricreare una nuova cupola dorata tutta attorno al suo corpo, onde evitare di essere trafitta. Ma l’altro discepolo, quello che ad Andromeda era parso colui che li guidasse, storse subito il naso per tale azione avventata.

"In guerra bisogna comunque rischiare!" –Disse Dhaval, concentrando il cosmo tra le mani e liberando un ventaglio di energia, che si chiuse su Iaculo, proprio mentre la cupola della donna andava in frantumi ed ella veniva raggiunta da un nugolo di lance affilate. –"Tirtha, la tua strategia difensiva lascia molto a desiderare!" –Aggiunse, rimproverando la donna, che cercava di rimettersi in piedi, nonostante le ferite e i tagli sul corpo. Iaculo venne spinto indietro dall’attacco energetico del discepolo di Virgo e quando fece per contrattaccare si accorse di non essere in grado di muoversi, immobilizzato in una posa innaturale da cerchi di energia dorata che l’altro uomo aveva generato con la mente.

"Ottima mossa, Pavit!" –Si complimentò Dhaval, avvicinandosi assieme ai compagni al Capitano dell’Ombra, intrappolato all’interno di cerchi concentrici di energia spirituale, dalle intense sfumature oro. –"L’intelletto vince sempre sulla forza bruta!"

"Lasciami, bastardo!!!" –Ringhiò Iaculo, dimenandosi furioso.

"Uuh, che linguaggio volgare! Di buone maniere non sei certo maestro!" –Ironizzò Dhaval, prima di volgere lo sguardo verso Iemisch, che continuava ad osservare la scena a debita distanza, con le braccia incrociate al petto. –"E tu non corri a liberare il tuo compagno?"

"Quale compagno?! Io vedo solo uno sconfitto! Un guerriero che non è capace di portare a termine la propria missione, facendosi sconfiggere da tre ragazzini che ancora non hanno visto l’alba della pubertà, non è degno di definirsi tale!" –Esclamò Iemisch, con tono sprezzante.

"Attento a come parli, Iemisch! O pianterò nel tuo cranio le mie lance di vittoria!" –Ringhiò Iaculo, espandendo il proprio cosmo, dalle oscure sfumature verdastre.

"Attenti! Allontanatevi!!!" –Gridò Andromeda ai tre discepoli, i quali, troppo vicini al Capitano dell’Ombra, vennero spinti indietro dalla repentina esplosione del suo cosmo oscuro, incapaci di continuare a bloccare i suoi movimenti. Subito Iaculo caricò uno di loro, il ragazzo dai capelli fulvi che lo aveva immobilizzato con i cerchi di energia spirituale, colpendolo con un violento calcio sul mento e scaraventandolo contro un albero poco distante. Quindi si voltò verso gli altri due, sollevando un braccio al cielo, pronto per trafiggerli con le sue lance, ma Andromeda, che non aspettava che quel momento, fu più svelto di lui, lanciando la sua Catena avanti, che si attorcigliò attorno al suo polso, strattonandolo con forza verso di sé. –"Iaculo!!! Sono io il tuo avversario!!!"

"Siete tutti miei avversari!" –Sogghignò il Serpente Giavellotto, avvampando nel suo tetro cosmo. Ma Andromeda, determinato ormai a concludere quello scontro prima che l’isteria del Capitano dell’Ombra dilagasse ulteriormente, seppe rispondergli con le sue stesse parole.

"Non riuscirai ad affrontarci entrambi!" –Esclamò, prima di scagliare anche l’altra Catena. –"E non ti permetterò di sconfiggere questa mia convinzione!!! Vai, Onda del Tuono!!!" –L’agile arma di Andromeda procedette a zigzag nell’aria satura di energia, schiantandosi con forza sul bracciale destro del Serpente Giavellotto, mandandolo in frantumi e affondando nel suo esile arto.

"Aaargh!!! Maledetto, ti farò soffrire Andromeda!" –Gridò Iaculo, stringendo i denti per il dolore. Ma il Cavaliere di Atena non gli diede tregua alcuna, caricando il polso destro di guizzanti folgori di energia, che diresse contro di lui, stritolandolo in un incandescente abbraccio.

"Onda energeticaaa!!!" –Esclamò Andromeda, scaraventando Iaculo molti metri addietro, con l’armatura nera in frantumi e numerose ustioni su tutto il corpo. Non lo aveva notato fino a quel momento, ma il Capitano dell’Ombra era veramente magro, molto più di lui, quasi secco come un chiodo. Come le lance di energia con cui amava torturare i propri nemici. La guerra, per lui, non era mai stato un dovere, né una missione, ma solo un sadico piacere, che soddisfaceva al vuoto della sua vita. Per questo Flegias lo aveva scelto, convinto che, con un unico scopo da raggiungere, e con tanto piacere da provare nell’avvicinarsi ad esso, egli non avrebbe mai fallito.

Iaculo rantolò sul terreno, contorcendosi come un serpente, con i lunghi capelli marroni strappati dalle folgori di Andromeda. Lanciò un’occhiata piena d’ira verso il ragazzo ed espanse ancora il suo cosmo, ma non riuscì a rimettersi in piedi che venne travolto da un’onda di energia dorata, scagliata congiuntamente dai tre discepoli di Virgo.

"Abbandono dell’Oriente!!!" –Gridarono Dhaval, Tirtha e Pavit, falciando la vita del Capitano dell’Ombra, di cui rimase solo una carcassa ossuta e tinta di sangue. A causa dello sforzo, Tirtha e Pavit crollarono sulle ginocchia, e persino Dhaval, che sempre amava mostrarsi integro e senza sbavature, si abbandonò ad un respiro affannoso. E comunque soddisfatto.

"Molto bravi! Mi avete impressionato! Sì, lo ammetto: sorpreso e impressionato!" –Esclamò Iemisch, battendo le mani in segno di applauso e avvicinandosi a Andromeda e ai tre discepoli di Virgo. –"Ciò non toglie che porterò a termine la mia missione, Andromeda! Flegias mi ha ordinato di ucciderti e io lo farò! Costi quello che costi, tu sarai il mio trofeo! La preda della mia caccia!" –Sogghignò, sfoderando un arco di denti brillanti e aguzzi, simili a quelli di una fiera. –"Cura le tue ferite, Cavaliere! La Tigre d’Acqua non ama nutrirsi delle carcasse dei moribondi! Quelle le lascio agli avvoltoi, a gente infima come Iaculo! Io cerco la sfida, l’ebbrezza della caccia! E sono certo che tu saprai regalarmi tali emozioni!" –E strizzò un occhio al Cavaliere di Atena, prima di avvolgersi nel suo cosmo e scomparire nella notte che ormai era calata su tutti loro. –"Aspettami, Andromeda! Perché io tornerò!!!" –Nient’altro aggiunse, la nera Tigre d’Acqua, se non una risata squillante, che risuonò nella notte della foresta equatoriale.

Andromeda rimase in silenzio per qualche secondo, con lo sguardo cupo, a tratti malinconico, a tirare le fila di quella lunga giornata. Era la prima volta, da quando Kiki lo aveva trascinato via dall’Isola di Andromeda, in cui poteva essere veramente libero per pensare. Al Grande Tempio, e all’ampolla con il sangue di Biliku che avrebbe dovuto salvare i Cavalieri suoi amici. A suo fratello Phoenix, ancora in giro chissà dove, spirito errante negli angusti confini del mondo. E infine a Nemes, la donna che aveva ammesso di amare.

"Cavaliere di Andromeda!" –Lo chiamò Dhaval, avvicinandosi. –"Hai bisogno di cure e di cibo! Vieni con noi! Saremo ben lieti di condividere la nostra mensa con te!"

"Vi ringrazio, nobili discepoli di Virgo, ma credo che la mia presenza sia richiesta altrove!" –Commentò il ragazzo. –"Inoltre… ho un gran mal di testa, per tante cose che ancora non riesco a capire!"

"Forse possiamo aiutarti a chiarire alcuni tuoi dubbi!" –Sorrise Dhaval, per la prima volta, allungando un braccio verso Andromeda, il quale, seppur riluttante, ricambiò il gesto dell’uomo, afferrandolo e venendo avvolto da una sottile aura dorata. Tirtha e Pavit arrivarono all’istante, stringendo le mani degli altri due, in modo da creare un piccolo cerchio intimo, ove i loro cosmi si mescolarono, rinfrancandosi l’un l’altro.

Senza che Andromeda neppure se ne rendesse conto, si ritrovò sospeso in aria, a qualche metro da terra, con il corpo ricoperto da una luccicante polvere d’oro. Una polvere che era molto simile a quella che aveva visto usare a Mur per riparare le loro armature. I discepoli di Virgo chiusero gli occhi, concentrando i loro sensi, e ad un cenno di Dhaval il piccolo cerchio iniziò a muoversi, dapprima lentamente, poi sempre più velocemente, fino a sfrecciare come un fulmine nella foresta, e a passare oltre. Al di là del mare. Fino a ritrovarsi sulla terraferma.

"Dove siamo?!" –Chiese infine Andromeda, quando il cerchio mistico toccò di nuovo terra e le luci dei loro cosmi calarono di intensità. Tutto attorno vi era una fitta foresta scura e soltanto la luce della luna, alta sopra di loro, illuminava l’ambiente circostante. Andromeda si guardò intorno per capire, ma Pavit gli fece cenno di non porsi domande. In fondo ne aveva già molte a cui dover dare una risposta.

"A casa!" –Esclamò Dhaval, incamminandosi lungo un sentiero tra gli alberi altissimi, procedendo a passo sicuro in un luogo che l’uomo e i suoi compagni dovevano conoscere molto bene, essendo infatti stata la loro dimora negli ultimi anni. Da quando avevano abbandonato Kasia Kusinagara. Da quando avevano fallito e non erano riusciti a divenire Cavalieri di Atena. –"A casa!" –Ripeté l’uomo, spostando alcune felci e rivelando la loro destinazione. Un paesaggio magnifico. Un edificio che Andromeda aveva ammirato soltanto in sbiadite fotografie in bianco e nero negli atlanti dell’orfanotrofio.

Angkor Wat, l’immenso sito ove erano sorte alcune capitali dell’impero Khmer, a nord del lago Tonle Sap, la più grande distesa d’acqua interna del Sud-Est asiatico.

Andromeda rimase a bocca aperta ad osservare l’affascinante complesso templare, considerato il più grande del mondo. La luce della luna illuminava le antiche torri, lasciando rifulgere i visi sorridenti che ornavano le terrazze superiori. Era un luogo di culto enorme, che aveva visto susseguirsi secoli di storia, di religioni, di cambiamenti nella mentalità degli uomini. E di Dei che caddero in rovina, venendo sostituiti da nuovi idoli. Pavit, immaginando lo stupore del ragazzo, gli mise una mano su una spalla, incitandolo a procedere, in silenzio, attraverso il terreno libero di fronte alle mura esterne.

"Fece anche a me lo stesso effetto la prima volta che vi giunsi!" –Disse a bassa voce, strappando un sorriso al Cavaliere. Ma Tirtha lo pregò di tacere, avvolgendosi ancora di più nelle sue vesti e iniziando lentamente a divenire evanescente. Fino a quel momento Andromeda non l’aveva notato, ma adesso, sotto la pallida luna dell’Asia orientale, i tre discepoli di Virgo parvero davvero eterei, parvero davvero nascondersi allo sguardo umano e a divenire un tutt’uno con l’aria del tempio sacro.

Dhaval guidò Andromeda a passo sicuro sopra il terrazzamento della città, lungo la galleria più esterna, tra sculture in pietra e simboli incisi sulla roccia che Andromeda aveva timore anche solo ad osservare, tanto grande era la sacralità che parevano emanare. Ricordava poco delle nozioni apprese su Angkor, ma era certo che fosse stato in passato un tempio induista, e poi buddista. Prima di essere dimenticato, e poi depredato meschinamente.

Giunti in un chiostro a forma di croce, Dhaval rallentò il passo, invitando Andromeda a rilassarsi, poiché in quel luogo erano certamente al sicuro. Il Cavaliere di Atena sorrise, sforzandosi di mostrarsi grato, continuando a guardarsi attorno estasiato e a incrociare lo sguardo di mille raffigurazioni di Buddha e di molte altre iscrizioni che tappezzavano le pareti del chiostro.

"Questo è il Preah Pohan di Angkor Wat! Il Salone dei Mille Buddha!" –Spiegò Dhaval, con un certo orgoglio. –"Ed è qua che ci rechiamo spesso a pregare, e ad incidere una nostra buona azione, come tutti i pellegrini prima di noi!"

"Ma voi… chi siete realmente?!" –Domandò infine Andromeda, pieno di riconoscenza per l’aiuto che aveva ricevuto, ma anche pieno di dubbi.

"Domanda lecita la tua! E a rispondere sarò io, Dhaval il puro, discepolo di Virgo, anche se non tra i suoi prediletti!" –Commentò l’uomo, sedendo sul pavimento, in posizione meditativa. Presto imitato dai suoi compagni. –"Loro sono Tirtha, la pellegrina, e Pavit, il devoto! Siamo tutto ciò che resta di un gruppo di dieci discepoli indiani, desiderosi di attingere alle vie infinite della conoscenza, che avevano riposto in Shaka, Cavaliere d’Oro di Virgo, le loro massime aspettative, credendo che egli potesse realmente aprirci la via verso l’assoluto! Ammetto oggi, non senza un certo dispiacere, che tali speranze sono rimaste disilluse! Virgo è stato un ottimo maestro, non lo metto in dubbio, ma era troppo accecato dal suo orgoglio, dalla sua presunta superiorità, per provare pietà e sincero interesse verso il prossimo! E questo era contrario ai nostri ideali, questo era qualcosa che realmente non riuscivamo a capire! Noi volevamo divenire Cavalieri di Atena per esportare la giustizia, soprattutto lungo il Gange, sulle cui rive siamo nati e dove abbiamo assistito alla morte per malattia e per denutrizione dei nostri amici e parenti stretti! Ma Virgo voleva da noi qualcosa di più! Voleva che lasciassimo ogni legame con questa Terra per assurgere alla conoscenza assoluta, qualcosa a cui non siamo mai riusciti ad arrivare! Per questo non abbiamo ottenuto l’investitura!"

"Quattro erano le armature a cui ambire!" –Intervenne allora Tirtha, dopo un cenno di assenso di Dhaval. –"Tre corazze d’Argento, che sarebbero andate ai più meritevoli, e una corazza di Bronzo! Ma nessuna di loro aderì ai nostri corpi! Loto, Pavone e Birnam furono i beneficiari delle Armature d’Argento!" –Sospirò Tirtha, prima che Pavit riprendesse, con voce spezzata.

"E ad Ana andò la quarta corazza, quella del Pittore!" –Non aggiunse altro e abbassò lo sguardo, senza nascondere il dolore che soltanto al nome della donna si era impossessato di lui. E Andromeda intuì che vi fosse dietro una lunga storia.

"Investiti i migliori, Virgo ebbe altro di cui occuparsi! La guerra contro Crono, la necessità di fermare i Titani, il suo ruolo di consigliere del Sacerdote! I discepoli che non aveva saputo aprire alla conoscenza furono dimenticati e le porte di Kasia Kusinagara ci vennero chiuse! Così lasciammo l’India, con l’angoscia nel cuore per non aver saputo aiutare i nostri cari, e vagammo per le terre del Sud-Est Asiatico, nutrendoci di frutti e di bacche, fino a lambire i confini occidentali dell’immenso complesso templare di Angkor Wat! Qua ci stabilimmo e continuammo ad addestrarci per tutti questi anni, tentando ancora, questa volta da soli, di raggiungere quei livelli di conoscenza che avevamo soltanto sfiorato durante l’addestramento con Virgo! E ci riuscimmo! In parte ci siamo riusciti! Abbiamo ottenuto la padronanza del cosmo e affinato i nostri poteri! Certo, come avrai visto anche tu, non siamo dei guerrieri, né vogliamo esserlo, ma siamo in grado di difendere noi stessi e i deboli dai soprusi dei grandi! I deboli di cui nessuno vuole mai farsi carico!"

"Capisco, nobile Dhaval!" –Commentò Andromeda. –"Una storia triste, di ideali delusi e di speranze mai abbandonate, è la vostra! Ma è anche una storia di felicità e di soddisfazioni, perché infine avete trovato la vostra strada, infine avete raggiunto l’illuminazione che avevate tanto inseguito! Dovreste esserne contenti, non è così?"

"Contenti?!" –Mormorò Dhaval, non troppo convinto. –"Non saprei Andromeda… Credo che la felicità sia qualcosa che non raggiungerò mai in questa vita! Ci sono sempre ogni giorno troppi motivi per non essere felici! I cadaveri che galleggiano nel Gange, le grida soffocate degli affamati che latrano nel fango, la guerra che in questi anni sta insanguinando questa nazione! Vedi forse motivi per sorridere?"

"Vedo motivi per cui lottare!" –Rispose deciso Andromeda. E Dhaval annuì con il capo, prima di alzarsi in piedi e invitarlo a seguirlo. Con Tirtha e Pavit dietro di loro.

Percorsero in silenzio la galleria superiore fino a raggiungere il sacrario centrale e salire in cima alla sua torre, a sessantacinque metri dal suolo. Là, in un’ampia sala decorata con corpi di serpente che terminano in teste di leone o garuda, Andromeda sembrò notare qualcosa di strano. Una parete era simile ad uno specchio e pareva ondeggiare al muoversi dell’osservatore, rischiarata lievemente dai raggi della luna. Su quella strana superficie il corpo di un uomo era appoggiato, e riusciva a rimanere sospeso senza toccare terra, apparentemente privo di sostegno. Avvicinandosi, Andromeda notò che il corpo non era appoggiato, ma era proprio dentro allo specchio, intrappolato tra due mondi, in bilico tra due dimensioni. Il Cavaliere di Atena represse un grido di stupore quando si accorse di conoscere il suo volto. Quell’uomo era infatti il maestro di Dhaval, Tirtha e Pavit, il Custode della Sesta Casa dello Zodiaco. Shaka della Vergine.