CAPITOLO VENTESIMO: L’ASSEDIO DI TIRINTO.

Neottolemo del Vascello, fedelissimo di Ercole e secondo ufficiale della Seconda Legione, stava osservando gli ospiti improvvisati che aveva caricato sopra la Nave di Argo, salvandoli da morte sicura. Quella mattina, poco dopo il ritorno di Ercole, Nestore e Penelope dall’Olimpo, ed essere stato informato in breve del litigio intercorso tra il Dio dell’Onestà e la Regina degli Dei, era stato convocato nello studio privato del suo Comandante, il generoso Marcantonio dello Specchio, uno degli uomini dallo spirito più integro e dal cuore più puro di Tirinto.

Neottolemo, appena entrato nella stanza poco illuminata, si era inginocchiato di fronte al suo Comandante, prima di incrociare, rialzandosi, lo sguardo di Penelope del Serpente, Sacerdotessa della Quarta Legione e Consigliera del Dio dell’Onestà. Anche se non aveva potuto vederne gli occhi, Neottolemo aveva sentito che l’affascinante Sacerdotessa lo stava fissando e immediatamente si era chiesto quale fosse il motivo di quel consiglio segreto. L’Hero del Vascello venne incaricato di sollevarsi in volo con la sua Nave e dirigersi verso Tebe, al di là del Canale di Corinto, per informare la Legione dei Fiori della possibilità di un’imminente attacco.

"Ercole non ha ancora preso una decisione! Ma noi dobbiamo essere pronti a tutto!" –Aveva esclamato con decisione la Sacerdotessa del Serpente. E anche Marcantonio aveva annuito, pregando Neottolemo di fare in fretta.

"Il Dio dell’Onestà ama troppo i suoi Heroes per vederli rischiare la vita per lui! È probabile che non prenderà neppure in considerazione l’ipotesi di convocarci per discuterne insieme, come abbiamo fatto per ogni altra questione riguardante Tirinto o i problemi delle popolazioni confinanti! È probabile addirittura che pensi di affrontare Era autonomamente! Ma noi non lo lasceremo da solo in questa Guerra Sacra che la Regina dell’Olimpo vuole scatenare nuovamente! Noi combatteremo! Ma per farlo dobbiamo unire tutte le nostre forze!" –Aveva spiegato Marcantonio, con tono calmo ma deciso al tempo stesso.

Neottolemo aveva eseguito gli ordini, sollevandosi in volo oltre le nuvole con il suo splendido vascello volante: la Nave di Argo, così l’aveva chiamata, dopo che Druso di Anteus, il fabbro di Tirinto, aveva terminato di sistemarla, in onore alla mitica nave che nel Mondo Antico aveva condotto Giasone e gli Argonauti alla ricerca del Vello d’Oro, nella mitica Colchide. E Neottolemo, che di cultura greca era imbevuto, e che amava viaggiare con la fantasia, oltre i confini del materialismo moderno, aveva sempre sperato che un giorno anch’egli avrebbe potuto veleggiare alla ricerca di qualche oggetto misterioso, perso all’alba dei tempi, e che, con i suoi compagni, sarebbe potuto entrare nel mito.

Era giunto a Tebe nel bel mezzo della battaglia che gli Heroes della Quinta Legione stavano disperatamente conducendo, brontolando di rabbia perché Era li aveva preceduti, inviando probabilmente dei sicari per massacrare la Legione di Ercole. Dall’alto, nascosto tra le nuvole del cielo plumbeo, aveva osservato con preoccupazione il succedersi degli scontri, indeciso sul da farsi: nel piazzale antistante la residenza degli Heroes, Tereo di Amanita stava affrontando un uomo con una luminosa veste a strisce verdi e bianche, dotato di un’energia cosmica spaventosa, che nessun Hero, neppure il suo Comandante Marcantonio, avrebbe potuto eguagliare. Dietro all’edificio invece, nei verdeggianti prati alberati del parco curato con amore da Ila del Tulipano, gli altri Heroes stavano combattendo. E Neottolemo era rimasto meravigliato quando aveva realizzato che i guerrieri di Ercole stavano lottando tra di loro. Compagni contro compagni.

Aveva impiegato qualche minuto per comprendere le fazioni di quello scontro confuso, non comprendendo assolutamente il motivo alla base di così tanta ostilità fuori luogo. Invece di unirsi per correre in aiuto del loro Comandante in difficoltà, questi Heroes si stanno uccidendo a vicenda! Aveva pensato, con sdegno e con rabbia, prima di uscire dal suo nascondiglio tra le nuvole e planare verso terra, proiettando la grande ombra della Nave di Argo sul terreno sottostante.

A tale visione, alcuni Heroes della Quinta Legione ebbero un moto di sgomento, altri di piacevole sorpresa, e approfittarono della distrazione dei loro avversari per sferrare un attacco risolutivo. Paride della Rosa intrappolò Pericle dell’Abete in un groviglio di rovi, che aveva evocato dalla terra grazie al suo graffiante cosmo, affondando le acuminate spine nella corazza e nella pelle del suo avversario, mentre Morfeus del Papavero balzava alle spalle di Xenodicea della Ciliegia, alleata di Pericle, per immobilizzarla con l’aroma paralizzante del suo papavero. Fu Circe della Mandragola, dei tre Heroes sopravvissuti al massacro ordinato da Partenope del Melograno, ad avvicinarsi per primo alla Nave di Argo, salutando con calore Neottolemo e ringraziandolo per il suo intervento.

"Cosa sta succedendo?" –Domandò nervosamente l’ufficiale della Seconda Legione. –"Perché state combattendo tra di voi? Non sapete che il pericolo è alle porte del vostro Tempio? Non avete sentito il cosmo di Tereo e degli Heroes vostri compagni indebolirsi, sopraffatti da un potere ancestrale e divino?"

"Lo abbiamo sentito, nobile Neottolemo!" –Esclamò Circe, inginocchiandosi di fronte all’Hero, quasi a volerne indirettamente riconoscere la sua superiorità. –"Ma non è stato per nostra volontà che questo indecoroso scontro tra uomini che portano il nome di Eroi, per quanto di fatto non lo siano, ha avuto luogo! Xenodicea della Ciliegia e Pericle dell’Abete, assieme a Partenope del Melograno, ci hanno attaccato improvvisamente, massacrando i nostri compagni!"

"Come?!" –Sgranò gli occhi Neottolemo, spostando lo sguardo da Circe al triste paesaggio dietro di lui. Nel prato erboso, vicino alla residenza degli Heroes, giacevano altri cadaveri, ammassati più o meno confusamente. Riconobbe quelli di Kore del Cipresso e di Eurialo dell’Iris, ma il terzo non riuscì a riconoscerlo, perché ad esso era stata asportata la testa. Era Liriope del Narciso, crudelmente massacrato da Partenope. Neottolemo volse lo sguardo, disgustato da un simile atto barbarico, commesso per giunta all’interno dei confini di una residenza di Heroes di Ercole. Chiunque si fosse macchiato di un simile delitto sarebbe stato marchiato a vita con il segno dell’infamia.

"Dov’è Partenope adesso?!" –Domandò Neottolemo, riportando lo sguardo su Circe e sugli altri due guerrieri, ancora visibilmente angustiati per l’accaduto.

"È corso via!" –Rispose Circe. –"Prima di lasciarci in balia di Pericle e di Xenodicea, ha blaterato qualcosa riguardo al suo trionfo, riguardo al compimento del suo piano perfetto! "Argo dovrà inchinarsi di fronte a me e riconoscere la mia indiscussa superiorità! Sono lo stratega perfetto! Il guerriero perfetto!" ha gridato, prima di scomparire all’interno della residenza!"

Argo!!! Realizzò improvvisamente Neottolemo. Ecco chi era l’uomo contro cui Tereo stava combattendo! Il Sommo Sacerdote di Era! L’uomo più vicino alla Dea stessa, secondo soltanto a lei!

"Dobbiamo andarcene da qui!" –Esclamò di scatto Neottolemo, voltando le spalle agli Heroes e ritornando al suo vascello. –"Dobbiamo rientrare immediatamente a Tirinto! Ercole deve essere informato e le sue Legioni devono essere ricompattate il prima possibile!"

"E gli altri?!" –Domandò Circe, mentre un singhiozzo gli mozzò la voce.

Lentamente, Neottolemo si voltò verso di lui, sospirando, prima di pregarli di salire a bordo della Nave di Argo. Erano gli unici tre Heroes sopravvissuti della Quinta Legione e avevano il dovere di continuare a combattere, per il loro Dio e per i compagni caduti.

"Dobbiamo aiutare Tereo!" –Incalzò Circe, esitante. –"Il suo cosmo sta per esplodere! Lo sento!"

"Credimi, guerriero della Mandragola, per il tuo Comandante non vi è più niente che io o voi possiamo fare! Argo è un nemico che va al di là di ogni nostra possibilità! Persino i nostri quattro cosmi uniti assieme potrebbero non bastare! Ed Ercole non può permettersi, adesso, altre sconfitte!" –Rispose Neottolemo, analizzando con lucidità la situazione. –"Se anche Partenope si è unito ad Era, e ai suoi guerrieri, la situazione è più grave del previsto! Dobbiamo tornare subito a Tirinto e informare Ercole!"

Circe, Paride e Morfeus si scambiarono un’occhiata non troppo convinta, quindi decisero di rispettare gli ordini di Neottolemo che, per quanto non fosse un membro della loro Legione, era comunque un loro superiore, secondo soltanto al Comandante Marcantonio. Salirono quindi a bordo della Nave di Argo, trascinando il corpo inerme di Xenodicea della Ciliegia con loro. La donna infatti aveva perso i sensi, intorpiditi dall’aver inalato l’odore del Papavero Diabolico di Morfeus, ma Neottolemo ritenne opportuno condurla a Tirinto, debitamente neutralizzata, affinché Ercole potesse interrogarla e comprendere qualcosa di più riguardo a questo tradimento improvviso.

"Era ha dunque dichiarato nuovamente guerra al Dio dell’Onestà?!" –Domandò Circe a Neottolemo, durante il viaggio di ritorno, nell’alto cielo sopra le nuvole.

"Pare che non vi sia altro che la Regina dell’Olimpo brami se non di umiliare il nostro Signore, vederlo cadere nel fango come soltanto gli uomini sono capaci di fare, senza possibilità alcuna di rialzarsi! Una volta che Ercole sarà stato sconfitto, accusato di aver offeso e oltraggiato la Regina degli Dei, non sarà difficile per Era chiedere la sua condanna al Sommo Zeus!" –Commentò Neottolemo. –"Perché nient’altro darebbe ad Era una soddisfazione maggiore del vedere il Dio Ercole ritornare uomo!"

"Quello che non capisco è il comportamento di Partenope!" –Intervenne Morfeus. –"È sempre stato schivo, indubbiamente, ma anche molto generoso e leale nei confronti di Ercole! Che abbia finto per tutto questo tempo? Che abbia ingannato il Dio e noi suoi compagni per tutti questi anni?"

"Non dimenticare le sue parole, Morfeus!" –Esclamò Paride, stizzoso, ricordando la frase pronunciata da Partenope prima di lasciarli in balia di Xenodicea e Pericle. –"Argo dovrà inchinarsi di fronte a me e riconoscere la mia indiscussa superiorità! Sono lo stratega perfetto! Il guerriero perfetto!" Ha parlato di strategia! Forse progettava questo tradimento da tempo!"

"No, io non ci credo!!! Partenope non può aver tradito Ercole! Gli Heroes sono degli Eroi, non dei traditori!" –Pianse il giovane guerriero con i capelli a caschetto.

"Purtroppo, mio giovane amico, gli Heroes rimangono comunque degli uomini, e come tali dotati della facoltà di scegliere! E temo, ahimé, che Partenope abbia scelto la via più semplice, per lui, la via per il lato oscuro!" –Commentò Circe, poggiando un braccio sulla spalla tremante di Morfeus.

Neottolemo rimase silenzioso, mentre guidava la Nave di Argo nel cielo sopra il Canale di Corinto, quasi teso ad ascoltare il vento. C’era battaglia ovunque, lo sentiva nella terra tremante sotto di loro. Sembrava che l’intera Grecia fosse precipitata improvvisamente nel Mondo Antico, ove creature da tempo dimenticate erano uscite dal baratro dell’oblio per marciare nuovamente contro le libere genti. E c’era sangue. Tanto sangue. Neottolemo lo percepiva chiaramente. Gli Heroes stavano combattendo in luoghi diversi e molti di loro già erano caduti. Sospirò, aumentando l’andatura del Vascello Alato, fendendo le nuvole con la sua prua, su cui era intagliata un’armoniosa figura femminile, che alcuni consideravano Athena, Dea della Guerra e della Giustizia, alleata ed amica di Ercole, e che altri consideravano un’immagine angelica. In realtà, come Neottolemo amava ricordare, era soltanto la donna che aveva amato un tempo, e che il mondo gli aveva portato via.

"Mio Signore!" –Lo chiamò Morfeus improvvisamente, distogliendolo dai suoi pensieri. –"Credo che siamo quasi arrivati!" –Ed indicò la terra sotto di lui, che sembrava esplodere a causa del violento scontro cosmico in atto. Neottolemo e i tre Heroes si affacciarono al parapetto della Nave di Argo, nascosti tra le nuvole di quel plumbeo pomeriggio, per osservare sconvolti la guerra in corso mille metri sotto di loro: l’assedio di Tirinto era iniziato.

La fortezza di Ercole e dei suoi Heroes si ergeva massiccia al centro di una vasta piana, circondata da robuste e altissime mura, di spessa roccia, che lo stesso Dio aveva innalzato, aiutato da Marcantonio, Polifemo, Nestore ed altri Heroes di quella che bonariamente definiva "prima generazione", per indicare il maggior legame, da un punto di vista temporale, che li univa. Tutto attorno alle mura correva un vasto fossato, collegato ad un corso d’acqua vicino da una rete di canali ottimamente progettata dall’ingegnere ufficiale di Ercole, il Comandante Marcantonio dello Specchio, la cui rete riforniva anche la riserva idrica degli abitanti della fortezza. Per superare l’ampio fossato vi era un unico Ponte levatoio, il Ponte di Ercole, sul lato rivolto a Oriente, verso cui tutta l’intera fortezza era stata costruita, per un motivo simbolico ben particolare.

"Ad Oriente sorge il Sole!" –Aveva spiegato Ercole, inaugurando i lavori di ricostruzione della città. –"E noi da oggi sorgeremo assieme a lui, in questa nuova vita che io, Ercole, vi prometto!"

Di fronte al Ponte di Ercole partiva una lunga strada sterrata, sporadicamente circondata da alberi e cespugli in fiore, che conduceva alla principale strada di collegamento con le città della costa. Su quella strada solitamente transitavano i carri che portavano rifornimenti alla città e fuori da essa, verso gli abitanti che vivevano nei campi circostanti e nelle cittadine vicine. Ma adesso, degli alberi e dei cespugli in fiore, e dei carri carichi di merci abbondanti, non era rimasto niente. Vi era soltanto la guerra, che aveva travolto Tirinto, sollevando un’immensa nube di polvere nera.

Neottolemo e i tre Heroes della Quinta Legione osservarono impressionati l’enorme spiegamento di forze che Era aveva messo in campo. Ben quattro Giganti di pietra, alti come le mura di Tirinto, ruggivano sul terreno circostante, battendo i piedi e facendo tremare il suolo per chilometri, lanciando pietre e sassi, alberi e quant’altro, contro la roccaforte di Ercole. Assieme a loro, avvolto da un’aura cosmica possente, un uomo dominava la scena dall’alto, svolazzando sul campo di battaglia, rivestito da una splendida armatura dotata di ali arcobaleno. Lo scintillio del suo cosmo era così abbagliante che gli Heroes convennero che dovesse trattarsi di un Dio. Così come una Divinità era certamente la donna che era al suo fianco.

Alta e snella, con corti capelli verdi sfilacciati, Iris, Dea dell’Arcobaleno, affiancava Eolo, Signore dei Venti, osservando con piacere il violento assalto che i Kouroi stavano conducendo alla fortezza di Tirinto. E assieme a loro volava il quarto figlio di Eos, Zefiro, Vento di Primavera. Per quanto le mura fossero alte e robuste, e il cosmo di Ercole avvolgesse quella città in una cinta protettiva, nel tentativo di respingere il male annidato al di fuori di essa, Iris era certa che nel giro di qualche ora il Dio avrebbe ceduto e le porte di Tirinto si sarebbero aperte, come la sua Regina aveva ordinato avvenisse.

"Guardate là!" –Esclamò Circe, indicando un gruppo di uomini di fronte al Ponte di Ercole. –"Sono Heroes!"

Neottolemo sgranò nuovamente gli occhi, seguendo la direzione in cui puntava il dito di Circe. Con amarezza, dovette ammettere che il ragazzo aveva ragione. Ben quattro Heroes si ergevano di fronte alla fortezza di Tirinto, avvolti dalle loro auree da battaglia, e stavano usando tali poteri per sfondare le difese del Dio dell’Onestà, tradendolo proprio come Partenope, Pericle e Xenodicea avevano aggredito i loro compagni a Tebe.

"Ificle della Clava!" –Commentò Neottolemo con sdegno, riconoscendo il guerriero della Sesta Legione. A fianco del gigantesco soldato, armato delle sue terribili clave, vi erano Lamia dell’Amazzone, Efestione di Erakles e Dinaste di Anteus, tre Heroes dalle ottime abilità guerriere. E questo fece trasalire Neottolemo. –"Dobbiamo scendere!!! Adesso!" –Esclamò l’uomo, rendendosi conto di quanto azzardata fosse quella manovra. Ma Neottolemo sapeva che non vi era altro da fare, non vi era neanche un minuto da perdere.

In meno di un attimo, la Nave di Argo sbucò dalle nuvole, mentre l’aura cosmica di Neottolemo del Vascello, dalle scintillanti sfumature color verde acqua, la avvolgeva, rendendo quasi divina tale apparizione. Tutti i contendenti sollevarono per un momento lo sguardo al cielo, perdendosi nel rimirare le splendide vele del bastimento, tessute da Pasifae del Cancro, su cui risplendevano i simboli di Ercole: una clava avvolta in un turbinio di stelle e intrecciata con un ramo d’alloro. Sulla vela dell’albero maestro troneggiava un’immagine di profilo del Dio, mentre le altre erano decorate con scene ispirate alle imprese giovanili di Ercole, ormai entrate nella leggenda. Neottolemo ordinò ai tre giovani Heroes di prepararsi alla battaglia, tirando fuori tutto il cosmo che sarebbero stati capaci di produrre.

"Poveri stolti! Uscire così allo scoperto, in questo cielo percorso da violente correnti d’aria, significa condannarsi a pressoché istantanea morte!" –Esclamò Eolo, aprendo le braccia e muovendo le labbra, quasi come se stesse inspirando. Quindi soffiò con tutta la forza che aveva in corpo, smuovendo l’aria attorno a sé fino a creare una piccola tempesta che scosse il cielo sopra Tirinto, frenando l’avanzata della Nave di Argo e facendola sobbalzare.

"Non resisteremo a questa pressione micidiale!!!" –Gridò Circe, tenendosi con forza al parapetto della nave, assieme ai suoi compagni.

Ma Neottolemo, incurante degli strilli di protesta dei tre giovani e della tempesta montante, reggeva il timone con perizia, fendendo l’aria con la prua luminosa del suo vascello, che riusciva comunque a farsi strada grazie alla potenza del suo cosmo. Quando giunse sopra la città di Tirinto, a mezza strada tra la roccaforte di Ercole e il Dio dei Venti, che si era sollevato in aria per portargli un nuovo attacco, Neottolemo fermò il vascello, sollevando l’indice destro al cielo e radunando tutto il suo cosmo. Immediatamente una scia di nuvole vorticò nell’aria circostante, roteando attorno alla Nave di Argo e al suo esperto timoniere, mentre, quasi fossero ali di aquila, le vele del vascello si inarcarono improvvisamente, rilucendo nel sole del pomeriggio.

"Lasciaci passare, oh possente Eolo! Neppure tu, che dei Venti sei Signore e Padrone, puoi contrastare la Nave di Argo, che solca onde maestose, spinta dalle ali del mito!" –Tuonò Neottolemo, con un tono tale da irretire persino il Dio del Vento, che si ritrasse un poco. –"Le stelle benigne ed il cielo degli eroi ci assistono in battaglia, come hanno assistito ed osannato Ercole nel Mondo Antico! Perciò non fare questo torto a lui, tu che da questa guerra non riceverai guadagno alcuno, bensì evitabili turbamenti!" –Continuò Neottolemo, mentre la Nave si impennava nel cielo, avvolta in strati di nubi e di polvere di stelle. –"È così poca l’ammirazione che provi per il Dio dell’Onestà, l’unico che da millenni difende gli uomini e i loro interessi, anziché perseguire i lussuriosi fasti dell’Olimpo?!"

A quelle parole, Eolo esitò un momento, ritenendo che fossero giuste. Quella guerra, tra Era ed Ercole, non lo riguardava affatto, ed egli, da buon vecchio padre, come era stato in vita sua, provava una discreta ammirazione per un uomo che si era fatto da solo, che era riuscito ad ascendere alle porte dell’Olimpo grazie alle proprie forze. Ma la riconoscenza che provava verso Era lo legava come un giuramento inscindibile, obbligandolo a chinare il capo sospirando e a concentrare il cosmo per un possente attacco. Zefiro, il Vento dell’Ovest, osservò il volto serio del padre adottivo, al cui fianco destro sempre volava, e comprese i turbamenti del suo animo. Ma Iris, la Messaggera degli Dei, fu più rapida di entrambi, sorpassando Eolo e Zefiro come una sfrecciante cometa multicolore nel cielo sopra Tirinto e dirigendosi verso la Nave di Argo, sulla cui poppa Neottolemo si ergeva impassibile, avvolto nel suo lucente cosmo color verde acqua, dalle sfumature dorate.

"Ali del Mito!!" –Gridò infine, prima che la Messaggera degli Dei raggiungesse il vascello. Immediatamente le scie di nuvole e di polvere stellata si impennarono nel cielo, generando un’onda d’urto che spinse Iris indietro di parecchi metri, fino a farla strusciare sul terreno sottostante, presto raggiunta da Eolo e da Zefiro, anche loro respinti dall’impetuoso turbinare del cosmo di Neottolemo. Tossendo, il Dio dei Venti si rialzò, sollevando lo sguardo verso l’alto ed incrociando quello, fermo e impassibile, colmo di orgogliosa determinazione, di volontà di lottare per una causa giusta, dell’Hero di Ercole. Un vero capitano in grado di condurre il proprio bastimento attraverso oceani in tempesta!

Eolo sorrise, congratulandosi mentalmente per l’assalto che l’uomo aveva portato, che, anche se non aveva provocato a lui, Zefiro e Iris alcun danno fisico, aveva contribuito a minare le loro convinzioni sulla rapidità della guerra. Se tutti gli Heroes hanno la sua forza e la stessa luce di determinazione del capitano della Nave di Argo, questa non sarà una guerra! Sarà una strage! Commentò profeticamente Eolo, prima di librarsi nuovamente in volo, seguito da Iris.

In quello stesso momento riprese con rinnovato vigore l’assalto dei Kouroi contro le mura di Tirinto, accompagnato dai violenti attacchi energetici che Ificle della Clava e i tre Shadow Heroes suoi compagni stavano lanciando contro il cosmo protettivo di Ercole, che impediva loro di avanzare ulteriormente. Riflettendo su quella situazione di stallo, Dinaste di Antinous, il più strategico e calcolatore del gruppo, percepì che nel cosmo di Ercole vi era qualcosa di strano, di anomalo. Non era il cosmo aggressivo che avrebbero immaginato di trovarsi di fronte, l’aura battagliera che il possente Dio aveva sempre ostentato nelle sue mitologiche imprese, ma un cosmo pacato, difensivo, preoccupato soltanto di proteggere la città di Tirinto, avvolgendo in un caldo abbraccio tutti i suoi abitanti. Stupidamente, Dinaste e gli altri Shadow Heroes ritennero che tale atteggiamento difensivo fosse dovuto all’improvvisa paura che il Dio aveva iniziato a provare, per il tradimento di molti suoi guerrieri e per la morte di altri, con conseguente diminuzione del numero di Heroes impegnati nella difesa della città sacra. Ma non riuscirono neppure lontanamente ad immaginare i turbamenti che si agitavano impetuosi nell’animo del Dio dell’Onestà.

Ercole si era rinchiuso nel suo studio fin dal suo ritorno dall’Olimpo e ne era uscito soltanto una volta, per richiamare le Legioni ed assegnare un compito a ciascuna, limitandosi per il resto ad accogliere Penelope del Serpente, sua fida Consigliera, e i tre Comandanti, e più tardi Nesso del Pesce Soldato, con le notizie relative alla Lama degli Spiriti. Da allora nessuno lo aveva più incontrato, neppure Penelope. Nessuno dei pochi Heroes presenti aveva avuto l’ardire di disturbare le sue meditazioni. Ma né Penelope, né Marcantonio dello Specchio, ebbero alcun dubbio su cosa preoccupava maggiormente il loro Signore. La possibilità che i propri guerrieri perissero in uno scontro che, per quanto Ercole avrebbe voluto evitarlo, lo coinvolgeva in prima persona, impegnandolo contro Era come ai tempi del mito.

Fin dai tempi del mito! Ripeté Ercole, chiuso nel suo studio. Aveva chiuso le tende sulla grande terrazza rivolta ad Oriente, lasciando soltanto che qualche candela accesa rischiarasse i suoi pensieri, ed era sprofondato sulla robusta seggiola di legno che Polifemo del Ciclope aveva intagliato per lui. Fin dai tempi del mito mi perseguiti! Commentò Ercole, provando una rabbia profonda nei confronti di Era, nei confronti di una donna che lo aveva sempre disprezzato, considerandolo solo il frutto proibito di un errore del marito, senza mai cercare di amarlo, senza mai cercare di comprenderlo. Il prodotto di un atto di dolore che la Dea, dopo millenni, non aveva ancora dimenticato.

Ma Ercole sapeva che c’era di più. Che Era non lo odiava soltanto per questo, bensì per la vita che aveva avuto. Per i successi e i traguardi raggiunti, le grandi imprese che aveva compiuto e per cui era stato celebrato dagli aedi e dai cantori di storie, per le odi che erano state declamate in suo onore, per le rappresentazioni sceniche che avevano invaso la Grecia, inneggiando al Dio dalla personalità umana, e infine soprattutto per l’amore di cui gli uomini lo avevano sempre fatto oggetto. Un amore puro e sincero, completamente disinteressato, nato dal genuino sentimento che legava Ercole alla gente comune, lo stesso modo speciale e sereno di vivere la vita, godendo pienamente di ogni occasione, aiutandosi l’un l’altro e tenendosi per mano, in un immenso girotondo di anime.

Era non aveva mai avuto tutto quell’amore che tanto disprezzava. La venerazione di cui era stata fatta oggetto, soprattutto ad Argo e Micene, era una venerazione puramente celebrativa, ove uomini e donne si inginocchiavano di fronte ai simulacri di una Dea per ottenerne misericordia e protezione, soprattutto per quel che concerne l’agricoltura e i raccolti. Era una venerazione di facciata, genuina certamente, ma non difforme da quella che provavano gli uomini per il Dio del Fulmine e per il Dio della Morte, per il Signore dei Venti e per l’imperatore del Mare. Non era un sentimento profondo, un legame sentito per un’entità che aveva condiviso con gli uomini le stesse gioie e gli stessi dolori, gli stessi tormenti e sacrifici, al punto da legare assieme la sua natura umana e la sua origine divina, in un’eccezionalità mai più ripetutasi.

Ercole aveva pena di Era, provava compassione per una donna insicura, data in sposa ad un uomo che non l’aveva mai considerata unica. Ad un uomo che non aveva esitato ad approfittare di ogni goliardica occasione che la vita gli aveva offerto, anche se ciò significava oltraggiare la Dea Madre, la Regina dell’Olimpo. Ma per quanto questo frenasse la sua rabbia verso di lei, Ercole non poteva dimenticare tutto il male che le aveva fatto, fin da quando, ancora in culla, aveva inviato due serpenti contro di lui, per ucciderlo. E le battaglie che erano seguite, che avevano segnato la sua adolescenza e la sua età adulta, portandolo spesso al delirio e alla sofferenza.

"E questa non fa alcuna eccezione!" –Esclamò Ercole, alzandosi di scatto dalla sedia di legno di noce. Il cosmo congiunto di Ificle della Clava e degli altri Shadow Heroes, accompagnati da Eolo e da Iris, si schiantò con veemenza contro la Porta Principale, nascosta dal Ponte di Ercole, momentaneamente sollevato, e protetta dalla barriera cosmica che il Dio dell’Onestà aveva eretto per proteggere gli Heroes rimasti all’interno di Tirinto e per dare tempo ad Alcione e alla Legione del Mare di completare la missione assegnata loro: ritrovare la Lama degli Spiriti. Poteva avere dei dubbi su come affrontare il pericolo rappresentato da Era, ma al riguardo il Dio era certo che sarebbero riusciti nell’impresa. –"Hanno soltanto bisogno di un po’ di tempo!"

Per questo motivo aveva giocato in difesa fino a quel momento, permettendo agli Heroes rimasti all’interno di Tirinto di riorganizzarsi, seguendo le direttive di Marcantonio dello Specchio, Comandante della Seconda Legione, nominato da Ercole come guida per tutti gli Heroes. Ma adesso sentiva che la difesa non bastava più. Che il gioco avrebbe dovuto proseguire andando avanti, uscendo al di fuori delle fortificate mura di Tirinto e affrontando a petto duro Era e i suoi sicari. Adesso che troppi Heroes si erano spenti per lui, adesso che li aveva sentiti invocare il suo nome, prima di scomparire nelle tenebre di Ade, adesso che altri in cui aveva riposto fiducia lo avevano tradito.

Ercole strinse i pugni con rabbia, deluso e mortificato dal tradimento di uomini che lui stesso aveva cresciuto, che lui stesso aveva contribuito a formare. A diventare i suoi stessi carnefici. Fece per muoversi, verso un’incavatura nel muro, ove giaceva riposta la Glory, quando un’immensa luce, calda e abbagliante come il sole, filtrò dalle tende dello studio, rischiarando l’intera fortezza. Ercole sospirò e comprese che il tempo dei tentennamenti e delle eccessive riflessioni doveva dirsi concluso.

In quello stesso momento infatti Neottolemo del Vascello respingeva l’assalto di Eolo e di Iris, lasciando che le Ali del Mito travolgessero le due Divinità, senza però atterrarle definitivamente. Ificle della Clava allora condusse un rinnovato assalto contro la barriera protettiva, unendo il suo cosmo a quello dei compagni, facendo sussultare per un momento l’intera fortezza di Tirinto tanta era la potenza che gli Shadow Heroes stavano dimostrando, mentre folgori incandescenti dilaniavano il cielo, elettrificando l’aria sopra la città. Lo scontro tra i due poteri generò un’onda d’urto che fece barcollare persino la Nave di Argo, obbligando Neottolemo a resistere con accesa determinazione alla tempesta di energia.

L’assalto non aprì agli Shadow Heroes le porte di Tirinto, ma fece barcollare la fiducia dei guerrieri di Ercole di resistere ad oltranza senza mai affrontare direttamente i loro nemici, come il Dio dell’Onestà aveva finora pianificato di agire. Prima che Ificle ed Eolo potessero coordinare le forze per un rinnovato assalto congiunto, una violenta esplosione di luce accecò tutti i presenti, obbligandoli a pararsi gli occhi con un braccio. L’accecante onda di energia luminosa travolse gli Shadow Heroes, Zefiro, Eolo ed Iris, scaraventandoli indietro di parecchi metri, e bloccò per un momento persino i meccanici passi dei Kouroi, prima che il bagliore diminuisse, rivelando un uomo, seduto in posa meditativa, sospeso nel cielo sopra l’alta torre di Tirinto.

Dinaste ed Ificle, rialzatisi immediatamente, non nascosero parole di preoccupazione nel riconoscere l’uomo dai lunghi capelli scuri, ombrati di verde, che fluttuava nel cielo senza battere ciglio. Uno dei compagni della Legione che avevano tradito. L’unico, assieme a Druso il fabbro, che non aveva lasciato Tirinto quando Ercole, qualche ora prima, aveva ordinato a Chirone e ai suoi Heroes di fermare l’avanzata dei Kouroi a sud. Con il cosmo concentrato tra le mani, e i sensi tesi alla massima concentrazione, Tiresia dell’Altare era appena entrato sul campo di battaglia.