Capitolo 18: Il giudice, il musico e gli ebri

"Dove sono?", domandò l’ebro dell’Otre, sollevando il capo, chino per terra.

Noa si guardò intorno, alle sue spalle vi era un lungo scivolo nero, quello su cui era caduto, quindi si voltò e dinanzi a se vi era un lungo corridoio, stavolta illuminato da delle torce.

"Benvenuto, cavaliere olimpico", esordì un uomo, seduto alla fine del corridoio, alle sue spalle vi era una volta, che sembrava introdurre ad un altro corridoio.

"Chi sei?", domandò l’uomo dall’armatura in granito, "Il mio nome è Noa dell’Otre, ebro di Dioniso", si presentò il successore di Maximo.

"Io sono Knosus di Uptat, allievo del sommo dio Thot e custode del Menat del Giudizio", si presentò il Pharaon.

L’armatura rappresentava chiaramente un lupo, rappresentato dal pettorale e le spalliere della corazza, le quattro zampe costituivano la copertura delle gambe, il corpo della bestia divina era a protezione della cinta e delle braccia, nascoste completamente. Sulla testa del guerriero vi era una corona, quasi simile ad un piccolo casco, probabilmente la coda del lupo.

I capelli del guerriero erano lunghi e sottili di un colore marrone chiaro, gli occhi verdi, i lineamenti duri e superbi, non si era ancora alzati in piedi, malgrado il suo nemico fosse già pronto a combattere.

"Mi permetti di passare?", domandò Noa, "Scherzi?", ribatté seriamente Knosus, "Temevo una risposta del genere", sussurrò l’ebro, "preparati alla battaglia, Pharaon", lo minacciò il guerriero di Dioniso.

"Wine vortex", urlò il comandante degli ebri, scatenando il vortice di fuoco dal suo montante.

Il guerriero egiziano sollevò lo strano oggetto che aveva in mano, un Menat, uno degli scettri che i faraoni ricevevano nei tempi antichi una volta morti, un simbolo di potere nel regno dell’Oltretomba.

L’oggetto, anch’esso di granito, brillò dinanzi all’attacco nemico, ma alla fine riuscì a deviarlo, scagliandolo contro il tetto del corridoio.

"Prevedo uno scontro difficile", pensò Noa, "spero almeno che Awyn non abbia altrettanti problemi", si augurò.

La baccante correva lungo le scale del terzo corridoio da sinistra, quello vicino al centro, su di una scala che saliva all’infinito apparentemente.

"Dove condurrà questa strada, pensavo che i corridoi fossero rettilinei", rifletté la guerriera della Vite, prima di trovare un gigantesco spiazzale.

Lo spiazzale era circolare, i muri tutt’intorno ad esso si chiudevano a cono verso l’alto, vi era un foro al centro dell’area circolare ed oltre la porta da cui era entrata Awyn, vi era solo un’altra porta, propria dinanzi alla prima.

"Benvenuta, guerriera", la salutò una voce giovanile.

La baccante si trovò dinanzi una figura, mentre uno strano suono riempiva la zona.

Noa era fermo, spaventato dalla facilità con cui Knosus aveva fermato il suo attacco.

"Quale vile gesto attaccarmi, io che sono un giudice. Ora, se hai un minimo di fede in qualsivoglia dio, quieta il tuo desiderio di lottare e prega le divinità a te care, che mi rendano comprensivo nei tuoi confronti, peccatore", sentenziò il Pharaon, alzandosi in piedi.

"Costui è pazzo, ma anche incredibilmente potente", balbettò l’ebro, "Taci, insetto", ordinò il giudice, sollevando il Menat, che nuovamente s’illuminò, "Desert wolves attack", urlò Knosus.

Noa vide centinaia di lupi scagliarsi contro di lui alla velocità della luce, riuscì ad evitarne alcuni, ma i più lo colpirono, gettandolo a terra ferito.

"Velocità pari a quella della luce, ben due colpi non ho visto e quelli mi sono stati fatali", rifletté Noa, sputando del sangue.

"La tua armatura sanguina?", domandò incuriosito Knosus, "Dono di Dioniso, grazie al sangue del dio del Vino, le mie vestigia si riparano immediatamente e automaticamente", rispose l’ebro alzandosi in piedi.

"Non so se per te sarà un dono, poiché ben presto il tuo corpo sarà distrutto e le tue vestigia m’impediranno di compiere un gesto di pietà come finirti", lo sbeffeggiò il guerriero di Uptat.

Quell’immagine fece ritornare in mente a Noa ciò che sapeva del suo predecessore, Maximo dell’Otre, morto per mano del dio Phobos, malgrado le sue vestigia fossero sopravvissute a quella guerra.

"Pharaon, puoi vantarti di un’immensa potenza, del tuo Menat, ma non mi sconfiggerai con le semplici parole, o con quel singolo colpo", lo avvisò Noa, preparandosi alla difesa.

"Sembrerebbe che tu non voglia attaccare, perfetto", affermò Knosus, alzando nuovamente il Menat, "Desert wolves attack", urlò il Pharaon.

"Holy fire", tuonò in risposta l’ebro. Delle sfere di fuoco si disposero intorno a Noa, per poi scagliarsi sui lupi energetici di Knosus. I due colpi si annullarono a vicenda.

"Come ti ho dimostrato, non sei onnipotente, Pharaon, quindi preparati a subire il mio attacco", minacciò Noa, sollevando le braccia sopra il capo, "Ecco per te il colpo massimo dei maestri del fuoco", esordì l’ebro, "Sacra Otre, scorri dinanzi a noi", tuonò infine, prima che la corrente di fuoco si gettasse sull’egiziano.

Knosus volò a terra, sorpreso dall’attacco nemico.

"Ora, cavaliere, pagherai, poiché nessuno ha mai osato prima colpirmi. Io sono il giudice dell’Oltretomba ed ora ne capirai il motivo, vile invasore", sentenziò Knosus, scattando in piedi ed espandendo il suo cosmo.

"Invasore? Noi siamo semplicemente giunti qua per chiedere consiglio a Ra", ribatté Noa, "Tu menti, sei anche codardo?", tuonò il guerriero di Uptat. "Eternal judge", urlò in seguito, scatenando un fascio luminoso dal suo Menat.

Il fascio di luce circondò l’ebro, trasmettendogli un dolore lancinante.

"Chi sei, guerriero egizio?", urlò Awyn, avanzando verso il centro dello spiazzale, "Il mio nome è Ihi, bella fanciulla, ed il sistro il mio strumento musicale. Questa mia armatura rappresenta il dio Khepri ed il sommo dio Osiride mi ha addestrato", si presentò il giovane nemico, facendosi avanti.

L’armatura del guerriero rappresentava uno scarabeo. Le ali dell’animale costituivano la spalliera dell’armatura, le varie zampe i gambali, mentre il corpo della bestia divina copriva il corpo del giovane. Le sue braccia, dagli avambracci fino ai polsi, erano scoperte, le mani, con cui impugnava un sistro, erano coperte da dei guanti lunghi, neri e sottili. Il volto del guerriero era chiaramente quello di un giovane, poca barba vi era sulle guance, tranne quelle, vi era una maschera, rappresentante la testa di uno scarabeo, che nascondeva naso, occhi e capelli di Ihi.

"Se posso darti un consiglio, ragazza, non avanzare verso quel foro, ritorneresti alla base di questo corridoio e mi dispiacerebbe perdere la possibilità di ammirarti ancora", sentenziò il giovane guerriero.

Awyn rimase spiazzata da queste parole, "Scherzi con me, guerriero?", domandò perplessa, "No, al contrario, preferirei non dover combattere con te, quindi gradirei che tu ti arrendessi, quando lo scontro sarà finito, ti farò andar via da qui", propose Ihi.

In quel momento, la baccante sentì il cosmo del suo amato comandante Noa indebolirsi per un feroce dolore.

"Scusa, ragazzino, ma devo abbatterti", esordì la baccante, "Ivy chains", urlò poi, scatenando le catene simili ad edere. Ihi evitò il colpo a fatica, gettandosi sulla sua destra, "Sai, non avrei voluto farlo, bella fanciulla, ma dovrò combatterti ed ucciderti", si scusò il giovane egiziano, iniziando a suonare il sistro.

"Richiamo di Khepri", decantò il Pharaon.

Dal nulla apparvero centinaia di scarabei, che circondarono velocemente l’ebra della Vite, "Rolling defense", urlò per difendersi dagli insetti energetici, che però la sommersero.

"Addio, bella guerriera", disse semplicemente il guerriero, voltandosi verso la porta.

Il dolore era lancinante per Noa, non riusciva più a restare sveglio, voleva addormentarsi, per sempre se necessario, ma almeno si sarebbe salvato.

"Senti la stanchezza ed il dolore, ebro? Ora proverai qualcosa di più severo, il mio giudizio", lo avvisò Knosus, mentre i suoi occhi si illuminavano di rosso.

"Non hai ucciso nessuno, strano, pensavo fossi un feroce assassino", rifletté il guerriero egizio, "Ti ho detto che noi non siamo invasori, il disprezzo del tuo dio è semplicemente un antico screzio fra divinità", balbettò l’ebro, in preda a lancinanti dolori, "Non ti ho concesso di parlare", lo sgridò Knosus, aumentando il potere del suo attacco.

"Non vedo gesti feroci nel tuo animo, nemmeno lungo gli allenamenti, solo un feroce odio ti alimenta: odio, rancore e delusione, ecco cosa ti dà forza", affermò perplesso il guerriero di Uptat.

"Nella città di Corinto vi erano gli ebri di Dioniso, divisi in baccanti e satiri, tutti guidati da me, Noa dell’Otre. Una titana di nome Miranda ha ucciso tutti tranne me e la mia compagna d’arme Awyn. Ho visto morire coloro che avrei dovuto condurre in battaglia, per questo vado avanti nella vita, per vendicarli e poter un giorno guardarli tutti negli occhi, quando ci rivedremo nel paradiso degli dei", spiegò semplicemente l’ebro, mentre le lacrime scorrevano sui suoi occhi.

"Tu…. Tu….. non stai mentendo?", balbettò Knosus, il cui tono di voce era lentamente ed inesorabilmente cambiato, "No", rispose semplicemente Noa, prima di lasciarsi andare.

Il buio prese possesso della mente dell’ebro, non vedeva più niente, ricordava Remor, Awyn, la città di Corinto e Miranda, ma non aveva la forza di aprire gli occhi, finché non sentì qualcosa spingerlo.

"Guardami, ebro", ordinò la voce di Knosus.

Noa aprì gli occhi, "Ho deciso di fidarmi", disse il Pharaon, "ti condurrò io stesso dal mio sommo signore Ra, in fondo sei persino riuscito a ferirmi", concluse semplicemente l’egiziano, conducendo con se l’ebro lungo il corridoio illuminato.

Il pensiero di Noa si fermò su Awyn, che egli non sapeva intenta in uno scontro.