Capitolo 7: I figli di Odino

Corsero lungo il Bifrost, il magnifico ponte arcobaleno, sembrava lungo chilometri ed ogni passo un nuovo colore riempiva l’aria circostante. Se non avessero avuto fretta, i cavalieri sarebbero rimasti per ore ad osservare i bellissimi giochi di luce che, però, riuscirono in parte a rincuorarli.

Oltrepassato il ponte, si ritrovarono in una zona montuosa incredibilmente gelida. Montagne di neve coprivano la visuale dinanzi a loro. Solo due figure si ergevano ferme e decise tra la neve.

I cavalieri avanzarono verso di loro, "Fermi dove siete, guerrieri", tuonò uno dei due.

Freiyr fu il primo che poté inquadrarli: erano due uomini possenti dalle grandi armature nordiche tipiche dei vichinghi. Quello sulla destra aveva lunghi capelli biondi legati con trecce dinanzi al volto, nel medesimo modo era pettinata la lunga barba bionda. Oltre alla possente armatura, costui impugnava un’arma, un gigantesco martello. Su tutte le sue vestigia brillavano le immagini di magnifici fulmini, finemente lavorati.

Il secondo aveva anche occhi azzurri e capelli biondi, ma non teneva né i capelli né la barba pettinata nel medesimo modo di quello che sembrava essere suo fratello. Questo secondo uomo possente aveva un’armatura decorata con l’immagine di una gigantesca nave vichinga, non portava armi, né sembrava interessato a combattere, rimase fermo ad osservare il fratello che avanzava.

"Cavalieri sacri all’Olimpo e voi, guerrieri di Asgard, come avete osato raggiungere questo sacro suolo?", domandò il gigantesco uomo armato del Martello.

"Chi è costui?", balbettò Aiace, perplesso dall’imponenza dell’avversario, "Costui è il grande dio Thor, difensore delle nostre terre", rispose Freiyr, prima di inginocchiarsi dinanzi al dio, "e lui è Balder, il dio giusto, ambedue sono figli di Odino", aggiunse, mentre i suoi compagni s’inchinavano insieme a lui.

"Sommi figli di Odino, vi preghiamo di parlarci dei Simboli del Comando", supplicò Freiyr, "Chi sei per chiedercelo?", domandò Thor, avanzando verso il figlio di Siegfried.

"Sono Freiyr di Dubhe, figlio del grande Siegfried e della celebrante Hilde di Polaris. Futuro re di Asgard e primo cavaliere a protezione del sacro Regno", si presentò il guerriero del Nord, "Ed io", aggiunse Camus, avvicinandosi al cugino ed inginocchiandosi accanto a lui, "sono Camus dell’Acquario, santo d’oro di Atena, figlio di Hyoga del Cigno Divino, reggente di Asgard, e di Flare, sorella della celebrante Hilde di Polaris", si presentò il cavaliere d’oro.

"Thor", esordì Balder, alle spalle del fratello, "sono due nobili asgardiani, lascia che me ne occupi io, scegliti un altro avversario per la tua prova", chiese gentilmente il nobile dio.

"Prova?", sussurrò perplesso Aiace, "Si, guerriero dalla nera armatura, sapevamo del vostro arrivo, dopo che Hemdall vi ha concesso di passare, abbiamo deciso di testare le vostre capacità, se vi dimostrerete degni, potrete conoscere la verità sui Simboli del Comando", spiegò Balder, "Io sfiderò voi due, principi", concluse il buon dio, "Io invece, vorrei confrontarmi con te, cavaliere d’oro", affermò Thor, rivolgendosi a Golia.

"Perché non affronti me?", domandò Aiace, lanciandosi contro il dio dal possente Martello.

"Garuda flap", tuonò lo spectre, "Per questo atto sacrilego potrei anche ridurti in polvere, ma hai abbastanza stupidità da sfidare Urano", affermò Thor, allontanando il nemico con un veloce movimento del suo Martello.

Un fulmine partì dalla possente Arma, colpendo in pieno il corpo del judge della Garuda, il quale volò a terra, lontano dagli altri cavalieri.

"Allora, gigante dalla dorata armatura, vuoi tentare di combattermi?", domandò il dio Thor con un immenso sorriso, "se perdo il martello di mano, hai vinto", lo schernì la divinità, sollevando l’Arma sopra la testa.

"Per quanto riguarda voi due", esordì Balder avvicinandosi ai cavalieri, "convincetemi della giustizia dei vostri atti", spiegò il dio.

Freiyr e Camus si scambiarono uno sguardo, poi avanzarono verso il dio Balder, Golia, invece, si parò dinanzi a Thor con uno sguardo freddo e pronto alla lotta.

"Preparati, dio del Nord, perché perderai di mano quel tuo bel Giocattolo", esordì il cavaliere d’oro, "Great Horn", tuonò il santo.

Thor sollevò il Martello, si notava chiaramente che cercava con difficoltà di restare serio, l’Arma del dio trattenne il potere del sacro colpo del Toro, impedendo che l’ondata di energia lo raggiungesse.

"Sai, Balder, qui vedo tanti buffoni, ma nessuno veramente capace di confrontarsi con Urano, nemmeno quando avranno aperto i quattro Simboli potranno fare niente", affermò Thor, prima di scoppiare a ridere.

"Ditemi, cavalieri, convincetemi a raccontarvi dell’antico segreto dei quattro Simboli del Comando, o almeno di ciò che so di quel segreto", affermò Balder, ponendosi dinanzi ai due principi, senza curarsi delle parole di Thor.

Fu Camus il primo a parlare, raccontando della lunga battaglia sviluppatasi nel santuario di Atene, del dolore provato per la morte di grandi guerrieri come Shun, Shiryu, Seiya ed Ikki. Fu poi Freiyr a parlare, raccontando la triste morte di sua madre e dei cavalieri che difendevano Asgard.

Il dio ascoltò i loro racconti con interesse, mentre Golia tentava inutilmente di attaccare il dio Thor.

"I vostri cuori sono pieni di coraggio, ma mi chiedo se abbiate anche forza sufficiente", affermò Balder, avanzando verso di loro, "colpitemi, se riuscirete a farmi barcollare, vi concederò le notizie che volete", spiegò il dio nordico, "Ma, mio signore, tu sei invulnerabile", balbettò Freiyr, "Anche mio zio, che aveva il tuo stesso nome lo era", ribatté il dio, "non chiedo che voi mi uccidiate, ma se riuscite a farmi perdere l’equilibrio, saprò che siete capaci di grandi gesti, come ne è certo Hemdall".

"Cavaliere del Toro, mi sembri stanco, come mai? Io non ho nemmeno un po’ di sudore sul volto", lo schernì il dio Thor. Golia respirava affannosamente, aveva utilizzato le sue tre tecniche senza molto successo, il dio riusciva a parare ogni tecnica con il suo Martello.

"Ricorda le parole del nostro maestro", gli urlò Reptile. A poco a poco, i pensieri del cavaliere d’oro ritornarono a Cartagine, molti anni prima, nei giorni dell’addestramento, quando insieme a Reptile, Joen e Rasuin imparava a combattere ed a difendersi.

"Ricordate sempre, in uno scontro nel quale si utilizza un’arma per difendersi e combattere si deve spiazzare l’impugnatura", queste parole aveva utilizzato una volta Tige del Pavone, goshasei di Era.

"Che lo spirito di Atena, le parole del maestro ed i miei amici scomparsi possano guidarmi in questo scontro. Settimo senso aiutami!", urlò il santo d’oro, lanciandosi alla velocità della luce, per poi impugnare il Martello.

Il cosmo dorato di Golia aumentò all’inverosimile, "Sei bravino, ragazzo", si complimentò Thor, facendo esplodere il suo cosmo, stracolmo di fulmini e saette, "Ma non sperare di avere vita facile con me", gli disse divertito il dio.

I fulmini e la luce dorata si scontrarono a mezz’aria.

"Attaccatemi contemporaneamente", tuonò Balder, rivolgendosi ai due principi, "solo due divinità mi hanno fatto barcollare: Thor con il suo possente Martello ed il mio caro ed ingenuo fratello Hoder", spiegò il dio.

"Cugino, dobbiamo trovare in noi stessi la massima potenza, risveglia il settimo senso, Freiyr è l’unico modo", suggerì Camus, espandendo il cosmo dorato.

"Si, figlio di Hyoga, aumenterò il mio potere e, grazie a tutti coloro che mi seguono dal regno delle Anime, potrò raggiungere il massimo potere che questa sacra spada concede", urlò il figlio di Siegfried.

"Siete sicuri di volermi affrontare, cosa vi spinge così avanti?"

"Sono cavaliere d’oro, figlio di Hyoga, successore nel comando dei ghiacci eterni, non posso evitare il mio destino, devo combattere per la giustizia", urlò Camus, posizionandosi per l’attacco.

"Mio padre Siegfried è morto per difendere questa terra, mia madre Hilde anche, io solo resto qui come primo difensore di Asgard e mai disonorerò la memoria dei miei genitori, né abbandonerò il mio popolo, che in questo momento ha un unico nemico, Urano", affermò Freiyr, sollevando la spada Balmung.

"Aurora execution", invocò Camus, "Sacra spada Balmung, compi il miracolo", aggiunse Freiyr.

L’onda di gelida energia dorata volò contro il dio nordico insieme alla luce della lama divina.

"Bene, speravo in questo", esordì Balder, restando immobile e subendo in pieno il colpo, che non lo ferì, né riuscì a scomporre il suo fisico.

"Ci siete riusciti", affermò divertito il figlio di Odino, indicando il suo piede sinistro, lievemente indietreggiato.

"Ora basta, Thor, hanno il diritto di sapere", urlò Balder, avanzando verso il fratello.

"Golia, basta, te ne prego", affermò gentilmente Camus al suo parigrado.

"Come abbiamo appena iniziato a scaldarci?", urlarono i due avversari sollevando fra loro il Martello.

I due sfidanti spensero i loro immensi cosmi e Golia indietreggiò, lasciando al dio del Tuono la sua Arma.

Le due divinità si avvicinarono ai dieci cavalieri, anche Gutrun, Helyss e Xael erano di nuovo in piedi, pronti ad ascoltare il racconto dei due dei, seduti sulla neve.

"Ricordo ancora la guerra con Urano", esordì Balder, "Egli non ci attaccò direttamente, né scateno i titani nelle nostre terre, ma si servì di alcuni giganti di ghiaccio che preferivano fidarsi di lui, piuttosto che di nostro padre Odino. La lotta fra questi traditori ed i tre maggiori difensori di Asgard, cioè Thor, il possente dio del Tuono, Hemdall, il saggio custode di Bifrost e Tyr, il coraggioso dio, avvenne dinanzi al ponte arcobaleno, che mai i giganti varcarono.

Qualcuno però lo varcò in quel periodo di guerre, un dio greco, un essere di nome Ermes, veloce e furbo. Egli diede a nostro padre Odino un plico, contenente un messaggio di Zeus, il padre degli dei", raccontò la buona divinità.

"Cosa vi era scritto in quel plico?", chiese Aiace, "Non lo so, cavaliere dalle nere vestigia, ma ricordo che nostro padre si chiuse per alcuni giorni nelle sue stanze, senza ricevere né me, né alcuno dei miei fratelli, né mia madre", spiegò Balder.

"Dopo alcuni giorni, Odino si ripresentò a noi e ci spiegò che un antico sigillo doveva essere posto da lui e da altre tre divinità ai limiti del mondo, così da condizionare gli elementi, affinché aprissero un varco verso il punto più oscuro del Tartaro, un varco che si legasse alle vite di tutti gli dei", raccontò il dio.

"Ricordo ancora il giorno in cui partiste, io, Hemdall, Tyr e pochi altri rimanemmo sulla terra, per difenderla da alcuni servitori di Urano, combattei insieme a divinità del calibro di Ares quel giorno, fu una lunga battaglia", ricordò Thor, intromettendosi nel racconto.

"Si, voi restaste qui, mentre nostro padre Odino condusse me, mio fratello Hoder e Loki con se, nelle caverne dei nani, quasi al centro della terra, dove Egli segnò alcune rune nel fuoco, quella fu la sua parte nell’impresa per liberare la terra da Urano", concluse il dio Balder.

"Non è rimasto niente di ciò e di allora?", chiese turbato Camus.

Balder stava per rispondergli, ma un lugubre suono lo turbò.

"Cosa succede?", domandò perplesso Golia, "Questo è il suono del corno di Hemdall, lo sentì solo un’altra volta, durante il Ragnarok", balbettò preoccupato Thor.

"Corriamo a vedere che accade", ordinò il dio del Tuono, scattando in avanti con il possente Martello in mano.