Capitolo 25: Scelte

Quando la polvere prodotta dai due combattenti dinanzi all’entrata del nero castello si diradò, Helyss riuscì a vedere i propri compagni d’arme: Camus, Freiyr e Gutrun, tutti illesi, ma la sua preoccupazione era per l’altro alleato, Bifrost. Quando il suo sguardo cadde sull’amico a malapena riuscì a trattenere un urlo: le vestigia di Megrez del cavaliere erano quasi interamente congelate ed anche il suo corpo in alcune parti, ma era ancora vivo; medesima cosa si poteva dire del suo nemico, il cui corpo era in alcuni punti intrappolato nell’ametista, ma comunque era sopravvissuto.

"Jacov, mio padre tornò a Kobotek, una volta sola e gli dissero che ti eri allontanato dal villaggio con un uomo di nome Cooler. Mi ricordo quel giorno, anch’io ero andato con lui, voleva presentarmi quello che avrei dovuto considerare un fratello, proprio come lo considerava lui, ti avrebbe addestrato, ma quel giorno non ti trovò", raccontò Camus.

Il giovane guerriero dell’Acquario Oscuro guardò la sua controparte dorata e vide negli occhi di costui quelli di Hyoga, non di quando cercava di diventare freddo come il proprio maestro, ma quelli sinceri che possedeva in tutti i momenti passati con lui, quelli di un uomo dal gran cuore.

Jacov cercò di rialzarsi, ma prima di riuscirvi si accorse che delle lacrime rigavano le sue guance e lui non le nascose, bensì solo in quel momento capì.

"Perdonami, figlio di Hyoga, solo ora capisco l’errore che ho fatto nel dubitare di tuo padre", esordì rialzandosi il nero guerriero, "sono certo che lui sia tornato a cercarmi, le tue parole non possono essere menzogne, ma purtroppo non c’è stata la possibilità di incontrarlo, quindi ora siamo qui, uno contro l’altro, tu seguace di Atena, ed io, per coincidenze alquanto strane, seguace di Ate, perciò non c’è altra scelta, dovremo combattere, poiché non rinuncerò mai ai miei doveri di cavaliere", rifletté con tono sconfitto il giovane Jacov.

Altre lacrime scesero sul volto del guerriero, mentre anche Camus sentiva la tristezza prendere possesso del suo animo.

"Mi dispiace, Crystal", urlò in quel momento il giovane cavaliere nero, prima che il suo cosmo esplodesse in tutta la propria potenza ed accadesse qualcosa di inaspettato.

Grande fu lo stupore fra tutti nel vedere le nere vestigia dell’Acquario, danneggiate dal colpo di Bifrost ferito e svenuto, mentre si sganciavano dal corpo di Jacov riprendendo la loro maligna forma accanto al proprio padrone.

"Cos’è successo?", si chiese il guerriero siberiano, osservando il proprio corpo ferito ed indifeso, ma nessuno dei presenti gli rispose, tutti erano rimasti sorpresi dal movimento dell’armatura.

Il silenzio calò in quel luogo, nessuno si mosse, poiché nessuno era consapevole di quale fosse il motivo di quel gesto, finché dei passi non risvegliarono tutti dal momento di silenziosa riflessione.

"Sembra, cavalieri, che le stesse nere vestigia hanno scelto per voi il da farsi", esclamò una voce in lontananza. Tutti si voltarono per vedere chi ne fosse il padrone e grande fu la sorpresa negli occhi dei guerrieri nordici nel rivedere Odeon, Lorgash, Kain e Neleo, che avevano lasciato all’entrata della foresta, per dirigersi lungo un’altra via.

"Generali dei Mari, Cavalieri d’oro", li salutò Freiyr, osservando i quattro farsi avanti, "Che intende con la scelta dell’armatura?", domandò poi.

"Non so i particolari dello scontro, ma ho sentito le ultime parole di questo giovane nemico, erano sincere parole di bontà e gentilezza, inadatte ad un guerriero nero e l’armatura stessa ha compreso e disgustata dalla natura per lei abnorme del suo possessore, si è sganciata da lui, proprio come vent’anni fa circa accadde a Deathmask di Cancer, uomo maligno e privo di giustizia, che l’armatura d’oro del Cancro rifiutò durante lo scontro fra questi e Shiryu il Dragone", raccontò Neleo di Hammerfish, che avanzava con i compagni, seppur ferito.

"Dunque, cavaliere, tu non sei così malvagio da meritare le vestigia dell’Acquario Oscuro, quindi ti proponiamo di lasciare il campo di battaglia, poiché il tuo voto di fedeltà ad Ate è sciolto e, per quel che ho capito, fra costoro vi sono persone che non vuoi uccidere, quindi abbassa le difese e percorri la strada che preferisci, ti auguro che ti porti lontano da questo luogo impregnato del sangue di uomo, amici e nemici che siano per tutti noi", suggerì Odeon di Leo, osservando il siberiano, quindi con il proprio cosmo, mitigò le ferite che dilaniavo il suo corpo e quello di Bifrost.

"Vai per la tua strada, Jacov, e se un giorno vorrai, raggiungi Atene e lì, giacché hai ricevuto l’addestramento, potrai diventare veramente un santo di Atena, proprio come mio padre ti aveva sempre augurato", gli propose Camus, porgendo la mano all’amico paterno.

"Grazie, grande figlio del mio migliore amico, e grazie anche a voi, cavalieri di Asgard, mi avete aiutato a riaprire il cuore prima che lo perdessi del tutto. Non posso fare molto per ripagarvi, ma vi devo dare due avvisi: di stare attenti ai nemici che ancora rimangono dentro il castello, poiché solo i Runouni più forti ed i guerrieri neri più spietati sono rimasti a custodia di Ate, della vostra Grande Sacerdotessa e di quell’altra dea", avvisò il giovane siberiano, prima di allontanarsi.

"E l’altro avvertimento?", domandò Gutrun di Mizar, "L’altro avvertimento è muovetevi, cavalieri, poiché mancano solo tre ore al tramonto e quando il sole calerà si inizierà una cerimonia a danno della Grande Sacerdotessa, ma purtroppo, non so altro su questo argomento, quindi, non posso esservi di maggior aiuto", concluse Jacov, scendendo dal vulcano su cui era costruito il Castello Nero.

I nove guerrieri, al contrario, continuarono la loro scalata, sempre più vicini alla porta del nero maniero.

Nell’Oscura costruzione le parole del giovane siberiano erano state udite da chi osservava quello scontro dalla finestra, il suo ex comandante, Sairon della Bilancia Oscura, il quale, osservato il tradimento, impugnò una delle proprie armi e con questa frantumò l’undicesima candela sul lato destro del piano.

"Un traditore anche fra di voi, vero amico?", domandò beffardo Shishio, sciogliendo con il proprio cosmo la cera caduta, "Taci! Almeno i miei soldati hanno fatto una vittima ed ora sono certo che la quarta guardia ne farà una seconda", ringhiò il guerriero nero, avvicinandosi alla porta della stanza.

"Non ti muovere da qui, Sairon, almeno finché non avranno solcato le porte della nostra fortezza, non uscire da questa stanza", ordinò Raizen ed il nero guerriero ascoltò le sue parole.

Sul versante meridionale del castello, lungo il tragitto che portava al muro posteriore del maniero, Real, Botan, e le due guerriere provenienti dall’Isola di Andromeda, erano state fermate da una risata di sfida, una risata minacciosa.

"Fatti avanti, guerriera nera, riconoscerei tra molte questa risata, la stessa con cui hai condotto alla morte Maya, la mia sorella amazzone", urlò con tono di sfida Elettra del Cavallo, ultima delle guerriere consacrate ad Artemide.

Una figura apparve dinanzi a loro, lentamente e sinuosamente uscì dalla boscaglia, con passo fermo e sguardo malizioso, la nera guerriera osservò i suoi quattro avversari e fra loro riconobbe due passate vittime della malignità che le era propria, "Le due pacifiste dell’Isola di Andromeda", esclamò beffarda, "avete ritrovato la ferraglia per difendervi?", domandò osservando le armature.

"No, per uccidere te, Morrigan dello Scorpione Oscuro", ringhiò Elettra, facendosi avanti verso l’avversaria, "Vedo che ricordi il mio nome, ma in fondo è normale, ho ucciso la tua sorellina", replicò beffarda la nera guerriera.

"Aspetta, Elettra", urlò in quel momento Clio delle Muse, fermando i passi dell’amica, "Perché mai?", replicò l’amazzone senza voltarsi, "Semplicemente perché attaccandola così faresti proprio il suo gioco", rispose Botan, immettendosi nel discorso.

"Rifletti, amazzone, se tu ti scatenassi, nutrendo la tua rabbia e perdendo concentrazione ad ogni sua parola, di certo cadresti senza ucciderla, serve qualcuno che abbia abbastanza calma in battaglia", spiegò la sacerdotessa d’oro del Cancro.

"Ve ne prego, guerriere, lasciatela a me", esordì subito dopo Clio, avanzando verso Elettra e superandola, "Poiché lei ha spento il soffio vitale in Maya, nostra cara amica, ma di certo è stato l’attacco dei Neri Pesci a determinarne la sconfitta, quindi, Elettra, sarà tuo dovere sconfiggere quell’uomo", propose l’Astro di Apollo, "Abbiate fiducia in me, la sconfiggerò e poi vi raggiungerò, intanto deviate lungo un’altra via", rassicurò la giovane.

"Stai attenta, Clio", avvisò Real, che fino a quel momento aveva osservato lo scontro in silenzio, ancora stanco per il duello con Koga.

"Non ti preoccupare, compagno d’addestramenti, come te sarò degna allieva del grande Sorrento", replicò la guerriera sacra ad Apollo, iniziando una dolce melodia con la propria arpa, "intanto andate, mentre la distraggo", esclamò poi.

"Non farmi ridere", esclamò allora Morrigan, che aveva osservato con viso impassibile il dialogo fra i quattro.

La nera guerriera sollevò la mano sinistra il cui indice brillava di una luce oscura, "Ora soffrirete per il veleno dello scorpione!", minacciò.

"No", rispose seccamente Clio, quasi cantando, "Illusion Melody", invocò poi e tutto dinanzi alla guerriera nera apparve uguale ad un muro, un miraggio di eccellente fattura le occultò gli occhi.

Dopo pochi minuti, però, l’illusione cessò e la guerriera oscura rivide la folta foresta dell’Isola di Deathqueen e dinanzi a lei la sua unica avversaria.

"Sei più brava di quanto credessi, musicista, oltre che generosa", la derise Morrigan, "Non generosa, né tanto brava, a dire il vero, guerriera nera, bensì stanca di vedere amici e persone care morire, o rischiare la morte, mentre io attendo scontri in cui non servano le capacità singole, ma la collaborazione. Questo con te sarà il mio primo vero scontro faccia a faccia con un duello, in cui nessuno mi darà una mano", replicò Clio, "E di certo anche l’ultimo", replicò l’Oscuro Scorpione, "Si, probabilmente, sarà l’ultimo, per entrambe", concordò con una grande calma la guerriera sacra ad Apollo.

"Troppe parole, ragazza, ora mi sono stancata!", urlò allora Morrigan, mentre l’indice sinistro brillava nuovamente di un’empia luce oscura, "Black Needle!", invocò la guerriera oscura.

Un bagliore oscuro brillò davanti agli occhi di Clio, che non si accorse quasi dell’attacco finché non sentì una crepa sul gambale destro, un piccolo foro, quasi invisibile, che inizialmente non le produsse nemmeno dolore.

"Sarebbe questa la tua forza?", domandò cupamente Clio, avanzando, ma quando il piede destro toccò il suolo, un bruciore infernale percorse il corpo della musicista, costringendola ad inginocchiarsi, un dolore tremendo le proveniva dalla gamba, impedendole di muoverla. In pochi secondi la guerriera sacra ad Apollo si ritrovò in ginocchio dinanzi alla nemica, con una gamba immobilizzata.

"Ragazza, hai fatto male a sottovalutarmi, poiché la prima goccia del nero veleno dello Scorpione ha iniziato a scorrere in te e ben presto ve ne aggiungerò altro, così da non lasciare più sangue nel tuo corpo, bensì il mio siero mortale", la minacciò Morrigan, avanzando senza pietà.