Capitolo 14: Per i compagni

Non era impossibile che gli Annumaki e gli Anunnaki si incontrassero fra loro, però, era quanto meno insolito.

Normalmente l’armata scarlatta e quella smeraldo vivevano divise, avanzavano divise e raramente vi era fra loro un’interazione diversa da scontri di forza, o aperti dibattiti e, in quel giorno ad Accad, la situazione non era affatto diversa.

Girru e Nusku, membri dell’esercito fedele a Marduk, erano infatti arrivati all’ultima scalinata che li avrebbe condotti dinanzi al Consigliere del loro Sovrano, il Saggio Ea, quando incontrarono due figure a loro note, quanto spiacevoli, giungere a quelle medesime scale dal percorso opposto al loro.

Uno dei due aveva corti capelli grigi, spettinati, che s’ergevano come tante spine sulla testa dell’uomo, mentre questi con i sottili occhi verde marcio, guardava gli Anunnaki, avanzando di qualche passo. Il corpo era completamente celato da una casacca scarlatta, rovinata in più punti, solo le mani appena si vedevano di quel primo individuo, mentre si fermava, scrutando con un ghigno carico di disprezzo gli altri due.

Accanto a questo primo individuo, un ben più curvo guerriero, dai lunghi capelli verde scuro, che scendevano fino alla schiena, mentre gli occhi, rossi come il sangue, studiavano i due, prima che questi iniziasse una nervosa risata.

"Arazu ed Erra… cosa porta i due più feroci servitori del Re Scarlatto fin qui?", domandò subito Nusku, mantenendo un tono di voce pacato, mentre osservava, con i suoi occhi bicolori, i due Annumaki.

"Potremmo farvi la stessa domanda, Anunnaki…", esordì il più curvo, interrompendo le proprie risa, "ma in effetti non ci interessa.", concluse, riprendendo a ridacchiare.

"Simpatico come sempre, Erra. Mi chiedo dove sia Nedu, l’unico fra voi, degno del titolo di guerriero.", ribatté Girru, portando le mani dinanzi ai fianchi e sorridendo a denti stretti.

"Nedu è in cerca della gloria che un vero Annumaki deve ricercare, al pari di Enki;", rispose secco l’uomo dagli occhi verdi, "voi, piuttosto, ditemi, dove si trova il buon Aruru? Il cui fallimento ha decretato la morte del piccolo Adapa?", incalzò ancora, scoppiando in una sonora risata con il parigrado.

Subito l’alto guerriero dai capelli rossi fu dinanzi all’altro, con occhi carichi d’odio, "Attento alle tue parole, Arazu, cane fedele di Enlil, poiché potresti ritrovarti ad essere un randagio bastonato in meno tempo di quanto immagini.", minacciò a quel punto l’Anunnaki, espandendo un cosmo caldo e fiammeggiante come il fuoco.

"Quando vuoi, strisciante servo di Marduk.", ringhiò di rimando il guerriero dai capelli grigi, mentre nere fiamme ne avvolgevano la figura, minacciose e malefiche.

"Ora basta!", urlò a quel punto una quinta voce, esterna a quei quattro Ummanu, introducendo la figura di Ea il Saggio, che, varcate le ampie porte conducenti al tempio superiore di Anduruna, s’era trovato dinanzi i litiganti.

Subito Girru e Nusku si fecero di lato, inchinandosi al Consigliere di Marduk, mentre ancora Erra ed Arazu restavano in piedi, minacciosi, "Cosa succede, Annumaki? Non avete sentito l’ordine di Ea? Quietate i vostri cosmi.", ordinò allora una seconda voce, quella di Sin, arrivato subito dietro all’anziano.

"Che succede, Ummanu?", chiese ancora Ea ai due gruppi di guerrieri, "Mio signore, siamo venuti fin qui per …", ma le parole con cui Nusku aveva iniziato il suo discorso furono interrotte da quelle di Arazu, che rapido si portò avanti.

"Sire Enlil non è ancora tornato, né lo sono le sacre vestigia dello Scettro.", affermò il guerriero dai capelli grigi, lasciando tutti, eccetto Erra, sbalorditi, "Beletseri e Zakar sono stati mandati in sua scorta, ieri notte, e nessuno di loro è tornato.", aggiunse poco dopo, chinando il capo verso Sin, i cui occhi erano aperti in segno di sorpresa, tanto quanto quelli degli Anunnaki.

"Mio signore Ea, nemmeno Aruru ha più fatto ritorno presso il palazzo, prima della partenza di Re Enlil.", affermò subito dopo Nusku, aggiungendo stupore a quello che già riempiva i volti dei due vice comandanti.

"Etemmu, Incubo, Golem e persino il Sovrano Scarlatto… chi mai sono questi guerrieri per riuscire in tutto ciò?", domandò, con voce sbalordita, Sin, volgendosi verso l’anziano Anunnaki, prima di scivolare su uno scalino, sedendosi sullo stesso.

"Supponendo che i nemici fossero, almeno in parte, ancora vivi, ho mandato Nedu ed Enki a cercarli, nei dintorni del luogo in cui abbiamo visto detonare il cosmo del grande Enlil ieri al tramonto, mio signore Sin.", affermò a quel punto Arazu, avvicinandosi al Principe degli Annumaki, "Altresì, stanotte abbiamo intravisto una luce scarlatta alzarsi verso il cielo, quindi uno dei vostri fidati soldati, si è lì diretto, in cerca dei nemici.", continuò Erra, prendendo per la prima volta la parola.

"Capisco, avete fatto bene, è giusto sapere cos’è successo… forse anche il grande Re Enlil è ancora lì fuori, ferito, svenuto…", affermò, con sempre maggior preoccupazione in voce, il Principe degli Annumaki.

"Nobile Ea…", esordì a quel punto Girru, facendosi avanti, "anche una di noi è uscita dalle sue stanze: Ninkarakk, è andata in cerca di Aruru.", spiegò con voce costernata l’Anunnaki, mentre la preoccupazione prendeva forma nel volto dell’anziano.

"Parlerò con sire Marduk e sire Baal, affinché sappiano di tutto ciò e decidano di conseguenza il da farsi.", sentenziò allora il Consigliere, voltandosi e dirigendosi verso la stanza dove, ormai da più giorni, i Sovrani stavano continuando il rituale che avrebbe dovuto richiamare il Giudice Shamash.

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Quando s’era ripresa, dopo lo scontro con Enlil, la confusione l’aveva stordita più delle ferite fisiche, eppure, per quanto si fosse sforzata di capire, l’unica soluzione che si apriva alla sua mente era, in qualche modo, incredibile.

Ricordava perfettamente lo scontro prima con Aruru di Golem, poi con il Sovrano Scarlatto, ricordava ogni colpo subito dai due guerrieri nemici ed il momento in cui tutti e sei i cavalieri d’argento avevano unito i propri cosmi, scatenandoli all’unisono contro quello dell’Annumaki, così come la voce di Zong Wu che avvisava i compagni di porre attenzione al contraccolpo, tutto il resto, però, era confuso.

L’ultima certezza di Dorida della Sagitta era una: Gwen del Corvo si era lanciata su di lei, "Tieniti stretta!", le aveva sussurrato dalla maschera, mentre aveva avvolto entrambe nel proprio cosmo e, quando già la luce dell’energia di Enlil che avanzava li aveva quasi abbracciati, in quel momento aveva visto sparire l’ambiente attorno a se.

Quando si era ripresa, la sacerdotessa spagnola si era ritrovata in un luogo completamente diverso dell’Antica Capitale, come aveva potuto intuire dalla figura di Anduruna che ancora si stagliava all’orizzonte; erano passate diverse ore, dal sole ormai albeggiante che l’aveva richiamata alla vita, ma, cosa più grave, vicino a lei vi era Gwen, con le vestigia quasi completamente distrutte e diverse ferite che ne dilaniavano la schiena e gli arti inferiori.

Dorida non riusciva a capire, sapeva solo che, in confronto alla parigrado, lei aveva ben pochi danni sul corpo, malgrado gli attacchi subiti sia dall’Annumaki, sia dall’altro guerriero prima di lui, inoltre, Gwen non si riprendeva ed appena percettibile era il suo respiro dalla maschera d’argento.

Confusa e preoccupata per la compagnia d’arme, Dorida si era caricata la sacerdotessa di Corvus sulle spalle, iniziando ad avanzare verso il suo unico punto di riferimento: Anduruna.

Ed ora, dopo due ore di marcia, la guerriera di Sagitta si trovava all’interno del palazzo, in cui avanzava incerta, finché non sbucò in un gigantesco giardino interno.

Quella piccola oasi era un salone, grande quasi quanto una piazza, con all’interno decine di alberi fioriti, dalle forme e gli aspetti più strani e sconosciuti alla sacerdotessa; un luogo pieno del profumo di decine di fiori diversi, dalle scarlatte rose, ai profumati tulipani, passando per ben più semplici girasoli e margherite.

Lì, in mezzo a quella fitta vegetazione, vi era una piccola fontana, ricolma di fresca acqua. A quel luogo subito si diresse la sacerdotessa d’argento, poggiandovi vicino Gwen e bagnando la schiena ferita della compagnia, al fine di pulirne i segni che la dilaniavano, "Resisti, Corvo, non puoi morire così…", aveva sussurrato preoccupata Dorida, prima che un rumore la colpisse, alla sua sinistra.

"Mi chiedo, ragazza, perché non ti sia subito messa in guardia, una volta entrata in questa sala, eppure non ho fatto mistero della mia presenza, fra gli alberi.", esordì una voce femminile.

"Forse la stanchezza ti ha impedito di riconoscermi in mezzo a questi alti fusti; oppure la preoccupazione per la tua compagnia ferita, ti ha impedito di preoccuparti per te stessa; o, magari, è l’inesperienza che ti ha impedito di avvertire il pericolo che per te costituisco?", domandò ancora la voce, mentre Dorida si voltava, osservando chi le stava parlando.

Era una donna, le vestigia lo indicavano, mettendo in risalto le forme delicate, vestigia verdi come quelle di Aruru di Golem, per quanto, il loro colore era un verde tendente al marrone, tanto da permetterle quasi di confonderli perfettamente in mezzo agli alberi fra cui si aggirava.

Non solo il colore, poi, aveva degli alberi; l’armatura sembrava fatta da una corteccia di legno, egualmente striata sui gambali e sulle coperture per le braccia, così come nella maschera che integrale ricopriva il viso, lasciando sfuggire solo i capelli castani che scivolavano sulle spalliere. Proprio le spalliere sembravano, invece, composte da decine di foglie, sottili e cuneiformi, che si erano sovrapposte, creando una fantasia a forma di ovali sopra le spalle, fantasia che poi si abbinava magnificamente con la corteccia per tutto il tronco della guerriera, fino a chiudersi a cono intorno al bacino della stessa.

Solo la maschera d’argento, in quel momento, celava il timore negli occhi della sacerdotessa, ben cosciente di non aver visto questa misteriosa avversaria non per stanchezza, o semplice preoccupazione verso Gwen, bensì, probabilmente, anche per la sua inesperienza, la stessa che le aveva fatto rischiare di subire l’attacco di Zisutra di Lamassi all’ingresso della città e che più volte l’aveva vista patire i colpi di Aruru ed Enlil.

Dorida, però, cercò di nascondere nel proprio intimo quella paura, alzandosi in piedi ed allontanandosi di diversi passi da dove aveva lasciato la compagnia ferita. "Ti preoccupi per l’altra? Nobile gesto davvero, ma mi chiedo per quanto potrai proteggerla contro di me…", osservò a quel punto l’Anunnaki.

La sacerdotessa si mise subito in posizione di guardia, ma, proprio quando già stava per caricare il proprio cosmo, l’altra alzò la mano, indicandole così di attendere, "Ho delle domande che vorrei farti prima.", esordì semplicemente.

"Innanzi tutto, io sono Ninkarakk di Khuluppu, il tuo nome, ragazza, quale sarebbe?", chiese con un tono freddo, ma cordiale, l’Anunnaki. "Io sono Dorida della Sagitta, Sacerdotessa d’Argento di Atene.", rispose con cautela la guerriera spagnola.

"Bene, dimmi, Dorida, hai avuto modo, mentre invadevi la Sacra Capitale, di incontrare un altro guerriero con vestigia simili alle mie, verdi, al comando di una legione di Golem?", chiese ancora Ninkarakk, lasciando interdetta l’avversaria, che, presa alla sprovvista da quella domanda, non seppe che risponderle.

"Devo prendere il tuo silenzio per un sì? Hai dunque tu incontrato Aruru di Golem? Forse lo hai anche sfidato assieme a quella tua compagnia ferita? O è stato il Re Scarlatto a procurarle quelle ferite?", incalzò ancora la guerriera di Khuluppu.

"Sì, abbiamo incontrato l’altro Anunnaki, al comando dei mostri di pietra; ci ha sfidato tutti e sei ed alla fine abbiamo avuto ragione di lui; la mia compagnia, inoltre, è stata ferita da entrambi, ma il sangue che sgorga dalla sua schiena è stato causato dall’ultimo attacco di quel folle armato di Scettro.", rispose allora la sacerdotessa, convinta che dare tali risposte non avrebbe in alcun modo aggravato la situazione.

"Sei contro uno? Sì, forse è l’unico modo in cui avreste potuto avere ragione di Aruru. Dimmi, dunque, lo avete lasciato al suolo ferito, o uno di voi gli ha dato il colpo finale?", chiese ancora Ninkarakk.

"No, nessuno di noi lo ha finito, poiché, mentre ancora lo combattevamo, è arrivato quel folle del Re Scarlatto, travolgendolo con i suoi attacchi energetici.", spiegò Dorida, che, in effetti, ben poco si era preoccupata della sorte del guerriero di Golem.

"Ucciso da uno dei nostri sovrani… quale triste beffa ha compiuto su di te la sorte, Aruru.", sussurrò allora l’altra, chinando per qualche attimo il capo, prima di volgersi di nuovo all’avversaria, "Ti ringrazio per queste informazioni, Sacerdotessa di Atene. Purtroppo non potrò concederti di fuggire, per questa tua cortesia, però cercherò di darti la morte nel modo più rapido possibile, sia a te, sia alla tua compagnia ferita.", spiegò cordiale Ninkarakk, mentre espandeva il proprio cosmo smeraldino intorno a se.

"Desolata di non poter accettare la tua proposta, guerriera, ma non mi lascerò eliminare in modo rapido, né ti lascerò uccidere la mia compagnia d’arme.", replicò secca Dorida, il cui cosmo fiammeggiante già esplodeva, con alte fiammate.

La sacerdotessa della Sagitta partì alla carica dell’avversaria, cercando di mantenere per se l’iniziativa dell’attacco: un primo diretto sinistro fu caricato verso il ventre dell’avversaria, subito seguito da un gancio destro puntato contro il volto dell’altra; una tattica che, alla fine, non ebbe molti riusciti, poiché rapida Ninkarakk bloccò il primo colpo portando l’avambraccio destro a guardia del corpo, prima di indietreggiare, lasciando che il gancio si perdesse senza toccarla.

Senza perdersi di fiducia, però, Dorida fece leva sulla propria gamba sinistra, per compiere una rapida rotazione a mezz’aria e cercare di investire, con un secco calcio a spazzare, l’altra all’altezza della vita, ma Ninkarakk fu più veloce e con una capriola si portò a diversi passi di distanza dalla Sacerdotessa d’argento.

In un impeto d’ira, allora, la guerriera di Atene scattò in avanti, con i pugni infiammati dall’energia del suo cosmo, cercando di portare a segno una violenta coppia di ganci, prima il sinistro, poi il destro, ma ben più veloce fu l’Anunnaki, nel bloccare con i propri avambracci ambo i pugni, senza ricevere ustione alcuna sulle vestigia.

"Sei lenta e debole, ragazza, non so se le passate ferite ne siano la causa, ma di certo non hai la forza di battermi.", la avvisò Ninkarakk, espandendo il proprio cosmo, mentre già le foglie sull’armatura verde iniziavano a brillare, "Ti concederò comunque la rapida morte che t’avevo promesso.", concluse.

"Vortice delle Foglie!", invocò pochi attimi dopo l’Ummanu e l’energia cosmica scaturita fra le braccia della guerriera avvolse al suo interno Dorida, sollevandola da terra, mentre decine di foglie energetiche la investivano ripetutamente, danneggiandone le vestigia e ferendola in più e più punti, scagliandola a diversi metri di distanza al suolo.

Ninkarakk rimase ad osservare per qualche secondo il corpo ferito dell’avversaria, prima di volgersi verso l’altra guerriera nemica, svenuta ai piedi della fontana, "Darò anche a te una morte veloce, così che il dolore dei danni subiti per mano dei precedenti scontri non ti dia ancora da soffrire in questo mondo.", avvisò l’Anunnaki, rivolgendosi alla sacerdotessa svenuta.

Quando ormai la guerriera di Khuluppu era a pochi passi da Gwen, con la mano già brillante d’energia cosmica, in quel momento dei rumori la distolsero dall’avversaria svenuta, costringendola a voltarsi: Dorida era di nuovo in piedi, sanguinante, ma viva.

"Non osare toccarla!", ringhiò la sacerdotessa guerriera, lasciando esplodere il proprio cosmo infuocato, "Flechas Ardientes!", urlò subito dopo, scatenando lo stormo di dardi infuocati contro l’avversaria. L’Ummanu dalle vestigia di smeraldo, però, scattò verso l’avversaria, correndo fra le frecce infuocate, senza che nemmeno una di queste la toccasse minimamente, "Sei lenta, ragazza, desisti.", la ammonì, arrivata a poco meno di un passo da lei, prima di colpirla con un violento pugno allo stomaco, che piegò a metà la sacerdotessa d’argento.

Di nuovo le braccia di Ninkarakk si aprirono intorno a Dorida e l’energia cosmica di lei le attraversò, "Vortice delle Foglie!", urlò ancora una volta, travolgendo di nuovo la guerriera spagnola e sollevandola da terra, prima di farla schiantare contro un albero poco distante, frantumandolo con la schiena.

L’attenzione di Ninkarakk, stavolta, rimase sulla sua avversaria dai capelli rossi, tanto che vi si avvicinò, scrutando, attraverso la maschera verde, anche l’albero divelto dalla caduta di Dorida, "Triste sorte dover spezzare delle vite, ancor di più se, assieme a quelle dei nemici, devono volar via anche quelle degli innocenti.", sussurrò rammaricata l’Anunnaki, mentre già la mano, ricolma ancora una volta d’energia, calava verso l’addome della sacerdotessa della Sagitta.

Fu un attimo, Ninkarakk nemmeno se ne rese conto, vide solo la propria mano bloccata da quella sinistra nemica, che sanguinava a contatto con il cosmo dell’Ummanu, poi il pugno destro della guerriera dai capelli rossi brillò di un cosmo incandescente, "Flecha Grande de Fuego!", tuonò allora Dorida, scagliando, ad una distanza praticamente nulla, il proprio attacco contro l’Anunnaki, che ne fu violentemente investita, tanto da essere sollevata da terra e cadere a decine di metri di distanza.

A fatica la sacerdotessa della Sagitta si rimise in piedi, la mano sanguinante era solo l’ultima di numerose ferite che, in quel breve scontro, aveva subito: diversi tagli lasciavano scivolare via la linfa vitale del suo corpo, ma, ne era certa, ormai lo scontro era concluso, aveva visto il Grande Dardo di fuoco attraversare le carni della nemica, assieme all’armatura stessa, perforandola all’altezza del fianco sinistro, nessuno poteva sopravvivere ad un attacco del genere ed avere la forza di combattere ancora.

Con questa certezza nel cuore, Dorida si rimise in piedi, avanzando a fatica verso Gwen del Corvo, senza nemmeno curarsi dell’avversaria, a diversi metri da lei, al suolo, senza rendersi conto che, assieme al sangue, anche una sostanza verde stava scivolando via dal corpo di lei.

Fu troppo tardi quando, arrivata vicino alla compagnia ferita, la sacerdotessa, inconsapevole, le si accostò, per ascoltarne il respiro; solo allora sentì un rumore alle sue spalle, ma non ebbe il tempo di voltarsi: "Taglio delle Foglie!", sentì solo urlare, prima che una fitta pioggia di lame le perforasse la pelle, dilaniando le gambe, scalfendo le ossa e fratturando l’armatura in più punti.

Dorida cadde sulle ginocchia, mentre il peso del suo corpo la spingeva con la nuca a terra, piegando oltremodo le rotule, ma il dolore di quella nuova posizione, assieme a quelli dei vari danni furono interrotti dalla sorpresa: Ninkarakk era in piedi, le vestigia danneggiate e la pelle in vista, ma non vi era segno alcuno di danno fra le sue carni, quasi che il precedente attacco fosse semplicemente riuscito a danneggiarne l’armatura, niente di più.

"Un attacco sleale è stato il tuo ed allo stesso modo ora ti ho risposto. Per quanto ben misera sia questa come giustificazione.", furono le poche parole che le rivolse l’Anunnaki.

"Avrei voluto darti una morte veloce, che non provocasse sofferenze al tuo corpo, ma sembri essere sorda all’invito che ti rivolge il Vortice delle Foglie; né posso ucciderti con il Taglio, poiché sarebbe un’agonia troppo lenta e dolorosa, mai potrei dare una tale fine a chicchessia, no, farò dono a te, ed all’amica di cui tanto ti preme, di una fine dolce, per quanto lenta, una morte che possa lasciarti come monito per i compagni che, forse, questa sala raggiungeranno. Diverrai un nuovo albero in questo giardino.", la avvisò, con voce pacata, la guerriera di Khuluppu, sollevando la mano destra verso l’avversaria.

"Radici del Dolce Oblio!", invocò l’Anunnaki, prima che dalla mano della guerriera, il cosmo smeraldo piovesse sul suolo intorno a Dorida, che, incapace di muoversi, fu presto avvinghiata al terreno dai verdi fusti, apparsi dal nulla, che iniziarono a perforare le sue carni.

"Il dolore sarà breve; tra poco la clorofilla penetrerà nelle tue vene, annullandolo, assieme al resto delle sofferenze, solo un piacevole abbandono resterà in te, unica sensazione che ti spingerà presto alla resa, lasciando che i tuoi occhi si chiudano verso una notte piena di stelle, dove, infine, svanirai. Questo è l’unico dono che posso farti, ragazza, una morte priva di dolore.", sussurrò, avvicinandosi, Ninkarakk, prima di volgersi verso Gwen.

"No puede…", queste poche parole fermarono i passi dell’Anunnaki, spingendola a voltarsi verso Dorida, "Ancora opponi resistenza alla più dolce delle morti che ti potessi dare?", chiese sorpresa Ninkarakk, tornando sui suoi passi.

"No puede máteme", sussurrò la sacerdotessa d’argento, lasciando esplodere il proprio cosmo infuocato, che, però, ben poco riuscì a fare contro le radici dell’avversaria, "No puede…", ripeté ancora, mentre espandeva ancora la propria energia, cercando d’ardere tutto ciò che la bloccava al terreno.

"Inutile," avvisò l’Anunnaki, "ogni tentativo sarà vano; ben salda nel terreno è la forza di quelle radici. Desisti dalle tue azioni, ragazza, ti porteranno solo ad una morte più violenta e dolorosa.", consigliò alla fine Ninkarakk.

Dorida, però, non aveva orecchie per le parole dell’avversaria, nella sua mente altre erano le immagini che si stagliavano: le lezioni di Bao Xe sul dovere e la giustizia, le battaglie per ottenere l’armatura, gli scontri con le altre due sacerdotesse che, assieme a lei, erano di istanza ad Atene, tutto l’aveva portata ad essere chi ella era; una guerriera piena di se, probabilmente, attaccabrighe, di certo, ma non per questo meno coraggiosa di altri compagni, anzi, lo era forse molto più di molti guerrieri che vivevano al Grande Tempio.

Questo aveva sempre pensato, orgogliosa delle proprie virtù e del coraggio con cui andava avanti in ogni scontro, la prima ad attaccare e l’ultima ad abbassare il pugno sul nemico sconfitto; ma questa nuova missione aveva scosso tali sicurezze: nessuno dei suoi compagni era un codardo, né lasciavano avanzare lei per prima, anzi, quando necessario, andavano avanti tutti assieme, come avevano fatto fino alle mura di quella città, e si proteggevano gli uni con gli altri.

Su quest’ultimo pensiero, però, Dorida si dovette correggere: fino lei era stata solo protetta, mai aveva protetto qualcuno. Leif di Cetus aveva fermato la sua corsa contro il misterioso Sin degli Annumaki prima, per poi farle scudo dinanzi all’attacco di Zisutra di Lamassi presso le Mura di Accad; in seguito era stata Gwen, per ben due volte, a salvarla, sia nello scontro con l’Anunnaki di Golem, dove era riuscita, con le doti della sua mente ad ottenere risultati che la sacerdotessa di Sagitta non aveva raggiunto con i propri muscoli, e, in seguito, sempre la guerriera di Corvus l’aveva salvata, in qualche modo, dall’ultimo confronto di forze con Enlil dello Scettro.

Ora toccava a lei, Dorida della Sagitta, difendere la propria compagnia, toccava a lei rischiare il tutto per tutto contro un’avversaria talmente forte che da sola sembrava non aver possibilità alcuna, toccava a lei continuare a combattere per la sua fede nella Giustizia, la stessa che le aveva trasmesso la maestra Bao Xe, che così poco amava le lotte, toccava a lei mostrare la sua carta migliore.

Ancora una volta, la mano di Ninkarakk si fermò, a pochi centimetri dalla schiena di Gwen del Corvo, dove silenziosa e rapida avrebbe perforato il cuore, portando via la vita dell’avversaria svenuta, senza darle il tempo di soffrire; un’intenzione che, però, nemmeno stavolta poté avvenire, poiché un’esplosione di inaudita violenza scosse i capelli castani dell’Anunnaki e produsse delle crepe sull’armatura di Khuluppu.

Voltatasi, l’Ummanu vide un gigantesco rogo, una fiamma che alta si sollevava verso il tetto della sala, lì dove prima si trovava il corpo intrappolato dell’avversaria. "Povera sciocca, ha chiesto troppo a se stessa, si è data fuoco con le proprie energie.", osservò con un velo di tristezza nella voce, Ninkarakk, mentre la maschera d’argento dell’avversaria volava al di fuori delle fiamme, rotolando fino ai piedi dell’Anunnaki.

Fu quasi un gesto istintivo quello di raccogliere quella maschera da terra, ma, quando già la guerriera mesopotamica stava abbassandosi per prenderla, dalle fiamme proruppero tre dardi incandescenti, che investirono l’impreparata Anunnaki, scagliandola a diversi metri di distanza da Gwen.

Quando Ninkarakk fu di nuovo in piedi, quasi non poté credere a cosa vedeva: le fiamme stavano lentamente ritirandosi, continuando a scoppiettare sopra l’armatura della sua nemica, che ora era in piedi, sanguinante e stremata, priva dell’armatura che celava le gentili forme di fanciulla e gli occhi color nocciola, occhi con cui ora guardava, con rabbia incalzante, l’Ummanu.

Occhi che, lentamente, si riempirono di stupore, mentre Dorida notava le vestigia dell’avversaria, frantumate nei tre punti che aveva investito, rivelare la pelle dell’altra, ora ustionata, prima che una strana sostanza verdognola scivolasse dai frammenti dell’armatura, curando in pochi istanti le ferite della sua padrona.

"Ora hai visto il mio più grande segreto, ragazza: la virtù maggiore dell’armatura di Khuluppu, che proprio dall’Albero primogenito del mondo, la cui corteccia ha elevati doti medicinali, le stesse doti che, grazie alle arti del Saggio Ea, anche le mie vestigia possiedono.", spiegò l’Anunnaki rialzandosi in piedi.

"Per quante volte tu mi colpisca, nessun danno risulta incurabile per Khuluppu, la linfa di quest’armatura tutto rimargina, dandomi sempre nuove forze, unica fra le vestigia degli Ummanu ad avere questo potere. Desisti, lascia che il dolce sonno eterno delle radici ti attiri a se.", sentenziò di nuovo la guerriera.

"Mai!", urlò in risposta Dorida, "Come sacerdotessa di Atena non posso venir meno ai miei doveri verso la dea della Giustizia, né come guerriera posso lasciare che tu uccida la compagnia verso cui sono in debito, né che questi tuoi poteri ti permettano di aver ragione anche degli altri miei parigrado, di certo anch’essi feriti dopo lo scontro con Enlil.", dichiarò decisa la Silver saint.

"Ti dici consacrata ad una divinità della Giustizia e ti opponi a noi, che vorremmo richiamare in questo mondo il grande Shamash? Credo che tu, ragazza, sia confusa, forse per le ferite subite.", la ammonì allora Ninkarakk.

"La Giustizia in cui io credo non viene dettata dai gesti delle divinità; Atena mai giudicherebbe le azioni degli uomini, piuttosto spererebbe nel loro libero arbitrio, difendendo il loro diritto a sbagliare e correggersi da soli, imparando dai propri errori e riuscendo, in tal modo, a non ripeterli più!", replicò secca la sacerdotessa, mentre ancora le fiamme circondavano incandescenti il suo corpo, sempre più spossato.

"La giustizia in cui credi tu è un sogno da cui è tempo di svegliarsi!", ribatté stizzita Ninkarakk, "Queste terre in cui vivo sono un esempio di come l’uomo non impari mai dai propri errori. Diversi sono stati i conquistatori che hanno cercato di stringerle nella loro morsa: i Persiani, i Macedoni, i Romani, nelle ere antiche; i seguaci dei culti monoteistici con il propagarsi delle religioni che credono in unico Essere, fino all’ultima guerra, meno nota alle genti comuni, quella fra gli Ummanu della scorsa generazione contro Tiamat e le sue oscure armate.

Mio padre, già al servizio del grande Annu, non era un guerriero, bensì un semplice medico da campo, il più esperto dell’intera nostra tribù, da sempre a seguito del grande padre di Marduk e del Saggio Ea.

Egli vide le terribili devastazioni che Tiamat ed i suoi guerrieri portarono; vide la desolazione, la morte, la disperazione; perse il suo sovrano in quella guerra, ma non poté fare niente per impedire ciò, né per la gran parte dei feriti, alla fine persino in lui la voglia di vivere andò scemando per quanto poco aveva potuto fare verso tutta la gente che in lui credeva.

Io vidi la sua vita sfiorire, rimasi sola con mia madre e decisi che mai avrei permesso che altre genti soffrissero quanto lui, o quanto mi aveva raccontato. Fu così che chiesi al saggio Ea di essere addestrata e lì incontrai i miei compagni d’armi, mossi dal mio stesso desiderio di pace, alcuni almeno.

Ci preparammo alla battaglia per ottenere la pace, seppur il nostro Sire Marduk mai avrebbe richiesto una nuova guerra al suo popolo, lui che aveva solo dodici anni quando il padre fu ucciso da Tiamat; ma proprio l’Esiliato oscuro ci dimostrò come non poteva esistere una pace sicura, giacché sempre nuovi e misteriosi nemici potevano attaccarci per ottenere le nostre terre, come era successo nelle ere passate.

Solo l’arrivo di Baal, il Re degli Appalaku, ci permise di avere una speranza: richiamare su questa terra Shamash, ottenere dal Sommo Giudice che tutti gli uomini iniqui, i conquistatori, i devastatori di civiltà e genti, fossero eliminati, che solo i pacifici ed i giusti restassero ad abitare il mondo. Un piano ardito, ma che conteneva in se la più grande speranza di Re Marduk e di tutti noi: la fine di tutte le guerre.

Questa è la Giustizia che io seguo, la vera Giustizia, quella che eliminerà il male dal mondo, lo estirperà come si dovrebbe fare con una radice maligna che avvelena le altre.", spiegò decisa Ninkarakk.

"Questa non è giustizia!", tuonò allora Dorida, "Voi deciderete per tutti, per chi ha nel cuore desiderio di perversa conquista, come per chi anela solo a riprendersi ciò che è suo di diritto! Non darete a nessuno il diritto di sbagliare e correggersi; inoltre, se qualcuno anelasse anche solo per poco ad un sogno di conquista, magari un innocente, spinto dalle parole di altri, voi che fareste? Lo punireste per la sua debolezza di spirito? Questa è giustizia secondo te?", ringhiò la sacerdotessa, mentre le fiamme sempre più alte la circondavano.

Per un attimo, l’incertezza riempì gli occhi di Ninkarakk, ma solo per un attimo, "Non sono qui per dibattere con te su ciò che è la Giustizia; non a me spetta deciderlo, quanto a Sire Marduk, che sempre ha fatto il meglio per il suo popolo, quindi ha tutta la fiducia di noi Anunnaki. No, sono qui per sconfiggerti e cercare poi Aruru, dovunque egli sia, poiché mi è cara la vita dei miei compagni.", sentenziò l’Ummanu, mentre già il cosmo color smeraldo la circondava.

"Anche io a cuore la sorte di chi mi è compagno in questo viaggio, quindi, adesso, preparati a cadere, dinanzi all’ultima freccia del mio arco, me stessa!", replicò decisa Dorida.

"Flecha Llover!", tuonò la Sacerdotessa d’argento, scattando in avanti, circondata da alte fiamme, che la resero indistinguibile agli occhi della nemica.

"Taglio delle Foglie!", urlò in tutta risposta l’Anunnaki, mentre apriva le mani dinanzi all’avversaria e da ognuna delle sue dita partivano altrettanti dardi smeraldini dalla forma di foglia.

Le lame d’energia cosmica, però, non fermarono la corsa di Dorida, che parve quasi alzarsi in volo, gettandosi in picchiata contro Ninkarakk. L’impatto fra i due corpi non fu in alcun modo evitato dall’Anunnaki, che, travolta dalla potenza offensiva dell’avversaria, si schiantò malamente contro una parete, con le vestigia ancora circondate dalle fiamme, le stesse che ora avevano abbandonato la Sacerdotessa guerriero.

Per alcuni interminabili secondi, Dorida rimase al suolo, non aveva la forza di rialzarsi, troppo aveva chiesto a se stessa richiamando la Freccia Cadente, una tecnica che spingeva il suo cosmo al limite ultimo, che la portava al baratro dell’autodistruzione, rischiando di annullarsi nel cielo della Sagitta, una tecnica, che, proprio per questo, risultava tanto potente da distruggere il più delle difese contro cui andava a scontrarsi. Era certa che quel colpo avrebbe dilaniato quelle particolari vestigia, permettendole di sconfiggere l’avversaria, malgrado la sua stessa armatura avrebbe ricevuto danni inimmaginabili da quel colpo. Proprio per questo aveva gettato via la maschera, perché non restasse inevitabilmente danneggiata, rivelando ai compagni il suo viso.

Quel pensiero riscosse la sacerdotessa spagnola, che alzò appena il capo da terra, cercando con lo sguardo l’oggetto argenteo che ne celava di norma il volto e, una volta trovatolo, Dorida arrancò, strisciando sul corpo dolorante, fino a raggiungerlo. Ci volle un tempo che parve eterno perché la guerriera vi arrivasse, ma, quando ormai la mano fu tanto vicina da toccare la maschera, in quel momento, qualcuno la bloccò.

Grande fu la disperazione nella guerriera della Sagitta osservando il viso illeso di Ninkarakk, ora priva dell’elmo, come di buona parte dell’armatura, andata in pezzi, ma, comunque, senza nemmeno una ferita.

L’Anunnaki sollevò la mano verso la Sacerdotessa, ormai certa che avrebbe trovato in quella donna dai capelli castani, la propria assassina, ma decisa a non chiudere gli occhi in segno di timore, così, per degli interminabili istanti, la rabbia trasparì dallo sguardo di Dorida, prima di diventare stupore, mentre ogni sofferenza fuggiva via dal suo corpo, ora guarito da ogni ferita subito dopo l’ingresso ad Accad.

Senza parole, la Sacerdotessa osservò Ninkarakk dirigersi verso Gwen del Corvo e lasciar gocciolare sulla schiena di lei la linfa che proveniva dall’armatura di Khuluppu.

Non ci vollero che pochi minuti perché anche la guerriera inglese si riprendesse, alzando il capo stupita.

"Perché?", chiese allora la voce di Dorida, che aveva reindossato la maschera nel frattempo, volgendosi verso l’avversaria, "Perché ci hai salvate?", continuò.

"Hai insinuato il dubbio in me, che la nostra scelta di risvegliare Shamash non sia la più saggia, che le genti del mondo abbiano diritto ad una nuova possibilità, così ho deciso di darla a te.", spiegò Ninkarakk, raccogliendo un frammento distrutto della propria armatura e porgendoglielo, "Cura i tuoi compagni e chiedi udienza a sire Marduk senza portare avanti altri scontri che darebbero solo nuovo dolore a tutti. Se le vostre ragioni saranno corrette alle orecchie del mio sovrano, di certo egli fermerà il risveglio del Sommo Giudice.", spiegò semplicemente, indicando quindi una strada laterale alle due sacerdotesse guerriero.

"Grazie…", fu l’unica parola che Dorida rivolse all’Anunnaki, prima di fare un cenno a Gwen, che subito la seguì, allontanandosi con lei dal campo di battaglia, dopo aver ella stessa, ringraziato Ninkarakk.

Rimasta sola, la guerriera di Khuluppu si volse, per raccogliere i preziosi frammenti della sua armatura, quando un rumore la distolse dal suo compito, facendola volgere verso la scalinata opposta a quella da cui erano arrivate le avversarie, quella che portava ai piani superiori, dove si trovavano i due eserciti, lì, sull’uscio, Ninkarakk vide una figura nota.

"Cosa ci fai qui?", chiese alla silenziosa nuova presenza, "Ho appena combattuto sì, ma ci sono delle cose di cui devo discutere con il saggio Ea e sire Marduk, dopo aver ritrovato Aruru. Potresti, per favore, intanto avvisarli tu?", chiese ancora l’Anunnaki, prima che, da una quarta porta, non si palesasse un cosmo.

Ninkarakk non ebbe nemmeno il tempo di voltarsi che una gigantesca sfera di fuoco la travolse, investendola frontalmente e schiantandola in mezzo agli alberi, che con lei iniziarono a bruciare di un fuoco maligno e perverso.