Capitolo 15: Duellanti

Menisteo di Eracle si riprese, la luce del sole di Accad pungeva contro i suoi occhi. Per alcuni attimi, il cavaliere di argento si guardò intorno confuso, poi i dolori, che dilaniavano ancora il suo corpo, riportarono alla mente lo scontro vinto contro Etana di Nirah e la divisione da Bao Xe e Damocle, direttisi alla ricerca degli altri guerrieri di Atena che già davano battaglia presso le mura di Accad.

Menisteo, dopo lo scontro, era caduto in un leggero sonno, spinto più dalla stanchezza del corpo che da altre cause, incapace di reggersi in piedi dopo i danni subiti, ma ora che si era ripreso, il cavaliere di Eracles era pronto a rialzarsi, cercando i compagni dispersi e portando loro supporto, per quanto gli fosse possibile.

Con questi pensieri nella mente, cosciente che già almeno qualche ora era passata dal loro arrivo nell’Antica Capitale, il santo d’argento partì alla volta del palazzo che vedeva alzarsi maestoso al di sopra di ogni altra costruzione.

*****

Camminavano stremati, l’uno reggendosi all’altro, Husheif di Reticulum e Leif di Cetus, avanzando con attenzione, mentre Anduruna, dinanzi a loro, diventava sempre più vicina, ricca dei suoi misteri e pericoli, che ben presto avrebbero di certo raggiunto i due cavalieri.

Il santo della Balena stringeva il proprio pugno sulla ferita che precedentemente gli aveva inferto Zisutra di Lamassi, un colpo da cui ancora copioso usciva il sangue, specie dopo lo scontro con Enlil, che ne aveva intensificato la gravità.

Accanto allo svedese, il guerriero di Reticulum avanzava, stremato nello spirito e nel corpo, non per ferite sanguinanti, bensì per l’Abbraccio del Deserto con cui Beletseri di Etemmu, l’Anummaki con cui aveva combattuto, lo aveva quasi privato di tutte le energie: un’arma mortale, i cui effetti ancora si protraevano sulle carni del santo di Atena.

Indeboliti nel corpo, i due cavalieri raggiunsero alla fine le porte di Anduruna, o almeno quelle a loro più vicine, infatti, con un rapido sguardo, la coppia di guerrieri poté comprendere che la pianta del palazzo era di forma quadrangolare, tanto ampia da coprire uno spazio proporzionalmente pari ad un quarto delle Mura esterne per ogni lato dell’Antica Capitale.

Ognuno dei quei quattro lati, poi, era intervallato da decine di finestre, che si aprivano sui vasti corridoi interni, i quali conducevano a chissà quante altre stanze, mentre uno solo era il portone per ognuno dei quattro fianchi del palazzo, con incise al di sopra dei simboli antichi di cui nessuno dei due guerrieri di Atena conosceva il significato, ma che, banalmente, indicavano solo il punto cardinale da cui si entrava presso le sacre dimore di Anduruna.

"Dunque è questo il portone che ci separa da altre battaglie? Ben misera barriera…", osservò con triste sarcasmo Husheif, prima di volgersi verso il cavaliere di Cetus e, con un gesto di comune accordo, avanzare verso l’alto cancello, spingendolo contemporaneamente, con eguale determinazione, aprendolo senza alcun apparente ostacolo.

I due si trovarono in un immenso corridoio, che si apriva a vista d’occhio dinanzi a loro, senza apparente conclusione, illuminato solo da decine di candelabri che dondolavano sopra le teste dei cavalieri, permettendogli di distinguere le colonne che reggevano il soffitto di quella stanza.

"Andiamo?", domandò con voce fredda Leif, senza lasciar sfuggire eventuale titubanza nel proprio cuore, "Sì.", concordò deciso Husheif, seguendo il compagno nella corsa.

Corsa, che, però, durò ben poco, poiché, improvviso e minaccioso, qualcosa, da un fianco del corridoio parve crollare contro di loro: una colonna, che si abbatté da sinistra contro il cavaliere di Reticulum, che dovette usare tutta la propria prontezza di riflessi per evitare di essere schiacciato, allontanandosi con il compagno d’arme, prima che un secondo sussulto li costringesse ad evitare un’altra parte del pavimento, sollevatosi improvvisamente, come se una leva dal suolo l’avesse gettato verso i due santi d’argento, costringendoli ad indietreggiare ancora di diversi passi.

Solo in quel momento, rimettendo i piedi al suolo, in un’apparente pace, i due poterono notare come la colonna era stata frantumata al suo apice da qualcosa di molto simile ad un violento pugno. "Dunque è stata una mano mortale a fare ciò?", si chiese Leif, guardandosi intorno, mentre, dalle ombre di un’altra colonna, appariva una figura coperta di vestigia rosso fuoco.

"Non una mano mortale, ma un’arma di fattura mitologica! Quella che io brandirò nel togliervi la vita, invasori!", esordì una voce, che accompagnava la figura palesatasi.

Era gigantesco, alto ben più di ambo i cavalieri di Atene, immenso il corpo e maestosa l’armatura scarlatta che sembrava costituita dalla summa di diverse forme geometriche. Triangoli dagli spigoli appuntiti erano le spalliere, un trapezio, adornato da immagini di teschi che danzavano fra le onde, costituiva il tronco dell’armatura, coprendo il più del corpo nemico, semicerchi dalla superficie levigata, simile quasi allo scafo di una barca, erano i gambali. Una corona che si apriva come unendo un cerchio centrale con due semicerchi, creando così una semisfera, copriva il capo del guerriero, fino ad arrivare sugli occhi, che, di un blu cobalto, osservavano con attenzione i nemici.

La cosa più strana, però, in quella scarlatta armatura, erano le coperture per gli avambracci: due forme curve, che ricordavano la prua e la poppa di una piccola imbarcazione, quasi simili, nella loro deformità, a delle lame di asce, si ergevano a copertura degli arti, partendo dal polso ed arrivando fino alle spalle maestose del guerriero.

"Un altro di questi Annumaki…", mormorò dissentito Husheif, "Inizio a non sopportare più la vista di queste armature scarlatte. È già il terzo che si mette sulla mia strada.", ringhiò il cavaliere di Reticulum, fingendo di aver più forza di quanta ancora gliene restasse, posizionandosi già in guardia contro l’avversario.

"Il terzo dici, straniero? Contro quali dei miei compagni hai combattuto?", domandò il gigante, scrutando dall’alto delle proprie dimensioni l’egiziano, "Abbiamo affrontato tutti e sei assieme il vostro sovrano.", rispose allora Leif di Cetus, espandendo il proprio cosmo e sollevando le mani, già pronto alla battaglia.

"E siete sopravvissuti voi due? I miei complimenti. Dovete essere degli abili guerrieri per riuscire a riportare vittoria sul mio signore Enlil, che, per di più, è caduto ormai, perso fra le strade di Accad.", osservò con una punta di sorpresa il nemico, avanzando ancora, mentre i due cavalieri indietreggiavano di rimando.

"Il vostro Re è dunque caduto?", domandò Husheif, mostrando dello stupore, che traspariva dal suo volto. "Sì, non lo sapevate? Eppure è l’unica logica motivazione se non è ancora tornato presso gli altri sovrani, ne ha riposto le vestigia dello Scettro. Sembra che la vostra sia stata, alla fine, solo fortuna, se nemmeno avevate certezza di una tale vittoria.", replicò beffardo il gigantesco Annumaki.

"Forse sul tuo sovrano non sapevamo di aver vinto, ma io da solo ho sconfitto una ragazza tua parigrado, per vestigia che indossava. Una guerriera che comandava la sabbia del Deserto a lei tanto caro.", incalzò con tono deciso il cavaliere di Reticulum.

"Hai dunque sconfitto e strappato la vita a Beletseri di Etemmu?", domandò, realmente sorpreso, il gigante, "Ti devo dare atto delle tue abilità, nemico, ma aver sconfitto lei non implica che avrete facile vittoria su di me, Nedu di Magilium, le cui braccia sono custodi di una forza che deriva dal mito stesso!", li ammonì alla fine l’Annumaki, scuotendo gli arti superiori, da cui proruppe un’ondata d’energia tale da costringere i due a sollevare, a loro, volta le braccia per difendersi dalla pressione.

Solo alla fine di quella maestosa ondata energetica, Husheif poté sorridere, "Parli tanto, gigante, ma quanto potrai fare, ora che sei intrappolato nella mia bianca rete?", domandò il cavaliere d’argento, mentre i fili d’energia cosmica si stringevano sulle gambe del nemico, "Asprò Diktuò!", urlò il cavaliere, lasciando scatenarsi la propria trappola energetica.

Un sorriso beffardo si disegnò sul viso di Nedu al sentire quelle parole, prima che questi congiungesse le braccia dinanzi al petto, per poi muoverle, disegnando attorno a se un semicerchio, con indicibile velocità, creando, al proprio passaggio, un solco nel terreno sotto di se, come se una violenta pressione avesse schiacciato parte delle mattonelle, spezzando al qual tempo i fili della rete d’energia cosmica nemica, così da ritrovarsi di nuovo libero.

Non ci fu, però, tempo per l’Annumaki di gioirne, poiché già vasto e gelido s’espandeva il cosmo di Leif di Cetus, "Diamond Dust!", esclamò il cavaliere d’argento, scatenando la fredda polvere di Diamanti contro il proprio avversario, con l’unica intenzione di intrappolarlo in una statua di ghiaccio.

Lesto fu però Nedu nel sollevare le braccia dinanzi al petto, incrociandole, per poi aprirle di scatto, emettendo un’ondata d’energia che scavò il terreno, disperdendo la fredda corrente e spingendo indietro di qualche passo i due santi di Atena.

"Ma cosa?", riuscì a balbettare appena il cavaliere di Reticulum, dinanzi a quello spettacolo, "Un oggetto di mitologica fattura, come già vi avevo anticipato.", rispose pronto l’Annumaki, "I remi del Magilium, la barca che traghetta i morti negli Inferi. Questi strumenti diventano armi devastanti quanto delle mazze, queste armi io possiedo nelle mie braccia, due, tante quante ne basteranno per spaccare i vostri crani come frutti maturi.", avvisò a quel punto il guerriero nemico, sollevando ambo le braccia, che già brillavano di una rossa energia cosmica.

"Remi del Magilium, calate con tutta la vostra violenta potenza!", ordinò Nedu, compiendo un secco movimento con gli avambracci, diretti verso i due cavalieri nemici.

"Kolito!", urlò secco Leif, sollevando gli anelli di ghiaccio attorno a se, "Klubi Nematon.", gli fece eco Husheif, mentre tesseva la Gabbia di Fili a difesa della propria persona.

Le due difese contro altrettanti attacchi, uno scontro che, precedentemente, avevano vinto entrambi i guerrieri, uno scontro, che, però, stavolta fu da ambedue perso, forse per la stanchezza, forse per il continuo lottare.

In frammenti andarono i cerchi di ghiaccio, mentre il cavaliere di Cetus veniva schiantato a diversi metri di distanza, con le vestigia danneggiate dall’altezza del torace; medesima fine faceva la rete difensiva del guerriero di Reticulum che, sfaldatasi, lasciava travolgere il proprio padrone, il quale fu gettato in aria, per poi schiantarsi malamente contro una colonna, frantumandosi parte della copertura per schiena e spalle.

Nedu di Magilium, a quel punto, avanzò tranquillo fra i due nemici ormai al suolo, "Vi faccio i complimenti: se non fosse stato per quelle vostre difese, sareste già morti; per quanto non so se, per voi, questa sia o meno una fortuna. Di certo, se non vi avessi incontrati stanchi per le passate battaglie, sarebbe stata per me una magnifica sfida affrontarvi. Non potrò nemmeno glorificarmi dinanzi a Girru degli Anunnaki della vostra sconfitta.", osservò con rammarico l’Anummaki, sollevando di nuovo le braccia, puntate ognuna verso uno dei due cavalieri al suolo, feriti e stremati.

"Addio, guerrieri, che i Remi del Magilium vi conducano al riposo senza sogni.", concluse, prima di calare ambo le braccia.

****

Ea il Saggio aveva lasciato i quattro guerrieri intorno al giovane Sin, Principe degli Annumaki, che sedeva, scuro in volto, sugli scalini che conducevano presso la sala dove già si trovavano i Sovrani rimasti.

In quella stessa sala, il consigliere di Marduk entrò, inginocchiandosi dinanzi al suo Re ed a Baal, di questi pari per grado, se non per nascita.

Il Sovrano Giallo era sempre apparso, agli occhi dell’anziano consigliere, alto, quasi maestoso, spesso tronfio delle sue conoscenze e, di certo, pieno di un ardore quasi religioso nella sua volontà di raggiungere l’Antica Capitale, ma mai, come in quel momento, Baal sembrava, agli occhi di Ea, addirittura abbagliante.

Fu una sensazione che lasciò per qualche attimo interdetto l’anziano primo guerriero, forse dovuta all’ampio cosmo che i due Re stavano utilizzando per richiamare presso il mondo mortale il Grande Giudice, un cosmo che riceveva i riflessi color smeraldo vivo di Marduk, ma brillava della dorata lucentezza di quello di Baal stesso, forse per l’età che lo rendeva apprensivo, specie dopo aver saputo del mancato ritorno di Enlil, Aruru e dell’atto irresponsabile di Ninkarakk, forse tutto questo dava ora al vecchio Ea la sensazione che fosse l’aura dorata del signore degli Appalaku a sovrastare su quella del Re degli Anunnaki.

"Cosa ti porta qui, consigliere?", domandò d’un tratto proprio Baal, richiamando l’anziano alla realtà, strappandolo ai suoi pensieri, mentre già Marduk si volgeva preoccupato verso il suo mentore, maestro e più fidato amico.

"Tristi nuove, miei sovrani, mi portano a presentarmi dinanzi a voi.", esordì allora Ea, alzando leggermente il capo, "Parla, dunque, cos’è successo, amico mio?", chiese allora il Sovrano di Smeraldo, avvicinandosi all’anziano ed aiutandolo a mettersi in piedi con un gesto cortese.

"Come sapete, dei nemici sono entrati nei sacri confini della Capitale, abbattendo l’Appalaku di Lamassi, ma pare che non a quello si siano fermati: nessuna notizia è più giunta di Aruru di Golem, che per primo, di sua iniziativa, era andato all’attacco di questi invasori e, come lui, anche Sire Enlil è scomparso. Inoltre, due degli Annumaki al suo seguito, Beletseri di Etemmu e Zakar dell’Incubo, non hanno più fatto ritorno dopo l’ultima notte, al pari del loro sovrano.", spiegò con voce preoccupata l’anziano, enumerando le perdite di cui, fino a quel momento, aveva certezza.

"Che cosa?", esclamò sbalordito Marduk, "Aruru, Beletseri degli Annumaki, persino Re Enlil? Tutti scomparsi? Ea, pensi realmente che siano caduti, tutti quanti per mano di questi nemici?", domandò sconvolto il giovane sovrano, "Sì, mio signore, il mio timore è proprio questo.", rispose con tono spezzato l’anziano.

"Dunque dopo Adapa e Zisutra, anche altri sono caduti per mano di questi nemici? La guerra si è infiltrata fin dentro questi consacrati confini? Perché costoro fanno ciò? Non comprendono il nostro desiderio di riportare la pace nel mondo? O forse sono servi del caos e della distruzione?", domandò a quel punto Baal, volgendo solo allora il proprio sguardo verso i due Anunnaki.

"Sì, di certo deve essere questa la ragione che li spinge: anela alla guerra, devono esserne asserviti. Chissà quale oscura divinità li guida, quale malefico piano li ha condotti fin qui. Sbagliavamo, giorni or sono, nel pensare che questi individui ci avessero incontrato per un puro caso del destino, che solo la difesa delle genti mortali gli premesse. Costoro sono invasori, né più, né meno, di Alessandro il Grande che nelle ere passate cercò di conquistare questi territori. Blasfemi e folli coloro che cercarono di impedire che il potere di Shamash si manifesti su questa terra! L’ira degli Ummanu non tarderà ad investirli con impietosa violenza!", sentenziò con tono deciso il signore degli Appalaku, mentre il suo sguardo tornava a vagare fra le mura della piccola sala.

Ea avrebbe voluto replicare che, per quanto i nemici che si trovavano ad affrontare avessero portato la guerra presso Accad, in fondo il desiderio di Giustizia a cui Baal era così attaccato non era niente di più che un atto di forza divina, un gesto che non sarebbe stato fatto da uomini che giudicavano altri uomini, cosa più che corretta, a detta dell’anziano, che tante volte aveva visto, nella sua lunga vita, le persone sbagliare, per poi essere corrette, o correggersi, da se, coscienti di quella che doveva essere la giusta morale.

Niente di tutto ciò, però, uscì dalle labbra del vecchio Consigliere, troppo affezionato a Marduk e fiducioso nelle scelte del suo pupillo, che aveva sempre istruito su ciò che era giusto e su ciò che era sbagliato, affinché evitasse il secondo per scegliere il primo, tanto che, quando tempo prima Baal si era a lui presentato, con, come seguito, solo tre vagabondi, come parevano gli Appalaku in quei giorni, nomadi senza una tribù, o una famiglia, cui riunirsi, Ea non aveva obbiettato niente all’ospitalità data dal suo sovrano, né al modo in cui aveva accettato di unirsi al piano proposto da quello che si era rivelato il Re Dorato.

Quello che il primo guerriero degli Anunnaki disse fu invece: "Già altri guerrieri si sono mossi a fermare i nostri nemici. Nedu ed Enki, fra gli Annumaki, oltre a Ninkarakk di Khuluppu, che di certo sta cercando i compagni dispersi, al fine di usare su di loro le sue abilità curative.", spiegò l’anziano.

"Bene, molto bene!", esclamò allora Baal, "Che gli invasori non vedano il finire del giorno! Poiché domani il potere di Shamash sarà di nuovo di questa terra e non di certo degli esseri abbietti come questi nemici saranno degni anche solo di percepirlo.", sentenziò il Sovrano, "Torna pure presso le truppe fuori riunite, Ea degli Anunnaki, ed avvisali che poco tempo manca affinché il nostro rituale sia concluso.", ordinò secco il Re degli Appalaku, rivolgendo di nuovo la propria attenzione al cosmo che ampio s’espandeva in quella sala.

Fu in quel momento, però, mentre già l’anziano Consigliere si inginocchiava, per poi lasciare la sala, che Marduk gli fece cenno di attendere, "Nobile Baal, vi chiedo scusa se vi lascio solo a portare avanti questo rituale per alcuni minuti, ma ritengo mio dovere presentare i rispetti a Sin, che ora è rimasto solo al comando degli Annumaki.", affermò con genuinità il Re di Smeraldo, mentre un sorriso dolce si dipingeva sul volto di Ea, dinanzi alle belle parole del pupillo, prima di uscire con lui dalla sala.

****

Il colpo che Nedu di Magilium stava per sferrare contro i due cavalieri d’argento, ormai indebolite prede ai suoi piedi, fu bloccato da un bagliore di luce, qualcosa che costrinse l’Annumaki a volgere lo sguardo di lato.

Solo l’istinto di sopravvivenza proprio dei guerrieri più esperti, però, spinse il guerriero in rosso a compiere un leggero salto laterale, spostandosi da quella che era la fonte della luce, la stessa che si stava dirigendo contro di lui.

Quando quel bagliore accecante, poi, si quietò, tutto ciò che il gigantesco guerriero mesopotamico vide, fu una coppia di solchi che si incrociavano al suolo e, al di là degli stessi, una figura, ben più esile di lui, in delle vestigia molto simili a quelle dei nemici al suolo, però di un colore più rosso e, soprattutto, prive di danno alcuno.

La figura, che ancora gli volgeva le spalle, rivelando i ben curati capelli neri, parlò: "Di norma non mi abbasserei a combattere con un energumeno tuo pari, che di certo eccellerà nel campo dello scontro diretto, magari facendo grande sfoggio della forza bruta, privo di ogni tattica e, cosa ben più grave, di ogni garbo per un duello degno di nota; ma, per questa volta, farò un’eccezione, giacché ben rare sono le occasioni in cui posso far pesare su Husheif di Reticulum come egli mi debba la vita.", esordì con tono sicuro il nuovo giunto, voltandosi poco dopo, "E di certo non mi farò sfuggire una ghiotta possibilità.", concluse con un sorriso, compiendo un leggero inchino verso il maestoso nemico.

"Damocle, proprio te dovevano mandare…", riuscì appena a lamentarsi il santo di origini egizie, mentre Leif osservava in silenzio l’inatteso salvatore, quando già l’Annumaki gli si stava avvicinando.

"Parli bene, ragazzo, e di certo risulti ben più in forma di questi due che ho facilmente atterrato, ma mi chiedo quanto anche tu potrai durare contro Nedu di Magilium, custode dei Remi della Nave dei Morti.", minacciò il guerriero in rosso, sollevando le braccia in segno di sfida.

"Non ti temo, gigante, poiché, quale che sia l’arma che tu possiedi, non è di certo temibile quanto quella contro cui dovetti combattere per tutto il mio lungo addestramento.", avvisò l’italiano, "Quindi preparati a cadere dinanzi a Damocle della Croce del Sud!", replicò il santo d’argento, ponendo il braccio sinistro parallelo al petto e poggiandovi quello destro all’incrocio dei gomiti, così da formare una croce davanti a se con gli arti.

"Colpite con devastante potenza, Remi del Magilium!", ordinò a quel punto l’Annumaki, compiendo con ambo le braccia un singolo movimento discendente, al fine d’investire con l’onda d’urto il cavaliere nemico, "Lux Crucis!", tuonò in tutta risposta Damocle, i cui arti brillarono dell’accecante luce che pocanzi aveva già abbagliato il guerriero avverso, mentre il santo d’argento li apriva, lasciando esplodere un attacco luminoso e diretto proprio contro il gigantesco bersaglio.

La luce accecò persino i due cavalieri feriti che osservavano lo scontro; Leif, però, cercò di farsi forza, per alzarsi e supportare il nuovo compagno in quel duello, ma bastò un secco richiamo di Husheif per farlo desistere. "Non serve, per quanto sia un pomposo idiota pieno di se, Damocle di Crux è di certo fra i più forti guerrieri di stanza ad Atene, almeno del nostro rango; inoltre è degno allievo di un cavaliere d’oro.", osservò il santo di Reticulum, quando, la luce ormai diradata, mostrava di nuovo i due sfidanti, in piedi, ognuno nella posizione che precedentemente era stata dell’altro.

Fu il santo della Croce del Sud il primo a voltarsi verso l’avversario, la spalliera sinistra era ormai distrutta, sangue colava da una ferita apertasi in quel punto, sangue che il cavaliere osservò con una nota di disappunto; "Te ne devo dare atto, energumeno, sai intuire quando il pericolo ti si avventa contro, cosa che comunque anche le bestie meno civilizzate sanno fare. Hai compreso che il mio colpo ti avrebbe divelto come una foglia dinanzi al vento impetuoso, quindi hai preferito spostarti, cercando al qual tempo di portare un colpo al cuore, una mossa astuta, che ti concede il primo sangue, per quanto non privi me del mio.", osservò con un sorriso soddisfatto Damocle, volgendosi verso Nedu.

L’Annumaki, infatti, era immobile, la corona scarlatta divisa in due parti uguali era al suolo, ai suoi piedi, mentre un taglio abbastanza profondo si apriva sull’ampia fronte, taglio da cui scorreva del sangue a bagnare le guance del massiccio guerriero. "Uno spadaccino sei dunque, ragazzo?", domandò sbalordito il guerriero di Magilium, "Dei migliori, discepolo del grande Kalas di Capricorn, custode della Sacra Spada Excalibur. Ed io, Damocle di Crux, suo allievo, ho appreso come mutare le braccia della Croce del Sud in luminose lame sacre, armi più che degne di un nobile d’italiche origini quale io sono.", affermò con orgoglio il santo di Atena, incrociando di nuovo le braccia nella sua particolare guardia.

"Excalibur?", domandò stupefatto Nedu, "La Sacra Spada della lontana Europa? Un’arma la cui gloria ha superato i confini del Mito, diventando pura Leggenda, i cui possessori sono fra i guerrieri più forti nel duello, fin dalle ere di cui l’uomo non ha memoria? Di quell’arma sei stato discepolo?", incalzò con un misto di stupore e rispetto, l’Annumaki.

"Sì, l’arma che da sempre risiede nel braccio dei cavalieri della Decima Casa di Atene, dono di Atena al valoroso cavaliere del Capricorno, fra i più cari alla dea. Kalas, mio maestro, ne è l’attuale custode.", ripeté con orgoglio il santo d’argento.

Un sorriso si dipinse allora sul viso ferito dell’Ummanu, "Agli dei devo essere, infine, entrato in grazia, se mi concedono di affrontare chi contro quella Sacra Spada è diventato guerriero! Da sempre auspico di combattere contro un tal foggia di spadaccino. Non più mera forza bruta, come contro Girru, o semplici battaglie con normali combattenti, bensì un duello come pochi se ne sono visti!", esclamò gioioso Nedu, "Infine, Enlil, mio Sovrano, mi offri ciò che m’avevi promesso, per quanto io abbia dovuto attendere la tua dipartita per ottenerlo. Uno scontro degno di essere ricordato e che possa vincere!", esultò l’Annumaki.

"Che intendi dire, energumeno?", replicò incuriosito Damocle, "Niente che ti possa interessare adesso. Solo al momento della tua morte ti farò partecipe dei patti che mi legavano al mio sovrano.", tagliò corto l’altro, tornando serio.

"Allora temo che mai me li dirai; al più, te li estorcerò al momento della tua dipartita.", incalzò beffardo l’italiano, prima di partire all’attacco.

Un secco movimento del braccio destro di Nedu costrinse il cavaliere di Atena a deviare la propria carica, portandosi proprio sul fianco che quel gesto aveva scoperto, ma rapido fu anche l’Annumaki a voltarsi, compiendo un movimento a spazzare con il sinistro, così da produrre una violenta pressione, diretta proprio verso la guardia del santo d’argento, il quale rispose lesto, aprendo le braccia dinanzi a se e lasciando scatenarsi il taglio della croce, che si scontrò a mezz’aria con la violenza del remo mancino, mentre già i due guerrieri si spostavano, con un agile balzo, spingendosi entrambi sul medesimo fianco.

Nuovamente le braccia di Damocle, chiuse nella loro guardia, si aprirono, creando un nuovo solco di luce che, però, l’avversario seppe abilmente evitare, lasciando che una colonna, alle sue spalle, venisse divelta in quattro parti eguali, sfruttando l’istante favorevole per raggiungere dalla sinistra il nemico, calando con devastante furia ambo le braccia in avanti, contro il proprio bersaglio; un attacco che, però, fu abilmente evitato con un abile gioco di gambe, permettendo al santo d’argento di spostarsi al fianco destro del nemico, mentre tre colonne si frantumavano sotto la pressione del colpo dell’Annumaki.

Rapidi i due guerrieri si volsero di nuovo uno contro l’altro, scontrando la croce composta dalle braccia di Damocle con le maestose forze di Nedu, provocando un confronto di cosmi tale che già le vestigia della Croce del Sud si riempivano di crepe, mentre quelle di Magilium si arricchivano di sempre maggiori tagli, sempre più profondi.

"Ritirati, ragazzo, non vi sarà gloria alcuna nel restare schiacciato in una prova di forza dai Remi del Magilium; anzi dispiacere solo mi porterai nel cadere così blandamente.", avvisò d’un tratto Nedu, "Giammai!", replicò deciso Damocle, mentre le vestigia di entrambi, nella zona a protezione degli avambracci, andavano irrimediabilmente danneggiate sempre di più, accompagnando ogni nuova inflessione dei due cosmi con degli schizzi di sangue che partivano da ambo i corpi.

Husheif, che osservava assieme a Leif lo scontro, sorrise dinanzi a quella prova di forza, "Sono in una fase di stallo… interessante...", affermò il cavaliere di Reticulum. "Che intendi dire?", chiese allora il parigrado, "Dovresti averlo notato anche tu il modo di combattere del gigante: sfrutta i movimenti delle braccia per espandere la pressione che dalle stesse scaturisce; un metodo molto simile è, alla fin fine, quello di Damocle, che nella posizione di guardia carica il proprio cosmo tagliente, per poi scagliarlo contro il bersaglio. Ora, bloccati l’uno contro l’altro, entrambi fanno pressione con le braccia, rilasciando lievi ondate dei propri cosmi, ma nessuno dei due può imprimere la forza necessaria per portare a segno un vero e proprio colpo.", spiegò il santo d’argento al proprio compagno ferito, "Queste sono di certo le famose guerre di mille giorni che possono scoppiare fra guerrieri pari per abilità e potenza.", concluse con un sorriso divertito.

In quello stesso momento, le urla di determinazione dei due contendenti riportarono i cavalieri ad osservarli: la pressione che scaturì dai cosmi sfidanti esplose in una serie di lampi energetici, dilaniando il terreno ai loro piedi e frantumando decine di colonne fra di loro, alcune delle quali, crollarono proprio sui due combattenti, sollevando un gran polverone, che per alcuni istanti lasciò in silenzio persino Husheif e Leif, in dubbio sull’esito dello scontro.

Fu la figura di Nedu, che s’alzò lesta fra le macerie, a far preoccupare i due cavalieri ateniesi, prima che questi parlasse: "Dove sei, allievo di Excalibur? Di certo questa piccola frana non può averti schiacciato! No, questo è un diritto che spetta a me soltanto!", esclamò esaltato l’Annumaki.

Di li a pochi secondi, anche Damocle uscì dalle macerie, spolverandosi con noncuranze le vestigia danneggiate quanto quelle nemiche, ""Schiacciato, io? Energumeno, ti do atto delle tue indiscutibili abilità guerriere, ma prima che tu possa togliermi la vita, un cane dovrebbe toccare la luna con le proprie zanne.", osservò con disinvoltura il cavaliere.

"Sono certo che, se la morte di Re Enlil è un’informazione corretta, questo sia già successo, o sia prossimo a succedere.", replicò sibilino il guerriero di Magilium, "Non è però di nostro interesse questo mero intrigo di corte! A noi spetta la battaglia che stiamo combattendo.", lo ammonì lesto il maestoso combattente, "Ora alza le tue difese, allievo di Excalibur, poiché vedrai le vere virtù dei Remi della Nave di Morte!", minacciò ancora, circondato ormai dal proprio cosmo.

"Cerchio devastatore!", tuonò Nedu, compiendo una rotazione con l’intero suo corpo, portando le braccia in avanti, un attacco che, paragonato al movimento con cui s’era liberato della Rete Bianca di Husheif, era decine di volte più potente.

Quel semplice gesto produsse un’ondata d’energia tale da distruggere decine di colonne in ogni direzione, mentre rapido si dirigeva contro le diverse mura e contro il cavaliere di Crux, il quale, cambiata la posizione di guardia, con il braccio destro ora parallelo al petto, iniziò una folle corsa proprio contro l’attacco avverso.

"Che cosa fai, sei forse impazzito? Corri incontro alla morte?", domandò stupito Nedu, ma le uniche parole con cui l’altro gli rispose, mentre l’ondata energetica era ormai così vicina da piegare le vestigia della Croce del Sud, furono: "Crux Argentii!".

Il movimento compiuto dal santo d’argento fu piuttosto semplice, simile ai precedenti, ma fautore di una luce minore, per quanto l’assalto che ne proruppe violò con facilità la pressione del colpo avversario, correndo con determinazione verso il corpo maestoso di Nedu.

Ancora una volta, lo scontro fra le due forze in campo produsse un sordo boato ed una pioggia di detriti, mentre l’ampio corridoio andava sempre più crollando su se stesso, costringendo persino Leif e Husheif a far di continuo attenzione ai lapilli che verso di loro volavano.

Quando tutto però si quietò, ancora i due contendenti erano in piedi, ma ben più gravi erano le loro condizioni: l’armatura della Croce del Sud era ormai quasi priva del pettorale, da dove, in gran quantità, fuoriusciva il sangue del cavaliere di Atena, i cui copribraccia e spalliere erano ormai un lontano ricordo; egualmente, le vestigia di Magilium erano ormai ridotte anch’esse a pochi pezzi, la copertura del tronco era andata in pezzi, dilaniata dall’ultimo attacco, restavano in parte le spalliere e le difese di braccia e gambe.

Il sangue di ambo i guerrieri bagnava ancora ed ancora il suolo, mentre questi si volgevano di nuovo uno contro l’altro.

"I miei complimenti, allievo di Excalibur, questo nuovo attacco è stato incredibilmente potente, tanto da abbattere ogni mia difesa.", esordì a quel punto Nedu, "Quello era il suo fine: quando porto il braccio sinistro in avanti, l’attacco più potente viene sferrato con il destro, l’arto prediletto da me che sono, come i più, un destrorso, lasciando da parte le sfolgoranti luci, effettuo un colpo frontale dalla potenza decuplicata, un attacco perfetto per fronteggiare quel tuo movimento che, al contrario dei singoli assalti di poco prima, era effettuato con il fine di devastare quanto più del perimetro attorno a te.", spiegò soddisfatto Damocle.

"Ottima analisi, allievo di Excalibur. Il tuo maestro ti ha insegnato bene.", si congratulò il gigante, ponendosi di nuovo in posizione d’attacco.

"Grazie, ma non ho bisogno delle tue parole per riconoscere la mia abilità!", ribatté con orgoglio l’altro, di nuovo pronto anch’egli allo scontro. Così i due si lanciarono di nuovo all’assalto.

Rapido fu stavolta Damocle ad attaccare per primo con un secco movimento degli avambracci, che, però, si andò a perdere sul fianco destro di Nedu, che, sfruttando quel colpo andato a vuoto, caricò un fendente con il proprio arto sinistro, un attacco diretto verso il fianco scoperto avversario. Fu allora, quando già il braccio calava l’attacco, che l’Annumaki si rese conto del sorriso sul volto dell’altro, il quale, poggiando con forza i piedi al suolo, si diede la spinta per portarsi indietro di qualche passo, congiungendo di nuovo le mani: ora era il guerriero mesopotamico scoperto dinanzi all’attacco del cavaliere d’argento!

Questa situazione di vantaggio, però, dinanzi ad un così abile combattente, fu bruciata sul nascere, poiché lesto il guerriero di Magilium ruotò sul proprio asse, lasciando perdersi sul suolo il colpo portato con il braccio sinistro, subendo qualche ferita dai lapilli che s’alzavano dal terreno e subito, con determinazione indiscussa, scagliò l’attacco destro contro i nuovi fendenti portati dal cavaliere della Croce del Sud, in un nuovo scontro di attacchi, che andò devastando ancora maggiormente il corridoio in cui i duellanti si stavano affrontando.

"Che razza di guerriero, al di là dei suoi modi di fare altisonanti, è sempre rozzo… tende a distruggere tutto e fare a pezzi ogni avversario…", ridacchiò Husheif, ora sostenuto da Leif, con il quale si era distanziato dalla zona più vicina allo scontro.

"Rozzo a me?", sbottò una voce, mentre una figura si alzava dalle macerie, quella di Damocle, "Tu, plebeo, famoso solo per come porti sofferenze agli avversari con quei tuoi fili d’energia cosmica, critichi la superba bellezza delle Lame della Croce del Sud? Un’arma di indiscussa perfezione, seconda, nell’abilità di tagliare, solo a quella del mio supremo maestro Kalas? Sei come la volpe che definisce acerba l’uva che non può gustare, allo stesso modo tu critichi una perfezione che mai sarà tua.", lo ammonì il cavaliere d’origini italiane, prima che il santo di Reticulum gli indicasse qualcosa alle sue spalle.

"Avrai tempo dopo di rimangiarti tali parole, Crux, per ora, vedi di non morire contro il tuo nemico.", lo avvisò il cavaliere egiziano, quando già la maestosa figura di Nedu di Magilium troneggiava, sanguinante, alle spalle di Damocle.

Il santo d’argento si posizionò di nuovo in guardia, ma l’avversario sembrava incurante di lui, mentre poneva il braccio destro alto sopra di se e stringeva la mano sinistra, subito dopo, intorno al polso destro.

"L’ultimo attacco, allievo di Excalibur, l’arma più potente in mio possesso, il colpo finale dato con i Remi del Magilium, con questo porrò fine allo scontro, schiacciando la tua vita.", avvisò con tono serio l’Annumaki, espandendo il proprio possente cosmo.

"Il colpo finale dei Remi del Magilium, dici? Ebbene, energumeno, vedrò di farti dono di qualcosa di simile, la tecnica più potente della Croce del Sud, con cui infine avrò di te ragione.", replicò, senza spostarsi dalla propria posizione di guardia, il cavaliere d’argento.

Un sorriso allora si dipinse sul viso di Nedu, "Dunque sarà l’ultimo assalto per entrambi? Bene, allora ti farò partecipe delle parole che prima ti avevo accennato, sul dono che solo adesso il mio re, Enlil, mi ha fatto, dopo la sua morte.", affermò pacato l’Annumaki.

"Orbene, ti concedo di spendere le tue ultime parole su te stesso, in fondo sarebbe anche per me l’argomento migliore per il mio ultimo discorso, se stessi per morire.", ribatté sarcastico il santo di Atene, sempre restando in guardia.

"Devi sapere", esordì l’Ummanu, senza curarsi delle parole avversarie, "che non sono sempre stato un guerriero consacrato agli dei, bensì, un tempo, ero un semplice mercenario, asservito ai villaggi più potenti di queste terre; seguivo in battaglia chiunque mi pagasse, contro gli europei che ancora possiedono governi nell’Africa, contro le popolazioni dell’Asia orientale, contro qualsiasi nemico, senza farmi alcun timore, li affrontavo in battaglia e sempre vincevo.

Mai mi preoccupai di chi fossero i miei avversari, o di quale fosse la mia causa, semplicemente, combattevo, disdegnando le armi da fuoco, poiché non ne capivo l’utilizzo, dotato di una naturale forza a cui, allora, non sapevo dare un nome.

Tutto questo andò avanti per anni, finché, un giorno, non incontrai un piccolo esercito: cinque uomini soltanto, anzi, quattro ed una ragazza, che, però, furono più che sufficienti a schiacciare un’intera armata, pagata da un sultano d’Arabia per proteggersi da questi misteriosi invasori.

Vidi tutti cadere, uno dopo l’altro, chi soffocato dalla sabbia di Beletseri, chi travolto dalla ferocia di Arazu, chi agonizzante dinanzi alle abilità di Erra, chi, semplicemente, eliminato da Sin. Solo uno di loro non attaccava, se non costretto, Enlil, il signore di quel piccolo esercito, che, con il solo gesto della mano polverizzava i folli che gli si lanciavano contro.

Solo quando il sultano mi reclamò come ultimo baluardo per la sua vita, ponendosi dietro la mia ombra, intimorito da tanto potere, solo allora scoprii cosa Enlil in realtà voleva: me.

Aveva avvertito quello che lui chiamava Cosmo, diceva che fosse insito in me, che quella era l’arma con cui vincevo ogni scontro; mi assicurò che m’avrebbe addestrato nell’usarlo, mi avrebbe portato dinanzi degni nemici da affrontare, finché non mi fossi trovato nella battaglia che ogni vero guerriero attende: quella più ardua, in cui metterà a rischio la sua stessa vita e saprà che l’esito non è certo.

Per provare questa emozione, ho seguito Enlil, che nella sua onnipotenza, mi ha accettato come servitore fedele, addestrandomi nell’usare le armi che poi il mio cosmo riuscì a plasmare, i Remi di Magilium, le vestigia che mi furono donate erano un insito ricordo di tale potere in me risvegliatosi, un legame che mi portava a seguire fedelmente il Sovrano Scarlatto.", raccontò Nedu, volgendo lo sguardo verso i frammenti residui dell’armatura.

"Ora il mio Re è morto; il Principe Sin salirà al suo posto, lo seguirò, se me lo chiederà, ma, come mio ultimo ringraziamento a Sire Enlil, ti schiaccerò, allievo di Excalibur, così da chiudere il cerchio della promessa fattami.", concluse l’Annumaki.

"Di certo, hai motivazioni migliori di quel guardiano per combattere, energumeno.", esordì allora Damocle, "Fai bene a dire che questo sarà lo scontro che hai sempre sognato, oltre che l’ultimo che vivrai, poiché mai nessun altro avversario, se non il mio maestro, potresti trovare di così potente. In fondo, però, sei pur sempre un mercenario, mera manovalanza, che per giusta sete di conoscenza si è venduto ad un potente sovrano.", concluse con un ghigno il cavaliere di Crux.

"Queste sono dunque le tue ultime parole? Ebbene, saprò cosa incidere nel tuo epitaffio!", replicò innervosito Nedu, calando ambo le braccia in un unico assalto, "Remi Gemelli!", tuonò a quel punto.

"Un colpo dalla potenza doppia rispetto a tutti i precedenti! Un attacco con le braccia congiunte!", esclamò sbalordito Husheif di Reticulum.

Quando l’attacco stava, però, per raggiungere Damocle, questi liberò la sua guardia, allargando le braccia ai lati del corpo, "Che sta facendo?", domandò preoccupato Leif di Cetus, "Si prepara a concludere lo scontro.", replicò semplicemente l’altro.

"Crux Caelium!", sussurrò il santo della Croce del Sud, il cui corpo parve diventare tutto con la luce del cosmo, mentre questi si lanciava in avanti.

"Stavolta non basterà opporre resistenza al mio attacco, allievo di Excalibur!", lo avvisò Nedu, schiantando verso il basso il proprio colpo.

L’onda d’urto che ne seguì fu tale da sollevare i due santi feriti, lanciandoli verso l’ingresso del corridoio, fino a sbattere contro due colonne; al qual tempo, tutte le colonne della sala andarono in pezzi, lasciando crollare l’intero piano sui duellanti e rivelando i resti di un’ampia terrazza, che si doveva, probabilmente, trovare nel piano superiore al loro.

Per qualche interminabile minuto, i santi di Reticulum e Cetus osservarono in silenzio tale devastazione, titubanti se raggiungere il piano superiore camminando sulla frana.

"Credi che siano morti?", domandò Leif, avanzando per primo, con sguardo impassibile, "Non saprei dirti… mai ho visto l’attacco di quello sciocco di Damocle fronteggiare un colpo simile; la sua tecnica lo rende quasi incorporeo, per quanto velocemente riesce a portare i fendenti in quella posizione, senza dover contrastare l’attrito della posizione di guardia, ma, in questo caso, ha dovuto affrontare un colpo talmente potente da distruggere l’intero corridoio.", osservò titubante Husheif, innervosito dal non comprendere l’esito della battaglia.

Solo in quel momento, però, un rumore riscosse entrambi, mentre una figura usciva dalle macerie.

Con grande stupore di entrambi, era Nedu. "Chi sarebbe lo sciocco?", ringhiò allora una voce, al di sotto del gigantesco Annumaki, il cui corpo barcollò per qualche istante, prima di ricadere fra i resti, privo di vita.

Damocle era vivo, con le vestigia ormai in pezzi ed il corpo segnato da diverse ferite, ma vivo.

"Io, che sono uno scaltro in battaglia, al contrario di te, sopravvalutato stratega, ho subito intuito come quel colpo fosse indicibile, nella potenza che sapeva scatenare, ma altresì molto limitato nella traiettoria, così ho potuto, data la superiore velocità della mia ultima tecnica, avvicinarmi quel tanto da evitare i danni diretti dell’onda d’urto e colpire al qual tempo, in modo mortale.

È stato lo stesso corpo del mio nemico a farmi da scudo!", esclamò orgoglioso il santo di Crux, barcollando per le ferite, "Ed ora, seguitemi, dobbiamo soccorrere i vostri compagni, che, di certo, non saranno in condizioni migliori delle vostre.", concluse, volgendosi verso l’ingresso.

"Tu, al contrario, sei ancora illeso?", lo punzecchiò sarcastico Husheif, oltrepassandolo a fatica e dirigendosi verso il piano superiore, "Abbiamo una missione che ci attende; non dei miei compagni devi preoccuparti, ma di eliminare la minaccia che da questa città proviene.", lo corresse il cavaliere di Reticulum.

Damocle si volse con un sorriso verso l’altro cavaliere, "Sia! Così diranno che il santo della Croce del Sud, aiutato da Reticolo e Balena, ha sconfitto una sì tal minaccia.", concordò soddisfatto, raggiungendo, e superando, l’altro, mentre Leif li seguiva e, sul volto impassibile del guerriero nordico, si sarebbe potuto notare un sorriso divertito da tanta rivalità, quasi puerile.