Capitolo 32: Il Principe Rosso

I primi a raggiungere la fine della scalinata ed incontrare l’ultimo ostacolo che ancora si stanziava dinanzi a loro, fra i cavalieri d’argento, furono Husheif di Reticulum, Menisteo di Eracles e Damocle di Crux, gli unici che non si erano fatti carico del corpo ferito di Leif di Cetus.

Furono i primi ad arrivare, nonché i primi ad osservare Sin di Kur, che pareva attenderli, con il sorriso beffardo in viso, malgrado le ferite fresche che segnavano il corpo, in modo comunque meno grave rispetto ai santi di Atena che ora stavano per affrontarlo.

"Ci incontriamo di nuovo, stranieri. Dopo avervi soffiato da sotto il naso il vecchio Ea, ora sarò anche quello che vi strapperà l’ultimo barlume di speranza, spegnendo in voi l’ardore della battaglia, che di certo Nanaja deve aver riacceso, con le sue fiamme.", li schernì, senza assumere alcuna posizione di difesa.

"Belle parole le tue, damerino, vedrò io, Menisteo di Eracle, di toglierti quel sorriso beffardo dal viso!", lo minacciò il discepolo di Degos di Orione, lanciandosi frontalmente alla carica, con il pugno destro già ricolmo d’energia cosmica, pronto ad esplodere in un attacco diretto verso il corpo del nemico.

Sin, però, non rispose a quella minaccia, né prese alcuna posizione difensiva, semplicemente lasciò che l’attacco nemico attraversasse quel corpo immateriale che si trovava dinanzi; quando poi il pugno andò a schiantarsi contro una parete, frantumandola, il giovane cavaliere greco si guardò intorno, cercando negli sguardi dei tuoi parigrado indicazioni sul nemico, ma, prima ancora che questi potessero anche solo consigliarlo, dall’alto calò un’ombra, scarlatta e minacciosa, come una vetusta messaggera di morte.

Il figlio di Enlil calò dall’alto sul cavaliere di Eracle, investendolo con un violento calcio destro ad ascia sulla spalla sinistra, un colpo reso ancora più violento e portentoso dalla presenza delle rosse ed affilate vestigia di Kur, che tagliarono in profondità la pelle del santo di Atena, strappandogli un urlo di dolore, prima che il nemico poggiasse il piede sinistro sulla testa del malcapitato avversario, schiantandolo a terra e facendo su di lui leva per portarsi fra i due guerrieri ancora in piedi.

Una risata proruppe dalle labbra dell’Annumaki, planando fra i due nemici, prima che le dita brillassero d’energia cosmica, "Falci di Luna!", ordinò semplicemente, disegnando due semilune contro i cavalieri d’argento che, malgrado la stanchezza, riuscirono a muoversi in modo sufficientemente veloce da evitare l’attacco, spostandosi in due direzioni diverse: l’uno, Husheif, due scalini più in alto sulla destra, l’altro, Damocle, tre più in basso, sulla sinistra.

Fu proprio il guerriero di origini italiane a prendere immediatamente la propria posizione di guardia, sollevando gli avambracci e disegnando una croce dinanzi a se, "Lux Crucis!", invocò secco, sferrando l’accecante fendente verso il Principe Rosso, il quale, come sempre, non si difese, bensì lasciò che il colpo attraversasse quel corpo vacuo, correndo proprio contro il santo di Reticulum.

Questi si mosse repentinamente, spostandosi con un agile salto laterale, sul lato opposto della scalinata, "Stai forse cercando di uccidermi, pomposo damerino?", sbottò infastidito, l’altro piegò leggermente un labbro, con fare superiore, "Non ho tempo per questi piacevoli passatempi adesso, abbiamo un dovere da compiere, Reticulum.", lo ammonì con un sorriso beffardo sul viso.

"Un compito in cui il nostro sfuggente avversario di certo non ci aiuta…", osservò l’egiziano, guardandosi intorno, preoccupato.

Solo all’ultimo l’allievo di Edward di Cefeo se ne avvide, non ebbe nemmeno il tempo di urlare niente più del nome del parigrado italiano, che già la figura di Sin di Kur s’era palesata alla sinistra del cavaliere di Crux, colpendolo con una violenta spallata al tronco, per poi investirlo con un violento diretto al volto, ricolmo d’energia cosmica, tale da schiantare l’impreparato Damocle diversi scalini indietro, lasciandolo scomparire alla vista di Husheif, ora che il nemico gli si parava davanti.

Il cavaliere di Reticulum non attese altro, subito liberò la bianca tela sotto i propri piedi, rilasciandola lungo lo spazio che lo divideva dal figlio di Enlil, "Asprò Diktuò", urlò poco dopo, rilasciando la devastante energia che traspirava dalla vasta rete cosmica, un’energia che corse attraverso il corpo del nemico, disperdendone la vuota immagine nell’ambiente circostante.

"Dove dirigi i tuoi attacchi, straniero?", domandò subito dopo una voce, alle spalle del santo d’argento, una voce che preannunciò un bagliore, prima che un singolo fascio di luce attraversasse la spalla destra del cavaliere di Atena, schiantandolo al suolo, ferito gravemente all’articolazione ed ai muscoli del braccio.

Si guardò intorno il Principe Rosso: un nemico era al suolo, incapace ormai di usare il braccio destro, un altro aveva subito la medesima sorte con il sinistro, mentre il terzo, diversi scalini più in basso, probabilmente avrebbe avuto persino problemi a muovere il collo da quel giorno in poi; seppur, come già aveva deciso il figlio di Enlil, i giorni di quei nemici si sarebbero conclusi in quel tetro mattino di devastazione, lui sarebbe stato il loro carnefice, lui, assieme a Nanaja e Baal.

Con queste certezze in mente, l’Annumaki sorrise soddisfatto, vedendo i nuovi nemici farsi avanti.

La prima cosa che videro Wolfgang dei Cani Venatici e Zong Wu dell’Auriga, che insieme sostenevano il corpo stanco di Leif di Cetus, subito seguiti da Gwen del Corvo, fu il corpo svenuto di Damocle di Crux.

I cavalieri allora si fermarono, scambiandosi uno sguardo preoccupato, prima di sollevare gli occhi verso il nemico che si ergeva sicuro dinanzi a loro, l’ultimo ostacolo, il Principe Rosso che tutto quel piano di tradimenti ed inganni aveva elaborato, un piano che ancora aveva dei lati oscuri, almeno per loro.

Accanto a Sin, come poterono notare il guerriero tedesco e quello cinese, vi erano i corpi svenuti e sanguinanti di Husheif e Menisteo, forse, poterono concludere, di tutti e tre i santi di Atena andati in avanscoperta, proprio l’italiano era stato quello più fortunato.

"Ci incontriamo di nuovo e con alcuni è già la terza volta.", esordì con un sorriso di sfida il figlio di Enlil, "Ma non ci sarà una quarta.", si affrettò ad aggiungere, con uno sguardo carico di assassina determinazione negli occhi.

Le dita dell’Annumaki brillarono d’energia cosmica, prima che delineasse due scie dinanzi a se, "Falci di Luna! Colpite!", ordinò subito dopo, scatenando gli attacchi contro i quattro avversari.

Subito la sacerdotessa del Corvo ed il cavaliere dell’Auriga si spostarono sulla sinistra, al pari del santo di Cani Venatici che, caricatosi il peso del compagno ferito sulle spalle, si gettò dal lato opposto, lasciando che le lame d’energia si perdessero sulle scalinate, oltrepassandoli.

"Gin Zan!", "Angriff der Jäger!", esclamarono all’unisono i cavalieri, lanciandosi all’attacco, per poi vedere anche i loro attacchi, come quelli dei compagni, perdersi al di là del corpo vacuo di Sin, schiantandosi a pochi metri da Husheif.

Entrambi si guardarono intorno, preoccupati, prima di avvertire un rumore alle loro spalle, un rumore soffocato, e, voltatisi, videro il Principe Rosso tenere per il collo la sacerdotessa di Corvus; "Tu, ragazzina dai capelli blu, hai rischiato di rovinare i miei piani… non riesco nemmeno ad immaginare quanto tu sia stata fortunata ad evitare Erra ed Arazu, che avevano il compito di ucciderti per prima!", si lamentò il nemico, espandendo il cosmo nella mano libera, "Dovrò occuparmi personalmente di te.", ringhiò alla fine, pronto a colpire.

Prima, però, che il bagliore bianco raggiungesse la giovane sacerdotessa, prima che anche solo Zong Wu e Wolfgang potessero fare alcunché, si udì una voce, che echeggiò, sorprendendo tutti, Sin compreso, "Diamond Dust!", un semplice ordine che scagliò il Principe Rosso di qualche metro più distante, liberando Gwen, che subito si volse verso l’autore di quel salvataggio: Leif di Cetus, ansimante per la fatica.

"Ti eri forse dimenticato di me?", domandò, stremato, l’allievo di Acquarius, prima che un sibilo echeggiasse nell’aria, il suono delle lame d’argento dell’Auriga, che con estrema precisione si dirigevano verso il comune nemico, arrivando però ad oltrepassare il vuoto, così da affondare nella parete che sola restava come bersaglio.

"No, straniero, non mi ero dimenticato!", esordì a quel punto la voce dell’Annumaki, prima che un fascio di luce prorompesse attraverso la gamba sinistra di Leif, perforandone il ginocchio e gettandolo a terra, sanguinante e dolorante. Di nuovo Sin era riapparso, al fianco del cavaliere di Cetus.

"Come fa?", ringhiò preoccupato Wolfgang, osservando il nemico che ricambiava lo sguardo con estrema sicurezza, "Voi non siete Marduk, non potete minimamente sperare di vincere i poteri che dal mito mi provengono, non potete nemmeno sperare di sopravvivere a questa battaglia.", rise di gusto l’Annumaki, squadrando con sicurezza il trio di nemici rimasti, prima che di nuovo le sue mani brillassero d’energia cosmica, disegnando, stavolta, un gigantesco cerchio nell’aria dinanzi a lui.

"E’ tempo di addii, stranieri, il mio verso voi tre per primi, un addio che culminerà nella notte eterna di Kurnugia, un addio che vi rivolgo donandovi l’ultima luce che mai vedrete.", esordì poco dopo, "Cerchio Bianco della Luna!", esclamò alla fine, scatenando l’attacco contro i tre santi d’argento.

L’attacco dell’Annumaki aveva la forma di un cerchio, ma, al contrario di quanto potessero aspettarsi, non fu quella figura geometrica a lanciarsi verso di loro, bensì, al pari di un riflesso all’imboccatura di un imbuto, quella stessa energia esplose in avanti, ampliando il proprio raggio d’azione fino a raddoppiarlo, sorprendendo i tre santi di Atena, che ne furono travolti contemporaneamente, volando alti in cielo, con le vestigia ormai ridotte ai minimi termini, mentre già ricadevano al suolo, feriti e sanguinanti.

Fece qualche passo fra i corpi dei nemici il Principe Rosso, osservando con soddisfazione la distruzione che aveva portato fra tutti loro: in sette erano caduti ai suoi piedi, sconfitti, estirpati come erbe maligne da un bel giardino, il giardino dei progetti di Sin, che già si vedeva come l’Imperatore Cremisi degli Ummanu, una nuova generazione di guerrieri avrebbe creato, un esercito avrebbe ottenuto per se stesso, ben più grande di quello del padre, di quello di Marduk e tutto ciò era stato possibile per mezzo delle sue capacità e dell’alleato che aveva saputo trovare.

Proprio quel pensiero lo riportò a concentrarsi sulle altre battaglie che si combattevano ad Anduruna: avvertiva il cosmo di Nanaja espandersi in un duello contro una, forse due, nemiche, di certo le guerriere mascherate mancanti fra quelle che aveva incontrato il giorno prima, catturando Ea; ben più vasto era però il cosmo di Baal, che sembrava sovrastare del tutto il potere di Marduk, un potere che, probabilmente, ben poco poteva contro un tale nemico.

Si rallegrò fra se Sin, in fondo aveva perso Arazu ed Erra, i più fidati dei seguaci, ma aveva guadagnato altri alleati, forse meno leali, ma di certo altrettanto potenti, se non di più.

Baal voleva essere trattato come una divinità solo perché, in qualche modo, era riuscito ad intrappolare Shamash, il Giudice Divino? Bene, il figlio di Enlil non avrebbe tardato ad onorarlo, finché la cosa gli fosse stata utile, finché non avesse dato forma ad un nuovo esercito, a lui solo fedele, che venerasse sì l’Appalaku, ma comprendesse anche, come già ben il giovane principe sapeva, che gli dei non erano fatti per affari mortali e che bastava poco per interessarli ed ancora meno per essere da loro dimenticati.

Nanaja, poi, era più che altro una sciocca montata, piacevole come compagnia, questo era innegabile, la più potente degli Appalaku seguaci del Sovrano Dorato, anche questo era vero, ma cosa aveva di più? Un’ossessiva fede verso il proprio Re ed un perverso senso del piacere, forse il suo più grande difetto, che l’avrebbe resa una facile preda per chi ne avesse saputo fare buon uso.

Non li temeva Sin, così come non temeva quel gruppo di stranieri apparsi sul loro cammino e condotti fino ad Accad con facilità incredibile; probabilmente tuttora ignari di quanto fossero stati, alla fine, usati e circuiti proprio per indebolire e spezzare le forze degli Ummanu, forze che Sin da solo non avrebbe potuto vincere per un puro difetto numerico.

Ancor di meno, poi, temeva Marduk, il cui destino ormai sembrava segnato per mano dell’uomo che si pavoneggiava dicendosi un dio! Mai, in vero, aveva avuto paura del suo passato compagno d’infanzia, forse ne aveva avuto rispetto, inizialmente, riconoscendone la forza, ma adesso l’unica cosa che restava ad unirli era il comune disprezzo e, d’altronde, cos’altro poteva provare per lui? Erano entrambi figli di Re, entrambi erano stati allevati per diventare Sovrani di un grande e glorioso regno e cosa era rimasto, invece, dopo la guerra con Tiamat? Morte e desolazione.

L’antica gloria degli Ummanu era andata perdendosi, la virtù di quello che era il più grande esercito di Mesopotamia era stata sconfitta non da un nemico, poiché il Coccodrillo Nero era stato vinto, bensì dal dolore delle perdite.

Annu, la sua sposa Damnika, e Nenlil, madre di Sin, loro erano stati persi, in momenti diversi, ma tutti, a detta dello stesso Enlil, per causa di Tiamat.

Allora erano rimasti proprio il Sovrano Scarlatto ed il Consigliere degli Anunnaki come uniche guide per un esercito in rotta, distrutto da ciò che gli era successo più che da un nemico, ormai in rotta, e quei due, anziché fare un fronte unico per riunire e rifondare un grande Regno, si erano divisi.

Enlil, poi, non aveva nemmeno cercato di tenere unite le proprie genti, bensì ne aveva permesso la diaspora: niente restava del titolo di Sovrano al signore degli Annumaki, se non il titolo stesso! E questa era la cosa che, più di tutte, con il tempo, rimase sempre incomprensibile a Sin: perché suo padre aveva rinunciato a tutto, ai sudditi, al regno, al bene del proprio figlio!? Perché aveva messo tutto in secondo piano rispetto ad una vita da brigante, assalendo i villaggi in cui i nemici erano più potenti e pericolosi, accogliendo fra di loro due assassini, quali erano Arazu ed Erra, una vagabonda, come lo era Beletseri, un mercenario, poiché tale era Nedu, uno stupido e moralista cieco, cioè Enki, e, infine, un debole guerriero che era appena l’ombra di un Annumaki, Zakar. Perché li aveva accettati? Perché aveva lasciato svilire l’antica gloria del loro trono? Perché lo aveva abbandonato ad un futuro in cui, seguendolo, non avrebbe avuto niente di più che morte, per gli altri prima e poi per se stesso. Alla fine, comunque, Sin aveva dato al padre quello che tanto anelava: lo aveva fatto eliminare da Nanaja ed ora, senza quel fastidioso ostacolo e senza più nemmeno Marduk a fermarlo, avrebbe ricreato gli Ummanu, riportandoli all’antica gloria, con se stesso come loro unico signore!

L’esaltazione che correva attraverso i pensieri del Principe Rosso, però, fu interrotta da dei rumori, rumori che lo circondavano ogni dove, rumori che indicavano il rialzarsi dei sette nemici.

Menisteo, il primo che aveva colpito, arrancava ora, sostenendosi sulle ginocchia e sul braccio illeso, mentre l’altro pendeva immoto verso il terreno, "Non pensare di avere così ragione di me, bellimbusto, non l’avrai di nessuno di noi!", esordì sicuro.

"Ha ragione lui, progenie regale. Pensare di vincere i cavalieri di Atena con questi trucchi, di vincere me con un pugno ed una spallata, è pura blasfemia!", aggiunse allora una voce diametralmente opposta per posizione, la voce di Damocle, che già si sollevavano, aiutandosi con gli scalini, sanguinante dalla bocca.

"Potrai essere forte quanto vuoi, ma anche l’insetto più veloce finisce sempre nella tela dell’astuto ragno… e fra noi, non sei tu il ragno.", continuò Husheif, che si ergeva sulle gambe, bloccando l’emorragia al braccio destro con la mano sinistra.

"Abbiamo affrontato troppe sfide per fermarci qui, adesso, ad un passo dal vero nemico.", sottolineò poi la voce di Leif di Cetus, che, poggiando la schiena alla parete dietro di lui, si aiutava a rimettersi in piedi, malgrado le ferite.

"Saremo un fronte unico, contro cui le tue speranze cozzeranno, sconfitte.", minacciò subito dopo Gwen del Corvo, rialzandosi, aiutata vicendevolmente da Zong Wu dell’Auriga, che non tardò ad aggiungere: "Lo stesso destino che già è toccato ai tuoi compagni in questo tradimento, Arazu ed Erra, fermati dalla nostra volontà di Giustizia.", sottolineò il cavaliere.

"Pagherai per tutte le vittime che hai causato e che ci hai portato ad aumentare di numero, per gli eroi di queste terre che abbiamo dovuto affrontare, sotto il peso delle tue viscide manovre.", concluse allora Wolfgang, anch’egli in piedi, accanto ai due compagni.

Sin osservò i nemici, una smorfia di disgusto e rabbia andò via via crescendo sul suo volto, prima di spegnersi in una risata beffarda: "Belle parole le vostre, stranieri, parole che però ben poco coerenti con l’aspetto che avete, laceri e feriti, non siete di certo una minaccia che io debba temere! Io che ho tenuto testa a Marduk, che ho manovrato la distruzione interna degli Ummanu! Io che ricreerò l’esercito di Accad, generandolo da una forza ben più vasta ed invincibile!", li apostrofò con sicurezza l’Annumaki, espandendo il proprio cosmo.

"Fatevi avanti, anche tutti assieme, cadrete ancora ed ancora, finché non vi saranno più forze nelle vostre carcasse!", li sfidò pronto alla battaglia.

"Lanciarci tutti insieme all’attacco è proprio ciò che vuole.", esordì allora Husheif, "Creare la confusione fra i nemici, ingannandoci ancora con quello strano trucco, evitando il colpo per poi infierire nel mezzo della confusione, banale il suo piano.", lo accusò il santo di Reticulum, mentre una smorfia di disappunto segnava il viso di Sin.

"Lasciatelo a me, rivelerò l’inganno, poi voi lo batterete.", propose in quel momento Wolfgang, prima che altri si voltassero verso di lui, "Lasciarlo a te? Sei privo di vestigia, Cani Venatici, speri forse di diventare un martire?", incalzò diffidente il santo di Crux.

"No, cavaliere, non martire, bensì cacciatore, quale in effetti sono! È nella mia natura inseguire prede che si nascondono.", spiegò con un sorriso sicuro il guerriero tedesco, "Voi restate indietro, fate un fronte unico per difendervi.", suggerì alla fine, espandendo il cosmo, ricolmo d’energia elettrica.

I santi d’argento si riunirono: Damocle si avvicinò allo stremato Leif; Menisteo a Husheif; Gwen e Zong Wu rimasero l’una accanto all’altro, mentre il cavaliere dei Cani da Caccia si faceva avanti verso il comune nemico di tutti loro, un nemico che ancora li guardava, sicuro delle proprie qualità.

"Reißzähne des Jägers!", urlò il santo d’argento, senza lasciar tempo ad altre parole, scatenando le feroci mascelle del segugio energetico, scagliandole con precisione millimetrica contro il corpo del Principe Rosso, corpo che fu facilmente oltrepassato da quel portentoso attaccato, schiantandosi sugli scalini poco più in alto, a qualche metro dai cavalieri di Reticulum ed Eracles.

Proprio quest’ultimo stava per obbiettare all’esito del colpo, quando il compagno d’arme lo zittì con un gesto, indicandogli il santo di origini tedesche, che, con gli occhi chiusi, girava attorno a se il proprio capo, le braccia larghe, quasi a spazzare l’aria con le mani.

Furono dei secondi interminabili, secondi in cui, nella mente di Wolfgang, per primo, ciò che finora aveva visto fare dal nemico si fondeva con quanto appreso nella Foresta Nera, in Germania.

"Quando volete cacciare una volpe non la dovete sfidare in furbizia, ma punzecchiare l’orgoglio e la fame di quella bestia, costringerla ad usare i suoi trucchi e capire come prenderne un vantaggio.", questo aveva detto una volta Munklar di Sagitter ad i suoi discepoli e questa era la lezione che il giovane cavaliere stava in quel momento applicando, sfruttando al massimo i propri sensi per comprendere ciò che gli occhi finora avevano celato, intrappolandoli tutti nella confusione dell’ovvio inganno.

Non sentì rumori, né lo avvertì avvicinarsi attraverso lo spostamento d’aria, no, ciò che, d’improvviso, punse Wolfgang, quasi lo stesse veramente toccando, fu una percezione ben diversa, dura ed aspra, che lo raggiunse, spingendolo ad aprire gli occhi, voltandosi sulla propria sinistra, scattando indietro con un leggero balzo, ricevendo così solo un taglio, poco più che superficiale, al petto ed alle vesti, mentre Sin lo oltrepassava, apparendo dal lato mancino.

"Fortuna.", fu l’unico commento del figlio di Enlil, scuotendo il braccio per far scivolare le gocce di sangue che ne bagnavano le vestigia. "Abilità.", lo corresse, con un sorriso sicuro, il cavaliere d’argento, espandendo ancora una volta il cosmo elettrico attraverso i pugni, scattando in avanti, verso il nemico.

"Trupper…", iniziò a recitare il santo di Atena, avanzando deciso, prima di piegarsi sulle gambe, spiccando un salto, con cui cercò di portarsi alla giusta altezza per colpire l’avversario al tronco con un calcio sinistro, calcio che si perse nel nulla, facendo agevolmente atterrare Wolfgang due scalini più in alto.

Leggere scariche elettriche che brillavano minacciose nei pugni del cavaliere, il quale, con gli occhi ancora chiusi, si volse rapido intorno a se, sollevando leggermente il capo, "der Jäger!", urlò d’improvviso, aprendo gli occhi a poco meno di tre scalini da Damocle e Leif.

Furono proprio i due cavalieri d’argento a sgranare per primi gli occhi, vedendo il branco di segugi energetici scagliarsi su Sin, apparso solo all’ultimo accanto a loro, nel momento stesso in cui i primi feroci animali lo avevano azzannato al corpo.

Il Principe Rosso fu gettato indietro, senza più i solidi scalini sotto i piedi, perdendosi nel vuoto per interminabili secondi, prima di cadere malamente diversi metri più indietro, ferito da molteplici ferite, macchiato del suo stesso sangue.

"Come… hai fatto?", si lamentò a fatica l’Annumaki.

"Abilità, come ti avevo detto.", furono le prime parole di Wolfgang, che per primo si avvicinò al nemico, scendendo sorridente, seppur a fatica, gli scalini, stremato da questa nuova richiesta di forze che aveva fatto a se stesso.

"Ma, più di questo, ti è stato fatale il tuo stesso orgoglio, Ummanu!", lo ammonì subito dopo, "Troppo hai osato ripetendo di continuo il medesimo trucco, facendo affidamento sulla confusione che generavi fra noi, confusione che impediva di capire una verità lampante, la prima di tante: lasci una scia ad ogni tuo movimento!", spiegò soddisfatto il cavaliere.

"Di cosa vai cianciando?", ruggì il Principe, "Il mio potere è assoluto, cela completamente la mia presenza!".

"La tua presenza? Di certo rende i sensi di chiunque piegati al tuo potere, ma non hai considerato qualcosa nel tuo continuo attaccare…", chiarì di rimando il tedesco, indicando le vestigia rosse di Kur, "il sangue dei nemici. Lo stesso sangue che ti sporca l’armatura ad ogni nuovo attacco andato a segno, la fonte dell’odore che ho seguito per trovarti.", concluse il cavaliere.

"Il mio ancestrale potere, l’illusione che portò alla nascita del dio della Luna, sconfitta in questo modo? Tu menti!", ruggì offeso Sin, sforzandosi di rialzarsi, circondato dai sette cavalieri ormai.

"Ancestrale potere?", incalzò allora, con viso divertito Husheif, "Non prendere in giro te stesso più di quanto tu non abbia già fatto con noi, Principe degli Annumaki! Non sei un dio, ma semplice uomo che come noi fa uso di un cosmo e, con esso, di colpi segreti, come lo è questo presunto potere.

Non credere che non lo abbia notato, anzi, credo sia ormai chiaro a tutti noi: quando riappari, non sfrutti l’istante di vantaggio per sferrare una delle due tecniche con cui sei riuscito a ferirci, bensì usi pugni, calci, o, al più, fasci di sottile energia, quisquiglie in confronto all’attacco con cui prima hai ridotto a nulla le vestigia di tre cavalieri d’argento.

Non penso che tu lo faccia per pietà, o sadico piacere, no, semplicemente, come è nella natura di qualsiasi guerriero, non puoi usare contemporaneamente due tecniche, quindi quella, che è di certo la tua difesa suprema, ti impedisce d’attaccare al qual tempo.", dedusse, con superba sicurezza, il cavaliere di Reticulum.

"L’Illusione del Novilunio è un potere immenso! Definirla una semplice tecnica la svilirebbe in confronto agli insulsi attacchi e le ben misere difese che tutti i miei nemici hanno sempre portato! È grazie a quella tecnica che ho vinto molte battaglie, sconfitto decine di nemici, ingannati sovrani e servi, e, in ultimo, ucciso Adapa, qualche giorno fa.", concluse, mutando lo sguardo offeso in un sorriso di sfida, rivolto proprio al santo dei Cani Venatici.

Il cavaliere rispose con occhi carichi di disprezzo, per quel nuovo crimine, di cui s’era macchiato e che ora confessava, occhi che, ben presto, videro rosso: svelto, infatti, fu Sin a sfruttare quella sorpresa che aveva rivelato volutamente, sfruttando la disattenzione nemica per gettare il rosso sangue della sua ferita, con un secco movimento della mano destra, sul volto del santo di Atena.

"Volevi il sangue, cane? Ebbene, eccoti accontentato!", furono le ultime parole che il Principe Rosso gli rivolse, prima di sorridere soddisfatto.

Damocle fu il primo a muoversi dopo la sorpresa, sferrando un taglio a croce contro il nemico, taglio che si perse sugli scalini, oltrepassando la vacua figura, come tutti temevano.

Wolfgang non poté nemmeno fiutare la presenza del nemico, stordito dal sangue che ne insozzava il viso, niente poté fare, se non avvertire una fitta di dolore, quando un pugno violento si schiantò contro l’addome, piegandolo a metà e perforandone le carni.

Altrettanto incapace, però, fu Sin, che, riapparso dinanzi al giovane cavaliere che aveva saputo stanarlo, ora ne aveva dilaniato le carni, con la mano ricolma d’energia cosmica, ma mai si sarebbe aspettato che il nemico ferito lo bloccasse per il braccio, prima che una voce risuonasse dietro di lui, "Klubi Nematon!", un ordine secco, che avviluppò il Principe degli Annumaki al pari della rete cosmica, che ora lo aveva intrappolato, rinchiudendolo in un bocciolo.

"Così non scapperai più e ben presto, anzi, avrai la fine che meriti.", assicurò Husheif, espandendo il proprio cosmo, pronto a finire l’avversario, "Al contrario, straniero, sarò ben lieto di liberarmi di questa tela recidendone il filo, medesima sorta che toccherà anche a quello della tua vita! Falci di Luna, dilaniate!", ordinò secco il figlio di Enlil, prima che due bagliori cinerei oltrepassassero la rete d’energia, travolgendo il cavaliere di Reticulum, fendendone la carne e recidendone i muscoli delle braccia, schiantandolo al suolo, sanguinante.

Una risata di giubilo, allora, scoppiò sul volto del comune nemico, risata che fu subito spenta da un’ombra che lo oltrepassava, un’ombra fautrice di brevi parole, "Noire Voler!", parole che intrappolarono l’Ummanu di Kur in un abisso di ricordi.

Non era più sulle scalinate di Anduruna, ma in un luogo che, inizialmente non riconobbe, fu solo il suono di una voce a permettergli di rammentare ciò che stava osservando: la sua voce.

Era una tenda rossa, illuminata dalla fievole luce della luna, che appena riusciva ad oltrepassare i cremisi confini di quel luogo, raggiungendo il talamo dove il giovane principe riposava, un talamo ricoperto con coperte del medesimo colore.

Talamo in cui, inattesa, entrò una figura, appoggiandosi, morbida e profumata, al corpo di Sin, che, nell’oscurità della tenda, non riconobbe chi essa fosse, ma, spinto da memorie del suo passato, sorpreso proprio per questo, si volse verso la misteriosa ospite, rivolgendole una veloce domanda: "Beletseri?".

Non ebbe però risposta, nell’immediato, troppo impegnate le labbra della nuova giunta ad unirsi alle sue, nel trasmettergli un calore ed una passione che non avrebbe mai ricollegato alla Regina del Deserto, devota a suo padre ed a lui, ma legata da qualcosa che superava la semplice amicizia al principe, qualcosa che aveva fatto sprofondare entrambi, per lungo tempo, in una profonda intimità, rottasi quando, per la prima volta, Sin aveva parlato alla fanciulla dei suoi dubbi sul modo di agire paterno, dubbi che, comunque, erano rimasti un silenzioso segreto fra i due, un pegno di amicizia, che aveva reciso l’amore sul nascere, poiché troppo grande era la gratitudine dell’Annumaki di Etemmu per il Sovrano Scarlatto.

Proprio tutte queste certezze portarono la mente del giovane principe, quella notte, ad escludere che fosse Beletseri a trovarsi vicino a lui, ma lasciarono comunque il dubbio, un dubbio che, se non le parole volevano sanare, si disse, sarebbe stato sciolto dal tatto: così, con le mani navigò su quel corpo tanto morbido e soffice, tanto rotondo ed al qual tempo snello, mani che si inebriarono di così tanta piacevolezza, al pari del naso invaso da un profumo suadente, e delle labbra, che sembravano ardere per la passione di quel bacio misterioso.

Fu solo dopo interminabili secondi, di cui Sin maledisse la fine, che anche le orecchie ebbero soddisfazione, ricevendo parole chiarificatrici, parole di cui ormai non sentiva più il bisogno, tanto dolce era il nettare che aveva appena assaggiato, e di cui, goloso, ancora voleva gustare. Parole che giunsero, ingrate, sottraendolo per alcuni attimi a quella soddisfazione dei sensi, per darne altra, di soddisfazione, alla sua ragione.

"Il mio Signore, Baal, ti invita nei suoi alloggi, prima dell’alba, per parlare privatamente con te, Principe Rosso. E, proprio per assicurarsi che tale richiesta non sfugga alla tua memoria, mi ha chiesto di esserti vicina in queste ore, per accettarmi che tu non tardassi nel raggiungerlo.", sussurrò suadente la voce di Nanaja di Anzu, l’Appalaku che solo qualche ora prima aveva conosciuto, durante un banchetto, il primo dopo la riunione delle forze degli Ummanu.

Era una ragazza di indubbia bellezza, lo aveva già notato quella sera, seduto vicino al proprio padre non aveva potuto fare a meno di lanciare qualche occhiata sfuggente verso l’Appalaku di Anzu ed il suo Sovrano, che aveva permesso la riunione dei tre eserciti, una riunione che, precedentemente, mai avrebbe creduto possibile, dopo gli avvenimenti della sua fanciullezza, la guerra contro Tiamat.

"L’alba è però generosa con noi…", sussurrò d’un tratto la giovane Prima di Baal, richiamando Sin al talamo da cui la sua mente lo aveva fatto fuggire, "lontano è ancora il tempo in cui il mio Signore ti incontrerà, Principe Rosso, e spero che tu gradisca la mia compagnia fino a tal momento, una compagnia che, ti assicuro, procurerà immenso piacere ad entrambi.", continuò suadente la fanciulla, stringendo il proprio corpo nudo su quello dell’altro.

L’immagine, allora, si oscurò del tutto, fino a fermarsi inaspettatamente, "Dunque è questo il tuo potere?", domandò allora Sin, rimasto ad osservare con un sorriso divertito la reminiscenza offertagli, "Mi chiedevo che tipo di potere potesse essere, dopo che Ea me ne accennò, ma non immaginavo riuscissi a ricostruire in maniera così vivida le memorie delle tue vittime, guerriera ellenica.", si complimentò con tono di scherno l’Annumaki, davanti al quale già si profilava la sagoma di Gwen, rivelatasi dalle tenebre della tenda, "Mi chiedo però, perché mi hai mostrato la prima delle tante notti di passioni passate con Nanaja? Avevi forse curiosità?", rise divertito ancora.

"Non questo avevo chiesto alla tua memoria, Principe Rosso, bensì di sapere quando avevi stretto accordi con gli Appalaku, sembra che quello fosse il momento, nella parte subcosciente di te.", rispose seria la sacerdotessa guerriera, per cui, usare per ben tre volte, in così breve tempo, il Volo Nero del Corvo, non era fatica da poco, ma che doveva capire gli ultimi punti oscuri di quel complotto in cui loro, cavalieri di Atena, erano stati messi in mezzo.

"In effetti…", rise Sin, "è stato quello il mio primo accordo con un Appalaku, anche se, credo, potrebbe essere per te di maggior interesse ciò che successe diverse ore dopo, ore di piacere, aggiungerei.", concluse con boria tutta maschile.

Non si curò di lui, però, la sacerdotessa guerriero, poiché già lo sfondo oscuro era mutato nel vasto deserto baciato dai primi raggi del sole.

Due figure erano in piedi, dinanzi ad una tenda dorata, una tenda di cui, la prima delle figure, aprì l’ingresso, invitando il secondo a varcarlo.

Erano Nanaja, coperta solo da una leggera mantella dorata, che lasciava intravedere tutto di lei, ed il Principe Rosso, con indosso una casacca scarlatta che risaltava il petto muscoloso di guerriero, un abito che aveva molto attirato l’Appalaku di Anzu, tanto da supplicare l’altro di indossarlo, prima di incamminarsi con lei verso la tenda dove, in quel momento, già si trovava Baal.

Il Sovrano era vestito di una tunica dorata, che ne ricopriva per intero il corpo, seduto su un trono d’oro, ad un’estremità di un lungo tavolo, sul lato opposto, un’altra sedia, di fattura inferiore, su cui, con un gesto della mano, invitò l’Annumaki a sedersi.

Sin non gradì molto quella situazione, ma, poiché ben poco sapeva di chi in quel momento si trovava dinanzi a lui, e sicuro delle proprie armi, accettò di buon grado l’invito, mentre Nanaja andava a sedersi, gambe accavallate, sul tavolo, rivolgendo lo sguardo prima ad uno e poi all’altro.

"Gradito il messaggero che ti ho inviato? Ed il messaggio?", chiese, quasi fosse una domanda retorica, il Sovrano Dorato, "Il messaggero è stato di certo un piacevole presente, ma il messaggio non mi è del tutto chiaro, poiché ben poche parole abbiamo scambiato.", replicò, con superbia, il Principe Rosso.

"Non ne dubito, ma il messaggio era insito nella mia giovane Celebrante.", si affrettò a sottolineare Baal, indicando Nanaja con un gesto della mano, mentre l’altra si sdraiava sul tavolo, ridendo soddisfatta.

Uno sguardo allibito da quelle parole fu l’unica risposta di Sin, che, forse per la prima volta, si trovava completamente spiazzato, ignaro che, comunque, non sarebbe stata l’ultima.

"Ti propongo un’unione delle nostre forze, Principe Rosso.", specificò l’Appalaku, sporgendosi in avanti con il bacino, poggiando i gomiti sul lungo tavolo.

"E per fare cosa, se mi è concesso chiederlo?", chiese sospettoso l’altro, "Mi sembra ovvio…", fu la prima osservazione di Baal, la cui mano stava ora accarezzando il bel viso di Nanaja, avvicinatasi carponi sul tavolo.

"Per distruggere l’ordine attuale degli Ummanu e crearne uno nuovo.", parole che il Sovrano Dorato aveva detto con noncuranza, quasi non fossero un’ammissione di tradimento, qualcosa che, in cuor suo, Sin per molto tempo aveva progettato, ma che mai aveva visto come realizzare, qualcosa di cui quello strano individuo, con la sua folle seguace, sembrava parlare come se naturale come lo scorrere del tempo.

"Suvvia, nobile principe, non serve nascondersi!", esordì, dinanzi al silenzio dell’Annumaki, ancora Baal, "Fra le molteplici virtù della mia Celebrante vi è quello di leggere le emozioni di chi ha intorno e ieri, nel ricco banchetto per la riunione degli Ummanu ha visto due cuori celati dall’ombra dell’odio, dal desiderio del tradimento, l’unico dubbio che ancora ci restava da risolvere era la fonte di tale desiderio e se, oltre alla volontà, vi fosse anche la ferma determinazione di portarlo a termine.", spiegò con voce calma.

Anche quelle parole, però, non avevano fatto breccia nello sfiducioso figlio di Enlil, che dovette controllare ogni suo istinto, sia quello di alzarsi ed attaccarli, sia quello di alzarsi ed andarsene, poiché entrambi sarebbero potuti risultare sospetti dinanzi ad una così assurda proposta.

"Non conosco quali ragioni muovono l’odio verso l’esercito di tuo padre e quello del tuo caro amico Marduk, né, devo dire, mi interessano, cioè che cerco è un alleato, qualcuno che mi faccia guadagnare tempo, una volta giunti presso l’Antica Capitale.", spiegò ancora Baal.

"Tempo, per cosa?", chiese allora Sin, desideroso di capire, "Tempo per compiere il rituale che dovrà eseguirsi presso Accad.", rispose secco l’altro, "Richiamare il Divino Giudice? Così vorresti creare un nuovo ordine? Lasciando che lui spazzi via tutti gli Ummanu?", esclamò con disappunto il Principe.

Aveva sentito del rito che era stato trovato dall’uomo che si dichiarava discendente, o comunque portatore della memoria, dei passati Appalaku, un rituale che avrebbe richiamato sulla terra il Divino Shamash, qualcosa di cui Sin non capiva il motivo, o l’utilità, certo che, una volta posato il suo sguardo sui mortali, quella divinità li avrebbe spazzati tutti via, poiché non esisteva, a detta del Principe Rosso, in alcun luogo l’innocenza, tutti, seppur in minima parte, avevano qualche colpa.

Non aveva esposto al padre, o a Marduk, questo suo pensiero, perché l’unica gioia di tale avvento sarebbe stata proprio saperli morti, puniti per i loro crimini, prima di tutto per quelli fatti contro di lui; ed ora pareva che proprio chi avrebbe permesso tale rituale fosse a conoscenza del pericolo di morte di tutti gli Ummanu e gli stesse chiedendo di aiutare a portare a compimento tale fato, proprio a lui, il meno fedele al Giudice Celeste, probabilmente.

Almeno, tale si era creduto, finché non sentì la risposta di Baal: "Su Shamash non ho alcun interesse, quella insulsa divinità ben poco avrà da vivere una volta iniziato il rituale, ma proprio per farlo perdere in un abisso di tenebre, così che il cielo s’illumini di un ben più glorioso Sole, ho bisogno di tempo.", spiegò, con il viso brillante di follia, l’Appalaku, "Un nuovo sole? Quale divinità servi, Baal?", chiese, diretto come non mai, il Principe Rosso, "Me stesso! Io sono un uomo con il potere di ergersi a divinità! Fui scelto da esseri dall’oscura forma, ma dagli immensi poteri, guerrieri neri che mi donarono un trono e mi indicarono come seguire il destino che il cielo aveva per me dipinto!", esclamò, alzandosi in piedi, con gli occhi spiritati, "Mi ergerò come dio fra gli uomini, schiaccerò chiunque non si inginocchierà dinanzi a me, lo renderò cenere dinanzi allo splendore del supremo Sole di Mesopotamia! E voi, che qui siete dinanzi a me riuniti, se seguirete il mio credo, se in me crederete, allora diverrete i fautori di un nuovo ordine! Un Imperatore solo s’ergerà a comandare gli Ummanu, tu, Sin, sarai quel singolo uomo, mentre la mia Celebrante sarà il legame fra volere divino, il mio, e quello imperiale, il tuo! Sarai l’uomo scelto dal Sole Celeste per governare su tutti gli altri uomini, insieme marceremo, dominando queste terre ed espandendone i confini, fino a raggiungere quelli dei miei simili!", esultò alla fine, prima che il suo cosmo s’espandesse nella sala, rilucendo come se un vero sole fosse affondato in quella stanza.

"Ovviamente…", si apprestò a continuare, lasciando scemare l’intensità del suo cosmo, "deve essere qualcosa che rimanga fra noi e pochi altri individui di fiducia.", spiegò Baal, sorridendo sornione, "Se tu, Principe Rosso, hai guerrieri di cui ti fidi fra gli Annumaki, che non sono così legati a tuo padre da dirgli tutto quanto, portali qui, domattina alla medesima ora, per allora, anche l’altro cuore ricolmo di odio sarà dei nostri.", concluse.

Le immagini cambiarono di nuovo, velocemente, lasciando sfuggire lo scorrere del giorno, "Non desideri vedere come avvicinai Arazu ed Erra, rendendoli partecipi, solo in parte, di quanto dettomi da Baal?", canzonò il Principe Rosso, rivolto verso la sacerdotessa di Atene, "Forse il susseguirsi degli scontri non ti concede le forze per concentrarti anche su di me, oltre che sulle mie memorie?", insinuò sornione, prima che la scena di nuovo mutasse, prendendo nuove forme, all’interno della medesima tenda dorata.

Era di nuovo mattina, ed ancora una volta Sin era seduto su un lato della lunga tavolata, con Baal dal lato opposto, sul proprio trono dorato, diversi erano però gli altri individui presenti con loro.

Vi era Nanaja, con indosso un abito succinto quanto quello del mattino precedente, poggiata ai piedi del suo Sovrano, e dio, che di quando in quando le accarezzava il volto con la mano destra.

Alla destra di Sin, invece, si trovavano Arazu ed Erra, sorridenti e curiosi per quello che il loro stesso Principe gli aveva racconto e, altresì, per chi altro era presente in quella tenda, qualcuno che, in effetti, aveva sorpreso per il figlio di Enlil: Mummu di Apsu.

Era ritta, seria e dura in volto, con le braccia incrociate dinanzi al petto, che squadra, dal lato opposto del tavolo, tutti i presenti. "Mi chiedo, nobile Baal, come tu abbia potuto convincere l’Anunnaki ad unirsi a noi. Le hai forse inviato il medesimo messaggero, con lo stesso messaggio?", domandò con un sorriso malizioso in volto, "Perché non so quanto Marduk avrebbe potuto gradire il trovarsi la propria donna, nel suo letto, con la tua Celebrante.", rise infine, con profonda soddisfazione.

"Come osi?", ruggì l’altra, espandendo una leggera vibrazione d’energia dal proprio corpo, a cui, con un ringhio, rispose una fiammata nera, da parte dell’Annumaki di Alu.

"Signori, qui dovremmo essere tutti alleati.", osservò il Sovrano Dorato, divertito da quel piccolo scambio di minacce sommesse, "Principe Rosso, metti un guinzaglio ai tuoi due servi e sappi che la nostra giovane alleata, qui, è di stirpe regale, al pari tuo.", si apprestò a spiegare Baal.

Parole che lasciarono curioso e perplesso il guerriero di Kur, "Stirpe regale? E di chi mai è figlia?", chiese, sempre diretto all’Appalaku e mai all’Anunnaki.

"Tiamat il Grande.", si apprestò a rispondere Mummu, stupendo i tre Annumaki, "Tiamat il Maledetto Traditore, vorrai dire!", la corresse con rabbia Sin, in cui, in fondo, quel nome coincideva con la fonte prima di tutto il suo avverso destino, l’assassino della madre Nenlil.

I cosmi dei tre Annumaki esplosero di furia, al pari di quello dell’Anunnaki, rischiando che quel piccolo e segreto incontro fosse da tutti scoperto; ci volle Nanaja per spezzare la tensione nella tenda, o, più correttamente, concentrare le menti dei maschi lì presenti su altro: se stessa, che, nuda, danzava in piedi sul tavolo.

"Bene, vedo che la calma è tornata fra noi…", commentò beffardo Baal, "ora, Principe Rosso, sappi che, più del suo passato, di Mummu è importante il ruolo: è tanto vicina a Marduk da poterlo uccidere alle spalle, senza che lui sospetti niente, se necessario, inoltre, abbiamo delle conoscenze in comune con lei, ho potuto scoprire, parlandole precedentemente.", concluse sibilino, volgendosi verso la ragazza, visibilmente poco convinta del piano di cui ben presto avrebbe fatto parte, un piano che, in fondo, seguiva solo perché era la volontà paterna.

"Fu così che ci alleammo; in seguito, su consiglio di Arazu, feci partecipe del piano, in parte, anche Zakar, ma quello è un avvenimento di poco conto, rispetto a quello che, immagino, veramente ti interessi, guerriera straniera.", esordì, una volta che nuovamente l’ambiente dinanzi a lui era diventato vuoto, Sin, volgendosi verso la sacerdotessa d’argento.

"Cosa aveva usato Baal per convincere l’Anunnaki?", chiese allora Gwen, "Non l’ho mai saputo, né me ne sono interessato: per me Mummu era una pedina da sacrificare, usarla per meglio convogliare l’attenzione di tutti contro qualche altro nemico, mai avrei accettato che nel nuovo ordine da me creato ci fosse la figlia di Tiamat!", affermo sdegnato, prima di sorridere, malefico, alla nemica, "Ciò che ti interessa ancora vedere so cos’è, guerriera, la morte di Adapa.", concluse.

Ben presto, agli occhi della sacerdotessa del Corvo si sarebbe rivelata la verità sull’avvenimento che per primo aveva scatenato l’odio degli Ummanu verso i cavalieri d’argento.