CAPITOLO V

Molto rumore per nulla

L

e ombre del crepuscolo erano lunghe quando finalmente arrivò al Bifröst, il ‹‹sentiero tremolante››, l’unica via di accesso alla cittadella fortificata, il ponte che attraversava l’abisso senza fondo che separava Ásgarðr da Iðavöllr.

Gli abitanti d’Ásgarðr, gli Asar, l’avevano soprannominato il ‹‹ponte dell’arcobaleno››, paragonandolo all’iridescente scia che attraversa il cielo dopo la pioggia.

Costituito da un unico arco che s’innalzava alto per poi scendere verso l’altra sponda del burrone, Bifröst misurava almeno cento passi di lunghezza ed era largo abbastanza da permettere il passaggio di quattro cavalieri appaiati.

Sulla sponda opposta, il ponte declinava in uno spiazzo di terra battuta, dominato dalla colossale entrata della cittadella. Prima di iniziare la traversata, Hyoga gettò un’occhiata curiosa alla nera voragine da cui provenivano folate di vento gelido, e poi alle sponde del ponte, sufficientemente alte per fornire adeguata protezione da quelle violente raffiche ai pedoni.

Aveva appena percorso metà del tragitto che lo avrebbe condotto al piccolo spiazzo oltre il tetro baratro, quando si aprì uno dei pesanti battenti e uscì una persona.

Hyoga era ancora lontano per distinguerne con chiarezza i lineamenti, ma rimase impressionato dalla mole dell’uomo che sembrava imponente già a quella distanza. Percorrendo senza fretta l’ultimo tratto del ponte, lanciò occhiate nervose verso il ballatoio tra le due massicce torri di guardia che fiancheggiavano l’ingresso, sul quale si affacciarono alcuni soldati armati d’arco. Cominciò a sentirsi a disagio quando le guardie incoccarono le frecce.

Le eccessive misure precauzionali dei soldati sulle mura non erano quello che Hyoga avrebbe definito un inizio incoraggiante e si disse che, probabilmente, riservavano a tutti i visitatori la stessa cordiale accoglienza. Nonostante l’impegno, non solo non riuscì a convincersi della normalità della situazione, essendo ancora vivo, nella sua mente, il ricordo delle infelici premesse e delle tragiche conclusioni delle sue precedenti visite alla cittadella, ma addirittura cominciava a temere che quella terza non si sarebbe conclusa diversamente.

Allargò le labbra in un sorriso in direzione del canuto gigante fermo davanti ai massicci battenti della porta d’ingresso, un uomo sui cinquant’anni, a giudicare dalle rughe che gli segnavano il volto. La guardia continuò a squadrarlo da sotto le grigie foltissime sopracciglia e si mosse solo per mettere le mani ai fianchi, in un ampio gesto che attirò l’attenzione di Hyoga.

Dietro alla schiena dell’uomo s’intravedeva uno scudo rotondeggiante, ma, prima ancora, saltavano agli occhi due oggetti che portava appesi alla cintura. Alla sinistra luccicava la lama di un’enorme ascia a doppio taglio, con il lungo manico finemente intagliato, mentre alla destra dondolava un magnifico corno d’avorio cesellato d’oro.

Hyoga si fermò di colpo quando l’uomo, mostrando con decisione il palmo della mano, gli intimò di fermarsi con voce profonda e severa.

‹‹Jag varar Heimdallr, Ásgarðren väktaret! Vad viljer ha du, om det här timme? ››.(1)

L’antica lingua norrena parlata ad Ásgarðr, tralasciando alcuni termini ormai caduti in disuso, era molto simile allo svedese, che Hyoga aveva imparato senza troppe difficoltà grazie al suo naturale talento per lo studio delle lingue. In quel momento, però, complice il disagio causatogli dall’arcigno sguardo dell’uomo che gli stava di fronte, Hyoga esitò e rispose strascicando le parole.

‹‹Jag… heter Balakirev, Hyoga Balakirev. Jag skulle vilja ha möta… det Stora Gyðja Hilda, är ni snäll ››. (2)

Il suo modo di parlare dovette suonare strano e insolito alle orecchie della corpulenta guardia, perché Heimdallr lo fissò incuriosito e sorrise ironicamente, lisciandosi la folta barba, mentre Hyoga, in silenzio, aspettava una risposta. Sul ballatoio intanto era aumentato il numero dei soldati, poi uscì nello spiazzo un secondo uomo, alto e magro, con i capelli brizzolati.

Il massiccio battente della porta rimase aperto, quando era stato immediatamente richiuso all’uscita del custode. Poteva essere un particolare apparentemente insignificante ma, in tanti anni passati a combattere, Hyoga aveva imparato a diffidare delle apparenze. Finse indifferenza, per quanto poteva, e continuò ad osservare i due uomini di fronte a lui, ma prestò sempre attenzione ai movimenti all’interno delle mura, sbirciando dallo spiraglio della porta, e sul ballatoio.

La seconda guardia indossava una giubba trapuntata, con un ampio bavero che arrivava a coprire le spalle, fermata alla vita con una cintura, entrambi di spesso cuoio nero. I calzoni erano tinti dello stesso rosso della giacca, i polpacci erano coperti con calze di tessuto metallico, identico a quello che portava agli avambracci, legate sotto al ginocchio e fissate alle scarpe di cuoio con un cordoncino che passava nell’incavo tra il tacco e la suola. Era abbigliato alla stessa maniera del custode, con l’unica differenza che Heimdallr indossava stivali di cuoio neri e portava un lungo mantello.

‹‹Vad är det för typ, kapten? ›› domandò a voce alta. (3)

La seconda guardia osservò con attenzione il volto di Hyoga, per passare poi al suo abbigliamento particolare, e infine allo zaino che gli pendeva dalla spalla. La sua espressione si fece più dura, e annuì con malcelato disprezzo quando Heimdallr gli rispose.

‹‹Utlänning… ››.

Straniero.

Hyoga cominciò a preoccuparsi quando la guardia alzò un braccio in quello che sembrava un gesto di richiamo. Alzò subito le mani, cercando di spiegare le sue ragioni ma, in un attimo, una decina di soldati uscì correndo dalla porta aperta e si trovò accerchiato.

‹‹Perché vuoi vedere la sacerdotessa, utlänning?›› domandò Heimdallr. Il custode, al contrario dell’uomo che gli stava di fianco che guardava Hyoga in tralice, sembrava incuriosito. La sua espressione neutra rassicurò Hyoga che riacquistò sicurezza, e padronanza della lingua.

‹‹Devo consegnarle con urgenza una lettera›› rispose schiarendosi la gola.

L’uomo dai capelli brizzolati porse una mano ma Hyoga scosse la testa.

I soldati si avvicinavano, passo dopo passo, e stringevano il cerchio attorno a lui. La situazione sembrava precipitare, con i soldati armati sempre più vicini, e la guardia insofferente che mostrava con insistenza il palmo, aprendo e chiudendo la mano nel tentativo di farsi consegnare la lettera, più teso in viso ogni istante che passava.

‹‹Devo vedere Hilda personalmente››.

Hyoga parlò col tono insofferente e spavaldo che gli riusciva naturale quando si trovava a dover fronteggiare qualcuno che lo innervosiva o che in qualche modo gli si mostrava caparbiamente ostile. Era il suo modo per mantenere la calma e la ragionevolezza, anche in situazioni disperate. La sua presa di posizione non piacque però all’uomo brizzolato. Fece una smorfia e sputò per terra, tra i piedi di Hyoga.

‹‹Le porte d’Ásgarðr sono chiuse per te, non puoi entrare. Non ci creare problemi, utlänning: dammi quella lettera e torna da dove sei venuto!››.

‹‹Chiamate Hilda, per favore. Sono sicuro che mi riceverà›› insisté Hyoga. I soldati scoppiarono a ridere.

‹‹Vattene, utlänning!›› intimò la guardia lasciando presagire le conseguenze che potevano seguire in caso di rifiuto.

Heimdallr continuava a fissare intensamente Hyoga con la fronte corrugata, come se stesse cercando di ricordare qualcosa. Hyoga incrociò lo sguardo del custode. C’era qualcosa in quell’uomo che gli ispirava fiducia. La guardia lo aveva chiamato kapten, capitano, e c’era da supporre che fosse lui a capo di quei soldati. Nella speranza che, prima o poi, si sarebbe pronunciato in qualche modo, preferibilmente in suo favore, Hyoga piantò i piedi per terra.

‹‹Chiamate Hilda, lei mi conosce››.

Fissò la guardia dritto negli occhi, ben deciso a far rispettare la sua richiesta, ma l’altro non gradì l’essere sfidato apertamente di fronte ai soldati. Sguainò la spada e la puntò ringhiando alla gola di Hyoga che era già stato immobilizzato per le braccia da due soldati.

‹‹Allora riconoscerà anche il tuo cadavere, insolente!››.

‹‹Thorgall, fermo! Rinfodera la spada! È forse questo il modo d’accogliere un visitatore? Voi lasciate la presa, immediatamente!››.

Il comando imperioso fece sussultare i soldati che lasciarono andare Hyoga e si misero sull’attenti. Thorgall, visibilmente intimorito, fece sparire all’istante l’arma e si spostò di lato mentre il cerchio s’allargava per far posto ad un uomo che sembrava apparso dal nulla.

‹‹Kapten Magni…››. Thorgall tentò di parlare ma fu subito zittito con un gesto secco.

‹‹Heimdallr, cosa succede?›› chiese Magni, ignorando la guardia.

‹‹Succede che devi insegnare le buone maniere ai tuoi uomini, Magni!›› esclamò bruscamente Heimdallr, fulminando Thorgall. ‹‹Quest’uomo, Balakirev, chiede di vedere la Grande Sacerdotessa perché deve consegnare una lettera. Sostiene di conoscerla, e afferma che lei lo riceverà anche a quest’ora››.

Hyoga deglutì a vuoto. Le parole di Heimdallr corrispondevano al vero, ma Hyoga si chiese se non aveva sperato troppo fidandosi della buona impressione che gli aveva fatto il custode.

Cosa potrebbero mai farmi se, per un qualche imprevedibile motivo, Hilda non volesse ricevermi?

Nella dorata luce del sole che tramontava, i rossi capelli di Magni legati dietro la nuca, assieme alla barba e ai baffi, davano l’impressione che avesse il volto circondato da fiamme ardenti. Il capitano si voltò verso Hyoga, facendo sventolare il suo lungo mantello blu e di colpo il suo volto si trasformò per lo stupore. Subito si rifece serio e rimproverò aspramente i soldati.

‹‹Cavatevi di lì! L’utlänning può passare!››. Un mormorio si diffuse tra i soldati che ruppero il cerchio e si accalcarono dietro Thorgall, amareggiato e con lo sguardo basso.

Hyoga sospirò di sollievo per l’intervento tempestivo, eppure non riuscì a gioire completamente perché avvertì una sfumatura d’ostilità nella voce di Magni, che sembrava conoscerlo. Ebbe la spiacevole sensazione che l’aver ordinato ai suoi soldati di lasciarlo libero avesse causato a quell’uomo che non conosceva un gran dispiacere. Magni appariva irritato, come lo sarebbe sembrata una persona che si vedeva costretta ad agire diversamente dalla sua volontà.

Hyoga era sicuro di non averlo mai incontrato, anche se quegli occhi decisi che lo scrutavano intensamente gli dettero l’impressione di aver già vissuto un momento simile. Un brivido lo scosse ma pensò che fosse una naturale reazione del suo corpo che si liberava della tensione accumulata. Udì Magni che ordinava a Thorgall e ai soldati di tornare ai loro posti, le sue parole tuonarono nell’aria fredda della sera. Il ballatoio era deserto, tutti i soldati s’erano allontanati ed era rimasto solo nello spiazzo di terra battuta con i due capitani.

Mentre parlava con Heimdallr, Magni, che già non poteva passare inosservato per il rosso intenso dei capelli e della barba, mise ben in evidenza le sue mani gesticolando animatamente. Aveva mani molto grandi fasciate in un paio di guanti di metallo all’apparenza pesanti e ingombranti, che non erano per lui un impiccio, considerando che, mentre parlava, muoveva continuamente le braccia ben tornite. Come Heimdallr il Custode, anche Magni portava appesa alla cintura un’arma che assomigliava ad un martello dal manico corto, alla quale Hyoga lanciò solo una fuggevole occhiata.

‹‹Balakirev, scusa i soldati per la loro impulsività ma non si è mai troppo sicuri, di questi tempi!››. Il burbero custode mostrò un radioso sorriso impreziosito da alcuni luccicanti denti d’oro. ‹‹Il Custode d’Ásgarðr ti dà il benvenuto›› disse battendosi una mano sul petto, ‹‹e sono certo che altrettanto faranno i miei Signori. Magni, accompagnalo tu a palazzo››. Il fulvo capitano strabuzzò gli occhi ma acconsentì.

‹‹Io sono Magni Thorsson, Capitano dell’Hirð !››. (4) Sottolineò la concisa presentazione con un’occhiata penetrante che aveva tutta l’aria di una sfida. Hyoga non si scompose ma quel nome, pronunciato con tanta fierezza, gli echeggiò insistentemente nelle orecchie. Cercò di concentrarsi sul suo volto, ma un’ombra, come un ricordo fuggevole, gli attraversò la mente veloce e inafferrabile lasciandolo in sospeso.

Mi ricorderò di quest'uomo e del suo nome.

‹‹Seguimi, Balakirev, se vuoi incontrare la Sacerdotessa››.

Una volta entrati nella cittadella, l’unico elemento che ricordava al visitatore la presenza di una cinta muraria esterna erano i tetti delle torri che s’intravedevano svettare in lontananza sopra gli edifici. Le torri rotonde, disseminate lungo tutto il perimetro delle mura, erano del tutto simili a quelle che Hyoga aveva visto superando l’entrata: due battenti di legno duro rinforzati con ferro davanti ai quali era stata calata, dopo il loro passaggio, una pesante griglia metallica. Le sole aperture che si scorgevano nelle torri, a parte naturalmente la porta che permetteva l’accesso, erano delle piccole feritoie, fenditure lunghe e strette che dovevano fornire un’ottima protezione a discapito però dell’illuminazione.

Alla sommità del muro di cinta c’era il cammino di ronda, spazio compreso tra le torri, destinato al passaggio dei soldati che svolgevano il servizio di guardia, protetto esternamente da un’alta merlatura.

Magni si era fermato a discutere con Heimdallr e Thorgall che, dopo il rimprovero, era tornato a chiedere spiegazioni. Hyoga, lasciato in disparte, passò il tempo osservando divertito due giovani soldati che chiacchieravano allegramente seduti con le gambe penzoloni sul bordo interno della cortina. La loro spensieratezza, le allegre chiacchiere e le risa sottolineavano il ritorno alla normalità.

Stava già facendo buio quando, finalmente, Magni congedò Thorgall e salutò il Custode. Invitando Hyoga a seguirlo, s’incamminò, ordinando ad uno dei soldati di recuperare il suo zaino. Il russo seguì ubbidiente Magni, tentando di tenere la lunga falcata dell’uomo. Alle sue spalle sentiva il rumore cadenzato dei passi del soldato che li seguiva.

Le strade che percorsero erano buie e semideserte. Giunsero in meno di mezz’ora al palazzo, dove Magni abbandonò Hyoga, allontanandosi in fretta e senza troppe cerimonie. Il soldato che li aveva seguiti lasciò lo zaino per terra e corse via dietro al suo capitano.

Hyoga non aveva potuto scambiare nemmeno una parola con la sua taciturna guida ed ora si trovava solo nello spazioso atrio del palazzo. Si guardò attorno, spaesato, e sperò che qualcuno venisse a trarlo d’impaccio. Qualche minuto più tardi, da una delle porte che si affacciavano sull’atrio, comparvero due soldati. Hyoga titubante seguì i due uomini lungo i corridoi, ma mantenne una certa distanza e rimase comunque attento ad ogni minimo rumore.

I due soldati che lo scortavano, vestiti di una tunica rossa e pantaloni di stoffa grigi, portavano una spada alla cintura, e non sembravano male intenzionati nei suoi confronti. Con molta probabilità stavano eseguendo, visibilmente scocciati, gli ordini impartiti da Magni e non si preoccuparono troppo di lui. Lo accompagnarono in un salone, dove uno dei due gli indicò una poltrona.

‹‹Questa è Válaskjálf, l’Aula dei Prescelti. Siediti e aspetta: sarai ricevuto››.

Dopo aver riferito il sintetico messaggio, si dileguarono e Hyoga rimase nuovamente solo.

Non poté fare a meno di sorridere ironicamente pensando alle difficoltà che, ogni volta, gli avevano precluso la possibilità di soggiornare in tranquillità ad Ásgarðr e che sembravano, pure in quell’occasione, incombergli addosso minacciose. Posò lo zaino a terra e si accomodò su una poltrona, in fondo alla sala, incrociando le mani sull’addome e aspettando che qualcuno si decidesse infine a riceverlo.

Hilda attraversò i corridoi del palazzo, sollevando la lunga gonna che le impediva di procedere velocemente.

Molti sudditi si recavano a palazzo per incontrarla. Alcune persone offrivano i loro servigi in cambio di un tetto sulla testa, alcuni chiedevano udienza per consigli di vario genere. La maggior parte purtroppo veniva per elemosinare, avanzando pretese assurde o più semplicemente supplicando il suo buon cuore. In quest’ultimo frequentissimo caso, Hilda era costretta a rifiutare, considerando che sarebbe stato impossibile donare soldi a tutti coloro che li chiedevano, e offriva invece un pasto caldo e un pagliericcio negli alloggi dei servi.

Questo, e non era certo poco, era quello che il buon cuore della Grande Sacerdotessa poteva fare per i mendicanti che sempre più numerosi si recavano da lei in quei tempi di carestia.

‹‹Spero che sia una cosa importante, stavolta!›› intimò Hilda fulminando una delle guardie che la aspettavano. I due uomini alzarono le spalle e scossero la testa.

‹‹Non avete nemmeno chiesto chi è?›› li apostrofò.

‹‹Un utlänning, signora›› balbettò la guardia sporgendosi per aprire la porta.

‹‹E questo è sufficiente per disturbarmi?!››.

Incompetenti! Non sanno forse che il tempo è denaro e che non ho dunque tempo da perdere!

Era infuriata perché l’avevano strappata ai suoi studi sulle erbe officinali nell’unico momento della giornata cui vi si poteva dedicare. D’altro canto, era curiosa di vedere chi si presentava a palazzo a quell’ora, quando ormai la gente era barricata in casa e i viandanti avevano già trovato una sistemazione per la notte.

Seduto in un angolo della Válaskjálf, Hyoga sedeva in attesa di essere ricevuto.

Non avrei mai immaginato che il vecchio Kido fosse stato il pioniere dell’alleanza con Ásgarðr. Oh beh, aveva anche lui le sue buone qualità alla fine! Peccato che nel bilancio totale, mettendo in conto tutte le cattiverie di cui è stato capace, il mio giudizio su di lui non cambi di molto.

Guardava nervosamente l’orologio, tamburellando le dita sul quadrante, mentre cercava di trovare una spiegazione plausibile all’accoglienza fredda e distaccata con cui era stato ricevuto, poiché era partito rassicurato dalle parole di Lady Saori, che gli avevano garantito il totale ripristino dell’alleanza tra Ásgarðr e il Santuario di Grecia.

Lady Saori e la Sacerdotessa Hilda sono alleate, ma prima ancora ottime amiche.

Forse però il discorso non poteva essere generalizzato a comprendere tutti gli Asar.

Decise di rimandare le sue elucubrazioni al momento in cui avrebbe potuto chiedere spiegazioni a Hilda, e tentò di rilassarsi. Si sistemò più comodamente sulla poltrona e stese le gambe per sgranchirle, perché il viaggio era stato spossante. I suoi stivali erano sporchi e incrostati, perché la strada che aveva percorso s’era trasformata in un fiume di fango per via della neve. A parte la stanchezza, sentiva freddo ai piedi e di tanto in tanto, il suo stomaco reclamava cibo facendosi sentire con lunghi mormorii strozzati. Avrebbe voluto fumare, per rilassarsi, ma non gli sembrò una buona idea. Provò a fischiettare un allegro motivetto, tanto per distrarsi, ma abbandonò anche quel secondo misero progetto d’impiegare il tempo.

L’Aula dei Prescelti era un salone ampio e desolatamente spoglio. Non appena emise un suono, lo sentì amplificarsi e ingigantirsi, rimbombando tra le pareti della sala. Sospirò e appoggiò il mento ad una mano, passando l’altra sul bracciolo della poltrona.

L’ambiente era freddo, immerso nella penombra, perché fuori era già scesa la notte. Su una delle pareti si aprivano numerose finestre, sull’altra erano state accese alcune torce. Le fiammelle si specchiavano sul pavimento di marmo, che s’illuminava di un freddo bagliore e dava l’illusoria impressione di bruciare lui pure delle stesse calde fiamme che ardevano sulle pareti. Gli unici oggetti d’arredamento erano gli splendidi arazzi che adornavano la parete priva di finestre, e i colossali seggi sul fondo del salone. La scarsa illuminazione, unita al senso di vuoto e al silenzio spettrale, rendevano il salone tetro.

La snervante attesa aumentava la sua preoccupazione e Hyoga cominciò a chiedersi se, invece di avvertire la sacerdotessa della sua presenza, Magni Thorsson non stesse organizzando la sua cattura. Aveva già sperimentato la durezza delle segrete della cittadella in tempi passati e non desiderava ripetere la terribile esperienza.

Non dovrei pensare certe cose, sono paranoico. Saori mi ha assicurato che Hilda mi riceverà come un amico, anzi come un alleato. Speriamo che arrivi presto però, o mi troverà accasciato per terra come uno straccione, svenuto per la stanchezza e la fame.

Magni Thorsson. Perché questo nome mi suona tanto familiare? Vorrei che qualcuno venisse a prendermi. In questa stanza persino il silenzio fa rumore. Qualcuno deve arrivare, non possono lasciarmi qui senza degnarmi di una parola… Dove sarà la Sacerdotessa? L’avranno avvertita della mia presenza?

Magni Thorsson. Ancora questo nome… sono sicuro di non averlo mai conosciuto, sarà solo una coincidenza il fatto che mi ricordi qualcuno. Il mondo è pieno di gente che si somiglia…però mi è sembrato che lui mi conoscesse, ma è impossibile.

Magni Thorsson. Ah, che seccatura aspettare! Sarà almeno mezz’ora che mi hanno lasciato qui da solo. Vorrei tanto che arrivasse Freija, ora. Sì, che bello sarebbe se entrasse lei, al posto di Hilda, e mi accogliesse a braccia aperte…

In fondo al salone s’aprì una porta, e la luce che s’irradiò illuminò due alte guardie. Entrarono nella Válaskjálf in silenzio, accesero delle torce che illuminarono a giorno dodici seggi di marmo. I due più grandi erano sistemati su una pedana con tre grandini, gli altri dieci erano disposti obliquamente, cinque per lato.

Le guardie presero posto dietro ai due grandi seggi, e rimasero immobili in attesa. Hyoga si sporse sulla poltrona. Tese l’orecchio quando udì dei passi in avvicinamento e trattenne il respiro. Pregò perché le sue fossero fantasie dovute ad una fervida immaginazione e non la tragica e prematura conclusione della sua carriera di ambasciatore.

Hilda spalancò la porta ed entrò come una furia nella Válaskjálf. Salì sulla gradinata e, sedendo su uno dei seggi, si guardò rapidamente attorno. Individuò immediatamente il visitatore seduto in fondo al salone, anche se non riuscì a distinguere i lineamenti. Capì che si trattava di un uomo quando lo vide alzarsi e camminare verso di lei.

‹‹Cosa ti spinge a presentarti a palazzo a quest’ora? Non chiedere denaro, se è carità che vuoi, perché ti avverto sin d’ora che rifiuterò! Ma se ti accontenti, ti sarà offerto un pasto caldo e un letto›› si affrettò a dire la Sacerdotessa.

‹‹Non è denaro che chiedo, Signora, ma accetterò volentieri l’ospitalità›› le rispose garbatamente Hyoga. ‹‹Sono qui perché devo consegnarvi una lettera, Hilda››. Si fermò e mostrò la busta.

Alla sacerdotessa parve di riconoscere lo strano accento del visitatore. Scese dalla gradinata, accennando alle sue due guardie di non muoversi.

‹‹Ho l’impressione di conoscerti›› disse appena sceso l’ultimo gradino. ‹‹Avvicinati senza timore e mostra chi sei››. Hyoga s’avvicinò, lasciando che la luce delle torce lo illuminasse in volto, e le porse la lettera con un sorriso.

‹‹Piacere di rivedervi, Hilda››.

La Sacerdotessa riconobbe allora il guerriero del Santuario ma la sorpresa l’ammutolì per un istante. Quando si riebbe, gli strinse calorosamente le mani, stropicciando la lettera.

‹‹Cygnus! Che sorpresa, davvero una bella sorpresa!››.

Rintronato dall’improvviso cambio d’atteggiamento e colpito dalla calorosa accoglienza della Sacerdotessa, lui riportò l’attenzione di Hilda alla lettera sdrucita e cominciò a spiegarle l’antefatto, ma fu immediatamente interrotto.

‹‹Non qui, Hyoga! Andiamo in un luogo più tranquillo››.

‹‹È un sollievo sapere che non avete dimenticato il mio nome. È passato tanto tempo dall’ultima volta che sono stato ad Ásgarðr››.

‹‹Come avrei potuto dimenticarlo?›› sorrise Hilda. ‹‹Siediti pure dove vuoi››.

La stanza di Hilda, costituita di due ambienti collegati, era spaziosa e accogliente. La sacerdotessa lo aveva fatto accomodare in un’anticamera dalla quale, tramite una porta a due ante, s’entrava nella stanza da letto. Dalla sua sedia, appoggiato sul robusto tavolo di legno al centro della stanza, Hyoga osservava Hilda sprofondata nella sua poltrona. Si sarebbe accomodato volentieri sullo spazioso divano vicino al caminetto, ma sapeva che se l’avesse fatto si sarebbe addormentato e, prima di abbandonarsi al sonno, nonostante la stanchezza, doveva assolutamente discutere con la sacerdotessa questioni di capitale importanza.

Per ingannare l’attesa, cominciò a fissare Hilda, assorta nella lettura della lettera di Lady Saori. Hyoga ignorava la sua età ma si rendeva perfettamente conto della sua bellezza. Nel viso ovale risaltavano gli occhi, grandi e coronati da ampie sopracciglia, che esprimevano una grande determinazione e severità. Il vestito lungo nascondeva il corpo della donna, ma Hyoga lo ricordava, quando aveva visto Hilda a Villa Kido vestita in altri abiti, sinuoso e snello. Ciò che saltava subito agli occhi, però, particolare che la rendeva affascinante e misteriosa, erano i capelli. Erano corti, lisci all’attaccatura e mossi avvicinandosi alle punte e, nonostante la giovane età della donna, d’una strana tonalità di grigio che virava all’azzurro slavato su certe ciocche, secondo come le colpiva la luce.

Hyoga distolse lo sguardo soltanto quando sentì bussare alla porta.

‹‹Mi sono permessa di farci portare la cena qui. Ho pensato che tu non avessi voglia di muoverti dopo il viaggio che hai affrontato. Spero non ti dispiaccia?›› disse Hilda.

Entrarono due ragazze e, in un attimo, trasformarono il tavolo in un banchetto e si misero ad aspettare in un angolo della stanza.

‹‹Andate pure›› le congedò Hilda con gentilezza. ‹‹Porterete via tutto con calma domattina››.

‹‹Avete avuto un’ottima idea, Hilda, ma spero che non sia di troppo disturbo››.

La sacerdotessa sedette di fronte a Hyoga e gli sorrise. ‹‹Nessun disturbo. Vorrei soltanto che tu mi facessi un favore›› disse versando due bicchieri di spumeggiante vino rosso. ‹‹Vorrei che tu non mi parlassi con tanto distacco. Dalle parole di Saori, deduco che dovremo lavorare assieme. Non sarà un lavoro facile ed è necessario quindi che s’instauri un buon rapporto tra noi››.

Hilda sollevò il suo bicchiere, Hyoga la imitò, e brindarono alla felice riuscita delle future trattative.

‹‹Devo ammettere che le vostre…le tue parole mi colgono alla sprovvista›› disse Hyoga affondando il cucchiaio nella zuppa che gli fumava davanti. ‹‹Pensavo che il mio compito si esaurisse alla consegna della lettera, e a qualche spiegazione se ci fossero stati dei dubbi in proposito››.

Hilda sorrise e riempì nuovamente i bicchieri. ‹‹In effetti, questo è quello che farai, Hyoga. Non è con me in ogni caso che devi parlare, poiché Saori ha già provveduto ad informarmi›› precisò Hilda sventolando la lettera. Cogliendo lo sguardo interrogativo di Hyoga si affrettò a spiegare.

‹‹Come ben saprai, fra tre giorni si terrà qui un grande Consiglio. È un avvenimento importante, per diversi motivi. Abbiamo attraversato un periodo terribile di carestia e guerra. In questi ultimi anni, a causa delle proibitive condizioni climatiche, molti dei primi raccolti sono andati perduti e la fame ha attanagliato la gente d’Ásgarðr per lungo tempo. A seguito della malnutrizione, molti si sono ammalati e tanti non sono sopravvissuti agli stenti. Ad aggravare la situazione sono arrivate, improvvise e inaspettate, molte battaglie. Ora, dopo anni di agonie, la situazione è finalmente ritornata alla normalità. Con questo Consiglio, al quale farà seguito un grandioso banchetto, si vuole ribadire il ritorno della prosperità e della pace e si vogliono ripristinare le perdute alleanze››.

Hyoga aveva ascoltato attentamente la spiegazione di Hilda ma molti punti gli erano oscuri e chiese spiegazioni.

‹‹Ci sono molte cose che non sai, riguardo ad Ásgarðr, Hyoga, cose che devi sapere e di cui ti parlerò›› precisò Hilda. ‹‹Non adesso, ad ogni modo. Mangiamo in tranquillità e rilassiamoci perché domani ci attende una lunga giornata!››.

Hyoga sospirò di soddisfazione, felice che Hilda avesse deciso di rimandare le spiegazioni ad un momento migliore, perché, stanco e affamato com’era, non era in condizione di ascoltare. Assaggiò la zuppa, accompagnandola con una galletta su cui era stato spalmato del burro. La zuppa era saporita, ma la galletta gli sembrò strana.

Hilda sorrise. ‹‹Questa si chiama grautr›› spiegò girando il cucchiaio nella sua scodella. ‹‹È una minestra a base di cereali che si mangia generalmente con quelle gallette di pane croccante d’orzo, dette knackerbröd. (5) Il loro sapore particolare è dovuto al burro, che è stato salato per facilitarne la conservazione. Spero che ti piaccia››.

Hyoga si limitò ad annuire con gusto e continuò a cenare. Bevvero molto vino e chiacchierarono a lungo. Hyoga raccontò a Hilda della sua piccola disavventura alle porte della città perché ora si sentiva più tranquillo, e ne parlò sorridendo.

‹‹Ah, villani!›› disse Hilda aggrottando la fronte. ‹‹Questo è tipico degli abitanti d’Ásgarðr: molto rumore per nulla! A questo dovrai abituarti, tesoro. C’è gente, a palazzo, che da una parola riesce ad inventare storie incredibili. Domattina sapremo cosa si sono inventati sul tuo conto››.

‹‹Prevoschódnyj !›› (6) esclamò Hyoga stiracchiandosi. ‹‹La cena è stata davvero ottima e non avrei potuto desiderare una compagnia migliore. Ora tolgo il disturbo, però››. Si alzò dalla sedia e prese lo zaino che aveva appoggiato vicino al divano.

‹‹Ti ho fatto preparare una stanza, caro, una delle più belle. Spero che sia di tuo gradimento›› disse Hilda prendendolo sottobraccio e trascinandolo lungo i corridoi verso la sua stanza, non molto distante da quella di lei. Quando gli augurò la buonanotte, Hyoga la richiamò.

‹‹Hilda… ››.

‹‹Dimmi pure››.

Hyoga si strofinò le mani, nervosamente, cercando di ritrovare un barlume di coraggio che gli permettesse di chiedere notizie di Freija e non lo trovò.

‹‹Grazie per la gentile accoglienza e… buonanotte!››.

Nella stanza faceva caldo perché era stato acceso il fuoco nel piccolo caminetto. Appoggiò lo zaino, che si era fatto pesante, e si sfilò il maglione, osservando la camera alla luce brillante delle fiamme che aiutavano le candele nell’illuminazione.

L’ambiente era grande, con un’ampia finestra, situata proprio al centro della parete opposta all’entrata, sotto la quale c’era una cassapanca di legno finemente decorata, che doveva servire anche da sedia nel caso si desiderasse guardare fuori. Anche il letto era grande, con la testata contro la parete e i piedi di fronte al camino. Il suo aspetto era confortevole e, desideroso di verificare quest’ipotesi, si stese.

Il materasso era duro ma comodo, mentre il guanciale, imbottito di piume, era così soffice che quando vi appoggiò la testa la sentì sprofondare. Federe e lenzuoli erano di lino bianco, con qualche semplice ricamo, mentre la coperta era di lana, ben tessuta e tinta d’un rosso scuro. Sopra tutto era stata stesa una pesante ma soffice trapunta di piume.

Ad Ásgarðr, tutto è rosso…il colore della passione…

Lasciò andare un sospiro di sollievo, godendosi quell’attimo di pace dopo la lunga e stancante giornata. Nella stanza c’era anche un piccolo, rudimentale bagno, dove trovò un catino e una brocca d’acqua fresca. Si lavò e tornò subito a stendersi, lasciandosi cullare dal tepore delle lenzuola che profumavano di pino e abbandonandosi a dolci pensieri. In quel momento di assoluta tranquillità, in cui l’unico suono era il crepitio del fuoco, cominciò a sognare di Freija e cercò di pensare a cosa le avrebbe detto al momento del loro incontro. Non aveva avuto molte possibilità di approfondire la conoscenza con Hilda e si erano parlati di rado, eppure la sacerdotessa l’aveva accolto a braccia aperte.

Si somigliano tanto…In fondo sono sorelle! Bellissime, e con la stessa unica imperfezione agli incisivi! Ma che bell’imperfezione, però! Chissà se anche Freija sarà così felice di vedermi…anche lei mi chiamerà tesoro?

Rise e si stiracchiò, poi si crogiolò in mille dolci pensieri, nei quali Freija lo abbracciava e piangeva dalla gioia di rivederlo dopo tanto tempo, e in altre fantasie, meno pudiche. Alla fine, chiuse gli occhi e si addormentò.

Sognò di sentire dei rumori provenire dalla porta, come se qualcuno stesse forzando la serratura. Si alzò di scatto dal letto ma la porta si spalancò e vide entrare Magni con alcune delle guardie. Gli si avventarono addosso e lo trascinarono fuori della stanza. Cercò di ribellarsi ma gli mancavano le forze e, d’un tratto, si trovò nelle segrete nel palazzo, incatenato, e vide Freija. Lei, bellissima e crudele, non era più la sua salvatrice ma la sua carceriera, e assieme a lei c’erano Dolvar e Hilda. Gli stavano tutti attorno e lo tormentavano con subdole affermazioni sull’errore che aveva commesso quando si era schierato dalla parte della dea Atena. Hyoga non voleva ascoltarli e chiuse gli occhi, cercando di ricordare chi era, e in cosa credeva. Quando li riaprì si accorse di non essere più prigioniero nelle segrete d’Ásgarðr e riconobbe Villa Kido. Si sentiva diverso e si accorse di provare odio verso i suoi compagni e verso Lady Saori. Aggrappandosi all’ultimo spiraglio di buon senso, cercava di reagire ma il suo corpo si muoveva indipendentemente dal suo volere ed aggredì coloro che erano stati i suoi amici, i suoi fratelli. I suoi occhi vedevano la rovina che le sue insensate azioni provocavano. Alla fine, vide cadere sotto i suoi micidiali colpi l’ultimo dei Sacri Guerrieri che si erano sacrificati per la salvezza della dea. Ma si fermò solamente quando Lady Saori, ferita mortalmente, cadde esanime ai suoi piedi.

Note:

  1. Mi chiamo Heimdallr, sono il custode di Ásgarðr. Cosa vuoi a quest’ora? (‹‹Jag varar Heimdallr, Ásgarðren väktaret! Vad viljer ha du, om det här timme? ››.
  2. Mi chiamo Balakirev, Hyoga Balakirev. Vorrei incontrare… la Grande Sacerdotessa Hilda, per favore (‹‹Jag… heter Balakirev, Hyoga Balakirev. Jag skulle vilja ha möta… det Stora Gyðja Hilda, är ni snäll ››.
  3. Chi è questo tipo, Capitano ? (‹‹Vad är det för typ, kapten?››)
  4. La hirð era una sorta di guardia del corpo al servizio di un signore, re o jarl che fosse, formata dagli uomini che erano i suoi favoriti.
  5. Il grautr è una minestra densa a base di cereali, che ricorda il porridge inglese, in genere accompagnata da gallette di pane croccante d’orzo o di farina, (svedese knackerbröd, norvegese flatbröd). Su questo pane si spalmava del burro, che veniva salato per facilitarne la conservazione e tenuto in mastelli o vasi che ne rendevano comodo il trasporto anche durante la navigazione.
  6. Ottimo, ( prievoschódnyi ).