CAPITOLO VII

Dal tramonto all’alba

U

scirono dalla cinta muraria interna e s’incamminarono verso il piccolo villaggio nella parte bassa della cittadella. Dentro le modeste case c’era qualche luce accesa ma i viottoli erano deserti, spazzati da un vento gelido.

L’aria era pungente e Freyr si era avvolto nel suo pesante mantello foderato di pelliccia per ripararsi dal freddo. La luna illuminava i ciottoli della lunga strada principale, in diversi punti c’erano delle lastre di ghiaccio e i due rischiarono più di una volta di fare un capitombolo.

‹‹Come mai non c’è nessuno in giro?››.

‹‹Con questo freddo sono tutti in casa davanti al fuoco. A quest’ora si consuma il nàttverðr. (1) Poi domani devono lavorare, e andranno a letto presto. Non ti preoccupare però, dove stiamo andando si fa festa fino a tardi!››.

Camminarono per una ventina di minuti e, alla fine, svoltarono in una viuzza e si fermarono di fronte ad un lungo edificio, simile ad uno scafo rovesciato, dal quale proveniva un vociare confuso.

‹‹Ek , che strana costruzione!››.(2)

‹‹Entriamo, fa troppo freddo per cincischiare qui davanti!››. Freyr fece un cenno a Hyoga e spalancò la massiccia porta di legno.

L’edificio consisteva di un’unica grande stanza nella quale si trovavano molti uomini, seduti o in piedi, in ozio con il corno in mano, intenti ad ascoltare una leggenda. Subito vicino alla porta due uomini dalla faccia rubiconda per il troppo bere, discutevano accesamente su chi aveva vuotato più corni. Nella parete di fronte all’entrata ardeva nell’enorme camino un fuoco scomposto. Lì vicino si apriva una piccola apertura che dava accesso alla dispensa, o forse alla cucina. A turno, una ragazza ed un giovanotto entravano e uscivano dall’apertura portando cibo e bevande in gran quantità e in bilico sui vassoi stracarichi.

Il salone era saturo di voci baritonali e risate chiassose, accompagnate dal rumore che producevano i boccali che si toccavano nei brindisi e dal tintinnare delle posate che pescavano nelle ciotole.

Hyoga chiuse gli occhi per un momento, coprendoseli con una mano. Le candele accese ai tavoli, assieme alle torce sui muri e al fuoco male attizzato, avevano riempito la stanza di fumo.

‹‹Bóže moj ! Sembra di stare all’inferno, qui!››. (3)

‹‹Tranquillo, amico mio! Ti abituerai presto al fumo, al caos e a tutto il resto››. Freyr gli diede una pacca sulla spalla. ‹‹Ascoltami, bene›› gli disse poi più a bassa voce. ‹‹In questa stanza c’è un’accozzaglia di gente tanto diversificata quanto pericolosa. Ognuno si sta facendo i fatti suoi, ma sta sicuro che ci hanno già squadrato ben bene››.

‹‹Quindi?›› chiese Hyoga ruotando gli occhi intorno.

‹‹Quindi andiamo a sederci, beviamo e mangiamo….e quando siamo a posto ce ne andiamo›› disse Freyr alzando le spalle. ‹‹L’importante è cercare di non stuzzicare qualche bastardo bizzoso con la mano facile, e non immischiarsi negli affari degli altri. E… Ah! Occhio a come parli! Gli Asar non amano molto gli stranieri!››.

Hyoga, stropicciandosi gli occhi, seguì Freyr che procedeva a testa alta verso un tavolo un po’ appartato, lontano dal camino che emanava tanto calore quanto una fornace.

Superarono un gruppo di ascoltatori che pendevano dalle labbra di uno scaldo, un narratore di miti, che seduto su un tavolo, agitava le mani per enfatizzare le parole.

‹‹Secondo l’antica tradizione, un giorno il dio viaggiatore entrò nella povera abitazione in cui viveva un’anziana coppia: Ai e Edda. Egli si presentò come Rig. Essi gli dettero da mangiare un grezzo pane di crusca e per tre notti egli dormì in mezzo a loro. Poi ripartì. Nove mesi dopo Edda detta alla luce un figlio di pelle scura e brutto, con le nocche nodose e le dita grosse, la schiena ricurva e i calcagni lunghi. Lo chiamarono Thraell, Schiavo, e a suo tempo questi sposò Serva, Thír, arsa dal sole e con le gambe storte, e con lei mise al mondo una nidiata di figli !››. (4)

Si erano appena seduti quando si avvicinò un uomo, sui quarant’anni, alto e robusto. Aveva barba e capelli ricciuti, castani scuri, lo stesso colore degli occhi che si muovevano veloci sotto le folte sopracciglia. L’uomo dalla faccia rubiconda camminava tra i tavoli, sorridendo e asciugandosi il sudore dalla fronte. La casacca che indossava era slacciata sul petto villoso e le maniche, arrotolate fino ai gomiti, scoprivano due irsuti e muscolosi avambracci. L’oste si appoggiò al loro tavolo con la pancia prominente sotto la quale sventolava un grembiule ormai sudicio, e salutò cordialmente.

‹‹Benvenuti!›› disse chinandosi in avanti e battendo le mani. ‹‹Freyr, vedo che la nostra signora ti ha tolto il guinzaglio stasera! Cosa ti porto?››.

‹‹Portaci da mangiare, Björn, e birra, di quella forte però, non quell’acqua sporca che ci dai da bere di solito! So bene che la tiene nascosta nella dispensa per le occasioni speciali! Portacela, perché questo è un amico speciale!›› disse Freyr indicando Hyoga.

Björn si voltò incuriosito e squadrò Hyoga. Hyoga sorrise, ma non aprì bocca.

‹‹Vedrò cosa posso fare, Freyr, ma per il tuo amico qui sarebbe meglio un bicchiere di syra !››. (5) Rise sguaiatamente mentre si allontanava e Freyr gli sbraitò dietro qualche parolaccia, distraendosi anche a parlare con alcuni soldati che vide seduti vicino al loro.

Nonostante l’aria fosse fumosa e viziata, quasi irrespirabile, i tavoli erano tutti occupati e la clientela era esclusivamente maschile, eccettuata la ragazza che serviva ai tavoli. Doveva avere circa vent’anni ed era bella, con capelli castani lunghi fino alle natiche che ondeggiavano ad ogni suo movimento come un fluente e serico mantello. Indossava un vestito senza maniche, con una generosa scollatura che metteva in risalto il prosperoso seno. Aveva il volto arrossato per il caldo ma anche e soprattutto per i pesanti apprezzamenti che le erano rivolti. Freyr continuava a scambiarsi volgarità con i tre soldati, senza preoccuparsi di lui. Per passare il tempo Hyoga prese a seguire gli spostamenti della ragazza, allungando il collo quando era nascosta da qualcuno di quegli uomini dalla statura eccezionale. Avrebbe voluto vederla più da vicino ma fu il ragazzo che venne a servirli. Era rosso di capelli e magro, anzi magrissimo. Posò il vassoio, che doveva essere pesante per le sue esili braccia, e mise sul tavolo i boccali di birra e due ciotole fumanti.

‹‹La prossima volta mandaci tua sorella, scricciolo!›› commentò Freyr. ‹‹E vedi di mettere su qualche chilo, che non sei un gran spettacolo così magro››.

Hyoga bevve subito una boccata di birra, esaminando nel frattempo la sua cena. Da quello che sembrava uno stufato, emergeva per metà una spessa fetta di pane nero imbevuta di sugo. Freyr era già impegnato a mangiare il ricco piatto a base di carne, verdure e formaggio e accompagnava ogni cucchiaiata con un boccone di pane.

La birra era chiara e forte, un ottimo sapore. La schiuma era densa tanto che ad ogni sorsata si leccava le labbra per togliere quella che vi rimaneva attaccata.

Freyr non proferì parola e finì in fretta la sua porzione, Hyoga mangiò con più calma. Il principe bevve a lungo e posò il boccale sul tavolo che era mezzo vuoto, poi si pulì la bocca con una mano, enfatizzando il suo giudizio positivo sul cibo e sulla bevanda con un rutto.

‹‹Che novità porti?›› disse infine Freyr. ‹‹Ho sentito che hai una lettera per mia sorella Hilda››.

Hyoga sorrise. ‹‹Davvero le voci circolano velocemente!››.

‹‹Sì! Völundr ha sentito Magni e Hadingus che parlavano, l’ha detto a Helgi che l’ha riferito a me! Qui però possiamo parlare liberamente. L’unica pecca di questo posto sono le persone che lo frequentano!›› precisò Freyr con una smorfia.

Hyoga si strinse nelle spalle. ‹‹In fondo siamo venuti per mangiare e bere, non per criticare››.

‹‹Allora beviamo!››.

Brindarono e ordinarono altra birra. Freyr chiese molte informazioni sui Sacri Guerrieri, su cosa avevano fatto in quel lasso di tempo. Fece molte domande, anche piuttosto imbarazzanti, su Lady Saori. Hyoga lo canzonava per il vivo interesse che il principe dimostrava per Saori, ma dovette ammettere a se stesso di sentirsi infastidito del fatto che un altro uomo s’interessasse a lei. Poi, immancabilmente, finirono col parlare della Guerra dell’Anello e di Dolvar. Hyoga non amava riesumare quei tristi ricordi, ma Freyr era orgoglioso di aver partecipato a quel fiero scontro. Poi il principe disse due parole sui tempi duri che erano seguiti.

‹‹Hilda vede con gli occhi di Vör !›› concluse. (6) ‹‹È riuscita a ristabilire l’egemonia di Ásgarðr e a farla tornare all’antico splendore! Parteciperanno molti uomini potenti al Consiglio, e spero che tutto vada per il verso giusto! Tireremo un sospiro di sollievo dopo le trattative e potremo festeggiare come non facciamo da troppo tempo!››.

‹‹A essere sincero, non so ancora a cosa vi riferite parlando di questo benedetto Consiglio, ma spero bene che Hilda esaudirà la mia curiosità!››.

‹‹Naturale! Quella chiacchierona ti farcirà la testa d’informazioni, dopodiché la supplicherai perché smetta di parlare!››.

‹‹Sei ingiusto›› obiettò Hyoga. ‹‹Hilda è stata molto gentile con me. È un tesoro, tua sorella!››.

‹‹Aha, dici così perché non hai avuto modo di stare tanto tempo con lei! Vive di politica ed è terribilmente crudele, se vuole! Non come Freija: lei è davvero gentile, e dolce come il miele!››.

Freija…

Durante tutta la giornata non aveva avuto un solo pensiero per lei, trasportato dalla frenesia di Freyr, che lo aveva trascinato da un posto all’altro, senza un momento di tregua. Non aveva pensato a lei, ma non l’aveva nemmeno incrociata, né a palazzo, né in altro luogo. Eppure Freija era vicina a lui, impegnatissima nei preparativi del sontuoso banchetto che si sarebbe svolto dopo il Consiglio. Aveva lavorato tutto il giorno, correndo da una parte all’altra della cittadella, per controllare, ordinare e sistemare. Se Hyoga avesse solo immaginato in quante occasioni avevano mancato d’incontrarsi, d’un soffio appena, si sarebbe mangiato le mani dal nervoso.

Chissà cosa starà facendo, ora…

La birra si beveva volentieri, ma cominciava a farsi sentire l’effetto della sua gradazione alcolica. Erano molto allegri e Hyoga, aiutato dal lieve torpore, si lasciò andare, prendendo spunto dai suoi pensieri, e introdusse una nuova discussione.

‹‹Freyr, dimmi qualcosa di tua sorella›› chiese sporgendosi in avanti poggiato sugli avambracci.

Freyr fece un’espressione serissima, poi scoppiò a ridere ribaltando la testa all’indietro, e non cadde dalla panca perché Hyoga lo afferrò per un braccio rimettendolo seduto.

‹‹Ma che dici? Cosa c’entra mia sorella adesso?››.

‹‹Penso di essere innamorato di lei››. Avrebbe voluto affrontare seriamente l’argomento ma Freyr si spanciava dalle risa e lo guardava sgranando gli occhi.

‹‹Di mia sorella?›› si assicurò premendosi una mano sul petto. ‹‹Ma se la conosci appena!››.

Hyoga distolse gli occhi da quelli di Freyr, perché temeva la sua collera, e annuì col capo.

‹‹Alla malora, questa sì che è buona!››.

‹‹Eppure, è così›› confessò.

‹‹Ah, ma ti capisco, sai! Io potrei dire "ti amo" a tutte le donne che baciato!››. Freyr si mise a ridere di nuovo. ‹‹Non ti burlare di me, però! Mia sorella non è una donna che vada bene per te!›› esclamò Freyr.

Hyoga vuotò d’un colpo il boccale e chiamò il ragazzetto perché ne portasse altri due. Freyr continuava intanto a parlare, noncurante della sua espressione sofferente.

‹‹È una bella donna, attraente, sensuale›› spiegava Freyr. ‹‹Ma stai bene attento, amico mio, a non diventare una marionetta nelle sue abili mani! Comandare è una delle cose che le riescono meglio!››. S’interruppe un attimo quando vide arrivare il ragazzetto per poi riprendere con maggior foga. ‹‹Ti consiglio di cercare un’altra donna, è meglio. Tra l’altro, ho saputo che hai riscosso un gran successo tra le thírs! Persino Fulla e Hlin parlavano di te, davvero curioso! Quelle non parlano mai d’uomini, e in sincerità, ti dirò che sono strane, perché stanno sempre assieme e non mi convincono per niente. Ma ce ne sono tante altre con le quali puoi andare a colpo sicuro!››.

Hyoga si stropicciò la fronte, annoiato. Con quel suo modo di fare, Freyr gli ricordava Seiya, vedevano le donne come un bel passatempo, una visione talmente distante dal suo modo di pensare da farlo imbarazzare.

‹‹Grazie per il consiglio, ›› interloquì, ‹‹ma non sono interessato alle ragazze che lavorano a palazzo››.

‹‹Ti conosco da poco ma ti ho inquadrato!›› continuò Freyr, ignorando i tentativi di Hyoga di farlo tacere. ‹‹Mi è bastato vedere come hai guardato Edda!››. Si voltò ostentando con lo sguardo sul seno della ragazza. ‹‹È bella, vero? Fidati di me! Lascia perdere mia sorella, puoi benissimo trovare un’altra con cui divertirti! Non Edda, Björn non sarebbe molto contento che tu le mettessi le mani addosso!››.

‹‹Non succederà!›› lo tranquillizzò Hyoga. ‹‹So bene quello che devo fare››.

Freyr strinse gli occhi. Poi li spalancò e annuì gravemente con un sorriso di estrema comprensione.

‹‹Ah, ho capito!›› sussurrò. ‹‹Hai già scelto la tua preda! Chi? No, non lo dire, lo so! È Gna, vero?››.

‹‹Net, rádi boga ! Net…›› (7) mormorò Hyoga suscitando uno sguardo curioso di Freyr. ‹‹A me interessa tua sorella, ti dico››.

Freyr piegò la testa a destra e a sinistra, stringendo le labbra. ‹‹Sei testardo, Hyoga! Ma fa come vuoi, alla fine! Penso che per uno come te non sarà comunque difficile portarsela a letto! Sei bello, e lei sceglie solo quelli che lo sono!››.

Hyoga si stupì. ‹‹Net!›› si affrettò a spiegare. ‹‹Io non voglio adescarla! Non ci penso nemmeno!››.

‹‹Mi vuoi far credere che non la vuoi …››.

‹‹Freyr!›› lo interruppe Hyoga allarmato. ‹‹Per chi mi hai preso! Sono interessato a lei prima come persona, il resto verrà col tempo!››.

‹‹Lo dicono tutti!›› esclamò Freyr strizzando un occhio.

Hyoga era paonazzo. ‹‹Net, io non sono tutti!›› urlò battendo un pugno sul tavolo. Freyr si era sorpreso della sua reazione, e lui riprese con un tono più calmo. ‹‹Non voglio approfittare di tua sorella, non è nelle mie intenzioni. Non capisco nemmeno io cosa sto provando. So soltanto che, da quando l’ho vista per la prima volta, la mia vita non è stata più la stessa. Mi è mancata in tutto questo tempo ma ora che sono qui, ad un passo da lei…Tu non mi capisci, vero?›› disse infine disperato, notando lo sguardo inebetito di Freyr che si stropicciava il mento con una mano. ‹‹Insomma, vorrei stare con lei, alzarmi con lei la mattina e coricarmi con lei alla sera…››.

‹‹Vedi allora che avevo ragione…›› esclamò Freyr trionfante.

‹‹Neužéli, (8) non hai capito nulla, possibile che il tuo cervello vada in un’unica direzione. Prova a fare un ragionamento diverso! Tu pensi di amare una donna solamente perché la desideri. Io desidero tua sorella perché la amo!››.

‹‹Quindi?›› chiese Freyr sforzandosi di comprendere.

Hyoga sospirò profondamente. ‹‹Tua sorella mi ha stregato, Freyr. Vorrei poterle esprimere quello che provo. Ti dirò di più, anche se ti sembrerà strano: se fosse possibile la sposerei, subito!››.

‹‹Cosa?!››. Freyr era rimasto a bocca aperta e aveva gli occhi sbarrati per lo stupore. ‹‹Sposarsi? Che idea bizzarra…›› commentò sconcertato. ‹‹Anch’io sono stato innamorato, anzi m’innamoro spesso ma non penso certo al matrimonio››.

Hyoga scosse la testa. ‹‹Tu t’illudi perché in realtà ami il corpo delle donne, ma l’amore non è solo soddisfare i piaceri del corpo››.

‹‹Che sciocchezze dici?››. Freyr gesticolò con le mani e si burlò di Hyoga. ‹‹Meglio che smetti di bere, la birra ti dà alla testa! Stai dicendo delle cose senza senso, Hyoga››.

‹‹Credo fermamente in quello che dico, e non mi aspetto che tu mi capisca. Siamo molto diversi, in fondo››.

‹‹Che dici? Non vedo differenza tra noi due. Dico che uno non può zavorrarsi di una moglie solo perché…come hai detto…vorrebbe "alzarsi con lei la mattina e coricarsi con lei alla sera"…È da pazzi! Hai le idee un po’ confuse…››.

‹‹Anzi, le ho chiarissime›› disse Hyoga con naturalezza. ‹‹L’unico vero motivo che mi ha spinto a venire fin qua, è che vorrei stare con tua sorella. Sono sicuro dei miei sentimenti, non ho dubbi! E quando sarà il momento, senza fretta naturalmente, vorrei che volesse sposarmi››.

‹‹Non ho mai visto un ubriaco parlare tanto forbito›› commentò Freyr. ‹‹Forse non sei ubriaco, allora?››.

‹‹Net, mi dispiace averti deluso››. Hyoga s’appoggiò al tavolo e sostenne la testa con la mano. ‹‹C’è un gran problema, però…››.

Freyr alzò le spalle. ‹‹Certo che c’è, amico mio!›› sorrise con lieve una smorfia. ‹‹Te lo sogni che mia sorella ti sposi. Ha più uomini che capelli, non credo proprio che voglia perderli tutti per uno solo››.

Hyoga ci rimase male, ma passò oltre. ‹‹No…A parte che mi stai dicendo delle cose incredibili, il problema è un altro…››.

Freyr ascoltò bevendo, poi interruppe di nuovo Hyoga. ‹‹Se il problema è che sei impotente, allora ti consiglio di non pensare più a lei! Non si può andare avanti solo con le belle parole…››.

‹‹E dacci un taglio con queste supposizioni strampalate!›› sbottò Hyoga. ‹‹Il mio problema è questo››.

Con circospezione, Hyoga infilò una mano sotto il maglione ed estrasse la catenina d’oro dalla quale pendeva la Croce del nord. Freyr fissò l’oggetto luccicante e sobbalzò.

‹‹Per la barba di Odino, quella è una croce!›› esclamò. Subito si guardò attorno, per controllare se qualcuno avesse sentito, e si sporse sul tavolo abbassando la voce. ‹‹C’è chi t’infilzerebbe come un pollo sullo spiedo se ti vedesse addosso quella roba! Mettila via! Nascondila!››.

Hyoga nascose la croce e intrecciò le mani sul tavolo, guardando Freyr con la testa abbassata sul petto.

‹‹Se è uno scherzo, non mi ha fatto ridere!›› mormorò Freyr.

Hyoga strinse le labbra gonfiando le guance e fece di no con la testa.

‹‹Per Hel! Doppio guaio, allora!›› disse Freyr. Restò un momento in silenzio sforzandosi di non ridere. ‹‹Una volta ho sentito Hilda dire qualcosa…tipo che la religione è…come una specie di droga per il popolo…non ho capito bene…››.

‹‹La religione è l’oppio dei popoli…?›› indovinò Hyoga.

‹‹Proprio!›› esclamò Freyr puntando l’indice. ‹‹Non so cosa vuol dire ma non mi sembra lo stesso una bella cosa››.

‹‹In effetti, non lo è››.

Freyr fece qualche verso, burlandosi amichevolmente di Hyoga, poi ricominciò a ridere.

‹‹Un cristiano che vuole corteggiare mia sorella!›› sghignazzò. ‹‹Sarebbe da raccontare! Hadingus si spancerebbe se lo sapesse!››.

‹‹Sarebbe il caso che tenessi la bocca chiusa, invece! Ho già abbastanza problemi…›› disse Hyoga gravemente.

‹‹Ne hai davvero tanti! Hilda non ha mai visto di buon occhio quelli della tua risma! Mi sa che chiude un occhio giusto perché ti dobbiamo tanto!››. Freyr tirò su col naso, dopo che ebbe svuotato il suo boccale. ‹‹Senti un po’, ma se sei cristiano come puoi essere anche un guerriero del Santuario? Per voi non sono pagani tutti quelli che non credono nel vostro Dio Bianco?››.

Sempre le stesse domande, sempre la stessa risposta.

‹‹È una lunga storia›› sospirò. ‹‹Magari un giorno te la racconto!››.

‹‹Che venga presto, questo giorno, perché sono curioso e non mi piace aspettare troppo per ascoltare una bella storia!››.

Freyr afferrò per la camicia il ragazzo che li aveva serviti, gli regalò una moneta strizzando un occhio e gli chiese se poteva mandare Edda a portare un altro giro di birra.

‹‹Devo riconoscere che per essere un prete bevi bene!›› si complimentò Freyr abbozzando un mezzo applauso.

‹‹Frena la lingua, non sono un prete!›› rispose Hyoga prontamente. ‹‹Ma nelle mie vene scorre sangue russo, e ti assicuro che la vodka siberiana è una buona maestra›› aggiunse sorridendo.

‹‹Sarei proprio curioso di vederla questa…com’è che si chiama da dove vieni?››.

‹‹Siberia››.

‹‹Siberia!›› ripeté Freyr battendosi l’indice sulla fronte, come volesse costringersi a ricordare. ‹‹Per come me l’hai descritta, la paragono ad una terra fredda che si trova a est, e poi a nord, dove sono stati solo pochi uomini, e che si chiama Visu. (9) Alcuni Rus sono arrivati fino a questa terra, dove il giorno dura un’ora e la popolazione è tanto timida da non avere il coraggio di guardarsi in faccia. Ma sai che Hermóðr aveva ragione: parli proprio come uno di loro!››.

‹‹Si può sapere chi sono questi Rus?!›› chiese Hyoga seccato.

‹‹Sono commercianti che hanno navigato lontano, verso oriente, e poi lungo i fiumi di una terra di nome…Svíþjóð hinn mikla ! (10) Noi la chiamiamo Garðaríki. Gli abitanti di quel paese li chiamarono Rus, e da allora quei vichinghi si fecero chiamare così da tutti. Uhm, sono alti…di pelle chiara e coperti di tatuaggi dalla punta delle dita al collo! Molti di loro si sono stabiliti nel Garðaríki, hanno conquistato delle città e le hanno trasformate in grandi empori. Sono commercianti eccellenti, ma sono imbastarditi con la gente dei paesi che hanno conquistato, e parlano con un accento strano!››.

Hyoga annuì. ‹‹Strano come il mio?››.

‹‹Identico! Ma anche se parli come un Rus, l’importante è che tu sia un amico. Il resto può passare in secondo piano, anche il fatto che adori il Dio Bianco!››.

Risero di gusto, ma Hyoga smise presto. Non aveva ancora esaurito l’argomento che gli stava a cuore.

‹‹Vorrei che tu fossi sincero, Freyr›› esordì di colpo. ‹‹Anzi, sarò sincero io per primo. Desideravo da tempo venire ad Ásgarðr, ma mi mancava il coraggio. Fin quando, qualche giorno fa mi è capitata per le mani questa grande occasione. Lady Saori, per tua sfortuna, non avrebbe potuto partecipare perché altri impegni la trattenevano e dunque ho colto la palla al balzo, e mi sono offerto di partire al posto suo. Certamente desidero fare una buona impressione al Consiglio e m’impegnerò in questo senso, ma prima di partire vorrei poter concludere anche un’altra faccenda… di carattere strettamente personale››.

Freyr si umettò le labbra, osservando il viso supplichevole dell’amico.

‹‹Ebbene, se vuoi che sia sincero, lo sarò! Ma ciò che ti ho detto poco fa avrebbe dovuto già farti capire com’è l’andazzo›› disse Freyr tutto d’un fiato. ‹‹Per essere schietti, mia sorella non è una donna che s’accontenti d’un solo uomo, capisci, e non vedo perché dovrebbe farlo quando può averne quanti ne vuole! E tu sai bene che, in queste circostanze, un uomo che sia innamorato non può far altro che soffrire come un cane rognoso!››. Hyoga ascoltava esterrefatto, perché quelle parole colorite descrivevano una donna completamente diversa, paragonata all’angelo che aveva idealizzato nella sua mente durante quegli anni, e a quella dolce definita come il miele. Eppure Freyr, senza l’uso di sottili metafore, parlava di sua sorella sottolineandone l’aspetto lascivo e vizioso, sfaccettature nascoste di una persona che considerava la cosa più casta e pura su cui avesse mai posato gli occhi, la perfetta sintesi tra bellezza, grazia e virtù.

‹‹Per questo ti consiglio di dimenticarla, perché se ti fai intrappolare nella sua rete, non sarai altro che un pesce tra tanti e finirà che ti chiamerà solo quando avrà freddo nel letto! Che ti succede? Mi guardi con una faccia! Sei stato tu che hai chiesto la verità, e io te la dico! Mia sorella cambia amante al cambiare del vento! Ci vorrebbe un uomo che riuscisse a tenerle testa per domarla e le cose non cambieranno se non riuscirà a trovarlo. Potresti certo essere tu, non lo escluderei, ma non ti offendere se ti dico che, a vederti, mi sembri troppo sensibile per contrastare la sua furia quando si scatena. Hilda è un demonio, quando vuole! Persino Helgi la teme!››.

Hyoga s’impietrì con la bocca socchiusa e lo sguardo fisso su Freyr. Infine, sospirando, rincuorato e sollevato, rise.

‹‹Net, net…››.

‹‹Che dici, non capisco…››.

‹‹Sono stato troppo vago perché tu capissi di chi parlavo, in effetti! Entrambe le tue sorelle sono donne bellissime e sensuali, ma non è Hilda che mi ha preso il cuore. È Freija che occupa i miei pensieri: Ah! Mi sento sollevato al pensiero che tu m’abbia frainteso!››.

Rise ancora, sentendo svanire la tensione, ma Freyr s’era incupito e non alzava lo sguardo dal tavolo.

‹‹La notizia ti ha stravolto a questo punto…›› scherzò Hyoga.

‹‹A questo punto…›› mormorò Freyr schiarendosi la gola.

‹‹A questo punto cosa?››.

‹‹A questo punto avrei preferito che tu avessi scelto Hilda›› confessò Freyr titubante.

Hyoga deglutì più volte a vuoto. ‹‹Cosa significa?››. Freyr strinse le labbra e rimase in silenzio. ‹‹Freyr….›› chiamò con apprensione.

Il principe aprì la bocca per rispondere e nello stesso istante un urlo attirò la loro attenzione, seguito dal rumore di stoviglie che rotolavano a terra.

Videro Edda che si dimenava nel tentativo di liberarsi dalla presa di un uomo. La ragazza aveva lasciato cadere il vassoio e la birra si spargeva dai boccali sul pavimento.

‹‹Ah, ecco sprecata la nostra birra…››. Borbottò Freyr.

L’uomo cingeva con un braccio la vita della ragazza che si contorceva, cercando di evitare gli indesiderati baci del sudicio corteggiatore.

Hyoga osservò la scena fremendo di rabbia e si alzò di scatto quando Edda gridò di nuovo.

‹‹Cosa fa quel tipo!››.

‹‹Stai calmo!›› suggerì Freyr. Allungò prontamente un braccio per trattenerlo ma era tardi.

Hyoga attraversò la sala a grandi passi, sotto gli occhi di tutti, e si fermò davanti al tavolo dov’era seduto il gigante che ancora stringeva Edda.

Assieme al molestatore, erano seduti cinque uomini dall’aria rude che si voltarono contemporaneamente verso di lui. Hyoga non si fece intimorire dai loro sguardi torvi, né dalla superiorità numerica del piccolo gruppetto. Noncurante delle conseguenze, strinse con la mano sinistra l’avambraccio del gigante e, afferrando contemporaneamente con la destra il braccio della ragazza, la liberò dalla morsa di cui era prigioniera. Edda corse via e sparì dietro la porta della cucina.

Nella sala calò il silenzio. Il gigante era rimasto a bocca aperta e fissava sbalordito Hyoga, mentre tutti intorno restavano col fiato sospeso, nell’attesa di vedere cosa sarebbe successo. Alcuni uomini, i meno coraggiosi, gettarono delle monete sul tavolo e abbandonarono il locale in fretta, lasciando piatti e boccali mezzi pieni.

Freyr era rimasto seduto per non aggravare la situazione e osservava la scena da lontano, ma strofinava nervosamente le mani sulle cosce. Hyoga aveva agito d’impulso, senza pensare, ma continuava a sfidare quell’energumeno che, alla fine, avrebbe reagito in qualche modo all’offesa subita. Forse si sarebbe fatto una risata e avrebbe invitato Hyoga a bere con lui, lodandolo per il suo coraggio. Nella peggiore delle ipotesi, ed era la cosa più probabile considerando i brutti ceffi che sedevano con lui, l’avrebbe pestato come i contadini fanno col mosto.

Sono fatti così gli eroi, pensò, devono raddrizzare tutti i torti del mondo e non si preoccupano delle conseguenze!

Alla fine il gigante si mosse. Freyr si lasciò sfuggire un’esclamazione quando lo vide alzarsi in piedi. L’uomo sembrava grosso da seduto ma ora che si ergeva in tutta la sua altezza era impressionante. La figura di Hyoga spariva paragonata alla mole del gigante. Il mostro, con le larghe spalle e le braccia nerborute e troppo lunghe, lo sovrastava di almeno trenta centimetri e stava dritto, fermo sulle tozze gambe, leggermente divaricate. Apriva e chiudeva le ampie mani che sembravano due pietre tanto erano callose. Il suo volto era segnato da profonde rughe d’espressione, la bocca era deformata in un sorriso contorto che discordava con l’espressione arcigna che gli conferivano le sopracciglia perennemente corrugate.

Freyr deglutì rumorosamente e tentò di scacciare dalla mente l’immagine del gigante che faceva a pezzi il povero Hyoga.

‹‹Hai appena fatto scappare la mia donna!›› ringhiò l’energumeno. ‹‹Ti conviene sparire!››.

Hyoga, fiero e spavaldo, sorrise a quelle parole e rispose in tono calmo e insieme deciso.

‹‹Avresti dovuto chiedere il permesso, prima di metterle le mani addosso!››.

Il gigante spalancò gli occhi e diventò paonazzo dalla rabbia. Alzò un braccio e spinse con l’indice sul petto di Hyoga, facendolo vacillare.

‹‹Cerchi rogna, utlänning?››.

Freyr soffiò aria dalle narici, stringendo i pugni sulle cosce.

Ha del coraggio un maledetto gigante a dare dello straniero a Hyoga! Nessuno di loro dovrebbe mai più mettere piede ad Ásgarðr!

Hyoga intanto riprese la posizione, passandosi una mano sul petto. Si era rabbuiato in viso, seccato, eppure parlo con calma.

‹‹No, non voglio battermi, purché tu lasci in pace la ragazza!›› rispose freddamente.

Il gigante scoppiò a ridere e alzò le braccia in un gesto di rassegnazione. Gli uomini al tavolo gli fecero eco e uno di loro urlò. ‹‹Che ti prende, utlänning? Non avrai paura adesso?››.

Continuarono a ridere e Freyr provò a convincersi che aveva forse evitato un guaio. Era già strano trovare un gigante entro le mura d’Ásgarðr, e la situazione si complicava ulteriormente perché, tra gli uomini del tavolo, ne identificò uno in particolare, un certo Eirik, un mascalzone che rubava un borsello solo per potersi chiudere in un’osteria a bere, o per pagare una prostituta. Si era battuto con lui una volta e gli aveva lasciato, a ricordo della scaramuccia, una mutilazione all’orecchio destro. Freyr si fece piccolo e sperò che tutto si risolvesse con quella risata di gruppo. Hyoga scosse la testa, anche lui sollevato, e fece per girarsi ma si sentì afferrare per la camicia.

‹‹Dove stai andando? Mi hai offeso davanti a tutta questa gente e ora voglio soddisfazione!›› esclamò il gigante ridiventando serio.

‹‹Hólmganga!›› gridarono alcuni uomini nella sala. ‹‹Hólmganga !››. (11)

Hyoga rimase sconcertato, non conoscendo il significato di quella parola. Freyr invece scattò in piedi, preoccupato per l’amico. Se il gigante avesse sfidato Hyoga, non sarebbe stato per lui possibile rifiutare senza essere marchiato come vigliacco. In quel momento si avvicinò Björn.

‹‹Viddi, lascia perdere il ragazzo!›› intervenne Björn. ‹‹Adesso siediti, anche tu!›› disse a Hyoga. ‹‹Sedetevi, vi porto un altro boccale!››. Chiamò suo figlio, il ragazzetto pelle e ossa che serviva ai tavoli, che osservava eccitato la scena. ‹‹Bjarki, veloce, porta altra birra!››.

Il figlio dell’oste si mosse svogliatamente, perché non voleva perdersi quel litigio, e si fermò di scatto quando Viddi il Lento parlò di nuovo.

‹‹Vattene, Björn! Non sono affari tuoi! L’utlänning mi ha provocato!››.

‹‹Sfidalo, Viddi!›› suggerì uno della sua comitiva.

L’oste, che era pure un omone, indietreggiò di qualche passo, e Hyoga, approfittando della piccola distrazione dell’avversario, tentò di liberarsi dalla mano del gigante, ma la presa era salda e il gigante lo strattonò.

‹‹Non ci provare, piccolo uomo! Potrei ucciderti con una mano sola, se volessi!›› minacciò con un sorriso ironico che rivelava una fila di denti gialli e storti.

‹‹Provaci, piccolo uomo!›› lo provocò Hyoga.

In un attimo il gigante caricò il destro e lo colpì al volto. Il rumore del pugno fu accompagnato dal trambusto che provocò Hyoga quando piombò addosso ad un tavolo: Gli uomini seduti fecero appena in tempo ad alzarsi prima che il russo rovesciasse tutto. Freyr corse a soccorrerlo e assieme a lui arrivò Björn.

‹‹Tutto bene, Hyoga?››.

‹‹Niente di rotto…come accidenti ti chiami?›› s’informò l’oste un po’ perplesso.

‹‹Aj!›› esclamò Hyoga mettendosi a sedere. ‹‹Kakoj tumák !››. (12)

‹‹Per Odino, vaneggia!›› disse Björn. ‹‹È più grave di quanto credessi! Ha battuto la testa!››.

‹‹No, non ti preoccupare›› assicurò Freyr ‹‹Sta benissimo! Solo un po’ sorpreso…››.

‹‹K čjortu, Freyr ! (13) Benissimo un accidente›› ribatté Hyoga scrollando la testa. ‹‹Mi ha spaccato un labbro!››.

Si passò la lingua sul labbro inferiore perché sentiva colare il sangue. Strinse forte i pugni, e l’aria attorno a lui cominciò a farsi fredda. Subito Freyr gli posò una mano sulla spalla.

‹‹Attento Hyoga! Non qui!›› gli sussurrò all’orecchio, gettando subito un’occhiata all’oste. ‹‹Hai già fatto parlate di te abbastanza!››.

L’aura gelida del cosmo di Hyoga si spense e Freyr notò con piacere che Björn non si era accorto di niente. Si girò a guardare Viddi che si vantava della meschina vittoria con gli amici, rideva sguaiatamente e mostrava i muscoli. Hyoga si era ripreso e osservava furioso il gigante che stava tracannando birra.

‹‹Te la sei cavata con un labbro rotto, risparmia il resto della tua bella faccia!›› suggerì Freyr battendogli una mano sulla spalla. ‹‹Qui si può entrare armati, nessuno lo impedisce, e quella è gente che mette mano alla spada con troppa facilità!››.

Hyoga non accolse il suggerimento. Non appena si sentì libero di muoversi, si alzò di scatto e Freyr realizzò troppo tardi quello che stava succedendo.

Hyoga si scagliò contro il suo avversario, rapidissimo. Viddi, che gli dava le spalle, si girò giusto in tempo per incassare un primo violento colpo all’imboccatura dello stomaco. Con un secondo colpo, diretto al boccale di legno, Hyoga calciò la mano del gigante che si colpì da solo al volto rompendosi il naso. Si rimise subito in posizione di difesa, guardando alternativamente l’energumeno che strillava come un maiale, tenendosi le mani sul naso sanguinante, e gli altri cinque uomini che fissavano esterrefatti il loro amico ferito.

‹‹Chi colpisce a tradimento un avversario, merita lo stesso trattamento!››.

‹‹Mi hai rotto il naso, maledetto!›› ringhiò Viddi digrignando i denti insanguinati. Tentò un attacco, gettandosi su Hyoga a testa bassa e menando i punti davanti a sé.

Hyoga si spostò di lato per evitare la carica, e tese la gamba. Viddi inciampò e cadde goffamente a terra rovesciando un altro tavolo.

‹‹Fermi! Fermi!›› gridò Björn mettendosi le mani nei capelli.

Il gigante si alzò di scatto e brandì minaccioso un coltello recuperato tra le stoviglie rotte.

‹‹Hyoga, ha un coltello!›› gridò Freyr allarmato.

Il russo sollevò uno sgabello e con un balzo si portò dietro l’energumeno prima che potesse avvantaggiarsi dell’arma. Colpì Viddi sulla coppa con tutta la sua forza, frantumando il panchetto, e l’osservò vacillare e accasciarsi a terra come un sacco di patate. Mosse un passo indietro e con un ampio gesto della testa spostò una bionda ciocca di capelli che gli copriva gli occhi.

‹‹Adesso sei contento, stupido d’un gigante!›› mormorò inginocchiandosi per assicurarsi che Viddi respirasse ancora.

Non era soddisfatto di quella vittoria, forse si sarebbe potuto evitare quella scazzottata. Bjarki saltava ed elogiava il vincitore, che era diventato il suo eroe. Corse vicino a Hyoga e lo prese per mano.

‹‹Siete forte, hersir! Nessuno aveva mai sfidato Viddi il Lento! Neanche mio padre, che è grande e grosso, vuole mai trovare da discutere!›› urlò il ragazzino indicando l’oste che si stava strappando i baffi dalla disperazione.

‹‹Allontanati da lì, monello! Comincia a pulire piuttosto!›› lo sgridò suo padre.

Bjarki aveva compiuto appena dieci anni ma si sentiva già un uomo. Incrociò le braccia sul petto e fece il broncio perché non gli piaceva essere sgridato quando c’era della gente attorno. Hyoga gli sorrise e gli posò una mano sulla testa stropicciandogli i capelli. Alzò lo sguardo e vide che gli uomini al tavolo si stavano alzando.

‹‹Ora vai, campione, obbedisci a tuo padre!›› lo esortò Hyoga gentilmente. Il ragazzetto si toccò i capelli, inorgoglito da quella carezza e corse via soddisfatto.

Freyr osservava stupefatto il russo, sempre tranquillo e gentile, che aveva mostrato il temperamento di un vero guerriero nel momento del bisogno. Era rimasto sempre lucido, e con pochi colpi mirati aveva sconfitto il suo avversario. La calma era la vera forza di Hyoga. Purtroppo i guai non erano finiti perché i cinque uomini si avvicinavano minacciosi al russo.

‹‹E bravo il nostro utlänning!›› si complimentò sarcasticamente Eirik, indicando con un ampio gesto Viddi. Fissò per un attimo Hyoga e s’illuminò in viso.

‹‹Cosa abbiamo qui!›› esclamò stupito, lanciando un’occhiata d’intesa ai suoi compagni. ‹‹Sei l’utlänning che è arrivato ieri?!››. Poi continuò con aria sprezzante, girando la testa in direzione dei quattro uomini alle sue spalle, senza però distogliere lo sguardo da quello di Hyoga. ‹‹Questo moccioso, dicono, è il nuovo scaldaletto della sacerdotessa! Bravo, gagliardo! Vedremo quanto durerà…››.

Ora capisco cosa intendeva Hilda…

Freyr, che al contrario di Hyoga mancava totalmente di sangue freddo, rispose immediatamente.

‹‹Modera le parole, Mezz’orecchio!›› urlò avvicinandosi e affiancando Hyoga. ‹‹O vuoi un’altra lezione?››.

L’attenzione del gruppetto si spostò su Freyr che stava ritto con le mani sui fianchi.

‹‹Guardate un po’!›› ringhiò Eirik, ‹‹C’è anche il principe bastardo! Che bell’accoppiata!››. Freyr era rosso in volto e stringeva i denti per la collera. ‹‹T’eri nascosto per non farti vedere, principe bastardo?››.

‹‹Povero Freyr, ferito nell’orgoglio!›› continuò un altro uomo. Mentre parlava gesticolava con la destra, gli mancava una falange del pollice. ‹‹Ma questa è la verità! Tu sei un bastardo!››.

I cinque uomini presero a ridere e a burlarsi di lui. Freyr voleva intervenire, fremeva di rabbia, ma Hyoga lo trattenne per un braccio.

‹‹Ho già fatto uno sbaglio io, cerchiamo di non peggiorare la situazione! Ti vogliono solo provocare. Forse, quando avranno riso a sufficienza, ci lasceranno andare›› disse sottovoce.

‹‹Non credo!›› rispose preoccupato Freyr. ‹‹Hai appena steso uno dei loro e conosco bene quello con l’orecchio tagliato… per via di una vecchia storia. Gliel’ho tagliato io l’orecchio e temo che ne approfitterà per prendersi la rivincita… ››.

‹‹Non ho dimenticato, principe bastardo!›› urlò infatti Eirik toccandosi l’orecchio. ‹‹Tu mi hai fatto questo regalo, maledetto, e ora voglio ricambiare! Vogliamo vedere se le donne ti guarderanno ancora quando avrò finito con te, ladro di femmine!››. Eirik estrasse un pugnale e se lo passò da una mano all’altra. Freyr istintivamente appoggiò la destra sull’elsa della spada che gli pendeva dalla cinta.

‹‹Ladro di femmine…›› riprese Hyoga. ‹‹Avete litigato per una donna?!››.

‹‹Sono cose che capitano…››.

‹‹Alla fine siete tutti una famiglia, perché cambiare letto è anche il passatempo preferito dalla nostra cara e rispettata Signora!›› disse un terzo uomo, alto e secco come un palo. ‹‹C’è soltanto da sperare che Freija prenda esempio da Hilda! Se mi passasse per le mani saprei io come farla divertire …›› esclamò accompagnando le parole con un gesto osceno.

Hyoga sgranò gli occhi. Offeso dal comportamento volgare, recuperò da terra una gamba del panchetto frantumato, e la lanciò in direzione dell’uomo che fu colpito in pieno volto. Era calato nuovamente il silenzio riempito solamente dalle urla dell’uomo e dalla risata isterica di Freyr. Hyoga lanciò un’occhiata d’intesa a Freyr che rideva a crepapelle ma aveva già sfoderato la spada.

‹‹Mettete via le armi, vi supplico!›› gridò Björn riparandosi dietro ad un tavolo. ‹‹Via le armi!››.

Edda corse a nascondersi trascinando con la forza suo fratello Bjarki che invece voleva assistere alla rissa.

Eirik si lanciò a testa bassa contro il principe puntando in avanti il pugnale ma non poté molto contro la lunga lama di Freyr. Attaccò con impeto, motivato dal profondo odio contro l’uomo che l’aveva deturpato. Freyr parava i colpi con facilità, mantenendosi a distanza e al sicuro. Altri avventori lasciarono la sala e i pochi che restarono, compresi i soldati della guardia, s’esaltarono per la scaramuccia gridando e incitando il principe e il suo coraggioso e sconosciuto compagno.

I quattro soci di Eirik, che avevano accerchiato Hyoga, si distrassero quando sentirono urlare il loro capo, abilmente disarmato da Freyr. Allora, approfittando del vantaggio della sorpresa, il russo si tuffò verso due di loro, allargando le braccia e buttandoli a terra entrambi.

In un attimo, l’utlänning e il principe ingaggiarono una scazzottata e trasformarono il salone in un campo di battaglia, rovesciando i tavoli e fracassando le stoviglie. In mezzo alla bolgia, che coinvolse tutti gli uomini rimasti, i due menavano cazzotti a destra e a manca ma non mancavano di riceverne. Nella confusione generale, eliminate le armi, tra calci e pugni, ci si picchiava anche tra amici perché non c’era il tempo di controllare se si stava per colpire un compagno o un nemico.

Eirik e i suoi compagni si difendevano bene, ed erano in superiorità numerica, ma la fortuna girò quando l’oste decise di partecipare alla zuffa. Passata la disperazione del vedere distrutto i suoi averi, Björn aveva rinunciato alle parole ed era passato ai fatti, intrufolandosi nella massa. Le sue grandi mani colpivano, ora con un pugno, ora con uno schiaffo, qualunque cosa incontrassero sulla loro strada.

Hyoga, abituato a combattere, si stancava poco e picchiava forte, mentre Freyr si aiutava con tutto quello che gli capitava per le mani. Era meno prestante di Hyoga e meno allenato, ma aveva dalla sua una gran carica di rabbia da smaltire per le offese e molta grinta.

Durarono una buona mezz’ora a darsele di santa ragione e alla fine, quando l’ultimo dei cinque attaccabrighe cadde tramortito dai pugni, gli animi si placarono e la scazzottata finì. A piccoli gruppetti i malcapitati che erano stati coinvolti abbandonarono l’osteria trascinando via gli amici che non ci riuscivano da soli. I soldati, gonfi in faccia, passarono di fianco a Freyr e a Hyoga e si complimentarono con loro, perché si erano comportati bene.

I due amici rimasero soli a contemplare il danno che avevano combinato. Non era rimasto un solo tavolo, o una panca, in piedi e non si contavano i cocci per terra e i litri di birra andati sprecati. Edda aprì la porta della cucina, dove si era rifugiata e lanciò un grido disperato, mentre il piccolo Bjarki correva da una parte e dall’altra fingendo di colpire immaginari avversari e festeggiando la fantastica vittoria.

‹‹Čjort voz’mí , che disastro!›› (14) esclamò Hyoga, osservando la stanza sottosopra e massaggiandosi una guancia.

‹‹Anche stavolta porto a casa tutti i denti!›› esultò Freyr infilandosi una mano in bocca. Sanguinava dal naso e aveva un taglio su un sopracciglio, ma era visibilmente soddisfatto. ‹‹Buttiamo l’immondizia?›› disse indicando i corpi che giacevano inanimati nella stanza.

I cinque sgherri furono buttati in strada, uno per volta, dove l’aria fresca li avrebbe aiutati a riprendersi. Björn aveva preso uno sgabello, forse l’unico rimasto intatto, e si era seduto vicino al camino, dove si stavano spegnendo le ultime braci. La sua disperazione era grande mentre osservava i due giovani che faticavano senza muovere un dito. Gli stavano risparmiando il grosso del lavoro: cacciare via gli ubriachi o, in quel caso, gli svenuti. Si alzò solamente quando Hyoga e Freyr tentarono di spostare Viddi il Lento, che dormiva profondamente e non si svegliò nemmeno quando lo lasciarono cadere e batté la testa sulla strada lastricata.

I tre uomini rimasero per un attimo sull’uscio e respirarono la gelida aria della notte.

Poi Freyr, ancora in vena di scherzare, si girò verso Björn. ‹‹Bello quell’occhio nero! Ti dona››.

Hyoga non riuscì a trattenersi dal ridere e Björn li spinse fuori a fare compagnia agli altri disperati.

‹‹È vera quella cosa che ha detto Eirik a proposito di te e Hilda?›› chiese Freyr.

Hyoga e Freyr camminavano stancamente su per la piccola salita che portava alla cinta interna. La strada ghiacciata rifletteva il chiarore della luna e si stagliava bianca davanti a loro, in contrasto col nero indistinto di ciò che li circondava.

‹‹A?››.

‹‹É vero che sei stato a letto con mia sorella…Hilda?››. Freyr corrugò la fronte, dubbioso. ‹‹Cos’è le vuoi tutt’e due?››.

‹‹Certo che no!››.

‹‹Allora è una chiacchiera?››.

‹‹Ajda, Freyr ! Non potrei mai fare una cosa del genere!››. (15)

‹‹Vero››.

‹‹E a proposito di Eirik e dell’orecchio?›› chiese Hyoga.

‹‹Quella era la verità!››.

La temperatura era scesa di molto e le loro parole erano accompagnate da bianche nuvolette di fiato congelato.

‹‹Dovresti fartela raccontare da Björn, questa storia, perché la conosce bene!›› cominciò a raccontare Freyr.

‹‹Credo che non vorrà vederci, per un po’››.

‹‹Ero là a bere, una sera di qualche tempo fa, solo come un cane perché nemmeno Skirnir era voluto venire! Ad essere sinceri, la cosa non è andata molto diversamente da stasera, perché ho bevuto e ho mangiato, e me ne stavo seduto a farmi gli affari miei! Ero lì tutto solo ed ecco che si avvicina Edda, la figlia di Björn, che è molto bella, e si ferma a chiacchierare››. Tirò su col naso e sputò per terra. ‹‹Quella è stata una delle poche volte in vita mia che ho parlato con una donna! Insomma, mi stavo comportando in maniera assennata, perché Björn è un vecchio amico, che conosceva mio padre e ha combattuto con lui, e dunque non volevo fargli torto.

‹‹D’un tratto si fa avanti quell’uomo, Eirik, la prende per un braccio e l’allontana, insultandomi e dicendomi che gli avevo rubato la donna. Io cerco di parlargli ma lui mi dà un cazzotto in faccia, e io glielo rendo. Proprio com’è successo stasera con te! Quella volta Björn è intervenuto e l’ha fatto uscire. D’altronde, Eirik non è grosso come quel gigante puzzolente di Viddi! Gli ha detto che se avesse ancora importunato sua figlia non avrebbe potuto mettere piede nella sua casa senza trovarsi un coltello piantato nella schiena!››.

‹‹E l’orecchio?›› chiese Hyoga.

‹‹Questo è l’antefatto!›› continuò Freyr fermandosi di scatto. Riprese a camminare quando ricominciò a raccontare. ‹‹Quando sono uscito, qualche ora dopo, il maledetto m’aspettava, con un altro di cui non so il nome ma che riconoscerei passassero cent’anni, che era seduto al tavolo con lui, perché voleva farmi la pelle. Come vedi non c’è riuscito!››.

‹‹Come hai fatto solo contro due?››.

‹‹Eirik è un guerriero da quattro soldi, incapace e borioso. Difatti si accoda sempre a compagnie numerose o a qualcuno più svelto di lui, di cervello e di mano!››.

‹‹Allora, se ho ben capito, era il suo compagno che avrebbe dovuto ucciderti››.

‹‹Diciamo che avrebbe dovuto difendere quell’incapace di Eirik se si fosse trovato nei guai›› precisò Freyr agitando l’indice. ‹‹Eirik ha agito per primo, menando in aria quel suo pugnale spuntato, ma mi ha mancato. Con lui è stato sufficiente un colpo mirato, quello che gli ha portato via un pezzo d’orecchio, e una pedata ben assestata nel didietro!››. Freyr mimò la sciabolata, come se brandisse davvero la sua spada, e alzò la gamba fingendo di dare una pedata. Poi si rizzò dritto e guardò Hyoga. ‹‹L’altro uomo però era diverso, abile con la spada e veloce sulle gambe. Talvolta mi capita di ripensare a quella sera e, ogni volta, mi chiedo come potesse stare con Eirik un tale guerriero. Voleva uccidermi ma sembrava volerlo per sé, non perché gli fosse stato chiesto››.

‹‹Dici?››.

‹‹Lui mi ha sfidato e mi ha affrontato alla pari, mentre avrebbe potuto attaccarmi alle spalle e finirmi con un solo colpo. Io non mi ero accorto di lui, vestito di nero e avvolto in un mantello scuro, nascosto come un’ombra tra le ombre. Un disperato, uno come il Mezz’orecchio, avrebbe colto l’occasione al volo attaccando alle spalle, ma quell’uomo mi ha volontariamente avvertito della sua presenza e, forse, avrebbe meritato di vincere, perché mi superava di gran lunga in bravura››.

‹‹L’hai ucciso?›› chiese Hyoga.

‹‹No!›› rise Freyr. ‹‹Sono vivo per miracolo, perché passò di lì una pattuglia della Guardia ed egli, nonostante la sua abilità e scaltrezza, non avrebbe potuto competere con me e venti soldati scelti messi assieme››. Freyr fece una pausa e sembrò tornare con la mente a quell’avventura. ‹‹Avrebbe vinto, senz’ombra di dubbio, e io adesso sarei un mucchio d’ossa sotto due metri di terra! Ad ogni modo, dopo quello spiacevole eppure eccitante incontro, mi sono dedicato con maggior impegno all’esercizio con le armi, per me, ma soprattutto in attesa d’incontrare nuovamente quel misterioso uomo››.

‹‹Prima o poi ti dimenticherai di lui. È inutile covare rancore a lungo, non giova alla salute!››

‹‹Eirik non ha dimenticato che gli ho tagliato l’orecchio e io, al pari di lui, non dimentico questo!››. Abbassò il colletto della casacca, spostando il mantello, e mostrò a Hyoga una sottile cicatrice di almeno quattro pollici che dalla base del collo gli scendeva sul petto. ‹‹Si rifarà vivo, perché vuole un’altra sfida! Sono sicuro!››.

Hyoga alzò le spalle, rassegnato. Freyr non parlò più, tranne quando diede la voce ai soldati di guardia alla cinta interna perché aprissero le porte. Arrivarono quasi al palazzo e Freyr si fermò in mezzo al piazzale di fronte all’edificio.

‹‹Hai sonno?›› chiese.

Hyoga rifletté per un attimo, poi scosse la testa. ‹‹Net››.

La Casa della Guardia era un grande edificio su un piano, circondato da un ampio piazzale che comunicava con le scuderie, a quell’ora buie e deserte. Entrando attraversarono un lungo e tetro corridoio sul quale si aprivano numerose stanze, e, lanciando occhiate veloci quando le porte erano aperte, Hyoga vide che erano stipate di attrezzi e armi.

Il corridoio terminava in un ampio salone, poco illuminato e freddo perché dalle finestre senza vetri entrava l’aria gelida della notte che le pesanti tende non riuscivano a trattenere. Nel colossale camino, al centro della sala, bruciavano tre grandi ceppi. Il focolare era una grande pietra piatta e la cappa, formata da una piramide di pietra e legno, non funzionava bene perché dalla rudimentale struttura usciva molto fumo. Attorno al camino erano sistemate quattro lunghe panche, su ognuna delle quali potevano sedere comodamente, l’una accanto all’altra, anche dieci persone.

Un ragazzo, seduto su una di quelle panche, vicino ad un vassoio pieno di carne fumante, era incaricato di girare due grossi spiedi sui quali arrostivano lentamente, spandendo un gustoso odore, una porchetta e un paio di lepri.

Hyoga si sorprese del numero di soldati che s’erano raccolti nell’ambiente, oltre un centinaio, impegnati nelle attività più disparate. Alcuni di loro, a turno, andavano a servirsi dal vassoio tagliando grossi pezzi di carne da mettere su larghe fette di pane, utilizzate come piatti, che così s’intridevano del sugo delle carni arrostite. Mangiavano con gusto con le mani o aiutandosi con un coltello, e si alzavano solo per riempire i corni alla botte della birra o per prendere altra carne. Alcuni cani correvano da una parte all’altra della sala, reclamando cibo con abbai e guaiti, ricevendo una carezza o un osso, e qualche volta anche un calcio.

Nella confusione generale, tra tante voci grosse, grida e rutti, Hyoga individuò alcune voci femminili. In un angolo, infatti, Hyoga intravide Gna, l’ancella di Hilda, e altre due ragazze in penombra, che chiacchieravano e civettavano sedute al tavolo con alcuni giovani soldati. Uno era Brinir, il giovane che aveva visto quel pomeriggio nelle scuderie. Se ne stava in panciolle, abbracciato ad una ragazzina dai capelli biondi e ondulati che somigliava incredibilmente a Freija.

Si fermò di scattò, impietrito fissando lo sguardo su quella ragazza, pallido come avesse visto un fantasma. Poi, dalla altra parte della sala, un altro giovane soldato chiamò a voce alta, e la ragazza alzò la testa.

‹‹Tia! Tia, vieni qui un momento!››. La thír si sciolse dall’abbraccio di Brinir e corse via ridendo.

‹‹Oh!›› urlò Freyr scuotendolo per una spalla col suo solito garbo. ‹‹Ti sei imbambolato a guardare Gna?››.

‹‹Net, macché!›› rispose Hyoga sollevato. ‹‹Andiamo pure!››.

Come ho potuto anche solo pensare di trovarla in un posto simile?

Attraversarono il salone, diretti verso il tavolo dove Helgi beveva da un grossolano boccale di legno e giocava a dadi con Hermóðr.

‹‹Che avete combinato per essere così pesti?›› chiese Helgi squadrandoli.

‹‹Quelli che ce la hanno date erano ridotti peggio, vero Hyoga? Ah!›› gridò Freyr, salendo sulla panca per attirare l’attenzione. ‹‹C’era un gigante schifoso e puzzolente, proprio dentro le mura d’Ásgarðr, che faceva il gradasso ma il mio amico, Hyoga, gli ha chiuso la bocca! Dovevate vedere che botte!››.

‹‹Bravo, Rus! Ben fatto!›› gridarono alcune guardie. ‹‹Devono tornare a casa loro quei maledetti mostri!››.

‹‹No, devono andare tutti in Hel!››.

‹‹Brindiamo al coraggio del Rus!›› invitarono i tre soldati che avevano partecipato alla scazzottata. ‹‹Il Rus lo ha pestato bene! C’eravamo anche noi l’abbiamo visto con i nostri occhi!›› confermarono.

‹‹Sei già famoso, Rus!›› si complimentò Helgi.

Hyoga sembrò seccato, ma ormai tutti lo chiamavano a quel modo e non poté fare a meno di accettare quel soprannome.

‹‹Grazie, non è stato niente di speciale››.

‹‹E tutto per difendere una donna!›› disse Freyr. Helgi e Freyr cominciarono a ridere mentre Hermóðr, composto, rimproverò Freyr.

‹‹Uno di questi giorni ti farai ammazzare, scavezzacollo!››.

‹‹Abbiamo distrutto tutto… ›› dichiarò Freyr con orgoglio. Poi raccontò nei minimi dettagli ciò che era successo.

Hermóðr continuò a lanciare i dadi, da solo, fischiettando un allegro motivetto, totalmente disinteressato alla concitata narrazione, mentre Helgi, appoggiandosi con gli avambracci sul tavolo, sporgendosi in avanti per sentire meglio, ascoltò l’intera storia con vivo interesse, accogliendo con piacere quel diversivo.

Nella sala le guardie, dopo l’interruzione, ripresero le loro occupazioni. Hyoga vide in un angolo buio della sala Magni e Thorgall. Erano isolati dagli altri, parlavano animatamente tra loro e gareggiavano nel lancio dei coltelli, cercando di colpire una stretta striscia di cuoio, appesa ad un’asse di legno a qualche metro di distanza. Il capitano aveva un lancio sicuro e preciso, e centrava ogni volta il piccolo bersaglio, mentre i coltelli di Thorgall caddero a terra più di una volta. Il soldato correva a recuperare gli esili pugnali di Magni e raccattava quelli suoi, più scadenti, preoccupandosi di tanto in tanto di affilarli, sputando sulla cote che teneva a portata di mano infilata nei calzoni. Per un attimo Hyoga incrociò gli occhi del fulvo capitano, e Magni sgarbatamente finse di non vedere.

Vicino ai lanciatori di coltelli, su un pericolante tavolino, accovacciati su piccoli sgabelli a tre gambe, due corpulenti soldati si lisciavano la barba, osservando con attenzione e gran concentrazione una scacchiera, impegnati nello hnefatafl. Hyoga avrebbe voluto giocare ma Hermóðr glielo sconsigliò caldamente.

‹‹Ivar è un bravo giocatore ma è frettoloso e insofferente, mentre Conar, che dei due è quello con i baffi, non ama perdere e ha la lingua lunga. Conar perde e accusa Ivar d’essere un baro e poiché non conoscono le mezze misure e non riescono a trovare una soluzione, la partita finisce, nella maggior parte dei casi, in un’accesa discussione. Per la tua incolumità, ti consiglio di restare a guardare!›››.

‹‹Grazie per avermi avvertito! Ora so perché sono così presi e rossi in volto››.

‹‹Se proprio vuoi giocare, ti sfiderò io!›› rise Freyr. ‹‹Non sono bravo come Ivar ma me la cavo piuttosto bene››.

‹‹Tu vinci perché bari›› lo apostrofò Hermóðr. Agitò il bossolo e lo rovesciò sul tavolo, osservando attentamente il risultato del lancio. ‹‹Che sfortuna!›› esclamò, guardando di sottecchi Helgi che esultava per l’ennesima vittoria. ‹‹Devi sapere›› disse all’indirizzo di Hyoga, ‹‹che Freyr riesce a barare persino nel gioco dei dadi! Riusciva a vincere usando dadi truccati, che avevano una faccia resa più pesante delle altre con del ferro!››.

Hermóðr fece divertire Hyoga, narrandogli molti altri aneddoti sulle astuzie adottate dal principe per vincere nei vari giochi, ma Freyr li ignorava, impegnato a guardare Gna che s’era messa a ballare, seguendo coi suoi fluidi movimenti la musica di un’arpa, un flauto e un tamburello suonati da giovani soldati musicisti. Tutt’intorno, ormai brilli, gli uomini, ignorando la presenza delle tre donne, cominciarono ben presto a cantare scollacciate canzoni, battendo i boccali sui tavoli e i piedi per terra.

Quando si fu stancata di ballare, Gna si fermò e, accorgendosi dello sguardo insistente di Freyr, si diresse velocemente al tavolo dove sedeva.

‹‹Buonasera, Freyr›› salutò con voce melliflua inchinandosi davanti al principe. Salutò garbatamente anche gli altri e, dopo aver lanciato un’occhiata profonda e soddisfatta alla panca su cui sedevano Hyoga e Freyr, si precipitò fra i due, prendendoli entrambi sottobraccio, sporgendosi ora verso l’uno ora verso l’altro per mettere in mostra le rotondeggianti curve del seno.

Hyoga restò immobile, cercando di ignorare gli abili tentativi della thír di attirare la sua attenzione. Gna restava in silenzio, ascoltando le conversazioni senza interrompere e senza intromettersi, ma si sporgeva continuamente verso di lui, ora sfiorandogli accidentalmente una coscia con la mano, ora premendogli il seno contro il braccio con malcelata innocenza, e, dall’altra parte, lasciandosi accarezzare da Freyr e regalandogli sorrisi complici. Nonostante l’aria gelida che filtrava con prepotenza dalle tende alle finestre, Hyoga sentiva un gran caldo e anzi sentiva scendere, di tanto in tanto, qualche goccia di sudore lungo la schiena. Sospirò di sollievo quando Gna prese finalmente una decisione, liberandogli il braccio e appoggiandosi a Freyr, più sciolto, che le cinse amorevolmente la vita con un braccio.

Quando i musicisti smisero di suonare, uno dei soldati cominciò a narrare di come furono riparate le possenti mura d’Ásgarðr, gravemente danneggiate durante la guerra tra gli Asi e i Vani, e di come nacque Sleipnir, il veloce cavallo a otto zampe. Era quella, come del resto tutte le leggende, una storia ben nota a tutti ma la poesia e i racconti leggendari erano particolarmente apprezzati, tanto che nessuno avrebbe mai rifiutato di ascoltare o impedito a qualcuno di raccontare le leggende degli dèi e degli eroi, che erano trasmesse a voce, di generazione in generazione. Calò quindi il silenzio nel salone, quando Snorri, soprannominato lo Skáld, (16) sedette su uno scanno e cominciò a raccontare.

‹‹Avvenne, durante la guerra tra gli Asi e i Vani, che le possenti mura d’Ásgarðr, che erano riparo e difesa degli dèi in quei tempi, venissero gravemente danneggiate. Quando la pace fra le due stirpi divine fu conclusa, gli Asi decisero dunque di costruire un nuovo recinto robusto e sicuro contro gli attacchi dei giganti, quand’anche essi fossero riusciti a penetrare nel mondo degli uomini avvicinandosi pericolosamente alle loro dimore.

‹‹In quell’occasione si presentò loro un fabbro e si offrì di costruire in diciotto mesi una fortezza salda e possente. In cambio del lavoro però pretendeva la Freya, la Vanadís, la ‹‹dea dei Vani›› , il sole e la luna. Gli dèi si riunirono a consiglio e deliberarono che il fabbro avrebbe ottenuto quanto chiedeva se avesse saputo portare a termine il lavoro in un inverno; ma se il primo giorno d’estate qualche opera fosse stata incompleta, egli avrebbe perduto la ricompensa. Stabilirono inoltre che non avrebbe dovuto ricevere aiuto alcuno nel lavoro. Il fabbro accettò le condizioni e, grazie all’intercessione di Loki, ottenne tuttavia di poter utilizzare il suo cavallo Svaðilfœri. Fissati i termini dell’accordo, egli cominciò a costruire la fortezza: di giorno lavorava e di notte trasportava le pietre con il cavallo. Agli dèi pareva straordinaria la quantità di pietre che questo cavallo riusciva a trasportare e che più della metà del lavoro venisse fatta dall’animale anziché dal fabbro. Ma il loro contratto era stato sancito con testimonianze e solenni giuramenti, poiché il fabbro, che era della stirpe dei giganti, non si sentiva sicuro fra gli dèi. (17)

‹‹Il lavoro procedeva dunque spedito e la fortezza appariva così alta da essere giudicata inattaccabile. Quando mancavano solo tre giorni all’estate, essa era arrivata quasi al cancello. Allora gli dèi si riunirono in assemblea e si consultarono, domandandosi chi avesse suggerito di mandare Freya in Jötunheimr e di spogliare la volta del cielo togliendone gli astri splendenti. Furono d’accordo nel giudicare che era stato Loki, il malvagio dio sempre causa dei guai peggiori. Essi perciò lo aggredirono e lo minacciarono con le armi e gli promisero ogni sorta di male se non avesse fatto in modo che il fabbro perdesse il diritto alla ricompensa pattuita. Loki si spaventò e giurò che avrebbe posto rimedio a quella situazione. La stessa sera, mentre il fabbro con l’aiuto di Svaðilfœri trainava le pietre per la costruzione del recinto, sbucò dal bosco una puledra che nitrì richiamando il cavallo. A quella vista, lo stallone del fabbro strappò le corde che lo tenevano legato e corse dietro alla puledra. Essa s'inoltrò nella foresta e Svaðilfœri la seguì, così che il fabbro fu costretto a rincorrerli per tentare di recuperare il miracoloso cavallo. I cavalli galopparono tutta la notte e di conseguenza il lavoro subì una pausa. Il giorno dopo, quando il fabbro si rese conto che la costruzione non sarebbe stata terminata per il tempo stabilito, fu preso dalla furia dei giganti. Gli dèi allora non ebbero più dubbi sulla sua origine e chiamarono Thor, il del tuono, che fece roteare il suo possente martello Mjöllnir: con un colpo frantumò il cranio del gigante in minutissimi pezzi e lo cacciò giù all’infimo dei mondi e quella fu dunque la sua ricompensa.

‹‹Nel frattempo, Loki si era comportato, con lo stallone Svaðilfœri, in modo tale che dopo un po’ partorì un puledro grigio dotato di ben otto zampe. Questo destriero meraviglioso si chiama Sleipnir, ‹‹che sdrucciola›› ed è il miglior cavallo fra gli uomini e gli dèi e appartiene a Odino!››.

Grida entusiaste s’alzarono da più parti a lodare la bella storia e Snorri andò a riempire il suo boccale accompagnato dagli applausi.

‹‹Gran bella storia!›› esclamò Freyr.

‹‹Nu, da…non ho capito come ha fatto Loki a partorire un…cavallo…Non era un uomo?›› obiettò Hyoga. I capitani, e anche Freyr, sgranarono gli occhi. Gna corrugo la fronte, ma poi sorrise.

‹‹Loki è un Dio, non un uomo!›› disse sconcertato Hermóðr.

‹‹Sì, il dio degli inganni›› precisò Helgi stupito.

Hyoga si fece piccolo, vergognandosi d’aver osato dubitare delle loro strane verità innegabili. Presi com’erano dalla narrazione e dalla discussione, nessuno si era accorto dell’arrivo di Hadingus.

‹‹Bella storia, vero?›› disse facendosi vedere. ‹‹È una delle mie preferite e Snorri la racconta proprio bene!››.

‹‹Come mai sei qui?›› chiese Helgi con un sorriso malizioso. ‹‹Stasera ti è andata male?››.

Hadingus rimase in piedi con le mani alla vita e fece una smorfia. Stava per rispondere ma si trattenne, notando la thír.

‹‹Perché sei qui?›› la rimproverò. ‹‹Torna a palazzo, prima che Hilda si accorga della tua assenza!››. Gna scattò in piedi e corse via, salutando velocemente. Si fermò al tavolo dov’erano sedute le altre due donne.

Tia era tornata ad abbracciare Brinir, l’altra era Eir. La Guaritrice si alzò e s’incamminò verso l’uscita a braccetto con Gna.

‹‹Eir è venuta anche stasera›› disse Hadingus guardando nella loro direzione. Si lisciò la barba con un sorriso compiaciuto. ‹‹Allora devo supporre che sia qui per vedere qualcuno!››.

Hadingus, che riponeva grande fiducia nel suo fascino, giunse alla conclusione che Eir fosse lì per lui e si mostrò compiaciuto del fatto. Helgi colse l’occasione per riportarlo con i piedi per terra e s’affrettò a puntualizzare la situazione.

‹‹Se è quello che stai pensando, Eir non è qui per te›› commentò con un sorriso disarmante.

Hadingus si voltò appena in tempo per vedere Hermóðr che ricambiava con entusiasmo il saluto di Eir, che era indubbiamente tutto per lui. Spalancò la bocca, sbalordito da quella rivelazione che era un boccone amaro da ingoiare. Hermóðr, beato e noncurante degli altri che lo schernivano, continuò a fissare dritto avanti a sé, ad agitare la mano in segno di saluto anche dopo che Eir se ne fu andata.

‹‹Anche se lo vedo con i miei occhi, non riesco a credere che lei si possa interessare ad un uomo così insignificante come te!›› sbottò Hadingus irritato, puntando l’indice contro il compagno. ‹‹Smetti di salutare! Ci dev’essere una spiegazione a questo terribile equivoco! Eir è una donna intelligente e alla fine capirà la differenza tra un campione come me e una grassoccia nullità come te!››.

‹‹Sei un presuntuoso che non sa accettare la sconfitta!›› rispose Hermóðr, ricomponendosi e riprendendo il bossolo. ‹‹Questo sei!››.

‹‹Puoi dirlo forte!››.

Helgi prese parola per distrarre Hadingus che, oltre ad essere un presuntuoso, come aveva sottolineato il flemmatico Hermóðr, era anche piuttosto irascibile e incline al litigio.

‹‹Sei venuto perché Hilda ti ha cacciato? Non ti pare strano?››.

‹‹Vuoi mettere in piazza i miei affari?›› sbraitò Hadingus punto sul vivo. ‹‹Non è mai successo prima d’ora!… Stanno succedendo troppe cose strane, in questi giorni!›› sbottò all’indirizzo di Helgi e lanciò un’occhiata severa a Hyoga.

Non accadeva spesso che la sacerdotessa rifiutasse la compagnia di amanti desiderosi di compiacerla, tra i quali spiccava il bell’Hadingus. Non era mai successo che Hilda lo cacciasse, e inspiegabilmente, questo primo rifiuto coincideva proprio con l’arrivo di Hyoga ad Ásgarðr. Dunque, Hadingus era giunto a pensare che fosse colpa dell’utlänning, traendo dalle notizie che aveva colto qua e là, quella che per lui era l’unica soluzione plausibile.

‹‹Helgi dovrebbe tacere e risparmiare il fiato per i suoi poemi, ma tu dovresti essere più accorto. Gli occhi dei thraells sono fatti per guardare dove non devono, e la loro lingua per parlare di quello che si deve tacere. Sono pigri e, quando il padrone si gira, smettono di lavorare, ma ti assicuro che sanno come fare a ficcare il naso negli affari altrui!››. L’enigmatica affermazione di Hermóðr fece calare il silenzio. Hadingus alzò le sopracciglia e fece una smorfia.

‹‹Non mi interessano queste sciocchezze. Sono venuto a prendermi la mia rivincita, perché un giovane forte e valoroso come me non può accettare la sconfitta!››.

‹‹Sì, certo, ce ne siamo accorti!›› confermò Hermóðr.

Freyr sospirò. ‹‹Lascialo stare, il povero Ölgr! Non l’ho nemmeno visto stasera!››.

‹‹L’ho visto io, il vecchio maledetto!›› esclamò Hadingus trionfante, indicando un tavolo all’altra estremità della sala. ‹‹S’è nascosto perché sa che stavolta perderà!››.

‹‹S’è appartato perché non vuole essere disturbato! Sei presuntuoso e asfissiante!›› disse Hermóðr.

‹‹Zitto, o sfiderò te a salire sul tappeto così ti potrò conciare per le feste!››.

In un baleno Hadingus si sfilò la casacca e camminò a grandi passi fino al tavolo dove sedeva il vecchio Ölgr. Hyoga non udì quello che si dissero ma ben presto Hadingus s’incamminò verso una pedana di legno, seguito da un corpulento uomo. Ölgr, gli dissero, aveva superato i sessant’anni da qualche anno, ma era ancora nel pieno delle forze, sebbene avesse messo su qualche chilo, tutti concentrati nel ventre prominente e teso.

‹‹Cosa fanno?›› chiese Hyoga.

Hadingus e Ölgr erano saliti sulla pedana di legno, attorno alla quale s’erano radunati tutti gli uomini presenti nella sala, che gridavano e chiamavano a gran voce ora l’uno ora l’altro.

‹‹Lottano›› rispose semplicemente Freyr. Hermóðr ed Helgi non alzarono nemmeno la testa, abituati alla noiosa routine che caratterizzava quelle serate. Continuarono a lanciare i dadi, impegnati tra loro e contenti così. ‹‹Hadingus vuole a tutti i costi vincere ma non gli riesce›› spiegò Freyr facendo un breve riassunto degli scontri precedenti. ‹‹Hadingus è più scattante e veloce ma Ölgr è più forte. Se usassero le spade Hadingus vincerebbe anche se fosse bendato. Usando le mani nude, è sufficiente che Ölgr mandi a segno qualche cazzotto ben assestato per mettere in seria difficoltà il caro Hadingus››.

‹‹Un passatempo un po’ violento, non credi?›› commentò Hyoga guardando i due lottatori che si giravano intorno studiandosi a vicenda.

‹‹Nel nostro mondo, la violenza caratterizza la maggior parte delle occupazioni diurne e dei giochi serali, specialmente durante l’inverno›› rispose Freyr. ‹‹La brutta stagione qui occupa la maggior parte dell’anno, e ciò che caratterizza l’esistenza all’interno della cittadella è la monotonia. Il clima rigido e le abbondanti nevicate che tra poco ricopriranno tutto, rendono impossibile lo svolgimento delle normali attività e dunque bisogna ingegnarsi in altro, perché è necessario tenersi impegnati nelle lunghe giornate e allenati per la guerra. Di sera quando ci raccogliamo qui, passiamo il tempo discutendo di guerra e combattimenti. Si mangia e si beve, si canta e, se siamo fortunati, Snorri ci racconta una delle sue belle storie! È giusto che i soldati abbiano la loro parte di divertimento e guardare la lotta sulla pedana è per tutti noi un divertimento!››.

Hyoga scosse la testa. ‹‹Hermóðr e Helgi giocano ai dadi e quei due soldati laggiù continuano indisturbati la loro partita. Dunque, non tutti amano i combattimenti come sostieni e io mi aggrego a loro: ne ho piene le tasche di sentir parlare di lotta per stasera. Preferisco assistere ad una bella partita di scacchi!››. Hadingus e Ölgr avevano già iniziato a lottare, incitati e incoraggiati dalle selvagge grida degli spettatori, quando Hyoga s’alzò. Voleva avvicinarsi per vedere da vicino la scacchiera ma le sue speranze furono deluse perché, proprio in quel momento, Ivar e Conar scaraventarono a terra il tavolo, facendo volare in aria i pezzi, e trasformando un’innocua partita in una disputa con botte da far scorrere il sangue.

Hadingus perse l’incontro di lotta e si ripresentò al tavolo con la faccia gonfia. Ölgr era lui pure spossato e livido, perché la vittoria quella volta non era stata facile.

‹‹La prossima volta sento che sarà quella buona!›› esclamò Hadingus sedendosi a bere.

Il cuore della notte era già passato da almeno un’ora eppure nella sala c’era ancora fermento. Dopo Hadingus, fu la volta di Freyr che salì sulla pedana affrontando il giovane Brinir, un avversario più debole e meno pericoloso del vecchio Ölgr. Ivar e Conar smisero di azzuffarsi quando non ebbero più la forza di alzare un dito, e si buttarono a dormire in un angolo della sala. Hyoga intanto s’unì a Hermóðr e Helgi nel gioco dei dadi e bevve talmente tanto che gli capitò, l’indomani mattina, svegliandosi nel suo letto, di non ricordare come avesse fatto ad arrivarci.

Note

  1. Il nàttverðr è l’equivalente del nostro pranzo, e si consumava la sera, finiti i lavori della giornata, verso nàttmàl, le nove di sera.
  2. Ma guarda un po’, ( ec ).
  3. Dio mio, ( bójie moi ).
  4. Ai è Bisnonno, Edda è Bisnonna. La società vichinga era basata su un sistema di classi, minuziosamente organizzata in questo senso, e le classi erano tre: i non liberi, i liberi, e i loro dominatori. Il Rígsþula, il ‹‹Canto di Rig››, un poema dall’incerta datazione, ci dà un resoconto, stilizzato e memorabile, dell’origine di queste tre classi volute dagli dei.
  5. È siero di latte, la bevanda abituale. (syra)
  6. Si dice di una donna particolarmente sapiente. Vör era una dea appartenente agli Asi. Si narra che fosse assai saggia, attenta e prudente, sicché nulla poteva sfuggirle.
  7. Per carità, ( rádi boga ).
  8. Non è possibile, ( nieujiéli ).
  9. Visu è il nome che i vichinghi davano alla Siberia, ma questo Freyr non può saperlo e nemmeno Hyoga.
  10. Le fonti norrene danno questo nome alla Russia intesa in senso geografico. Il suo significato sembra essere ‹‹Grande Svezia››.
  11. Provocazioni (níth) e insulti davano sempre avvio a delle ostilità. L’hólmganga è un duello che si combatte seguendo regole rigide. Due uomini si affrontano su un telo di tre metri per lato, con una commissione arbitrale che vigila scrupolosamente. A ognuno dei duellanti sono concessi tre scudi e un’arma. Il contendente che esce dal telo viene dichiarato nithing, un vigliacco. Se viene ferito e il suo sangue cade all’interno del telo, si può ritirare. Alla fine del duello, colui che ha più ferite, deve pagare l’avversario n argento. Se uno dei due muore, la sua ricchezza va al vincitore.
  12. Che botta, ( cacoi tumák ).
  13. Al diavolo, ( c čiortu ).
  14. Porca l’oca, ( čjort vos’mí ).
  15. Suvvia, ( aída ).
  16. Scaldo. Lo scaldo era un poeta, uno scrittore, o un narratore di leggende.
  17. Al termine delle contese divine, si narra che in Ásgarðr si tenne un concilio supremo tra le due stirpi divine degli Asi e dei Vani. Dopo estenuanti trattative, gli dèi decisero che la cosa migliore fosse scambiarsi degli ostaggi, perché solo così si poteva garantire il rispetto della tregua. I Vani mandarono presso gli Asi gli eminenti fra loro, Njörðr e i suoi figli, Yngvi-Freyr e Freya. Da parte loro, gli Asi mandarono tra i Vani il dio di nome Hœnir e con lui Mímir, che era dotato di grandissima sapienza.