CAPITOLO DECIMO: DECISIONI DA PRENDERE.

Ai Cinque Picchi Mur era rimasto ad osservare gli addestramenti dei giovani allievi del Vecchio Maestro: Ascanio e Tebaldo, due giovani cuori desiderosi di battersi per la giustizia e di ottenere la sacra Armatura custodita sotto la cascata. Il Maestro spiegò infatti a Mur che nelle acque sotto la maestosa cascata dei Cinque Picchi era custodita una delle cinquantadue Armature di Bronzo, sicuramente la più resistente grazie al continuo cadere dell’acqua sulla corazza.

"Secondo le leggende che in questi luoghi si narrano, questa cascata è nata in epoca antichissima, formata da frammenti di stelle e galassie!" –Spiegò il Vecchio Maestro, seduto sul suo sperone roccioso, a Mur, in piedi di fronte a lui. –"Il Drago, simbolo di Cina, è la costellazione guida del Cavaliere che indosserà l’Armatura nascosta sotto la Cascata dei Cinque Picchi, una corazza resa più resistente del diamante grazie alle acque della galassia, caricate, a quanto pare, di polvere di stelle!"

"Polvere di stelle?!" –Mormorò Mur, ricordando gli insegnamenti del suo maestro. –"Uno degli elementi necessari per la costruzione delle Sacre Armature!!"

"Necessario ed indispensabile!" –Precisò il Vecchio Maestro, dando un leggero colpetto di tosse. –"È essa infatti a conferire lucentezza alle Armature dei Cavalieri! Una luce profonda che è espressione diretta del bagliore delle stelle! E le vostre, le Dodici Armature d’Oro, sono le più luminose, perché in esse, oltre al bagliore delle stelle, risiede l’immenso potere del sole, trovandosi le vostre costellazioni lungo l’Eclittica, la via percorsa dalla Terra intorno al Sole ogni anno!"

"Il potere del sole.." –Mormorò Mur.

"Non sottovalutare il potere della tua Armatura, Cavaliere di Ariete!" –Esclamò il Vecchio Maestro. –"Chissà… Un giorno potrebbe esserti utile persino questo mio misero insegnamento!"

"Non denigratevi senza motivo, venerabile Maestro!" –Affermò Mur con decisione. –"Preziosi sono i vostri insegnamenti e confortante la vostra presenza, specialmente per il Grande Sacerdote, vostro antico amico, che qua mi ha inviato per consegnarvi un dono! Avrebbe voluto venire lui, a respirare questa tonificante aria, ma la vecchiaia e i suoi impegni non gli permettono di muoversi! Oggi sono iniziati infatti i giochi delle Panatenee, e Sion avrà dovuto sicuramente presenziarvi!"

Il Vecchio Maestro sorrise, ripensando al caro amico, ma prima che riuscisse ad aggiungere altro fu interrotto dall’arrivo improvviso di Ascanio, il quale, affaticato per lo sforzo durante l’allenamento, respirava affannosamente.

"Perdonatemi, Maestro!" –Esordì il ragazzo, mentre sudore grondava copioso sul suo volto abbronzato. –"Ma ho sentito parlare delle Panatenee! È dunque vero che il Sacerdote di Grecia ha ripristinato l’antica usanza?"

Mur annuì con il capo, spiegando in breve ad Ascanio, presto raggiunto anche da Tebaldo, l’importanza celebrativa della grande festa ateniese, occasione di preghiera ma anche momento di sport e di spettacolo.

"Ho sempre provato ammirazione per i campioni greci, immedesimandomi nei sogni con loro!" –Esclamò Ascanio, estasiato. –"Immaginavo di essere alla guida di un cocchio nella grande corsa o di impugnare una spada e lottare sotto il sole di Atene, per difendere la mia Dea! O di avere il fisico di Eracle, e poter sollevare montagne con la sola forza delle braccia, e scagliarle lontano! Oooh.. cosa non darei per essere nell’Arena di Atene a gareggiare!!!"

"Sento un grande desiderio di emergere in te, giovane Ascanio!" –Commentò il Vecchio Maestro. –"E il pensiero delle Panatenee ha acceso dentro al tuo spirito un fuoco vitale che non avevo mai ammirato!"

"Chiedo perdono Vecchio Maestro per questo mio sciocco desiderio infantile, ma ho fin da bambino ho fantasticato su tale grandioso evento, chiedendomi se, per qualche caso fortuito del destino, un giorno non sarei riuscito a parteciparvi, non essendovi altro che desideri così tanto!"

"Nient’altro?!" –Domandò il Vecchio Maestro, sornione. –"Neppure conquistare l’Armatura del Drago?"

"Ouh.. beh.." –Ascanio tentennò per un momento. –"Una cosa non esclude l’altra! Perderei soltanto pochi giorni del mio addestramento!"

"Per tutti questi anni.." –Commentò il Maestro, senza staccare lo sguardo dalla cascata. –"Sono rimasto qua… ad osservare l’acqua scrosciare dall’alto del monte fino alle rive del lago, a chiedermi quante gocce sono passate davanti ai miei occhi! Ho addestrato molti allievi, alcuni soltanto per pochi mesi, altri per anni, ma non ho mai concesso permessi di alcun genere, Ascanio! Un addestramento presuppone regole ferree e decise, che inquadrino gli spiriti irrequieti verso uno scopo più nobile, più eterno, che non sia la conquista di una coppa d’oro o di un’anfora di olio!"

"Ma.. maestro.." –Mormorò Ascanio, ma l’uomo lo zittì bruscamente.

"Ma non ho mai smesso di chiedermi cosa ne fosse di tutte quelle gocce… dove finissero tutte le gocce d’acqua della grande cascata.. E spesso avrei voluto essere una di esse, scivolare lungo il fiume e raggiungere il mare, mettendomi nuovamente in gioco!" –Commentò il Maestro, prima di alzare lo sguardo verso Ascanio. –"Se davvero è così grande il tuo desiderio di prendere parte alle Panatenee, Ascanio, io ti accorderò il mio permesso! A patto che tu sia nuovamente in Cina tra quattro giorni, al termine dei giochi ateniesi!"

"Maestro… io… non so come ringraziarvi!" –Esclamò Ascanio, in visibilio per una notizia simile. Si inginocchiò di fronte al Vecchio Maestro, con gli occhi lucidi di lacrime, e lo ringraziò più volte per la sua comprensione, prima di rimettersi in piedi. –"Se vincerò, dedicherò a voi la mia vittoria!"

"Te lo auguro, ragazzo! Ma soprattutto ti auguro di trovare quanto prima cos’è che vai realmente cercando!" –Commentò il Maestro, prima di riposare lo sguardo sulla Cascata. – "Tuttavia non sarebbe onesto se lasciassi andare soltanto te, perciò Tebaldo ti accompagnerà, se anche questo è un suo desiderio!"

"Maestro… io…" -Mormorò Tebaldo, rimasto timidamente in disparte fino al momento. – "Non osavo chiedere tanto!"

"Ricordati di osare sempre, Tebaldo!" –Precisò il Maestro. –"Come puoi raggiungere un sogno se non riesci a volare abbastanza in alto per afferrarlo?"

E nient’altro aggiunse il Vecchio Maestro della Bilancia, entrando in una sorta di stato meditativo simile al trance, augurando la buona fortuna ai suoi allievi, i quali si allontanarono a passo svelto, diretti verso la pagoda in cui abitavano con l’uomo, per recuperare le loro sacche da viaggio e poi partire.

Mur rimase ancora per qualche secondo di fronte all’Anziano Maestro, a chiedersi i motivi del suo strano gesto. Motivi che, lo capiva bene, andavano al di là dell’esplicito desiderio di accontentare un allievo irrequieto. Motivi che Mur, e neppure lo stesso Libra, riuscivano a comprendere completamente.

Ascanio! Mormorò il Maestro, ricordando il primo incontro con il giovane moretto. Per tutti questi due anni ho cercato di addestrarti al meglio, di insegnarti le tecniche basilari per sviluppare il tuo cosmo. E credo di esserci riuscito, grazie anche alle tue notevoli capacità di insegnamento. Ma non è passato giorno trascorso insieme in cui non ho mai smesso di pensare a quanto tu non fossi destinato a diventare Cavaliere del Drago. Perdona le mie parole, sono solo i pensieri di un vecchio stanco. Non è mancanza di fiducia la mia, né poca attenzione verso le tue indubbie capacità! È soltanto uno stato di continuo presente che mi rimbalza nella mente ogni momento, una voce sopita che non mi ha dato pace per questi lunghi mesi, e che mi ha spinto a lasciarti andare. Per non rivederti più.

"La tua strada è altrove, ragazzo mio!" –Commentò Libra, riaprendo gli occhi. –"Non qua, tra questi alti picchi, troverai soddisfazione, ma molto più a Ovest, nelle fertili terre dell’Europa! Là c’è una missione per te! Là c’è un destino che ti attende!"

Una lacrima scivolò sul volto del Vecchio Maestro, una lacrima di dispiacere, ma anche di speranza. In qualunque posto andrai, porta sempre con te gli insegnamenti che hai ricevuto ai Cinque Picchi, Ascanio! Nella speranza che essi, seppur minimi, possano esserti utili in futuro! Grazie per aver regalato a questo vecchio dei momenti di felicità, perché grande è stata la mia soddisfazione nell’allenare un giovane volenteroso e ricettivo come te! Grazie… e addio! Sospirò Libra, prima di voltarsi indietro. Anche Mur se ne era andato, e probabilmente era già in cammino verso il Jamir, ma come ordinato da Sion gli aveva lasciato un dono, il migliore che potesse ricevere: una lettera del suo vecchio amico, scritta a mano in una notte d’estate. Il testamento di Sion, che Dauko adesso avrebbe letto tutto d’un fiato.

***

Mentre cosmi oscuri si agitavano nelle calde terre egiziane, molte miglia più a nord-ovest, in un’isola lontana e non toccata dai tumulti del Mediterraneo un’eterea figura camminava scalza lungo un sentiero tra le rocce, sulla sommità di un vasto colle immerso dalle nebbie. Avvolta in un tenue mantello di stoffa color panna, svolazzante al leggero soffiare del vento, la figura raggiunse la cima del colle, una piccola piana erbosa delimitata perimetralmente da grossi massi sporgenti dal terreno.

Al centro dell’area, rialzata da terra quasi fosse una sporgenza del colle stesso, vi era una sorgente d’acqua che formava un piccolo pozzo poco profondo, l’accesso al quale era consentito soltanto ai sacerdoti e non ai novizi. Ed Egli, che dell’isola era il Signore, ne aveva il massimo diritto di utilizzare quel pozzo. Si affacciò sulla sorgente e guardò dentro, allungando la mano destra fino quasi a sfiorare la liscia superficie di quelle fresche acque, senza mai sfiorarle o la visione sarebbe scomparsa. Immediatamente le acque del pozzo si illuminarono ed un calice di luce risplendette sulla cima dell’isola sacra, mescolandosi alle nebbie protettive, in uno sfavillante gioco di bagliori che fu notato da tutti i suoi abitanti.

"Mostrami ancora ciò che è stato, specchio dell’isola sacra!" –Esclamò l’uomo con voce profonda.

E al suo richiamo immense fiamme sorsero dal pozzo, risplendendo nel cielo nebbioso. Fiamme vorticanti, che parevano danzare al canto del loro padrone, fiamme assassine che divorarono nuovamente gli antichi manoscritti della perduta Biblioteca di Alessandria. L’uomo strinse i pugni, sospirando malinconicamente, rivedendo ancora una volta ciò che accadde quella notte. La tempesta, i fulmini, il viso pallido di Galen, ma determinato a non permettere che ancestrali segreti vadano perduti.

Con la morte nel cuore, spense la visione con un gesto della sua mano, cacciando via le fiamme e riportando il silenzio e la notte in quella piana erbosa. Lentamente si incamminò lungo il sentiero, per tornare alla sua dimora, sul colle centrale dell’isola sacra, immerso nei suoi pensieri. Aprì le porte scorrevoli della sua reggia, entrando nell’ingresso illuminato soltanto da qualche candela e trovò il volto sereno, ma preoccupato, di Alexer che lo aspettava.

"Hai nuovamente guardato nel pozzo sacro?" –Domandò retoricamente l’uomo.

"La vista di quelle fiamme non mi dà pace, Alexer!" –Commentò l’altro.

"Ti stai consumando.." –Ma Alexer non riuscì a terminare la frase che l’uomo lo zittì.

"Sento la morte di Galen come una spada tagliente sul collo!" –Confessò il suo viso triste, illuminato dalla luce fievole delle candele. –"Avremmo dovuto salvarlo!"

"Galen sapeva ciò che stava facendo, conosceva ogni rischio e pericolo del suo compito!" –Cercò di rincuorarlo Alexer, senza molti risultati. –"E ha saputo difendere gli antichi segreti fino in fondo!" –E spostò lo sguardo su un oggetto poggiato su un tavolino di legno in mezzo alla stanza.

L’uomo si avvicinò al tavolo, sollevando il sigillo dorato ricoperto di fuliggine e lo spolverò con il mantello, restituendogli la sua antica brillantezza.

"È tutto ciò che siamo riusciti a salvare!" –Commentò Alexer, con dispiacere. –"Quando siamo arrivati, le fiamme avevano divorato tutto!"

"Lui dov’è?" –Chiese l’uomo.

"È tutto pronto!" –Rispose sospirando Alexer, avvicinandosi all’amico. –"Aspettiamo soltanto il tuo ordine!"

L’uomo, che già conosceva la procedura, non si stupì affatto della risposta di Alexer. Poggiò il sigillo sul tavolino ed uscì fuori, in quella tiepida notte di agosto, avvolgendosi nel suo candido mantello.

"A te il supremo compito di presenziare al rito, Alexer!" –Esclamò infine, ritrovando forza e determinazione, dopo lo sconforto che lo aveva invaso recentemente, dovuto al dolore per la perdita di un vecchio amico.

"E tu… cosa farai?" –Domandò Alexer.

"Ciò che va fatto! –Commentò l’uomo, accendendo il suo cosmo, che invase l’intera isola sacra, penetrando nei cuori degli uomini e delle donne che vi dimoravano, negli animali nascosti nelle loro tane, nella natura che cresceva forte e rigogliosa, chiamando tutti a partecipare al rito sacro. – "Egli dovrà ascoltarmi! Il futuro della Terra coinvolge anche lui direttamente e saprò trovare argomenti convincenti per farmi udire!" – Detto questo scomparve, in un lampo di luce, mentre Alexer si avviò verso la piccola valle sul retro dell’isola.

Là, al centro di una radura, tutto era stato preparato. Il corpo di Galen, avvolto in splendide vesti di color porpora, riposava sopra una catasta di legna, intriso di olio e ricoperto di fiori. Ad un silenzioso cenno di Alexer, alcuni servitori avvicinarono delle fiaccole all’ammasso di legna, che subito avvampò maestosa, illuminando l’intera radura, e i visi tristi di coloro che intorno si erano riuniti per pregare e rendere omaggio all’ultimo custode della Biblioteca di Alessandria. Alexer si inginocchiò, per pregare per il vecchio compagno, prima di sentire il cosmo del Signore dell’Isola Sacra avvampare molto lontano. Avalon, ne era certo, aveva raggiunto l’Olimpo.

Non ebbe alcun problema a raggiungere la sommità del sacro monte, mescolandosi al vento che spirava sulla Reggia di Zeus e giungendo in un lampo di luce nella Sala del Trono. Il triste spettacolo dei corridoi e dei saloni precedenti lo aveva lasciato sconcertato, quasi disgustato da un simile abbandono alla libido. Corpi stanchi ed ubriachi di uomini e di Dei giacevano abbandonati sui pavimenti di marmo, mentre rovesciate coppe di ambrosia erano sparse sul pavimento, insieme a grappoli di uva e frutta esotica, ultimi resti di un’ennesima celebrazione disonorata. Fauni ebbri e ancelle spogliate riposavano su sporche lenzuola dei padiglioni circostanti, mentre un acre odore di nettare sacro pervadeva l’intera Reggia del Signore degli Dei.

Questi, stanco per le gozzoviglie dei giorni precedenti, giaceva scompostamente sul suo trono dorato, in cima alla bianca scalinata della Sala del Trono, russando pesantemente e senza troppa eleganza. Indossava regali vesti da sera, una lunga tunica bianca rifinita di oro, ornato da collane e bracciali luccicanti, e in mano stringeva ancora il Fulmine, simbolo del suo potere, forgiato dal figlio Efesto nelle profondità del vulcano Etna.

Bastò un fruscio del mantello per farlo svegliare di soprassalto ed osservare l’ammantata figura ricoperta da luce celestiale che aveva di fronte.

"Noto con dispiacere che la dissolutezza di questo posto è andata aumentando!" –Ironizzò l’uomo, fissando Zeus con uno sguardo carico di rimprovero.

Il Signore dell’Olimpo si ricompose immediatamente sul suo scranno dorato, sbattendo gli assonnati occhi, per focalizzare l’uomo che aveva di fronte. L’uomo che era silenziosamente arrivato fino alla Sala del Trono superando i campi difensivi e le guarnigioni dell’Olimpo.

"Tu?!" –Mormorò semplicemente, stupito dalla sua presenza.

"È questo dunque lo splendore olimpico? Sono questi i magnifici fasti dai tuoi aedi tanto cantati? Divinità ubriache e viziose, che vivono di feste e dissolutezza, che profanano gli antichi valori, permettendo ai loro soldati di ubriacarsi, ai fauni di accoppiarsi con le ancelle, macchiando le candide lenzuola di questo immortale Tempio! Se è su tali difese che dovremmo contare, allora faremmo meglio a difenderci da soli!"

"Taci!" –Lo zittì Zeus, puntando il Fulmine contro di lui.

Immediatamente una scarica di energia guizzò nell’aria schiantandosi ai piedi dell’indesiderato ospite, che non riportò danno alcuno, riuscendo ad evitare l’attacco semplicemente facendo un passo indietro.

"L’ospitalità è diventata un’opzione superflua nella tua casa!" –Ironizzò, prima di voltarsi verso il grande portone d’ingresso.

Attirati dall’avvampante cosmo del loro Signore, tre Cavalieri si erano immediatamente precipitati all’interno, ricoperti dalle loro luccicanti corazze dai vivi riflessi argentei. Alti e robusti, con ampie spalle possenti e un fisico virile, capelli brizzolati e tirati all’indietro, i tre Ciclopi Celesti si avventarono sullo sconosciuto nemico che minacciava la sicurezza di Zeus.

"Mio Signore! Siamo qua!" –Gridarono Bronte del Tuono e Sterope del Fulmine, lanciandosi contro l’uomo ammantato.

Ma Zeus, dall’alto dello scranno, riuscì a vedere l’istantanea disfatta dei suoi difensori, grazie alle torce affisse ai muri della grande sala. Senza troppo scomporsi, l’uomo caricò il polso della mano destra di energia cosmica aprendolo di scatto verso i Ciclopi Celesti e scaraventando Bronte e Sterope contro la parete retrostante, facendone crollare un pezzo su di loro. Evitò l’affondo della Spada del Fulmine, brandita da Arge lo Splendore, semplicemente balzando in alto ed atterrando proprio dietro al Ciclope Celeste. Lo colpì bruscamente con un colpo deciso alla nuca, facendolo accasciare a terra, mentre Zeus si metteva in piedi preoccupato.

"Sono soltanto svenuti!" –Precisò immediatamente l’uomo, incamminandosi verso la scalinata. –"Adesso possiamo parlare?"

"Cosa vuoi?!" –Domandò Zeus, con lo sguardo pieno di apprensione.

"Aiuto e conforto!" –Rispose la figura, fermandosi ai piedi della scalinata che conduce al trono. E la risposta spiazzò il Padre degli Dei.

"Aiuto?!" – Balbettò Zeus.

"In nome dell’antica amicizia che univa i nostri popoli, in nome dell’aiuto reciproco che ci prestammo secoli or sono, quando tu, Dio dell’Olimpo, e gli Dei e i Cavalieri a te devoti, combatteste al nostro fianco la grande guerra di Britannia! Per riconoscenza ti concessi di mantenere una guarnigione segreta nella città di Glastonbury, così vicina all’Isola Sacra, col compito di difenderne i confini da chiunque avesse osato violarli, e con l’idea di tenerla nascosta, celandola agli avversi nemici!"

L’uomo ammantato abbassò il cappuccio, rivelando il suo elegante volto, apparendo in tutto il suo epico splendore. Aveva un viso maschile ed abbronzato, con corti capelli neri ed un leggero filo di barba, gli occhi scuri ma caricati di profondi riflessi di luce, che sembravano apparire direttamente dalla sua anima. L’intero suo corpo, alto e ben fatto, sembrava ricoperto da un sottile ma insistente strato luminoso che conferiva a quell’uomo dall’aspetto di un ventenne la dignità e la solennità di un saggio. Di un Dio.

"Cosa turba il tuo animo, Signore dell’Isola Sacra, al punto da spingerti fino qua, alla Reggia degli Dei di Grecia?" –Domandò Zeus, con voce più pacata, sedendo nuovamente sul trono.

"L’ora è tarda, Divino Zeus! La grande ombra sta per scendere sulla Terra, e se vogliamo resistere dovremo combattere unendo tutte le nostre forze!" –Esclamò l’uomo, togliendo ogni dubbio. –"Da soli non potremo resistere! Nessuno di noi potrà!"

"Che cosa?!" –Balbettò Zeus, visibilmente preoccupato.

La figura ai piedi della scalinata parve sospirare un momento prima di ricominciare a parlare.

"La Biblioteca di Alessandria è stata attaccata! Galen è stato ucciso! E i segreti del mondo antico sono perduti per sempre!"

"Che…" - Gridò Zeus, sollevandosi di scatto. –"E.. il sigillo?!"

"Esso è nelle nostre mani! Recuperato da Alexer dal consumato polso di Galen, arso vivo da diaboliche fiamme mortali!"

"Uhmmm…" -Zeus sospirò, lasciandosi cadere nuovamente sull’alto scranno dorato.

"Ma il sigillo non basta per fermare l’ombra! Dobbiamo riunire i talismani e trasformare la leggenda in realtà, se non vogliamo scomparire!" –Precisò l’uomo. –"Non è impresa facile, perché nessuno sa dove si trovino, neppure io!"

"La tua ansia è giustificata, Signore dell’Isola Sacra, ma credo che sia affrettata!"

"Affrettata?!" –Storse il naso l’uomo.

"Esattamente!" –Esclamò Zeus, recuperando il controllo di se stesso, dopo essersi lasciato dominare dalle emozioni nei minuti precedenti. –"Abbiamo ancora tempo per agire! Non lasciamoci travolgere dalle emozioni!"

"Forse non hai capito la gravità della situazione!" –Ironizzò l’uomo, tirando un’occhiata di sottecchi al Sommo Zeus. –"Non ho intenzione di vedere vanificati tutti i nostri sforzi, né di assistere attonito ed impotente ad una nuova apocalisse! Ci sono stati uomini che hanno dato la vita affinché questa Terra potesse esistere e noi abbiamo il supremo compito di tenere alto il loro nome ed il ricordo di ciò che è stato fatto, Zeus! Tu, nascosto tra le nuvole del monte Olimpo, ti sei abbandonato al lusso e alle piacevolezze, circondandoti di ninfe e belle donne, trascorrendo le giornate tra banchetti e gozzoviglie, disinteressandoti del mondo che ha continuato a correre senza di te!"

"Il tempo scorre in maniera diversa sull’Olimpo che non sulla Terra! Dovresti saperlo, perché anche l’Isola Sacra è un vascello fuori dal tempo!"

"Questa non è una motivazione valida che giustifichi il tuo isolazionismo ed il tuo disinteresse!" –Lo brontolò l’uomo, con voce severa ma decisa. –"Hai allentato la presa, lasciando che antiche ombre si risvegliassero tornando a calcare i terreni di questo mondo e a mettere in pericolo la stabilità che duramente abbiamo costruito! Hai abbandonato la cura del tuo esercito, né ti sei curato di garantirne efficienza ed efficacia, campando sugli allori di ciò che è stato senza pensare a ciò che sarà!"

"Il mio esercito non mi ha mai dato problemi! Esiste forse qualcuno in grado di tenere testa ai Cavalieri Celesti?!" –Domandò Zeus, indispettito dalla provocazione.

"Esiste qualcuno in grado di far scomparire l’Olimpo e l’Isola Sacra con tutti i loro abitanti con la sola forza di un fetido respiro!" –Mormorò l’uomo, facendo rabbrividire Zeus. –"E se non ci organizziamo, se non agiamo adesso, congiuntamente, domani potrebbe essere troppo tardi! E dopo Galen altri potrebbero cadere, mettendo a repentaglio l’equilibrio del mondo!"

Zeus rimase in silenzio, in parte cosciente della verità delle parole udite ed in parte restio ad accettarle. Perché farlo significherebbe accettare che quel giorno si sta avvicinando! Quel giorno in cui dovremo riprendere le armi e combattere, forse, la nostra ultima battaglia! Luce contro ombra! E niente più vi sarà! Rifletté Zeus, prima di sospirare e porre una semplice domanda.

"Cosa vuoi che faccia?!"

"L’Ultima Legione ha bisogno di un comandante!" –Rispose immediatamente l’uomo. –"E tu devi fornire ai tuoi Cavalieri un uomo forte e vigoroso, capace di risvegliargli dal torpore in cui sono precipitati in questi secoli di attesa e di noia! Un uomo deciso ed eroico, che sappia prepararli al meglio ai giorni neri che verranno!"

"E dove potrei trovare un uomo simile?" –Chiese Zeus.

"Forse… ne ho osservato uno che fa al caso tuo!" –Esclamò l’uomo, raccontando di aver visto il suo volto nello specchio dell’Isola Sacra, sicuro che egli avrebbe giovato alla loro causa. –"Manda Hermes a prenderlo! Convocalo sull’Olimpo e nominalo tuo Comandante!"

Non seppe spiegarsi neppure lui come, tanta era l’influenza e l’autorità che il Signore dell’Isola Sacra sapeva evocare, ma Zeus ubbidì senza esitazioni alla sua richiesta e pochi minuti il Messaggero degli Dei entrò nella Sala del Trono, ricoperto dalla sua scintillante Armatura Celeste. Inizialmente rimase piuttosto stordito, e preoccupato, nel trovare i corpi distesi in terra dei tre Ciclopi Celesti, ma non appena incontrò il suo sguardo Hermes capì ogni cosa.

Non lo vedeva da molti secoli, da millecinquecento anni quasi, da quando avevano combattuto insieme sulle verdi piane di Britannia, ma Avalon era rimasto lo stesso per tutto quel tempo. Tempo che non sembrava scorrere per lui, o se anche lo faceva ciò accadeva senza produrre riflessi sul suo volto, sempre giovane e deciso come in passato.

"Bentrovato, Messaggero degli Dei di Grecia!" –Esclamò Avalon, notando lo stupore e l’incomprensione regnare sul volto del Dio.

"Hermes! Ascoltami!" –Lo chiamò a sé Zeus. –"Ho un compito da affidarti! Di primaria importanza per la salvezza dell’Olimpo e della Terra stessa! È una missione che solo tu puoi portare a termine, con rapidità e segretezza!"

Bastarono quelle poche parole, pronunciate con decisione e fermezza, a spazzar via dalla mente di Hermes qualsiasi dubbio ed incomprensione. Zeus aveva parlato e i suoi ordini erano l’unica legge che contava per il Messaggero degli Dei, che non domandò nient’altro, limitandosi ad annuire con il capo e ad andarsene dopo aver ottenuto l’incarico. Avrebbe parlato con Zeus in un secondo momento, possibilmente in privato, chiedendosi cosa lo aveva spinto ad inviarlo ad Atene, a rapire un giovane sconosciuto e condurlo sull’Olimpo.

"E tu?" –Domandò Zeus, dopo che Hermes fu uscito dalla Sala del Trono. –"Cosa farai?"

"Lo addestrerò alle antiche arti di Avalon, per farne un condottiero abile in ogni battaglia! E continuerò la ricerca dei talismani, e dei Cavalieri a cui sono stati affidati!" –Rispose Avalon con decisione.

"Quanti ne hai già trovati?" –Chiese Zeus.

"Tre soltanto! E già li ho mandati in guerra!" –Ironizzò, in parte colpevolizzandosi per la sorte dei suoi tre Cavalieri.

"In guerra?!" –Balbettò Zeus, non comprendendo.

"Non hai sentito cosmi burrascosi esplodere in Egitto, Signore dell’Olimpo? O le nuvole che coprono la cima del Sacro Monte hanno annebbiato persino i tuoi sensi? Le Divinità d’Africa hanno dichiarato guerra ad Atene e tua figlia, appena tornata in vita, dovrà già affrontare la sua prima prova!"

"Mia figlia?! Athena?!" –Ripeté confusamente Zeus.

"Umpf… Avalon sarà anche persa tra le nebbie, ma credo che sia l’Olimpo il vascello finito fuori dal tempo!" –Commentò l’uomo, prima di avvolgersi nuovamente nel suo mantello ed accendere il proprio luminoso cosmo. – "Svegliati Zeus! Abbandona le materialistiche dissolutezze di cui si è imbevuto finora il tuo ego e torna ad essere il carismatico Sovrano che eri un tempo! L’uomo capace di combattere tra i mortali per difendere la stessa Terra, come combattesti in Britannia millenni or sono!"

Altro non aggiunse e scomparve, in un lampo di luce, lasciando Zeus da solo, ai suoi pensieri. Sterope, Bronte ed Arge si ripresero pochi istanti dopo, chiedendo perdono al Dio per essersi lasciati abbattere così malamente. Ma Zeus li congedò immediatamente, senza voglia alcuna di parlare con nessuno, solamente con uno sconfinato desiderio di restare da solo.

Raggiunse le sue stanze, spogliandosi delle vesti macchiate di vino, ed entrò nella grande vasca colma di calda acqua di fonte, profumata dai delicati fiori portati dalle ninfe. Ma neppure in quella conca celeste riuscì a trovare pace. Né il pensiero di Era, distesa sull’ampio letto regale del suo Tempio, che ancora sveglia lo attendeva per giacere insieme, provocò in lui il benché minimo interesse. Tutti i suoi pensieri erano rivolti ad Avalon e alle funeste notizie da lui portate.

È strano! Rifletté il Sommo Zeus, lasciandosi scivolare nelle calme acque della vasca. Non ho mai pensato al tempo qua sull’Olimpo! Ho sempre creduto che esso non ci riguardasse, che il suo scorrere segnasse le vite degli uomini mortali, non degli Dei, la più magnifica creazione dell’universo. Eppure, mai come adesso sento il fiato del trascorrere degli anni sul collo, mai come adesso sento la stanchezza e quella che gli uomini chiamerebbero vecchiaia. Adesso, così vicini alla fine del mondo.