CAPITOLO DODICESIMO: LE GARE SPORTIVE.

Al Grande Tempio di Atene erano iniziati i giochi ginnici delle Panatenee, la partecipazione ai quali era stata superiore alle aspettative. Forse per desiderio di vittoria in un concorso sportivo, forse per volontà di emulare gli antichi campioni che resero grande la Grecia nell’Età Classica, migliaia di giovani, e non soltanto, avevano invaso l’Arena dei combattimenti e i campi circostanti, dove il comitato organizzatore aveva preparato l’ippodromo per le gare con i carri.

Il ricordo dei grandi atleti dell’antichità, come l’ateniese Aurelios Zopyros nella lotta, gli spartani Chionis, nella corsa, e Kyniska, prima donna ad essere inserita come vincitrice olimpica, o Milo di Crotone, nella lotta, era ancora vivido e presente. Inoltre il fatto stesso che un evento simile non avesse luogo da numerosi secoli non aveva potuto che accrescere l’interesse e le aspettative del pubblico e dei fedeli.

Per garantire la sicurezza il Grande Sacerdote, in accordo con i Cavalieri di Athena, aveva aumentato l’ordinaria sorveglianza, soprattutto nelle zone di maggior affluenza, quali l’Arena, l’infermeria e il Cancello Principale, richiamando un buon numero di Cavalieri e pregando loro di mescolarsi alla folla, pronti a intervenire in caso di bisogno. Orfeo della Lira avrebbe difeso i prati del banchetto, dove amava suonare la propria cetra, Dedalus, Orione e Argetti sarebbero stati presenti nell’Arena e nei luoghi dove avevano luogo le gare sportive, mentre Noesis del Triangolo avrebbe protetto l’infermeria in caso di bisogno. L’improvvisata spedizione in Egitto aveva ridotto il numero di Cavalieri a difesa del Grande Tempio, ma i Cavalieri d’Oro rimanenti avevano pregato il Sacerdote di non preoccuparsi. Anche se giovani e inesperti, non avrebbero indietreggiato davanti a niente.

Koroibos, l’organizzatore dei Giochi Ginnici delle Panatenee, era in piedi su un palchetto montato sul lato esterno della pista per la corsa con i carri, e stava discutendo con altri allenatori le ultime rifiniture del percorso, mentre il pubblico disposto tutto attorno scalpitava freneticamente. Era un giovane alto e snello, con ricciuti capelli scuri ed occhi verdi. Un viso sbarazzino e giovanile che mascherava la sua vera età, ormai superiore ai trentadue anni. Era il più celebre allenatore del Grande Tempio di Athena, a cui numerosi giovani Cavalieri o aspiranti tali si rivolgevano per ottenere le istruzioni fondamentali, in termini di esercizio fisico e alimentazione, ed egli, per quanto non fosse mai diventato un Cavaliere dotato di cosmo, non lesinava loro consigli e dritte al riguardo.

Il Grande Sacerdote aveva una grande stima di lui, attratto soprattutto dall’umiltà che sempre dimostrava, rifiutando premi ed encomi pubblici e preferendo dedicarsi alla cura della sua palestra e ad allenare i giovani, che in lui vedevano un vero e proprio maestro. Anche Orfeo, Cavaliere della Lira, si era rivolto a Koroibos, ed egli era probabilmente il ragazzo a cui Koroibos maggiormente si era affezionato. Per il suo carattere introverso, spesso solitario, e poco socievole, e per la sua grande forza interiore, sopita e mai compresa, neppure dallo stesso Orfeo, Koroibos dedicò molte attenzioni al giovane Cavaliere dai capelli azzurri, cercando di aiutarlo non soltanto a crescere fisicamente, ma anche interiormente.

"Allora, signori miei, vogliamo iniziare questa gara! Qua c’è un campione da premiare!" –Esclamò Argetti, avvicinandosi alla tribuna dove parlavano Koroibos e gli altri allenatori, giudici di gara.

"Siamo pronti, Argetti! Prendi pure posizione!" –Rispose Koroibos, invitando tutti i partecipanti alla corsa con i carri a posizionarsi sulla linea di partenza.

La corsa con i carri è uno sport di antica origine ed uno dei più diffusi nel mondo greco, presente in vari tipi di competizione, sia olimpiche che panatenaiche. Pare che la sua origine sia attribuibile a personaggi del Mondo Antico come Prometeo, inventore della biga, o Erittonio, inventore della quadriga. Fu introdotta ufficialmente ai Giochi Olimpici del 680 a.C. e la sua struttura non cambiò nel tempo, al punto che Koroibos e gli organizzatori della gara per le Panatenee mantennero le regole classiche. Con essa si dava inizio, durante il secondo giorno, alle vere e proprie gare, infatti al termine della sfilata i giochi venivano proclamati ufficialmente aperti.

Ad un cenno di Koroibos, i carri entrarono in processione nell’ippodromo, passando via via davanti alla tribuna dei giudici e degli istruttori, dove un araldo annunciò i nomi del proprietario di ogni carro, di suo padre e della città di provenienza. I carri nell'ippodromo dovevano compiere un certo numero di giri, fissati, come quelli di Pindaro, in dodici giri di pista, corrispondenti a una decina di chilometri, facendo molta attenzione. I momenti più pericolosi della gara erano quelli nei quali i carri giravano di 180 gradi intorno ad un punto preciso detto "meta". L'operazione era naturalmente più rischiosa nel caso delle quadrighe, forse anche per la maggiore spettacolarità rispetto alla gara delle bighe. Ed infatti, per rendere più accesa la competizione, Koroibos aveva deciso che i carri in questione dovevano essere appunto quadrighe.

Argetti, privo della sua Armatura di Eracle, si trovava in cima al suo carro, alto e possente, e teneva con baldanza le redini della sua quadriga, mentre i quattro cavalli bruni davanti ad essa scalpitavano voracemente. Ai suoi lati, allineati sulla stessa linea, altri sette concorrenti, provenienti da tutta la Grecia. Orione e Dedalus erano poco distanti dalla tribuna e, oltre a tifare per il loro amico, si guardavano intorno con attenzione. Orione soprattutto sembrava più preoccupato dell’amico, chiedendosi per quale motivo i Cavalieri d’Oro non erano presenti, ma erano rimasti rinchiusi nelle loro Case.

Uno sparo improvviso diede il via alla gara, distraendo i Cavalieri d’Argento dai loro pensieri. Gli otto concorrenti partirono contemporaneamente, incitando i loro cavalli a sfrecciare nel vento, senza però esaurirli completamente. Sapevano che la gara era di resistenza più che di velocità, poiché dovevano compiere una dozzina di giri del circuito, ed era meglio quindi non fiaccare troppo i quattro animali, conservando le loro forze per il serrato galoppo finale.

Dedalus incitava l’amico Argetti, trascinato dall’emozionante sfida, osservandolo farsi largo nella massa indistinta di cavalli e aurighi, superandone alcuni e trovandosi ben presto in testa. Argetti eseguì i primi cinque giri con perfetta abilità, ma al sesto ebbe qualche problema alla seconda meta, per uno sbilanciamento del suo carro. Gli altri concorrenti allora ne approfittarono per cercare di superarlo, iniziando un testa a testa per il controllo delle prime posizioni. Qualcuno andò fuori dal circuito, altri caddero a terra, a causa dello spezzarsi dell’asse della quadriga, e all’undicesimo giro erano rimasti soltanto in tre: Argetti e altri due ragazzi di Corinto.

Con impeto, Argetti guidò i cavalli verso l’ultima meta ma l’asse della sua quadriga non resse lo sforzo eccessivo, troncandosi a metà e facendo crollare al suolo il corpulento Cavaliere d’Argento. La vittoria andò quindi ad un giovane bruno di Corinto, il proprietario della cui quadriga fu, come nella tradizione, incoronato e a lui vennero tributati gli onori del trionfo. Dedalus raggiunse l’amico ai margini della pista, dove subito erano intervenuti gli infermieri per verificare le sue situazioni. Una piccola lussazione alla spalla destra e graffi sul corpo, ma niente di irreparabile.

"Maledizione!!!" –Scalciò Argetti, rialzandosi bruscamente e scacciando tutti i medici. –"Avevo la vittoria a portata di mano!"

"Mettiti a dieta, gigante!" –Ironizzò Dedalus. –"Forse la prossima volta l’asse riuscirà a sopportare il tuo peso! Ah ah ah!"

"Dedalus!!!" –Ringhiò Argetti irato, iniziando ad inseguire l’amico lungo i margini dell’ippodromo, tra l’ilarità generale.

In quello stesso momento altre persone entravano nel Grande Tempio di Athena rimanendo affascinate ed estasiate dall’aura di magnificenza che gli antichi edifici sacri sembravano emanare. Due ragazzi procedevano guardandosi intorno con gli occhi sgranati, increduli di poter ammirare finalmente tale splendore.

"Incredibile!" –Esclamò Tebaldo. –"Questo Santuario trasuda di epicità, di una maestosa solennità!"

"Molto di più, Tebaldo! Molto di più!" –Gli andò dietro Ascanio, tremendamente impressionato. –"Guarda questi marmi come sono lavorati, guarda che lavoro di intarsio! Questo Santuario è come Roma per gli antichi latini! Il Grande Tempio di Athena, dove adesso siamo giunti come visitatori, un giorno ci aprirà le porte come suoi Cavalieri!"

Tebaldo sorrise, camminando a fianco del compagno di addestramento, finché non giunsero all’Arena dei combattimenti, dove era in corso uno scontro piuttosto duro tra due contendenti. Incitati dalla folla, al centro dell’anfiteatro due uomini svestiti stavano lottando tra loro, a mani nude, gettandosi in terra, rotolandosi sul terreno, in un corpo a corpo travolgente e a tratti animalesco. Tebaldo si mosse sorpreso per intervenire, ma Ascanio lo pregò di non intervenire, facendogli cenno di osservare quegli uomini sul palco laterale intenti ad osservare.

"Non disturbare le gare ginniche!" –Esclamò Ascanio. –"Questa è una gara di pancrazio!"

"Pancrazio?!" –Mormorò Tebaldo. –"Non conosco tale sport!"

"Il pancrazio è una disciplina di origine greca, a metà strada tra la lotta e il pugilato, introdotta ad Olimpia in occasione della XXXIII Olimpiade nel 648 a.C., come frutto di una già matura conoscenza dell'attività atletica e delle esigenze spettacolari!" –Spiegò Ascanio. –"Il termine deriva dal greco pankration, pan = tutto e kratos = potere, forza, e significa "intera forza del corpo". Infatti lo scopo di tale prova è di vincere l’avversario, a mani nude, usando tutti i mezzi possibili, compresi gli sgambetti e i morsi! Questa è la fase chiamata kylisis o alindèsis, la fase della lotta a terra!".

"Non è molto cavalleresco!" –Precisò Tebaldo, continuando ad osservare i due uomini azzuffarsi sul terreno come bestie.

"Al contrario! Lo trovo molto affascinante! È una disciplina che permette di liberare i primordiali istinti dell’uomo in un rito sublimante! Ed è tra le più complete discipline da combattimento, poiché comprende tecniche diverse tra loro, ed allena quindi ad un uso generale del proprio corpo, tra cui all’acrocorismo, ossia alla torsione e conseguente rottura delle dita delle mani; alla torsione degli arti chiamata stre-bloùn, ai tentativi di soffocamento, apopnigheìn, o strangolamento, ànchein!" –Spiegò Ascanio, ma Tebaldo storse il naso, non molto affascinato dall’insegnamento.

"Un’ottima spiegazione!" –Esclamò una terza voce, interrompendo il dialogo tra i due amici. –"Perdonate l’intrusione, giovani visitatori, ma sentendovi parlare così meticolosamente di una disciplina sportiva non sono riuscito a trattenermi! Io sono Koroibos, l’organizzatore sportivo delle Panatenee!" –Si presentò l’uomo riccioluto, appena arrivato all’Arena, dopo aver premiato il proprietario della quadriga vincitrice.

"Io sono Ascanio, piacere di conoscervi!" –Esclamò Ascanio, subito imitato da Tebaldo.

"Per favore, non datemi del voi! Preferisco usare un tono più familiare con chi sembra avere i miei stessi interessi!" –Sorrise Koroibos. –"Conoscete bene il pancrazio a quanto pare!"

"Ho sempre avuto un interesse notevole per le discipline sportive greche, soprattutto quelle di combattimento! Non sono molto veloce nella corsa, ma sono resistente e tenace nella lotta!" –Esclamò Ascanio, stringendo i pugni.

"Ottimo! La tenacia è la dote fondamentale di uno sportivo! Se non abbiamo in mente la nostra meta finale, ciò che ci spinge a lottare, difficilmente arriveremo da qualche parte!" –Affermò Koroibos, prima di fissare direttamente Ascanio. –"Vuoi partecipare?!"

La domanda lasciò Tebaldo di stucco e anch’egli si voltò bruscamente verso il compagno di addestramento, osservando dipingersi sul suo volto un lineamento di perfetta soddisfazione. Ascanio annuì con la testa, accettando l’offerta di Koroibos.

"Sarebbe un onore per me!"

"Potrebbe essere anche la tua morte, ragazzo!" –Precisò Koroibos, mettendolo in guardia. –"Il pancrazio non risparmia nessuno! Sarai esposto a colpi terribili, ad una violenza liberata e gratuita che potrebbe portare anche alla tua morte! Accetti il rischio?"

"Ascanio! Non essere incosciente!" –Intervenne Tebaldo, pregando l’amico di lasciar perdere. E poi si rivolse a Koroibos. –"E voi non tentatelo ancora con questi discorsi pericolosi!"

"Il rischio fa parte della vita, Tebaldo!" –Precisò Ascanio, poggiando una mano sulla spalla dell’amico. –"E se non ti metti in gioco, se non sei disposto a rischiare, non saprai mai quanto vali!" –Detto questo si incamminò verso l’Arena, preceduto da Koroibos, che gli fece spazio tra la folla.

L’allenatore salì sul palco dei giudici, al termine dell’incontro in corso, e annunciò un nuovo, inaspettato combattimento. Ascanio venne condotto da alcuni assistenti di Koroibos ai margini dell’Arena, dove venne preparato per la sfida. Gli furono rasati i capelli, neri e rampanti, svelando il suo cranio scuro; fu spogliato nudo e gli fu fatto indossare un perizoma nero, rivelando il fisico scolpito. Il suo corpo venne unto di olio e cosparso di polvere di pomice, il cui scopo era quello di controllare la traspirazione eccessiva e di mantenere il corpo fresco. Quando fu pronto fu portato nell’Arena, per trovarsi di fronte il suo avversario: un uomo sui trent’anni, alto quasi due metri, grosso e robusto, dalla carnagione scura su cui spuntavano nodose vene.

"Che lo scontro abbia inizio!" –Esclamò la voce decisa di Koroibos, mentre tutto intorno la gente prendeva posizione, Tebaldo in prima fila, per assistere a quel nuovo incontro, che si preannunciava un omicidio deciso da parte del colosso. –"Vi ricordo che in questa disciplina non vi sono limiti di tempo ed il combattimento si protrarrà fino alla resa di uno dei due contendenti! Non esistono regole e tutti i colpi portati con l’utilizzo del vostro corpo sono ammessi! Buona fortuna a entrambi i contendenti, siate valorosi e ricordate…" –Aggiunse sornione. –"Athena vi guarda!"

Subito il gigantesco uomo si lanciò su Ascanio cercando di afferrarlo, ma il ragazzo fu abile a lanciarsi di lato e rotolare sul terreno, portandosi alla destra del colosso e colpendolo con un calcio su una gamba. Ma l’uomo parve non sentire neppure quella puntura di mosca, calandosi su Ascanio e afferrandolo per una gamba. Lo sollevò da terra come fosse aria, davanti agli sguardi preoccupati degli spettatori, e terrorizzati di Tebaldo, e lo sbatté sul terreno come un cencio, percuotendo il suo corpo di botte.

Ascanio riuscì a liberarsi della presa del gigante, sferrandogli un calcio in pieno viso, che gli spaccò la mascella, prima di colpirlo nuovamente in mezzo alle gambe, facendolo accasciare a terra, tra le grida osannanti del pubblico.

L’idea di essere al centro di uno spettacolo, circondato da una folla in festa e con una corona di alloro sul capo, per un attimo distrasse la mente di Ascanio, impedendogli di vedere il colosso che si abbatteva su di lui, buttandolo a terra e schiacciandolo con la sua mole. Si azzuffarono per parecchi minuti sul terreno sabbioso, rotolando, ringhiando, mordendosi ripetutamente, nel pieno delirio della kylisis, mentre Koroibos dall’alto del palco seguiva la vicenda con attenzione. Tebaldo lo chiamò a gran voce, pregandolo di interrompere l’incontro, per salvare Ascanio dalla furia di quel mostro. Ma Koroibos lo pregò di calmarsi e di attendere.

"Hai così poca fiducia nel tuo compagno?" –Gli chiese, tornando a poggiare lo sguardo sui due concorrenti, ormai ricoperti di sabbia e di polvere, mescolati a grumi di sangue che uscivano dalle ferite che avevano sul loro corpo.

Il gigante aveva bloccato dal dietro i movimenti di Ascanio e stava cercando di strangolarlo con le sue robuste braccia. Per qualche interminabile minuto l’intera Arena del Grande Tempio fu percorsa da un tremendo silenzio, in cui nessuno osava fiatare tanta era la tensione nell’aria. Le ossa di Ascanio sembrarono scricchiolare sinistramente sotto la pressione soffocante del corpulento avversario. Per un momento i sensi parvero abbandonarlo e tutto iniziò ad apparire sfuocato. Gli occhi verdi di Ascanio tremarono sotto il sole di Atene, avviandosi verso l’ombra, verso un regno in cui non vi era più lotta né dolore. Ma prima di cedere gli tornarono in mente gli insegnamenti del Vecchio Maestro e le parole di Koroibos.

"La tenacia è la dote fondamentale di uno sportivo! Se non abbiamo in mente la nostra meta finale, ciò che ci spinge a lottare, difficilmente arriveremo da qualche parte!"

"E io voglio arrivare!" –Mormorò Ascanio, iniziando a reagire. Afferrò con le mani le robuste braccia del colosso che gli stringevano il collo e iniziò a spingerle via, liberandosi dalla morsa mortale dell’uomo, davanti agli occhi attoniti della folla, che non poté che esplodere in un’esplosione di festosità e in grida di sostegno.

Ascanio spinse ancora, con la sola forza delle braccia, e riuscì ad aprire gli arti del gigante, sconvolto da un simile prodigio da parte di un tredicenne; quindi si sollevò lentamente sulle ginocchia, spingendo con tutta la forza che aveva in corpo, con tutta la forza che aveva nel suo spirito. Per un momento Koroibos vide un evanescente fuoco brillare dentro gli occhi di Ascanio, un’aura luminosa pervadergli tutto il corpo. Fu un attimo e il gigante si ritrovò a terra, letteralmente capovolto da Ascanio, che lo sbatté sull’arido suolo, spaccandogli qualche ossa. Quindi si gettò su di lui, con il volto stanco e rigato dal sangue e dal sudore, ed iniziò a tempestarlo di pugni sul viso e di calci. Il colosso era rimasto sorpreso ed indebolito e non riuscì ad attuare la mossa di "presa della gamba" per frenare i calci di Ascanio, sempre più precisi, sempre più mirati.

L’ultimo calcio gli spaccò il viso, strusciando il colosso sul terreno sabbioso per qualche metro, lasciandosi dietro sé una macabra scia di sangue. La folla in quel momento impazzì, esplodendo in grida di giubilo e di trionfo, mentre i giudici fermavano la gara, dichiarando Ascanio vincitore. Molti spettatori invasero l’arena in festa per applaudire Ascanio, che fu sollevato sulle spalle di alcuni e portato in trionfo, acclamato come gli eroi dei Giochi Antichi. Con il cuore che gli batteva all’impazzata per lo sforzo, grumi di sangue e sabbia sul corpo e un paio di denti rotti, Ascanio contemplò dall’alto il suo trionfo, sorridendo a Tebaldo, che lo osservava rasserenato insieme a Koroibos.

"Da quanti anni si sta allenando?" –Domandò a bassa voce al ragazzo.

"Uh?!" –Tebaldo venne preso alla sprovvista, ed esitò un poco nel rispondere. –"Du.. Due anni, signore! Da due anni!"

"E ha già tutto quel cosmo dentro!" –Rifletté Koroibos tra sé. Ricordò la luce che aveva visto negli occhi di Ascanio, la luce di un giovane cosmo impetuoso. Per un momento aveva creduto che fosse Athena colei che guidava il suo cammino, ma poi rifletté che, per ciò che aveva potuto percepire, Ascanio avrebbe seguito un altro percorso. –"Quale che sia non lo porterà a diventare un Cavaliere di Athena!"

La folla portò Ascanio in trionfo per le strade attorno all’Arena dei Combattimenti, passando davanti all’infermeria del Grande Tempio, dove i dottori e le Sacerdotesse erano impegnate a curare gli atleti feriti nelle varie gare. Alcune bambine, allieve della Scuola per Sacerdotesse, aiutavano i dottori nella loro opera di assistenza.

"Uff!" –Sbuffò una bambina dai folti capelli verdi, con il volto ricoperto da una maschera. –"Quando ci fanno cucire dei pezzi di stoffa, quando ci fanno medicare le ferite degli altri! Ma quand’è che ci insegneranno a combattere?" –Brontolò Tisifone. –"Non sono venuta fin qua dall’Italia per diventare una dama di corte!"

"Non essere irritata, Tisifone!" –Cercò di tranquillizzarla Castalia. –"Questo pomeriggio abbiamo compiti importanti, nonostante la nostra giovane età! Non capitano tutti i giorni i Giochi Panatenaici!"

"E per fortuna!" –Sbottò Tisifone, prima che una delicata figura femminile apparisse dietro di loro. –"Si.. Signora Ada!" –Balbettò la bambina, incontrando lo sguardo della donna.

"Sento che non apprezzi molto il lavoro di servitrice della Dea Athena, Tisifone!" –Esclamò la donna con voce pacata, senza ostilità.

"Non è che non apprezzo, signora! Semplicemente vorrei dedicarmi ad altro, ad imparare a tirare di spada, a guerreggiare, che non a ricamare!" –Rispose Tisifone.

"Capisco! Stare tra queste quattro mura di ospedale ti annoia, vero? Beh, annoia anche me!" –Sorrise Nonna Ada, sedendosi su una seggiola davanti alle due bambine. –"Quando avevo la vostra età e mia Nonna pretendeva che le dedicassi qualche ora al giorno per pregare con lei, non potevo fare a meno di essere scocciata! Per quanto adorassi la Dea Athena, avendo sentito fin da giovane una profonda vocazione verso gli ideali che rappresenta, ero pur sempre una bambina di otto anni! E non si può pretendere che un bambino sia già un adulto! Sarebbe come rubargli l’adolescenza!"

Tisifone e Castalia la guardavano con grande ammirazione. Nonna Ada, giunta al Grande Tempio da pochi mesi, per accompagnare il nipote Aldebaran verso il riconoscimento ufficiale dell’Armatura del Toro conquistata in Brasile, era entrata fin da subito nel cuore delle fanciulle e delle aspiranti Sacerdotesse. Era stata lei infatti a sovrintendere, su ordine del Grande Sacerdote, il ricamo del peplo di Athena, sostituendo l’altra anziana Sacerdotessa morta poco prima. Era una donna saggia e molto pratica, che non dimostrava affatto i suoi ottantatre anni. Qualcuno diceva che un tempo fosse stata anche una Sacerdotessa guerriero, ma lei non ha mai confermato né smentito tale tesi, amando ripetere di essere semplicemente una Sacerdotessa dedita al Culto della Dea Athena.

"Athena ama i suoi giovani! E vuole che crescano con la giusta dose di spirito combattivo ma anche di spirito dedito agli altri!" –Spiegò Nonna Ada. –"I Cavalieri di Athena non sono uomini soli, ma combattono in gruppo, aiutandosi l’un l’altro nei momenti di difficoltà! Come fratelli, devono essere pronti a darsi la mano, per quanto talvolta l’orgoglio e la ricerca di gloria in battaglia appannino il credo a cui tengono fede! Voi, che siete donne, avete dovuto rinunciare già alla vostra femminilità, nascondendo il vostro volto! Non voglio che rinunciate anche ai vostri giochi!" –Sorrise loro Nonna Ada, invitandole ad uscire a vedere gli spettacoli. –"Parlerò io con i vostri superiori!"

"Ooh grazie!" –Esplosero di gioia Tisifone e Castalia, correndo in fretta verso la porta di uscita. Nella corsa si scontrarono con un Cavaliere ricoperto da una bluastra armatura d’Argento, che entrava nelle infermerie per controllare che tutto fosse in regola. –"Ouh, ci perdoni, signore!" –E scapparono via, preoccupate di aver commesso qualche guaio.

"I giovani! Aaah.. sono sempre di fretta!" –Sorrise Nonna Ada andando incontro al Cavaliere d’Argento.

Noesis del Triangolo ricambiò il sorriso, pregandola di non preoccuparsi, e chiedendole se desiderava unirsi a lui nel giro di ronda attorno all’ospedale, approfittandone per scambiare qualche parola. Nonna Ada accettò ma appena furono nel cortile assistettero ad un atto inaccettabile. Un uomo adulto stava schiaffeggiando un bambino, accusandolo di aver rubato della frutta dal suo banco.

"Ehi!" –Esclamò Noesis, fermando il braccio del nerboruto uomo. –"Che maniere sono queste? Come ti permetti di picchiare un bambino?"

"Nobile Noesis!" –Mormorò l’uomo, imbarazzato di essere stato sorpreso da un Cavaliere di Athena. Ma questo non cambiò la sua collera verso il bambino. –"Sono stanco di quel moccioso! Ogni giorno viene qua, al mio banco di frutta, e ruba qualcosa! I miei figli non lavorano nei campi solo per vedere loro padre farsi derubare come un allocco da un moccioso irrispettoso!"

"Capisco! Ciò non toglie che la violenza gratuita contro gli infanti sia proibita in questo Santuario!" –Lo rimbeccò Noesis. –"Non tollero, né Athena prima ancora di me, simili atti contro i bambini! Prendi questi soldi, uomo, ma non osare levare la mano ancora contro di lui! O ti punirò io stesso!"

"Sì.. sì, signore!" –Balbettò l’uomo, accettando le monete che Noesis gli aveva posto, e ritornando al suo banco di frutta.

Noesis raggiunse il bambino, seguito da Nonna Ada, aiutandolo a rimettersi in piedi. Era piccolo, sui sei/sette anni, con un vispo sguardo e folti capelli neri. Lo pulì dalla polvere e gli curò alcune ferite sul viso e sulle braccia con il suo cosmo, prima che Nonna Ada lo prendesse per mano, portandolo ad una mensa pubblica a mangiare.

"Perché hai rubato quella frutta?" –Domandò Noesis, senza asprezza, per quanto immaginasse già la risposta.

"Avevo fame!" –Rispose il bambino, con gli occhi gonfi di lacrime. Strusciò il viso sulla tunica di Nonna Ada, quasi per nascondere la sua vergogna e la sua sofferenza.

"Non hai una famiglia, qualcuno che ti dia da mangiare?" –Domandò Nonna Ada.

"No! I miei sono morti affogando con una nave anni fa e io vivo nel fienile di alcuni contadini, ai margini meridionali delle colline!" –Spiegò il ragazzetto.

"Capisco! Non preoccuparti, piccolo!" –Gli sorrise Noesis, con il bel volto biondo bagnato dal sole. –"Ci prenderemo noi cura di te! Potrai rimanere al Grande Tempio e qua troverai sostentamento e un alloggio! Ma non dovrai rubare più! I furti sono proibiti dalla legge e da Athena! Hai capito?"

"Sì, signore!" –Sbatté le lunghe ciglia nere il bambino, prima che Nonna Ada lo invitasse a sedere alla mensa accanto a lei.

"Qual è il tuo nome, bambino?" –Gli chiese Noesis infine.

"Retsu!" –Rispose egli. –"Mi chiamo Retsu, signore!"