CAPITOLO QUATTORDICESIMO: SECONDO INTERLUDIO: ARIA.

Estratto dalle Cronache di Avalon.

Ventesimo anno prima del Secondo Avvento.

Anche per quel giorno la lunga fila dei postulanti era stata smaltita e il Principe della Valle di Cristallo poté raggiungere i suoi alloggiamenti privati, togliersi la pesante cappa di pelliccia e prepararsi per un bagno caldo. Ore e ore seduto su quel trono di ghiaccio, ad ascoltare le più svariate suppliche del suo popolo, gli avevano fatto intorpidire le membra e adesso desiderava soltanto…

Un colpetto alla porta lo distrasse, mentre terminava di slacciarsi la camicia. Prima ancora che potesse chiedere chi fosse, la porta si aprì e l’esile sagoma di Natassia entrò, reggendo un mucchio di asciugamani caldi.

"Perdonatemi, mio Signore. Immagino che sarete stanco dopo tutte quelle chiacchiere."

"Non sono mai stanco di ascoltare il mio popolo."

"Questo lo so!" –Mormorò, abbassando gli occhi. –"Quello che volevo dire è che magari avreste bisogno di un massaggio, di qualcuno che si prenda cura della vostra schiena. Vi ho mai detto che mia madre era un’erborista? Conosceva tutte le erbe e i loro usi medicamentosi. Oh ma non era una strega, sia chiaro!"

"Non lo penserei mai!" –Sorrise Alexer. –"Difficilmente una strega avrebbe partorito una così leggiadra creatura." –Aggiunse, suscitando un rossore improvviso sulle guance della domestica. –"Narrano gli scaldi di nascite miracolose di cui il Grande Ingannatore si sarebbe reso protagonista. Lupi, Serpi del Mondo, persino un cavallo a otto zampe avrebbe generato. Ma nemmeno Balder lo Splendente sarebbe riuscito a mettere al mondo così tanta bellezza, riunendola in una sola aggraziata figura."

"Mio Signore… Voi mi confondete."

"Perdona le mie parole, Natassia. Come hai detto, sono molto stanco. Gradirei riposare, adesso. Scenderò per la cena." –Commentò Alexer, voltandosi e lasciando la fanciulla, a mani giunte, in imbarazzata attesa.

"Come desiderate. Darò ordini ai cuochi di preparare la zuppa che vi piace tanto. Con permesso." –Sollevò a malapena la gonna e se andò, lasciando il Principe della Valle di Cristallo da solo.

Principe… Mormorò, chiedendosi quanto ridicolo, a volte, gli sembrava quell’epiteto. Principe di cosa? E per volere di chi? Essere un principe dovrebbe voler dire poter fare tutto quel che uno vuole, invece quello che faccio, da secoli, è aspettare. E se i tempi stessero cambiando? Se potessi infine prendere quel che mi guarda e sorride, a pochi passi di distanza? Sarebbe una violazione delle regole?

Infastidito da pensieri che non gli appartenevano, Alexer terminò di spogliarsi, prima di entrare nella grande vasca piena d’acqua calda, che Natassia aveva diligentemente riempito. Doveva ammetterlo, da quando quella ragazza era arrivata, la vita in quel castello tra i ghiacci gli era parsa più piacevole.

"Una piacevole distrazione." –Gli aveva detto un giorno il maniscalco, strappandogli una risata e dicendo quel che tutti pensavano. Con quella chioma bionda e gli occhi verdi, con il sorriso caldo che non mancava di riservare a chiunque la salutasse, Natassia aveva davvero portato un po’ di sole nella gelida valle.

"Al tuo posto non mi affezionerei troppo!" –Esclamò allora una voce, facendo sobbalzare Alexer dal torpore in cui stava sprofondando. Sollevò la testa dalla nube di sapone e guardò verso la porta che dava sulla terrazza a settentrione, da cui era solito ammirare il panorama fino alla cittadella di Asgard. Là, tra le tende che a malapena si mossero, una figura ammantata era appena apparsa. Come avesse aperto la porta, senza farsi udire, e come avesse fatto ad apparire sulla più alta terrazza del castello senza farsi individuare dalle guardie gli fu chiaro solo quando si avvicinò, lasciando che la luce del caminetto rivelasse per un momento il suo volto austero.

Anche se erano passati anni dal loro ultimo incontro, Avalon non era cambiato.

Avalon, del resto, non cambiava mai.

"Fratello!" –Mormorò, accennando ad alzarsi, ma l’altro lo pregò di rimanere nella vasca.

"Goditi il tuo bagno caldo, Alexer, il tepore di momenti che presto verranno meno. Mi tratterrò per poco. Ben più lontano luogo richiede la mia attenzione. Pur tuttavia, poiché di rado abbandono l’Isola Sacra, ho ritenuto doveroso portarti i miei saluti, soprattutto adesso."

"Adesso?!"

"Adesso che l’ombra è prossima al risveglio e, presto, lambirà anche le bianche distese di Asgard. O Midgard, come la chiamarono i primi uomini."

"Dunque ci siamo? I Progenitori stanno per risvegliarsi." –Rifletté cupo Alexer, pensando d’improvviso ai suoi sudditi, a quel popolo rude ma generoso che aveva sopportato i lupi, il freddo, la scarsità di cibo. Avrebbe retto a un’invasione? Un’invasione scatenata dagli Dei Antichi?

"Ho avvertito qualcosa." –Confessò Avalon, passeggiando attorno alla grande vasca. –"Una vibrazione. Minima, quasi impercettibile. Come se un seme d’ombra fosse stato piantato nelle catene montuose del Pindo."

"In Grecia? È là che stai andando?"

"No! Ho mandato il mio discepolo a controllare. Pare che gruppi di giganti si dilettino ad assaltare villaggi e viandanti, un problema che Micene ha portato all’attenzione del Grande Sacerdote di Atena. Saranno loro a occuparsene. Io sto andando in America a prendere uno dei Sette."

"Uno dei Sette? L’hai trovato quindi?"

"Non sono io a trovarli, Alexer, ma loro stessi a rivelarsi, quando il mondo ne ha bisogno."

"Il secondo in due soli anni." –Mormorò il Principe, trovando Avalon concorde. –"Il terzo, con Reis. Hai ragione, l’ora del Secondo Avvento si sta avvicinando."

"Per questo dobbiamo essere pronti. Nel corpo e nell’anima. Niente deve distrarci dal compito supremo per cui siamo nati e vissuti."

"Naturalmente." –Annuì subito Alexer. Quindi, notando che Avalon non aveva risposto, si voltò e vide che lo stava fissando, con i suoi magnetici occhi argentati che luccicavano pur nell’ombra del cappuccio. –"Qualcosa ti turba?"

"Molte cose mi turbano. La paura del fallimento, per prima. Abbiamo aspettato tanto. Quanto? Neppure lo ricordo. Neppure ricordo cosa vi fosse nella vita prima del tempo, prima che la nostra coscienza si formasse e venissimo al mondo come Angeli. Tu sai come siamo nati, fratello?" –A quelle parole, l’Arconte d’Aria scosse la testa, stranito. –"Io sì e temo di essere l’unico a ricordarlo. L’unico a ricordare il suo volto. Comunque, non con storie di famiglia voglio tediarti, solo rammentarti chi siamo e quel che siamo destinati a compiere. Noi siamo l’inizio e la fine, Alexer. Noi siamo l’Alfa e l’Omega. Abbiamo aperto e chiuderemo quest’era del tempo cosmico."

"Sono consapevole della nostra missione, fratello, e sai che potrai sempre contare su di me. Per qualunque richiesta."

"Ne sono certo." –Esclamò Avalon, in quello che ad Alexer parve un sorriso tirato. –"Dei Cinque, sei colui che non mi ha mai deluso, che è sempre rimasto al mio fianco, solido come la pietra più antica che neppure secoli di intemperie hanno scalfito. Anhar mi ha tradito e Asterios se ne è andato sulla Luna. Sì, protegge il Talismano che là è celato, ma è davvero per quello che ha lasciato la Terra? A volte penso che niente gli interessi se non suonare la sua cetra in pace, cantando un tempo mitico che non ha mai vissuto. La nostalgia del tempo prima del tempo è molto forte in lui. A volte temo che vi sia troppo ancorato e dimentichi che, come Angeli, noi siamo al di sopra di tutto ciò che ci lega a un qui e ora."

"E Andrei? Lui ti è fedele. Brama, arde direi, all’idea di combattere!"

"Conosco bene il suo valore guerriero e la sua fedeltà non è in dubbio, come non lo è la tua o quella di Asterios. Pur tuttavia vivere tra gli uomini, con gli uomini, può avvicinare alcuni di noi al loro lato più possessivo." –Spiegò infine Avalon, accostandosi alla vasca e sfiorando la mano del fratello. Bastò quel contatto per guardargli dentro e trovare conferma ai suoi timori.

Alexer avrebbe voluto dire qualcosa ma seppe di non avere niente da dire, incapace di spiegare sentimenti che non aveva mai creduto di poter provare. Incapace di spiegarli a qualcuno che non li avrebbe mai compresi. Temette, per un momento, che Avalon lo folgorasse con lo sguardo, e forse anche con una scarica di energia, ma questi si limitò a voltargli le spalle, sospirando.

"Non affezionarti a lei." –Disse, avviandosi verso la terrazza. –"L’affetto conduce alla possessione, all’attaccamento materiale di cui gli uomini sono schiavi. Noi siamo Angeli, noi siamo oltre tutto questo. Persino oltre questo mondo che è solo la nostra dimora temporanea. Un giorno, quando rinasceremo per una nuova missione, ne avremo perso perfino il ricordo."

"Eppure Andrei si è unito a una donna, e anche Asterios. Perché io non dovrei?"

"Asterios non ha avuto una donna. Ne ha avute molte, se vuoi saperlo. Ma non erano donne, erano le colonne portanti dell’Avaiki dove i discendenti di Antalya trovarono riparo. A nient’altro è servita la loro esistenza se non al mantenimento di quell’equilibrio. Non figlie, ma mezzi per raggiungere uno scopo. In quanto ad Andrei, l’ho sgridato all’inizio, ma poi, per ironia, quel bambino si è rivelato uno dei Sette. In che modo bizzarro opera il destino!" –Disse Avalon. –"In un modo che difficilmente si ripete." –Aprì la porta e se ne andò, lasciando Alexer ai suoi pensieri, con un’ultima frase che gli rimbombava nella mente.

"Siamo Angeli. Possediamo il mondo, ma in realtà non possediamo niente."

Era vero.

L’Arconte d’Aria l’aveva sempre saputo sebbene solo in quei giorni avesse iniziato a pesargli. Ma era ancora in tempo per impedire che accadesse.

Uscì dalla vasca, si asciugò e indossò i suoi abiti da viaggio. Quando discese nel salone del castello, avvolto nel suo mantello di pelliccia, nessuno dei servitori fece domande, apprestandosi a tenere in caldo la cena. Non gli servì neanche un cavallo, gli bastò fissare un punto imprecisato a nord, chiudere gli occhi e scomparire.

Quando riapparve era di fronte al Cancello dei Grifoni.

***

"A cosa devo l’onore di questa visita, Principe Alexer?" –Esordì il Celebrante di Odino, non appena l’uomo ebbe varcato la soglia della grande sala. Gli andò incontro, inchinandosi al suo cospetto. –"Inaspettata ma di certo gradita. Posso offrirvi qualcosa? Abbiamo dell’ottima birra…"

"Sto bene così, ma vi ringrazio, Altan. So bene che la vostra ospitalità è a dir poco squisita e sarò lieto di approfittarne in futuro. Ma sono qui per un altro motivo." –Disse l’Arconte d’Aria, avvicinandosi all’uomo, che prontamente si alzò, scrutandolo interessato. A bassa voce, Alexer proseguì. –"Il passaggio. Vorrei che me lo indicaste."

"Il… passaggio?!"

Alexer annuì, fissando il sacerdote con profondi occhi azzurri che mai come in quel momento sembravano freddi come la neve.

"Mi è proibito farne menzione… sapete bene che nessuno può raggiungere la reggia di Odino se non è lui stesso a convocarlo."

"Non al Valhalla sono diretto. Ma dalle risposte che troverò ad Asgard potrebbe dipendere la sorte di questo mondo e di tutti gli altri."

Altan di Polaris rimase un attimo pensieroso, strusciandosi la folta barba, prima di annuire, dando voce alle guardie rimaste sulla soglia. –"Fate chiamare Daeron!" –Quindi, voltandosi verso Alexer, lo invitò a seguirlo fino al trono. –"A nessun uomo è mai stato concesso un onore simile ma voi mi avete aiutato spesso, Principe. Ogni volta in cui Midgard ha avuto bisogno. Ci avete mandato cibo, sebbene, ben lo sappia, neppure la vostra valle ne immagazzini tanto, ci avete difeso dalle orride creature della Foresta di Ferro, e ci avete sostenuto nella guerra contro Isung. Guerra che avete, con la massima diplomazia possibile, tentato di scongiurare fino alla fine. Nessuno ha mai fatto tanto per queste terre dimenticate dagli Dei."

"Non ditelo! Odino ascolta. Gli Dei ascoltano. Sono solo troppo preoccupati per ricordarsi di rispondere."

"Preoccupati da cosa?" –Mormorò Altan, trattenendo a stento una risata.

"Dalla fine di tutte le cose."

L’arrivo frettoloso di un ragazzo in armatura blu tolse il sacerdote da quello scomodo silenzio, mentre, alle sue spalle, una bambina dai lunghi capelli argentati, in vestaglia da notte, si affacciava incuriosita.

"Oh Daeron, eccoti! Grazie per essere arrivato così celermente e… Ilda? Ma cosa fai qua? Dovresti essere nelle tue stanze! Se tua madre ti scopre in giro per il castello… e scalza per di più!" –Esclamò il celebrante, andando incontro alla bambina e chinandosi per prenderla in braccio, mentre lei gli si aggrappava forte.

"La mamma è malata. Continua a tossire. I cerusici dicono…"

"Lascia stare quello che dicono quei portascalogna. Tua madre starà bene, vedrai. E quando l’inverno passerà, ti porterà a giro per la Valle di Cristallo. Vuoi vedere la Valle di Cristallo, Ilda? È bellissima. Il Principe Alexer te lo può confermare."

L’Arconte d’Aria rimase in silenzio per qualche secondo, ricambiando lo sguardo incuriosito della bambina. Quindi, stringendosi nel manto di pelliccia, si limitò a poche parole.

"L’inverno non passerà. È appena iniziato." –E si avviò fuori dal palazzo di Asgard, subito seguito dal ragazzo convocato dal sacerdote.

"Mio Signore, siete certo di voler scalare la Montagna Sacra? È buio ormai. Non sarebbe prudente aspettare l’alba?"

"Non sono il tuo signore, né sei legato da alcun giuramento, per cui, se non vuoi seguirmi, sei libero di restare. Io devo andare o questa Terra rischia di non vedere un’altra alba."

La determinazione negli occhi di Alexer spinse il ragazzo a non porre ulteriori domande. Si strinse nel mantello a sua volta, tappandosi la gola con una sciarpa, e fece strada, inoltrandosi lungo il sentiero che si inerpicava nel cuore della montagna alle spalle della cittadella, proprio a picco sul mare. A volte, le nebbie che la circondavano erano così fitte che gli abitanti di Asgard non riuscivano a vederne la cima e, forse, dicevano, era la volontà di Odino, che non voleva farsi notare dai mortali, lui che li osservava dalle dimore nel cielo. Quei pochi, arditi, curiosi e stolti, che avevano tentato di raggiungerle, si erano smarriti tra le nevi eterne o erano rimasti vittima di valanghe improvvise o precipitati in celati crepacci noti come le Tombe dei Viandanti.

Alexer ne era al corrente ma si augurò che, almeno per quella notte, gli Asi lo risparmiassero. In fondo, era anche nel loro interesse contrastare l’ombra.

"Sei silenzioso!" –Disse al ragazzo, mentre salivano di quota.

"Non volevo turbare i vostri pensieri, mio Signore. Inoltre, in posti come questi, è meglio non parlare. La montagna potrebbe essere in ascolto."

"Silenzioso e saggio."

"Sono un lupo, mio Signore. Questo è il simbolo della mia armatura. E, come tale, devo controllare il terreno prima di andare a caccia. Eccoci, comunque. Dopo quella curva siamo arrivati. La terrazza che cercate è proprio là dietro." –Esclamò Daeron, fermandosi e indicando un leggero rilievo avanti a sé. –"Con tutto il rispetto, io mi fermo qua."

"Hai fatto anche troppo per me, ti ringrazio Daeron del Lupo." –Gli sorrise Alexer, poggiandogli una mano su una spalla.

Fu un attimo, ma sufficiente per riempirgli la mente di sangue, dolore e morte.

Barcollò, e sarebbe persino caduto se il Cavaliere di Asgard non lo avesse afferrato.

"Principe Alexer? State bene?"

L’Arconte annuì, ringraziandolo e invitandolo a tornare alla cittadella. Quindi, senza attendere risposta alcuna, si avviò verso l’ultima tappa, col vento freddo che gli sferzava la faccia, sollevandogli il mantello e spazzandogli i capelli castani.

Che diavolo gli era preso alla Vista adesso? Aveva deciso di fargli uno scherzetto? E poi cos’era tutto quel sangue? E quel… quell’orso?! Voltandosi, cercò Daeron con lo sguardo, per chiedergli qualche informazione, ma il ragazzo aveva obbedito all’ordine e si era già avviato verso casa. Qualunque cosa avesse visto, Alexer non seppe se apparteneva al suo passato o al suo futuro. O forse a uno dei tanti futuri possibili, sebbene, con l’ormai prossimo avvento dell’ombra, di futuri ne rimanesse soltanto uno.

Superò l’ultima curva e raggiunse la terrazza scavata sul fianco della Montagna Sacra. Sotto, là in basso, il Mar Glaciale Artico rombava maestoso e violente correnti d’aria fredda parevano scontrarsi nel cielo attorno. Nient’affatto intimorito, Alexer concentrò i sensi e chiuse gli occhi, lasciando che il suo cosmo azzurro scivolasse lungo l’intero pendio. Raggiunse Daeron, riscaldando le sue ossa intirizzite dal freddo. Raggiunse Altan, che stava mettendo a letto Ilda, e sua moglie, guarendola dalla tosse cattiva che l’aveva tormentata per giorni. Felice, la donna capì di essere stata miracolata dagli Dei, che le stavano permettendo di portare avanti la seconda gravidanza. Infine raggiunse Natassia, che stava rassettando la cucina del castello, ringraziandola per l’amore che gli aveva dimostrato. Un amore che avrebbe però dovuto rivolgere a qualcun altro.

"Oh Heimdall, Guardiano del Ponte Arcobaleno, ti invoco! Concedimi udienza, te ne prego!" –Esclamò, e la sua voce spezzò il silenzio di quei ghiacci eterni, fermando il turbinare dei venti e placando la furia del mare. Per un attimo il tempo sembrò fermarsi e, da qualche parte, forse sulla luna che risplendeva placida all’orizzonte, risuonò la corda di una cetra.

Alexer tese l’orecchio ma non udì altro. Lo vide semplicemente comparire, allungandosi verso di lui in un tripudio di colori.

Bifrost. Il Ponte Arcobaleno. Al centro del quale stava in piedi il suo Guardiano.

"Arconte d’Aria!" –Parlò Heimdall, le braccia incrociate al petto, il corno dorato appeso a un fianco dell’armatura. –"Odino non era al corrente del tuo arrivo o mi avrebbe avvisato."

"Non sono qua per conferire con il Padre delle Schiere, a cui mando comunque i miei omaggi."

"Allora cosa ti porta ad Asgard? Siamo ospitali, certo, ma anche piuttosto riservati. Comprenderai la mia reticenza a farti passare, quando, solo poco tempo addietro, un Arconte tuo pari ha liberato l’Ingannatore dalla prigionia sull’Isola Lyngi, sobillando una rivolta tra città fedeli a Odino."

"Sono al corrente dei danni provocati da Anhar. Per questo sono qui. Per impedire che nuovi debbano compiersi. Ti prego, possente Heimdall, concedimi di entrare e comprendere il mio destino."

"Il tuo destino? Combattere l’ombra non è abbastanza per te, Arconte d’Aria? Ognuno ha la sua missione nel creato, credevo tu conoscessi la tua."

"In questo momento non mi basta più."

Heimdall lo scrutò per qualche istante e Alexer fu certo che stesse ascoltando ogni rumore del suo corpo, decifrandone i segni per comprendere se rappresentasse o meno una minaccia per la città degli Asi. Solo quando si spostò di lato, invitandolo a passare, il Principe tirò un sospiro di sollievo.

"Fa’ in fretta!" –Gli disse, quando gli passò davanti. –"Yggdrasill freme. E quando freme…"

Alexer annuì, incamminandosi lungo il Ponte Arcobaleno. Non degnò d’uno sguardo i magnifici palazzi di Asgard né la maestosa reggia del Valhalla, ove di certo Odino era riunito, attorniato dai fedeli einherjar, e magari lo stava proprio osservando dall’alto di Hliðskjálf. Erano secoli che non gli faceva visita, da quando l’Ase supremo aveva innalzato quel mondo sopra il mondo, distanziandosi da Midgard. Avalon aveva cercato di farlo desistere, invitandolo a mantenere i contatti con gli uomini, a dare loro un motivo per credere ancora.

"Perché dovrei farlo? Non vedi come sono?" –Aveva bofonchiato il Padre di Tutti. –"Falsi, bugiardi, spergiuri. Ladri, violenti, assassini. Non riescono a far passare giorno senza odiare, ferire o uccidere. Gli uomini non meritano la nostra benevolenza."

"Forse no." –Aveva risposto il Signore dell’Isola Sacra. –"Ma sono poi così diversi dagli Dei? Non hai anche tu, Signore degli Asi, massacrato i tuoi stessi fratelli per ascendere al Trono degli Spazi? Non hai, perdonami se lo ricordo, guidato gli Asi in una guerra millenaria contro i Vani? Per cosa poi? Per dirimere questioni che, di certo, avete dimenticato dopo tutto quel tempo? Infine, mi risulta che i servigi di un certo Ingannatore siano stati apprezzati, da te come da molti abitanti della tua corte, non è così?"

In tutta risposta, Odino aveva sputato ai suoi piedi, rinchiudendosi nel Valhalla e chiudendogli la porta in faccia. Una delle cinquecentoquaranta della fortezza.

Concedendosi un sorriso all’impertinenza del fratello, Alexer continuò ad avanzare, circumnavigando la roccaforte e raggiungendo il luogo dove le radici di Yggdrasill si piantavano nel terreno, sprofondando poi verso altri mondi. Là, alla fonte di Udhr, trovò coloro che stava cercando. O forse colei?

Si fermò, a pochi passi dalle tre figure, snelle e giovani, che stavano spalmando le radici del Grande Frassino d’argilla, con la stessa cura che una madre dedicherebbe ai suoi figli. Neppure si voltarono quando si avvicinò, continuando metodiche nel loro lavoro, costringendo l’Arconte d’Aria ad osservarle. Solo quando reputarono che avesse aspettato a sufficienza, le Norne si voltarono, ma non dissero alcunché, lasciando che fosse Alexer a parlare.


"Perché avete quest’aspetto?"

"La forma è solo un’ombra." –Disse la prima.

"L’ombra è passeggera." –Le fece eco la seconda.

"Tutto, in fondo, passa, ma noi restiamo. Come te, Arconte d’Aria." –Concluse la terza.

A modo loro, gli avevano risposto. E capì perché si fossero presentate in quel modo, con quella treccia di capelli biondi che ricadeva sulla loro schiena, con quei vestiti mal messi, sporchi di sugo e fatica, e quel viso candido, così poche volte baciato dal sole. Non aveva dovuto sforzarsi troppo, Alexer, per ritrovarvi Natassia.

"Sappiamo perché sei qui."

"Noi sappiamo tutto."

"Tu, piuttosto, davvero vuoi sapere?"

"Io… voglio vedere. Solo una volta. Ma ho bisogno di capire." –Spiegò il Principe. –"Avalon e Anhar possiedono la Vista. Loro possono vedere. Perché io no? Perché, a volte, ho questi sprazzi di visione, senza riuscire a distinguere se si tratti del passato o del futuro?"

"Tu non sei la luce." –Chiarì la prima figura.

"Né l’ombra."

"Tu sei l’aria."

Alexer rimase in attesa che dicessero qualcos’altro, ma dopo qualche secondo le Norne parvero tornare alle loro occupazioni, costringendolo a farsi avanti.

"È vero, sono l’aria. E sono sempre stato così. Etereo, freddo, distante dai drammi del mondo. Anche quando i miei fratelli si sono uniti a donne mortali, contravvenendo gli insegnamenti di Avalon, io sono rimasto al mio posto. Ho addestrato una legione di Guerrieri del Ghiaccio, per essere pronto alla guerra. Io sono pronto. Sono il braccio che Avalon ha allungato sul Nord-Europa… eppure…"

"Se vuoi vedere, a qualcosa devi rinunciare." –Parlò una delle Norne.

"Odino ha rinunciato al suo occhio, alla Fonte di Mimir, per avere la saggezza."

"Avalon ha rinunciato all’amicizia degli Dei. Tu a cosa sei disposto a rinunciare, Arconte d’Aria?"

Stringendo i pugni, Alexer deglutì. Ripensò a Natassia, al suo bel sorriso, a quanto avrebbe voluto chiudersi nel suo castello con lei, amarla e giacere assieme, guardando il sole sorgere e morire, per tutta la vita. Forse Avalon aveva ragione. Forse la loro esistenza sarebbe ricominciata, un giorno, nel tempo che verrà dopo il tempo, ma in quell’epoca aveva una missione e ad essa si sarebbe attenuto.

"Rinuncio all’amore." –Esclamò infine, mentre le Norne si avvicinavano e lo prendevano per mano, trascinandolo avanti. –"Rinuncio a Natassia e al futuro che avremmo potuto avere. Le troverò un marito e la manderò via dalla valle, verso terre meno inospitali. Un marinaio russo, magari, uno di quelli che approdano al porto di Murmansk, che la porti via da queste gelide terre, verso un destino più felice. Ma… questa scelta, servirà a qualcosa? Che frutti darà?"

Verdandi, la Norna del Futuro, lo invitò a osservare nelle acque di Urðarbrunnr, dove il volto di un giovane dai capelli biondi era appena apparso. Alle sue spalle, limpida, riluceva la costellazione del Cigno.

Alexer annuì, comprendendo le parole di Avalon. Loro erano l’Alfa e l’Omega, ma per arrivare alla fine avevano bisogno di alleati e quel biondino avrebbe potuto portare la speranza agli uomini. Avrebbe soltanto avuto bisogno di essere addestrato, ma di questo il Principe poteva occuparsi.

Estratto dalle Cronache di Avalon.

Ventesimo anno prima del Secondo Avvento.

Fine.