CAPITOLO VENTOTTESIMO: QUARTO INTERLUDIO.

TERRA/OMBRA.

Estratto dalle Cronache di Avalon.

Tempo: quindici secoli prima del Secondo Avvento.

Spazio: Asia meridionale.

Anhar era in fuga da giorni.

Da quando quel bastardo gli era piombato addosso, lungo le coste africane, da dove aveva seguito la fine della guerra di Britannia, deluso e irritato dalla sconfitta della Cailleach e di Apollo. Cosa aveva sprecato a fare tutto quel tempo, istigando il figlio bastardo di Zeus a reclamare maggior potere per sé e fomentando la volontà della Regina dell’Inverno a estendere il suo dominio sull’intera Albion, se poi non erano riusciti a piegare le forze di Avalon e dell’Olimpo? Cosa si erano aspettati che facesse? Che tornasse indietro a salvarli?

Lui era un distruttore, non un riparatore.

Immerso nei suoi pensieri, si era accorto soltanto all’ultimo della bomba di fuoco che stava saettando su di lui, venendo raggiunto al fianco destro e scaraventato di sotto dal promontorio da cui stava scrutando il mare. Non lontano da dove, fino a secoli addietro, era esistita una città chiamata Cartagine, prima di riuscire a convincere i romani a dichiararle guerra per poter poi razziare i suoi resti alla ricerca di fantomatici talismani celati dalla Regina Didone, senza successo.

Bofonchiando, si era rialzato, la mano sul fianco ferito e ustionato, sotto la corazza che in quel punto aveva ceduto, liquefacendosi, soltanto per trovarsi di fronte il più agguerrito dei suoi fratelli. Non il fedele cagnolino di Avalon, né il distaccato suonatore d’arpa, bensì l’audace dominatore del fuoco, di cui non aveva percepito la presenza a Mount Badon. Forse Avalon gli aveva ordinato di coprire loro le spalle o forse era stata una sua idea; del resto, proprio come lui, Andrei non era tipo da rifiutare una battaglia. Tutt’altro.

"Felice anch’io di rivederti, fratello. Cos’era quello? Un bacio di bentrovato? Piuttosto ardenti le tue labbra!"

"Finiscila di blaterare, Anhar! Avalon ci ha informato dei tuoi deliri di onnipotenza!"

"Oh, il nostro fratello maggiore è sempre così prodigo nel dare giudizi e muovere i fili del suo piano. E dimmi, Andrei, ti ha anche detto che alla fine moriremo? Che, se e quando Caos sarà sconfitto, la nostra esistenza cesserà?"

"Noi esistiamo per questo, Anhar. Noi siamo l’Alfa e l’Omega. E se con la nostra dipartita un arco del tempo cosmico si chiuderà, così sia. Non l’avremo vissuto invano se avremo portato a termine la nostra missione!"

"Umpf! Missione suicida, dico io." –Aveva ringhiato. –"Affidataci da chi, poi? Da qualche ignota e perversa entità che ci ha messo al mondo per usarci come marionette? Sai che ti dico? Io credo che sia tutta una menzogna! Avalon! È stato lui a farci questo, lui a trasformarci nei suoi galoppini, inculcandoci in testa tutte queste idiozie sulla fine del mondo! Ma io non ci sto! Non farò quello che vuole!"

"Era proprio quello che volevo sentirti dire." –Aveva commentato Andrei, bruciando il cosmo rossastro. –"Così posso spaccarti la faccia! Nostro fratello, al riguardo, si è dimostrato molto più cauto, preferendo che ti riportassi ad Avalon per affrontare il consiglio. Lo farò, non voglio certo disobbedire, ma a modo mio. Del resto non ha mica specificato come debba riportarti indietro!" –E si era lanciato contro di lui, avvolto in una corona di fiamme.

Anhar aveva opposto il proprio cosmo di tenebra e da allora avevano iniziato una danza letale che era proseguita per tutte le coste del Mediterraneo, fino alle terre dei fiumi, dove era riuscito a far perdere le sue tracce. Questo quantomeno era ciò che aveva creduto, prima di ritrovarsi, nel fitto della giungla indiana, di nuovo braccato dall’Angelo di Fuoco. In questo modo, lui correndo e fuggendo, l’altro inseguendolo senza sosta, avevano percorso la parte meridionale del continente asiatico, giungendo nella miriade di isole che ne popolavano la punta orientale.

Non una rotta casuale per Anhar. Aveva sentito dire che là, nella solitudine del suo isolotto, viveva una creatura antichissima, una potente donna-ragno con il dono della preveggenza. Un dono che, a lui, sarebbe stato molto utile.

"Aurora infuocata!" –La bomba di cosmo lo investì in pieno, piantandolo nel fianco della montagna e bruciando tutta la vegetazione attorno. –"Vuoi una mano per alzarti, mio adorato fratello?"

"Faccio da solo, grazie. Tu piuttosto, attento a dove metti i piedi." –Sibilò, affondando una mano nel terriccio e infondendogli il proprio cosmo, godendo quando Andrei sprofondò in una buca appena apparsa sotto di lui. –"Sono ancora l’Angelo della Terra, per quanto tu e quel bastardo tessitore vi ostiniate a negarlo!"

"Quel ruolo lo hai perso abbandonando l’Isola Sacra e sputando in faccia ai tuoi fratelli, ai loro insegnamenti e a tutto quel che di santo rappresentavamo!"

"Santo? Credi davvero che ci sia qualcosa di santo nei nostri poteri, Andrei? Se è così, sei più sciocco di Avalon che crede davvero di riuscire a vincere l’Unico!" –Ringhiò Anhar, rimettendosi in piedi, mentre, lasciando esplodere il cosmo infuocato, anche il fratello faceva altrettanto. –"Un’idiozia a cui non intendo partecipare."

"Dunque hai davvero rinnegato i nostri valori, meritando l’appellativo che il Primo Saggio ti ha dato; tu sei davvero caduto!"

"E voi tutti cadrete con me!" –Avvampò, espandendo il proprio cosmo oscuro, intriso di striature scarlatte. –"Vi trascinerò nel mio stesso destino, facendovi conoscere l’onta del rifiuto, della solitudine e della sconfitta! Apocalisse divina, esplodi!!!"

La tempesta di tenebre e fiamme nere si sollevò improvvisa, sorprendendo Andrei che non si aspettava una tale rapidità di ripresa da parte del fratello. Riuscì a stento a sollevare un muro di fuoco prima di rispondere con un incendio della stessa intensità.

"Mira la fiamma che dilaga dal mio palmo! Essa contiene l’essenza della mia vita! Io sono l’Arconte di Fuoco e non può esistere sconfitta per chi stringe in mano la Fiamma della Vittoria! Una fiamma donatami da coloro che vivevano nel Tempo Prima del Tempo e destinata ad ardere fino al Giorno dell’Ira!"

Lo scontro tra le due energie aumentò d’intensità, generando folgori che squassarono il terreno, facendo cadere gli alberi e le poche abitazioni che sorgevano ai piedi di quella montagna che, solo notando gli sbuffi di fumo che uscivano dalla sua cima, Anhar capì trattarsi di un vulcano. E allora prese la sua decisione.

Attenuando il vigore del suo assalto, balzò indietro, lasciandosi trascinare dalla tempesta di fuoco generata da Andrei, fino a ritrovarsi sulla sommità del rilievo, a pochi passi dall’ampia caldera sul cui fondo ribolliva magma ardente.

"Se mi vuoi, fratello, vieni a prendermi!" –E si gettò nell’abisso infuocato, forzando Andrei a inseguirlo.

Avvolto in un globo di energia nera, Anhar si schiantò nella pozza di lava, scendendo finché poté, finché le forze glielo permisero, e allora, soltanto allora, spalancò le braccia, liberando l’immenso potere dell’ombra che aveva accumulato negli ultimi secoli, da quando aveva lasciato Avalon. Ripensò alle domande poste al fratello, a cui mai aveva risposto; alle richieste di sempre maggiore apprendimento rivolte al Primo Saggio, che gli erano tutte state negate; all’umiliazione di essere stato redarguito, punito e infine bandito. E, su tutte, all’espressione di pietà comparsa sul volto di Avalon quando, in piedi su quel maledetto molo di legno, lo aveva osservato scomparire tra le nebbie, senza dirgli alcunché.

"Ha continuato a volermi bene mentre io… io lo odio!" –Gridò, scatenando la furia dell’Apocalisse Divina dall’interno del vulcano.

Fu un attimo e il suolo tremò fin dalle fondamenta, mentre migliaia di colonne di magma schizzarono verso l’alto, riversandosi fuori, lungo i pendii che presto divorarono, fino a raggiungere il mare. E si scatenarono violenti boati di tuono accompagnati da forti piogge e tremende tempeste, e alte onde si levarono sul mare circostante. Anche Andrei, preso alla sprovvista, venne sbalzato lontano, costretto a difendersi (persino lui, che il fuoco lo dominava) da quell’ammasso di lava che, ovunque si voltasse, pareva pronto ad aggredirlo, ritrovandosi a ruzzolare sulle rocce fuse. Levando il capo, l’Arconte Rosso inorridì alla vista della gigantesca nube di fumo e ceneri laviche che si stava spargendo tutt’attorno.

I forti venti oceanici l’avrebbero dispersa, ricoprendo l’intero continente asiatico e forse raggiungendo persino il Mediterraneo. Per giorni il cielo sarebbe rimasto nero e gli uomini avrebbero tremato al pensiero di non rivedere più il sole. Le temperature sarebbero scese e i profeti e i millantatori avrebbero gridato all’ultimo inverno, anticipatore della fine del mondo. I raccolti si sarebbero seccati, gli animali sarebbero morti di freddo e gli uomini non avrebbero esitato a trovare qualche scusa pur di dichiararsi guerra l’un l’altro, incolpandosi per un evento al di là della loro comprensione.

Tossendo e riparandosi gli occhi dal fumo, Andrei cercò tracce di Anhar, battendo l’intera isola, sollevandosi in volo e tirando una veloce occhiata anche all’interno del vulcano, dove la lava continuava a ribollire, producendo bolle di energia ardente, colonne di fuoco e schizzi e lapilli. Stringendo i pugni, l’Arconte Rosso convenne che il fratello l’aveva beffato ma dubitava che, ad ogni modo, sarebbe sopravvissuto all’apocalisse da lui scatenata. Perciò diede le spalle alle isole del sud-est asiatico e si preparò per tornare ad Avalon.

Proprio in quel momento, il vulcano eruttò di nuovo, generando nuove onde di altezze enormi che si abbatterono sulle isole vicine, sommergendole e devastandole.

"Krakatoa…" –Mormorò Andrei.

Nella Prima Lingua significava "il distruttore".

***

Per un tempo ignoto, attorno a lui non vi fu altro che ombra. E in quell’ombra il suo corpo stanco e ferito fluttuò, scivolando in silenziosi abissi che quasi gli parvero un grembo materno. Se mai avesse conosciuto sua madre o avesse avuto notizie sulla sua nascita; per quel che ne sapeva, quel poco che Avalon aveva condiviso con i suoi fratelli, loro erano semplicemente nati.

Non c’era stata un’infanzia o un’adolescenza, come non ci sarebbe stata alcuna vecchiaia. Loro erano gli Angeli e così sarebbero rimasti fino alla fine del tempo cosmico. Un’entità capace di trascendere il concetto stesso di tempo, riducendolo a un immenso qui e ora, proprio come i Progenitori che avrebbero dovuto affrontare. Cinque Angeli contro cinque Progenitori, sebbene (e di questo Anhar era sempre stato cosciente) la disparità di forze in campo giocasse tutta a loro svantaggio. Per quale motivo, quindi, avrebbe dovuto rischiare di mettere fine alla sua esistenza? Se Caos non fosse stato vinto, se magari avesse potuto regnare indisturbato sul pianeta, magari li avrebbe premiati per la giusta scelta di campo. Di certo avrebbe concesso loro di servirlo, e il loro tempo cosmico non sarebbe giunto a conclusione. Per questo Anhar aveva fatto la sua scelta.

Per questo era caduto.

Eppure adesso, mentre sprofondava nell’ombra, fuori da qualunque concetto di tempo o di spazio, esausto per il prolungato scontro con Andrei e per aver dato fondo a ogni stilla di energia, il dubbio lo invase. Unico momento nella sua interminabile vita in cui pose in discussione se stesso.

La Cailleach e Apollo avevano fallito, una sconfitta che bruciava, soprattutto perché si era davvero aspettato qualcosa da loro, soprattutto dal figlio di Zeus che, in fondo, era depositario del sacro potere del sole. Averlo dalla sua parte era stata una vittoria personale e meritata, a coronamento di una campagna di reclutamento durata secoli. Eppure, per quanti sforzi avesse profuso nel perorare la sua causa, essa era rimasta sorda agli orecchi dei regni divini, che avevano riso, lo avevano invitato ad andarsene o, nel peggiore dei casi, non lo avevano neppure fatto entrare. Come era successo a Bifrost, quando Heimdall gli aveva proibito di mettere piede sul Ponte Arcobaleno. Ma gliel’avrebbe fatta pagare a quel bifolco cornuto!

Ora però era troppo stanco persino per adirarsi, voleva soltanto riposare, riprendersi. Sì, gli bastava un po’ di tempo, un dolce naufragare in quel mare di tenebra, e poi avrebbe elaborato un nuovo piano. La vendetta, quella mai l’avrebbe abbandonato.

"E a cosa ti ha portato?" –Parlò una voce nella sua mente, strappandogli una ruga di fastidio. –"Cosa hai ottenuto dopo, quanti secoli? Cinque? Sette? Hai smesso di contarli immagino! Dopo tutto questo tempo di rancore verso i tuoi fratelli, cosa puoi dire di aver realmente ottenuto, se non il disprezzo dei tuoi congiunti e un’eterna solitudine?"

"Meglio un’intera esistenza da solo che un altro giorno su quell’isola maledetta!"

"Non lo pensi davvero. Sei soltanto seccato perché tuo fratello vede più lontano di te. Tu guardi al presente, Anhar, tu vedi le guerre che puoi scatenare adesso, i regni che puoi far cadere, ma non controlli l’intera scacchiera di gioco."

"Io…" –Rantolò il Caduto. –"Non posso farlo. Non possiedo la Vista. Solo Avalon la sa utilizzare e non ha mai voluto insegnarmi."

"Posso farlo io." –Disse la voce, che adesso, agli orecchi di Anhar, sembrò una voce femminile, sebbene raschiata, quasi faticasse nel parlare, quasi non fosse abituata a parlare. –"Sono piuttosto abile nel vedere lontano. Per questo sapevo che saresti giunto fin qua."

"Dove qua?"

"Nella mia tana." –Sussurrò la voce, prima di scomparire.

Soltanto in quel momento Anhar riaprì gli occhi, o forse li aveva sempre tenuti aperti ma essendoci soltanto tenebra attorno non aveva potuto notare alcunché. Adesso, invece, capì di essere in una caverna, dal soffitto immenso, e gocce d’acqua gli cadevano sul corpo, riverso in una pozza di fango. Che misera fine per lui che aveva voluto condurre gli Angeli verso l’eternità, liberandoli dall’asservimento a una missione suicida!

Tossendo e sputando sangue e fango, il Caduto si rialzò, cercando con lo sguardo e con i sensi colei che gli aveva parlato. Sgranò gli occhi, muovendo persino un passo indietro, quando percepì la sua presenza, tutt’attorno a lui. Chiunque fosse, era un’entità antica, quasi quanto lui, forse anche più vecchia, ed era potente, in grado di entrare nella sua mente e muoverne i fili.

"Apprezzo la tua ospitalità!" –Disse infine. –"Ma non dimenticare chi hai sfidato! Un Arconte immortale! Non un uomo qualunque, che puoi piegare ai tuoi dettami!" –E spalancò le braccia, lasciando che il cosmo fluisse in lui, per concentrarlo su due sfere di fuoco nero… che subito evaporarono. –"Ma cosa?"

"Ospitalità è la mia, non ingenuità, Arconte Nero." –Commentò la voce, con una punta di divertimento nella voce. –"Ma non accigliarti. L’oscura vampa che ti anima si riaccenderà non appena abbandonerai il mio tempio. Il tempio di Biliku." –Disse, e allora ad Anhar sembrò di vedere qualcosa di grosso, di molto grosso, scivolare tra le ombre, oscurando la scarsa luminosità che filtrava tra le rocce in alto, fino a piombare di fronte a lui.

L’odore che emanava era disgustoso, almeno quanto il volto deforme di donna che sorgeva da quel tozzo corpo di ragno se poteva esistere un ragno così grande, come l’intera sommità dell’Isola Sacra. E quei peli sozzi che la rivestivano potevano essere alti quanto i monoliti che ne ornavano la cima.

"Finalmente ci incontriamo. Ho sentito molto parlare di te, delle tue abilità ma soprattutto della tua vocazione."

"Vocazione? Chi ti ha parlato di me?"

"E me lo chiedi? Chi altri se non colui che tutto vede e tutto sa? Colui che aspetta, paziente, dietro il velo che separa i mondi, attendendo il giorno in cui la configurazione astrale verrà ricreata e potrà tornare nel mondo che ha generato e da cui è stato impunemente cacciato?"

"Intendi dire…?" –Ma con un rapido movimento di una zampa, Biliku lo zittì.

"Non c’è bisogno di nominarlo invano. Siamo al sicuro, è vero, ma gli Arconti tuoi fratelli potrebbero essere in ascolto. Quel gran tessitore, nel suo specchio d’acqua, potrebbe penetrare persino qua sotto, sebbene lo sforzo lo lascerebbe esausto. Vi sono centinaia, forse migliaia, di incantesimi, formule e sigilli oscuri che difendono il mio santuario, poiché vedi, Angelo Caduto, io mal sopporto la compagnia. Gli uomini mi rifuggono da sempre, per cui perché dovrei io accoglierli con gioia? Li accolgo sì, ma me ne nutro, prosciugandoli di ogni energia. E se ti chiedi cosa ti ha reso diverso, da meritarti un trattamento migliore, la risposta già la conosci. Già la senti nel tuo animo." –Sibilò Biliku avvicinandosi e fissando Anhar con piccoli occhi giallognoli. –"Egli mi ha parlato e desidera i tuoi servigi. Egli ti ha scelto, colpito dalla tua devozione, per essere l’araldo dell’ombra, colui che aprirà la strada al Secondo Avvento!"

"Io… non so che dire… sono…"

"Entusiasta? Onorato? Pronto a esaudire ogni sua richiesta?"

"Intendevo dire, sono affamato!" –Ghignò Anhar. –"E desideroso di compiacere l’Unico Dio. Ma come posso farlo, se i miei fratelli continuano a starmi addosso?"

"Dovrai nasconderti, rifugiarti nell’ombra. Posso insegnarti come strisciare, non visto, nelle tenebre del mondo, e in quelle tenebre dovrai crescere, aumentare i tuoi poteri e tessere le fila del tuo progetto. Del suo progetto. Basta con gli attacchi palesi, devi diventare astuto. Nessun sovrano, neppure di un regno divino, tollera che qualche ignoto profeta spunti alle sue porte a inneggiare a una guerra che non considera sua, ma tutti, persino i più saggi (persino Zeus, Odino e Amon Ra!), hanno un consigliere che siede al loro fianco, genuflettendosi quando deve e sibilandogli nell’orecchio quando l’altro è troppo ubriaco di ambrosia o di idromele, per instillare il dubbio. Vedrai, non dovrai faticare molto, le menti degli Dei sono deboli e invidiose quanto quelle degli umani. E un giorno, quando l’Unico rinascerà, ti ricompenserà adeguatamente per i tuoi servigi. Nell’attesa, goditi questo primo assaggio del suo potere." –Disse Biliku, invitandolo ad avvicinarsi.

Con una certa riluttanza, Anhar acconsentì, trovandosi proprio di fronte al mostruoso volto della creatura, che spalancò la bocca e lo investì con una fetida fiatata, che lo fece barcollare, quasi cadere all’indietro. Ma Biliku fu svelta ad afferrarlo con le sue zampe, filando una tela biancastra in cui lo avvolse, tra i mugolii deliranti del Caduto. Quindi, quando ormai aveva perso conoscenza, la donna-ragno lo portò fuori, lasciandolo sul tetto di un antico tempio delle Isole Andamane, sotto cui aveva stabilito la sua dimora. Quando la tela si sarebbe sfatta, e le sue ferite rimarginatesi, l’Arconte della Terra si sarebbe svegliato, divenendo quello che Caos lo aveva chiamato ad essere.

L’Arconte Nero, araldo dell’ombra.

***

Estratto dalle Cronache di Avalon.

Tempo: quindici anni prima del Secondo Avvento.

Spazio: una piccola isola del Mar Egeo. Sconosciuta ai più.

 

La grande fornace emetteva un calore fetido, resto tale dalla decina di corpi gettati al suo interno e presto divorati dalle fiamme. Un fastidio che Athanor poteva sopportare poiché quell’ultima energia cui aveva attinto gli aveva permesso di completare il lavoro che il suo Signore gli aveva richiesto. Ignorando i belati di Beira, che bofonchiava su uno sgabello di pietra (di cosa non volle neppure saperlo, tanto avrebbe voluto gettarla nella fornace, sì da zittirla definitivamente!), l’alchimista oscuro terminò di versare l’oro nello stampo, mescolato al sangue di tutti gli Dei minori e delle creature fatate e leggendarie a cui lui e Anhar avevano dato la caccia per anni.

Un’operazione di per sé semplice ma che, fino a quel momento, non aveva dato i risultati sperati. C’erano procedure che neppure lui, sull’Isola della Regina Nera, aveva appreso completamente, ma grazie ai testi che l’Angelo aveva arraffato dalla Biblioteca di Alessandria, prima di darle fuoco, erano riusciti a completare il rito.

"Hai finito?" –Bofonchiò la vecchia alle sue spalle. –"Mi sto annoiando, e fa piuttosto caldo qua sotto. Se non hai finito ti aspetto di sopra, c’è più ventilato!"

"Sta’ zitta e non muoverti! Il nostro Signore ci ha ordinato di rimanere al coperto. Con la guerra tra Atene e l’Egitto in corso, gli occhi degli Dei si stanno muovendo e non vorremmo essere individuati proprio adesso, non è così?"

"Io posso essere non vista, se voglio. Una nuvola, qualche fulmine ed ecco che sparisco. Tu piuttosto, con quelle vesti nere, ti noterebbe anche un gabbiano che sorvolasse quest’isola brutta e brulla, ma dato che persino quelle bestiacce si tengono alla larga, chi mai potrebbe notarti?"

Athanor non rispose, limitandosi a sbuffare e a borbottare tra sé una lunga sequela di maledizioni in tutte le lingue che conosceva. Ed erano parecchie.

Proprio in quel momento, una presenza oscura parve farsi spazio nei tenebrosi androni in cui erano rifugiati, infiammandoli con la sua aura, prima di rivelarsi nelle forme dell’Angelo Caduto.

"Mio Signore! Siete tornato presto!" –Esclamò subito l’alchimista, inchinandosi, anzi no, prostrandosi ai suoi piedi.

"Non esiste presto o tardi, Athanor! Esiste solo il tempo per ogni cosa! Un insegnamento, questo, che ho appreso dal mio poco venerabile fratello! E questo è il tempo della vendetta!"

"Già, già, tuo fratello! Quel bastardo che ha massacrato la Regina dell’Inverno! Quando potrò occuparmi di lui? Mi hai promesso la sua testa, te lo ricordo!" –Intervenne la donna.

"Puntualizzare il superfluo a ben poca giova, Cailleach, tranne a innervosire il mio inquieto animo! E tu, Beira, immagino non voglia farmi innervosire!" –Sibilo Anhar, voltandosi e inchiodandola alla parete di pietra con un solo lampeggiare delle sue iridi rossastre.

"N… no, signore! No! Volevo solo dire… vorrei essere utile! Aiutarti! Come Athanor!" –Squittì la vecchia, prima che, con un sospiro scocciato, l’Angelo non la liberasse, facendola ruzzolare a terra.

"A questo proposito, mio Signore e Padrone, lascia che ti mostri il mio lavoro." –Disse l’alchimista, afferrando una tavolozza di legno su cui era poggiata una daga dorata. –"Ammira il frutto del tuo ingegno e della mia sapienza! La lama che un tempo fu di Camazotz, la lama della Dea Vampiro, è stata riforgiata, nutrendola di sangue divino, ed è pronta adesso per adempiere alla sua missione."

"Eccellente, mio buon alchimista! Le manca solo una cosa!" –Commentò Anhar, mostrando una gemma di colore nero scuro, che avvicinò all’arma, spingendola nell’impugnatura e lì fissandola, cuore pulsante di uno strumento ben più potente di quanto potesse all’apparenza sembrare. –"Eccola, dunque! La lama deicida! La lama che ucciderà la Dea! Con la sua morte, e con il mio allievo sul trono di Atene, ci assicureremo l’indiscusso appoggio di un esercito tra i più granitici nelle proprie convinzioni. So di cosa sono capaci i Cavalieri di Atena, l’ho provato sulla mia pelle più volte e la Vista non mi ha mai mentito. Dobbiamo metterli fuori gioco e dobbiamo farlo adesso che sono deboli."

"Come intendi procedere?" –Azzardò la domanda Beira.

"Ho già seminato il seme dell’ombra nel cuore del mio allievo. Saga di Gemini presto cesserà di esistere e diverrà l’uccisore della Dea, ministro del culto dell’ombra. E la ucciderà proprio con quest’arma. Dammela, gliela porterò stasera stessa!"

"Perché non adesso? Perché aspettare?"

"Ti ho forse autorizzato a parlare, vecchia fastidiosa e butterata creatura?" –Ringhiò Anhar, avvolgendo la Cailleach in una vampa di fuoco nero che le ustionò la pelle, bruciandole i sudici capelli in un’unica fiammata. –"Sei fortunata, Beira, perché mi servi e ho apprezzato l’operato della tua antenata, sia pur fallimentare. Vedi di non fallire anche tu o non ci saranno più Cailleach ad Albion! Le estirperò una ad una, con i miei affilati artigli di tenebra! Adesso, invece, devo recarmi in Egitto; è là che Seth e i Guerrieri del Sole Nero stanno combattendo contro gli invasori di Atene. E, qualora Seth fallisse, dovrò occuparmene io."

"Intendete forse scendere in guerra, mio Signore? Sarà prudente rivelarsi adesso?"

"Non personalmente, sebbene non mi dispiacerebbe riempire di schiaffi la faccia da ebete del bastardo di Amon! Ho un amico, chiamiamolo così, che dimora nelle profondità di Amenti. Un amico che ha fame, tanta fame, e che a Karnak potrebbe trovare nutrimento! Ah ah ah!" –Quindi, dopo una bella sghignazzata, Anhar avvolse la daga in un panno rosso sangue e fece per allontanarsi, salvo tornare indietro dopo pochi passi. –"Dimenticavo. Al piano di sopra c’è qualcuno di cui devi prenderti cura!" –Disse, rivolto ad Athanor che lo guardò sorpreso, seguendolo lungo le scale di pietra che conducevano alla caverna scavata nella roccia ove dimoravano da anni.

Là, adagiato vicino all’ingresso, giaceva il corpo scomposto e spezzato di un ragazzo, il volto massacrato e tumefatto, marcato da lividi, graffi e ustioni.

"L’ho trovato sotto un mucchio di macerie." –Spiegò Anhar. –"È ancora vivo. Resiste, indomito, aggrappato a un filo sottile di speranza!"

"Mio Signore, non capisco… cosa dovrei farne?"

"Tienilo in vita. Come non mi interessa, purché respiri ancora quando tornerò, e allora mi prenderò cura di lui. Allora lo farò mio. Gemini, in fondo, non ha più bisogno dei miei insegnamenti." –Ridacchiò, prima di evocare una vampa di fuoco nero e scomparire al suo interno, non prima di aver aggiunto un’ultima istruzione. –"Sia chiaro, se dovesse morire nel frattempo, mi prenderò cura di te. Ma in un modo diverso." –E scomparve.

 

Estratto dalle Cronache di Avalon.

Tempo: quindici anni prima del Secondo Avvento.

Spazio: una piccola isola del Mar Egeo. Sconosciuta ai più.

Fine.