CAPITOLO TRENTUNESIMO: STRETTA FINALE.

Sorretto da Atena, che si appoggiava alla Nike come una vecchia a un bastone, Pegasus zampettò attorno alla carcassa di Echidna, il cui fetore impregnava ancora l’aria nonostante la freschezza e l’aroma di mare delle acque evocate da Nettuno. Le tirò un’occhiata disgustata, prima di continuare a circumnavigarla, raggiungendo due note sagome sull’altro lato.

Cristal e Andromeda, feriti e malconci, con le armature divine scheggiate (in alcuni punti persino distrutte), si sorreggevano a vicenda, ma sorrisero quando videro l’amico avvicinarsi. Avrebbero voluto inchinarsi di fronte alla Dea ma, non appena ci provarono, qualche osso scricchiolò, strappando a entrambi un gemito di dolore.

"Amici!" –Esclamò Pegasus felice, staccandosi da Atena e correndo ad abbracciarli.

Castalia aveva fatto lo stesso con Nikolaos e adesso, aiutata da Ganimede e da una debolissima Demetra, stava cercando di prestare a lui e a Toma cure adeguate, per quanto anche lei fosse molto debole, al punto da barcollare più volte e costringere il Coppiere degli Dei a sorreggerla e ad aiutarla a sedersi.

"Mi sento indegna di quest’armatura d’oro…" –Disse la Sacerdotessa dell’Aquila.

"Non l’avresti addosso, se così fosse." –Chiosò deciso il fratello, prima che una fitta al fianco sventrato lo zittisse. Spostò lo sguardo, maledicendo la propria debolezza, per cercare traccia di Zeus e degli Olimpi.

Con una raffica di fulmini, dal bagliore così intenso da rischiare l’intero deserto del Taklamakan, il Padre degli Dei di Grecia eliminò quel che restava dell’Armata delle Tenebre, atterrando a poca distanza dal fratello, che, nel frattempo, si era accasciato sul tridente, stanco per aver richiamato le acque oceaniche.

"Stai bene? Voglio sperarlo. Avremo ancora bisogno dei tuoi flutti per mondare le oscenità di questa terra." –Disse Zeus. –"Non mi stupisce che, nel corso di millenni, non vi sia mai cresciuto niente, se qua fu combattuta la Prima Guerra."

"La Prima e l’Ultima." –Commentò Nettuno, puntellandosi sull’arma e rialzandosi. –"Il cerchio si chiude."

"Più che un cerchio, mi sembra un cappio. E sta stringendo alla gola di tutti noi." –Nel dirlo, Zeus spostò lo sguardo sulla spianata attorno alla Porta delle Tenebre, dove gli ultimi tre figli di Echidna erano appena caduti.

Eracle aveva ucciso la Tarrasque, servendosi anche delle chele di Karkinos, e adesso la stava scoperchiando, aiutato da Efesto, per utilizzare il suo guscio irto di aculei come scudo. Il Fabbro dell’Olimpo, nel qual tempo, aveva sconfitto la coccatrice mentre gli Heroes, sia pur stanchi e feriti, avevano avuto ragione di Zahhak, ma una delle tre teste serpentiformi aveva azzannato Marcantonio a un fianco, infettandolo. Per quanto Rhiannon dispensasse i suoi poteri curativi senza risparmiarsi, la rapidità di diffusione del veleno del demone ne compromise l’efficacia, ma la sposa di Arawn si rifiutò di desistere, continuando a infondere, al corpo del fedele di Eracle, il suo cosmo ristoratore.

Infine, riuniti attorno alla loro Dea, Zeus vide i Cavalieri di Bronzo, Argento e Oro superstiti, un numero esiguo rispetto al passato splendore delle legioni ateniesi, ma comunque superiore alla sua armata che, ormai, poteva contare soltanto tre Cavalieri Celesti: Toma, Nikolaos e il fedele Ganimede, oltre all’Ippogrifo, che un tempo aveva ceduto a Selene. Proprio Shen Gado mandò un urlo quando una cometa di energia nera si staccò dal cielo e sfrecciò verso di loro, schiantandosi nel cadavere di Echidna e divorandolo in un oceano di fiamme nere.

"Che… succede?" –Esclamò Pegasus, investito da un rigurgito di fetido calore. Atena fu lesta a ripararlo dietro l’Egida, ma vennero comunque spinti indietro, assieme a Cristal e Andromeda.

Virgo circondò Ioria, Titis e i Cavalieri di Bronzo e Argento con il Kaan, che stridette ma non si schiantò, mentre i sensi attenti del Cavaliere d’Oro scandagliavano la nube di tenebra per capire chi li avesse attaccati. Non che avesse molti dubbi al riguardo, avendo sentito Pegasus raccontare della caduta di Nyx. Per cui, se i Gemelli di Luce sono impegnati alle rispettive porte... si disse il Custode della Porta Eterna, mettendo in ordine i dettagli del suo piano. Può funzionare. Ma per metterlo in atto ho bisogno di un aiuto! E cercò Ioria con lo sguardo.

Una nuova vampata di cosmo nero esplose in quel momento, disintegrando quel che restava della sposa di Tifone e mandando in frantumi la protezione dorata della Vergine, scagliando indietro i Cavalieri, mentre una sagoma terrificante, di sola tenebra composta, prendeva forma nel rogo, levandosi alta sopra tutti loro. La sagoma di una gigantesca maschera dietro cui splendevano due vispi occhi rossi.

"Erebo…" –Mormorò Pegasus, stringendo i pugni. –"Dove sei, bastardo? Fatti vedere!"

"Oh, ma già mi vedete, Pegasus! Sono attorno a voi. Sono ovunque, ormai." –Disse il Progenitore e la sua voce risuonò per l’intera spianata, facendo rabbrividire Cavalieri e Dei. Indistintamente. –"Non senti il vento delle tenebre annunciare l’inizio di una nuova era? Scommetto che ti manca il tepore del sole, il confortevole lucore delle stelle? Dovrai farci l’abitudine, Cavaliere, se vorrai sopravvivere nel mondo nuovo, poiché vedi, anzi sappiatelo tutti, schiavi, nel mio nuovo mondo non ci sarà posto per la luce. Soltanto per la tenebra."

"Il tuo nuovo mondo?"

"Ahu ahu ahu! Così sembra. Vorresti forse condividere il trono con me, Cavaliere di Pegasus? Non ti immagino seduto su uno scomodo seggio a imbolsire. Tu sei come me, sei vitale, preferisci l’azione al vuoto parlare. Per questo ti ammiro, ma al tempo stesso devo punirti. Ricordi vero l’empia azione di cui ti sei macchiato ad Asgard?"

"Vorrei avertela conficcata nel cuore quella spada!" –Esclamò Pegasus, guardandosi attorno, cercando di capire dove si trovasse il Tenebroso.

"Prospettiva irrealizzabile temo. Perché io non ho un cuore." –Ridacchiò quest’ultimo. –"In effetti, ne ho ben tre." –In quel momento la sagoma d’ombra della maschera si liquefece, colando nella carcassa fiammeggiante di Echidna, di fronte allo sguardo attento e inquieto di tutti i membri dell’Alleanza, le braccia alzate in posizione di guardia. Poco dopo, da quella stessa carcassa si staccarono due gigantesche ali di tenebra, anticipando il sollevarsi di una viverna nera che, con un sol colpo d’ali, sparse le vampe tutte attorno, investendo i più vicini e sfortunati, prima di librarsi nel cielo nero. E là, ritto sul dorso dell’ultima figlia di Echidna, Erebo li guardava sogghignando.

Non che potessero vederne i lineamenti, stagliandosi nero contro un cielo ancora più scuro, con quella corazza dalle forme acuminate che lo rivestiva e la maschera che gli copriva il volto. Ma Pegasus non ebbe dubbio alcuno che tutto quello lo stesse divertendo; era così che si comportava un Dio tronfio del suo potere. Non cercava di capire gli altri, fossero uomini o altre Divinità, come Atena e forse anche Emera, non fingeva neppure di essere imperturbabile, come Etere, quando in realtà il suo cuore traboccava disprezzo e fastidio, e soprattutto non pretendeva di essere quello che non era.

Pegasus lo aveva capito, e adesso emergeva in tutta la sua chiarezza. Nyx poteva pure essere la Prima Nata, ma Erebo, e lui soltanto, era il re dei Progenitori, per forza, potenza d’attacco e soprattutto volontà di esserlo.

"Dobbiamo fermarlo!" –Esclamò Ermes, spalancando le ali della Veste Divina e levandosi in volo. –"Caduto lui, rimarrà soltanto Caos!" –Euro, pur pesto e ferito, lo seguì. –"Kerkeyon!" –Gridò il Messaggero degli Dei, liberando un raggio di energia, che però Erebo contrastò con l’emanazione del suo cosmo, prima di sollevare il braccio destro al cielo, l’indice che brillava di una sinistra luce violetta.


"Danza di daghe!" –Sibilò, liberando una fitta pioggia di strali neri che mitragliò Ermes ed Euro, costringendo il primo a puntare il Caduceo e scagliare in alto migliaia di fasci luminosi, e il secondo a ripiegare, colpito più volte e infine atterrato.

"Ritirati, Ermes!" –Gli urlò Zeus, aprendo le ali della Veste Divina e preparandosi per affiancarlo, ma Nettuno lo afferrò per un braccio, fermandolo.

Proprio in quel momento il Dio dei Mercanti venne travolto dalla pioggia di daghe, troppo fitta e superiore al suo attacco, e scaraventato a terra, il corpo trafitto da lame di tenebra e inchiodato al suolo, il volto torto in un’espressione di puro terrore.

"Come antipasto non c’è male." –Sogghignò Erebo. –"Ma voglio di più. Molto di più." –Aggiunse, lanciandosi di sotto, avvolto nel suo cosmo oscuro, e atterrando proprio in mezzo alla cerchia di Dei e loro fedeli, liberando una vampata di energia che spinse indietro i Cavalieri di Bronzo e Argento. –"A chi dunque l’onore del primo pasto?" –Disse, spostando lo sguardo su tutti loro, fino a individuare Euro che, a fatica, si stava rialzando, incapace di appoggiare la gamba destra a terra, dove una daga di tenebra lo aveva raggiunto. Fece per muoversi nella sua direzione ma un fiume di lava gli ricoprì i piedi, forzandolo a voltarsi verso Efesto, che lo fissava con rabbia, avvolto nella sua aura ardente. –"Ancora arrabbiato, bel gobbetto? Paparino non ti ama? La tua sposa ti ha lasciato? La tua esistenza non ha più significato? Rilassati, ti farò un favore, poiché presto terminerà!" –Esclamò, sollevando di scatto una gamba e schizzando il Fabbro dell’Olimpo con la sua stessa lava.

"Afrodite domanda vendetta!" –Ringhiò Efesto.

"Già, già. E molti altri ancora la chiederanno di qui a poche ore. Suvvia, sto facendo il modesto! Perché aspettare qualche ora, quando posso uccidervi tutti adesso?" –Disse Erebo, espandendo il cosmo, che vorticò attorno a lui, risucchiando la lava incandescente e ributtandola in ogni direzione, spinta da gelide correnti d’aria.

"Attenti!" –Gridò Cristal, sollevando un muro di ghiaccio dietro cui si riparò assieme ad Andromeda e Nemes. Atena posizionò l’Egida di fronte a Pegasus, mentre Virgo evocava di nuovo il Kaan per tenere Ioria, Titis, Asher e Tisifone al sicuro.

Castalia, i Cavalieri Celesti e Shen Gado vennero invece raggiunti da qualche lapillo, che invece non infastidì più di quel tanto Sin degli Accadi. Camminando su un tappeto di fuoco, il Selenite di Marte si avvicinò al Tenebroso, battendo le mani.

"Notevole." –Commentò, prima di spalancare le braccia ed evocare il suo colpo segreto, che circondò Erebo da ogni lato, chiudendolo all’interno di un cubo di energia. –"È-kish-nu-gal!" –Tuonò, mentre le fiamme rossastre divampavano e un leggero sorriso di trionfo si allungava sul volto del Selenite. Sorriso che scomparve con la stessa rapidità con cui era apparso non appena Sin vide le fiamme annerire e perdere tutta la luce che avrebbe dovuto splendere nella Gran Casa. Un attimo la costruzione esplose e la marea di fiamme lo investì, scagliandolo molti metri addietro, con l’armatura danneggiata, al pari del suo orgoglio.

"Come ho già detto, non c’è posto per la luce nel mio nuovo mondo!" –Disse Erebo, emergendo tra le tetre vampe.

"Vediamo se questa luce ti farà cambiare idea!" –Esclamò Zeus, librandosi in aria e portando un braccio avanti, scatenando una tempesta di fulmini, dentro cui il Progenitore sfrecciò, senza esserne colpito, portandosi lesto di fronte a lui.

"Direi di no." –Rispose, allungando la mano, carica di energia cosmica, verso il suo cuore. Solo per trovarsi di fronte Ganimede, che era scattato a difesa del suo Signore. Gli sfiorò il petto e il Coppiere degli Dei esplose.

"Ga… nimede…" –Mormorò Zeus, sconvolto, il volto imbrattato dai resti del fanciullo.

"Siamo con te!" –Esclamò allora Nettuno, puntando il tridente e colpendo Erebo con una scarica di energia, mentre anche Eracle caricava e Efesto, Ermes e Euro univano i loro cosmi in un unico attacco, investendo il Progenitore da tre direzioni diverse.

"Ora sì che ci divertiamo!" –Commentò quest’ultimo, sollevando le braccia e lasciando che il suo cosmo esplodesse. Non fu un colpo segreto, soltanto una devastante deflagrazione di energia, che investì tutti i membri dell’Alleanza, gettandoli in aria, scheggiando le loro corazze, frantumando le loro ossa. La stessa Porta delle Tenebre vibrò, prima di schiantarsi e crollare a terra, senza che Erebo ne fosse minimamente toccato. Nessuno di loro, in ogni caso, entrerà nel Primo Santuario finché io sarò vivo! E lo sarò per molto tempo ancora! Ridacchiò, prima di voltarsi e osservare lo sfacelo che lo circondava.

Ventiquattro avversari atterrati, solo con quell’ultimo attacco. Se poi aggiungeva i caduti di fronte alle Porte della Luce e del Giorno il numero saliva decisamente, motivo che lo fece sogghignare, strofinandosi le mani sovreccitato. Tese l’orecchio, senza farsi distrarre dai lamenti dei feriti, e ascoltò gli unici rumori ancora udibili attorno al Primo Santuario.

Di fronte all’abbattuta Porta della Notte, l’Arconte Verde resisteva, assieme a quattro Cavalieri delle Stelle, due Seleniti e un esiguo numero di Areoi polinesiani. L’Armata delle Tenebre avrebbe potuto tenerli impegnati fino alla loro estinzione ma il Tenebroso non amava perdere tempo, così si sollevò, ribollendo nel suo cosmo nero, e fece per scattare in quella direzione. Ma qualcuno lo afferrò in volo, prendendolo di sorpresa.

Aveva sbagliato a non prestare ascolto ai gemiti dei feriti, avrebbero potuto dirgli quanto ancora mancava alla loro morte. E di quali avrebbe dovuto facilitare il trapasso. I più ostili, ad esempio, come i Cavalieri di Atena.

Voltandosi, pensò quasi di trovarsi Pegasus di fronte, invece era un giovane dai capelli argentati, che lo teneva stretto, sforzando le danneggiate ali della sua Veste Divina a dirigersi verso terra. Ancora in volo, Erebo strusciò sul suolo con un coprispalla dell’armatura, prima di riprendere il controllo e portarsi sopra il suo coraggioso avversario, sbalzandolo via con un calcio all’addome.

Euro rovinò a terra, aprendo solchi con le ali semidistrutte, ma già aveva espanso il proprio cosmo, avvolgendosi in un arcobaleno di colori e mormorando qualcosa che, sulle prime, Erebo non riuscì a capire.

Lo udì però Zeus, che si stava rialzando, assieme a Efesto ed Ermes, stupiti dall’audacia del giovane Dio. Quando anche loro decifrarono le sue parole, piansero.

"Eurus, Notos, Zephyrus, Boreas. Eurus, Notos, Zephyrus, Boreas."

"Le tue cantilene non bastano a fermarmi, ragazzo!" –Ghignò Erebo, sollevando il braccio destro e allungando artigli di tenebra.

"Non vuote parole sono le mie, bensì un’invocazione. Un appello ai ricordi." –Disse Euro con voce pacata, mentre il cosmo turbinava attorno a sé, divenendo un vento impetuoso. –"Che gli uomini sappiano che sono esistiti Quattro Venti che, per secoli, hanno portato loro il freddo e il caldo, la pioggia e il sole. Borea, mio fratello maggiore, Vento del Nord e Padrone delle Correnti Fredde." –Aggiunse, liberando una raffica di vento polare che spinse Erebo indietro, rallentando per un attimo i suoi movimenti. –"Austro o Noto, Vento del Sud, Signore delle Piogge Torrenziali!" –E lo investì con una nube di energia acquatica, dentro cui una caterva di fulmini danzava furiosa. –"Zefiro, Vento dell’Ovest, Messaggero della Primavera" –Disse, mentre il vento si faceva torrido e lingue di fuoco si allungavano a stridere sulla corazza di Erebo. –"Infine il sottoscritto, Euro, Vento dell’Est…"

"Signore degli idioti e morto per nulla!" –Chiosò Erebo, calando infine il braccio e piantandogli cinque artigli di tenebra nel ventre, interrompendo il soliloquio del Dio e facendogli sputare sangue. Godendosi la sua espressione sorpresa e sconfitta, il Primogenito lo sollevò, voltandosi verso gli Olimpi, i cui cosmi già brillavano, pronti a caricarlo. –"Temo che il vento abbia smesso di spirare." –E ne gettò la massacrata carcassa ai piedi di Zeus, osservandolo rotolare sul terreno e macchiarlo di sangue.

"Euro!" –Mormorò Ermes, ricordando in un momento tutte le imprese vissute assieme. Contro Tifone, contro Flegias, infine contro Caos. –"Ti vendicheremo, ragazzo!" –Aggiunse Efesto, facendosi avanti, rivestito da una coltre di fiamme scintillanti.

"Non dicevi la stessa cosa di tua moglie? Quella sgualdrina che si è fatta mettere incinta da Ares, generando due simpatiche carogne? Credo di averle incontrate, quest’oggi, mentre marciavano fuori dal Primo Santuario e, ti dirò, tra le tante ombre che mi son passate davanti, erano i più contenti di essere qua!" –Ironizzò Erebo.

"Taci, malnato! Lava incandescente!" –Tuonò Efesto, portando entrambe le braccia avanti e scagliandogli contro due fiotti di magma ardente, che il Tenebroso non ebbe problemi ad evitare. Di quella sua veloce acrobazia approfittò Ermes, per piombare su di lui, puntando il Caduceo al suo petto; ma Erebo fu più veloce, afferrando la bacchetta e spezzandola con una mano sola, di fronte agli occhi stupefatti del Dio, prima di conficcarne i resti nel suo collo, piantandolo a terra.

"Ermes! Ritirati!" –Esclamò allora Zeus, mentre centinaia di fulmini danzavano attorno a lui, che le indirizzò verso il loro obiettivo. –"Tempesta di folgori!"

Erebo non rimase ad attenderle, avvolgendosi in un guscio di tenebra, su cui le saette stridettero, senza scalfirlo, prima di scattare avanti, investendo il Re dell’Olimpo con quello stesso ammasso d’ombra e gettandolo a gambe all’aria.

"Mio Signore! Siamo con te!" –Intervennero i Cavalieri Celesti, balzando contro Erebo da tre diverse angolazioni. –"Gorgo dell’Eridano! Lancia di Icaro! Galoppo dell’Ippogrifo!" –Gridarono, ma prima ancora di aver terminato di urlare il nome della loro tecnica, Erebo si era già spostato. Evitò il mulinello energetico di Nikolaos, afferrò Shen Gado per il piede e lo scagliò contro Toma, lasciando che gli piantasse la lancia nel ventre. Quindi si liberò della bolla di tenebra che lo rivestiva, scagliandola addosso ai tre difensori dell’Olimpo, travolgendoli.

"Sembra che tu riesca ad affrontare più avversari contemporaneamente!" –Commentò allora una voce, attirando l’attenzione del Tenebroso. –"Anzi, oserei dire che ti diverte persino. Forse uno scontro diretto, uno contro uno, ti annoia? Spiegamelo, sono curioso di udire le motivazioni che ti portano a questo stile di lotta confuso e continuo."

"Potrei farlo. Ma perché dovrei sprecare del fiato? Tanto più con chi, come te, conosce già la risposta. Non è così, divino Eracle?"

Il campione di Tirinto allungò le labbra in un veloce sorriso, battendo la clava nel palmo dell’altra mano. La Glory non aveva più lo splendore di un tempo ma l’ichor di Zeus l’aveva irrobustita a sufficienza da impedire a Karkinos e alla Tarrasque di sfondarla. Contro gli artigli di tenebra di Erebo, Eracle non era però sicuro che avrebbe resistito, motivo per cui era necessario non dargliene la possibilità.

Senza dire altro, il figlio di Zeus scattò avanti, veloce come la Cerva di Cerinea, e mosse la clava, preciso nel colpire come gli affilati becchi degli Uccelli di Stinfalo, ma forte, molto forte, come il Toro di Creta. Anche Erebo lo notò, muovendosi lesto all’indietro e osservando l’arma sfilargli davanti al viso, conscio che, non si fosse spostato, avrebbe potuto sfondargli il cranio. Prima che avesse il tempo di muoverla indietro, il Progenitore lo colpì con un pugno dal basso, scagliandolo in alto, ma Eracle fu lesto a incastrare un piede sotto il braccio dell’altro, trascinandolo con sé.

Un colpo di clava spinse Erebo indietro ma neppure quell’arma riuscì a incrinare la sua corazza, che pareva composta di ombra solidificata.

"Incredibile!" –Notò Eracle, atterrando con un’agile piroetta.

"Non siamo poi così dissimili. Anche a te, noto, piace questo stile di combattimento. Più da mischia che da torneo. Più da bestia che da uomo. Perché tu, figlio bastardo di Zeus, puoi anche aver tirato su quel castelluccio, riempiendolo di giovani e giocando a fare l’Atena della situazione, ma la verità è che sei soltanto uno zotico, cresciuto menando pugni, uccidendo amici e parenti, spinto dall’ambizione di gloria. Bene e male sono concetti che per secoli non hai distinto, servendoti di entrambi in base ai tuoi porci comodi. Quanti compagni hai tradito e massacrato? Quante mura di città, che tutt’oggi avrebbero potuto continuare a esistere, hai abbattuto? Quante donne hai ingravidato, lasciandole sole a crescere i loro figli che, nel migliore dei casi, ti hanno odiato? Perciò smettila di fare l’eroe e torna a fare quel che sai fare meglio!" –Sibilò Erebo, avanzando avvolto nel suo cosmo di tenebra. –"La bestia." –E gli scagliò contro migliaia e migliaia di daghe nere.

Senza perdersi d’animo, Eracle mulinò la clava, colpendole una dopo l’altra, ma la pioggia non accennava a diminuire d’intensità, anzi aumentò, impedendogli di pararle tutte. Venne raggiunto a un fianco, poi a una gamba destra, ma non cedette, neppure quando la clava iniziò a scheggiarsi, erosa come una roccia all’esposizione alle intemperie. Compiaciuto, il Tenebroso radunò le daghe in un’enorme lama di energia nera che incrociò con l’arma del rivale. Una volta, due, finché alla terza la clava di Eracle non andò in frantumi, con qualche pezzo delle sue dita.

"Com’era la profezia? Nessun uomo vivente ucciderà mai Eracle, ma un nemico morto segnerà la sua fine! Beh, credo stesse parlando di me, non credi?" –Ghignò Erebo, portando avanti il braccio.

"No!" –Disse una voce, mentre una muraglia di luce appariva a difesa del figlio di Zeus. Sottile e poco ampia, ma sostenuta da un ammasso di nubi di energia cosmica, dentro cui la lama d’ombra si piantò, mandandola subito in frantumi.

Di quell’attimo approfittò Nestore dell’Orso, portatosi alle spalle del Primogenito, per artigliarlo con una zampata di energia, mentre Marcantonio e Nestore, che avevano affiancato Eracle, liberarono i loro colpi segreti.

"Glorioso canto degli Eroi Caduti! Ali del Mito!"

"E nel mito finirete anche voi!" –Esclamò Erebo, volteggiando sopra di loro, incurante dell’irrisoria efficacia di quell’attacco. –"Ma non sarete ricordati né cantati, poiché nessuno, di coloro che vi conosce, rimarrà. Tutti moriranno con voi!" –Ed espanse il cosmo, liberando un ventaglio di daghe di cosmo nero che mitragliarono i tre Heroes, distruggendo le loro corazze, strappando loro via pezzi di pelle e ossa, finché un grosso scudo non giunse a ricoprirli.

"Metodo rozzo ma efficace." –Commentò Efesto, che intanto aveva recuperato il guscio corazzato della Tarrasque e lo aveva lanciato sugli Heroes. –"Stai bene, fratello?"

Eracle, a quelle parole, sorrise, affiancando il Fabbro Olimpico, mentre anche Zeus e Ermes li raggiungevano. Nikolaos avrebbe voluto essere con loro, per quanto faticasse ad alzarsi, ma un’occhiata del Signore del Fulmine gli fece capire di non mettersi in mezzo. Quella era una battaglia tra divinità.

"E allora vi daremo una mano!" –Esclamò la squillante voce di Arawn, apparendo per mano alla sua bella sposa. –"Che non si dica che gli Dei di Britannia non amano la compagnia!"

"Se così tanto ami stare con i perdenti, accomodati, stupido folletto! Mi farò un mantello con la muta dei tuoi cani!" –Ringhiò Erebo, avventandosi su di loro.

"Nessuno tocca i miei levrieri e la passa liscia!" –Avvampò Arawn, liberando il suo colpo segreto. –"Cŵn Annwn!" –Subito seguito da quello di Rhiannon. –"Bianchi cavalli spumeggianti!" –Una carica di segugi dal pelo bianco e dalle orecchie fulve, i due colori della vita e della morte ad Albion, e di bellissimi stalloni dal pelo biancastro sfrecciarono verso Erebo, che falciò le loro zampe con un rapido movimento del braccio. Quindi, prima che i due potessero iterare l’attacco, li travolse con un’onda di energia.

Zeus, sopraffatto dal rapido succedersi di quello scontro, poté solo vedere Arawn lanciarsi su Rhiannon, offrendo la schiena al nemico, prima che venissero scaraventati lontano, in una nube di cocci d’armatura, sangue e polvere.

"Stupidi isolani! Avrebbero fatto meglio a restare nella loro maledetta Albion!" –Tuonò Erebo, tornando a volgersi verso gli Dei di Grecia.

"Non offendere i nostri amici e alleati! Concetti, forse, ignoti alla tua perversa mente solitaria!" –Precisò Zeus, muovendo un passo avanti, mentre attorno al suo braccio destro sfrigolava la folgore celeste.

"Ahu ahu, vuoi castigarmi? Come giocavi con Ganimede? Coraggio, fatti avanti!" –Lo derise il Tenebroso, voltandosi di schiena e simulando il gesto di una frustata.

"La tua presenza su questa Terra è un’offesa alla Terra stessa, Erebo. Sei una locusta che deve essere estirpata! E io possiedo l’arma adatta!" –Esclamò il Nume, levando il braccio destro al cielo e sprigionando un bagliore che accecò persino gli altri Dei. –"Mira, oh tenebra oscura, la luce che squarcia anche la notte più buia! La folgore che ricevetti in dono da Ceo del Lampo Nero! La Folgore Suprema!"

"E non solo sei, mio Signore! Kerkeyon!" –Gridò Ermes. –"Euro, questo colpo è anche per te!" –Efesto e Eracle si disposero ai suoi lati. –"Lava incandescente! Fauci del mito!" –E Nettunò li affiancò. –"Tridente del Re Pescatore!"

L’attacco congiunto rischiarò la caliginosa aria attorno al Primo Santuario e confortò per un momento anche Asterios e i Cavalieri delle Stelle, impegnati a fronteggiare l’ultima mandata dell’esercito di Caos. Ma Erebo, anche quella volta, si limitò a sogghignare, forte del potere di Nyx e di Etere che aveva assorbito. Spalancò le braccia, lasciando che una spirale di cosmo sorgesse dal suolo e lo avvolgesse, salendo su, verso il cielo tenebroso, e in quella spirale venne risucchiato l’assalto degli Olimpi, mulinando attorno al Progenitore, finché, stufo di quelle quattro facce allarmate che si trovava di fronte, non mosse le dita, quasi stesse tessendo qualcosa. Tra i suoi palmi, l’energia raccolta fino a quel momento si radunò, vorticando e spruzzando scintille violacee e nere, con qualche sfumature dorata.

"Qui caddero gli ultimi Olimpi. Non siate tristi. Avete tutta una famiglia intera da riabbracciare in qualunque vuoto vi attenda oltre questa misera esistenza." –Disse Erebo, prima di lasciar esplodere il suo potere. –"Dies irae!"

Nestore, Marcantonio e Neottolemo tentarono di ripararsi dietro il guscio della Tarrasque ma questo si sbriciolò tra le loro mani, prima che anche i loro corpi si sgretolassero. Eracle non ebbe neppure il tempo di gridare o piangere che venne sbalzato indietro, addosso al povero Ermes, già dolorante, le cui ali andarono del tutto in frantumi, e a Nettuno e Efesto, cui fu troncato un braccio. Zeus fu l’ultimo a crollare, tentando di resistere, avvolto nel suo cosmo adamantino, ma quando Erebo puntò gli occhi rossi su di lui la marea d’ombra fagocitò le folgori. E cadde nell’oscurità.

***

Flare sedeva al capezzale di Bard, da ore ormai.

Avrebbe dovuto occuparsi di molte faccende, trovarsi un altro consigliere magari, girare per le strade di Asgard, confortare il popolo, come sua sorella avrebbe fatto, e loro padre prima di lei. Ma riusciva a pensare soltanto a Cristal, al figlio che portava in grembo e alla paura di crescerlo da sola, la paura che lui non avrebbe mai conosciuto il valoroso padre di cui si era innamorata.

Carezzando la pancia, la Regina di Asgard spostò lo sguardo sul Capitano della Guardia Reale, che giaceva febbricitante a letto. Non fosse stato per le immediate cure di Mani, che gli aveva donato parte del suo cosmo, e per gli infusi che gli aveva poi somministrato Eir, anche Bard l’avrebbe abbandonata, come Ilda, Enji e tanti soldati semplici di cui non conosceva neppure il nome. Sua sorella anche in quello non avrebbe mancato.

Lei era nata per essere regina. Commentò, alzandosi dal letto e scivolando verso le finestre rivolte a sud. Era buio ormai, ma anche se fosse stato giorno la differenza sarebbe stata minima, a causa dell’enorme nube nera che aveva oscurato il sole.

Aveva reso omaggio a Odino, in ginocchio nel piazzale retrostante, assieme ai coraggiosi fedeli che avevano scelto di affiancarla, e credere in lei, e molti di loro, anche adesso, erano inginocchiati sul gelido marmo a mormorare canti in onore degli Asi. O forse lo facevano soltanto per continuare a credere. Per convincersi che ci fosse ancora qualcosa in cui credere.

Ma è davvero così? Non poté evitare di chiedersi, per l’ennesima volta.

Ormai aveva visto troppi orrori del mondo per credere ancora nel lieto fine, eppure, in fondo al cuore, sapeva che doveva essere così o le loro stesse vite non avrebbero avuto significato. Il futuro non poteva essere già scritto, lei quello non l’avrebbe accettato, perché farlo avrebbe significato perdere Cristal e perdere il loro bambino, che invece era un segno della benevolenza del fato. Se fosse stato Odino a inviarlo loro, o Ilda, o magari Loki che, a modo suo, aveva lottato per Asgard, Flare non seppe dirselo, ma sapeva che lo avrebbe difeso, per garantirgli il suo diritto alla vita.

Così salutò Bard con un bacio sulla fronte e uscì, avvolgendosi nella mantella. Nel salone del fuoco Bil e Hjúki stavano intrattenendo il popolo che vi si era radunato con dei giochi di prestigio, facendo fluttuare in aria un bastone e schizzandosi l’un l’altro con l’acqua che fuoriusciva da un secchio apparentemente vuoto. Scherzi da bambini, ma sufficienti per strappare qualche sorriso alla gente comune.

Flare passò oltre, avviandosi sul retro del palazzo, e allora le sentì chiaramente, le preghiere di pace che provenivano dal piazzale. Ma non erano soltanto gli abitanti di Asgard a cantare (quelli, ormai stanchi, si limitavano a starsene in ginocchio, abbracciati e stretti nelle loro mantelle, ripetendo le solite strofe), bensì un numeroso gruppo di fanciulle che aveva occupato la piattaforma dove Ilda era solita rivolgersi al Signore degli Asi. Una di loro, forse la più grande, stava suonando una cetra, accompagnando i canti delle sorelle, mentre tutto attorno a loro deboli fiammelle di cosmo si accendevano, per riscaldare l’animo dei presenti e ricordare che, pur in quel mondo di tenebra, esisteva ancora della luce a cui aggrapparsi.

Sorridendo, Flare raggiunse le figlie di Selene, sedendo tra loro e unendosi alle preghiere, certa che avessero ragione. La luce giaceva in ognuno di loro, in ogni essere umano, e Caos e i Progenitori non sarebbero mai riuscita a spegnerla.

"Ti aspetto Cristal! Torna da me!"