CAPITOLO TRENTOTTESIMO: E PLURIBUS UNUM.

"Pegasuuus!!!"

L’urlo di Sirio fu l’ultima cosa che Pegasus udì mentre Caos, mulinando la lancia sanguinaria, la calava su di lui, conficcandone la lama nella sua fronte. Sentì il gelo invadergli le membra, il gelo di una morte a lungo scampata e che adesso infine era giunta. Sentì il sangue scorrergli sulla pelle, la vista appannarsi e poi non sentì altro.

Aprì e richiuse gli occhi più volte ma il risultato era sempre lo stesso. Caos, sopra di lui, stringeva ancora la lancia con entrambe le mani ma non riusciva a spingerla, sorpreso lui stesso da quel freno improvviso ai suoi piani. Anzi, a guardarlo, sembrava un freno ai suoi stessi movimenti.

"Co… cosa succede?" –Esclamò l’Unico, con una punta di incertezza in una voce fino ad allora tronfia e sicura. Pegasus non perse tempo, afferrò la lama dell’arma e la sollevò, quel tanto che gli bastò per scivolare via da sotto e rimettersi in piedi, incapace di comprendere quell’inaspettato e inspiegabile prodigio. –"Fermo!" –Gridò Caos, muovendo la lancia verso destra, con un unico fluido movimento destinato a mozzargli la testa. Ma anche quella volta, non appena la lama raggiunse la pelle del ragazzo, si fermò. Anzi no, guardando con attenzione la sua mano, Pegasus vide che tremava. Era stato Caos stesso a fermarla!

Caos o…?

In quel momento una luminosa emanazione cosmica si sollevò alle spalle dell’Unico, rischiarando la spianata desertica, venendo subito riconosciuta dai Cavalieri dello Zodiaco e dagli Angeli.

"Pegasus!"

"Questa voce…" –Esclamò Alexer, con le lacrime agli occhi. –"Questo cosmo… Fratello! Sei vivo?"

"A… Avalon?" –Mormorò il Cavaliere, temendo un qualche trucco di Caos, che invece era ancora intento a cercare di far forza sulla lancia.

"Maestro…" –Disse Ascanio, facendosi più attento che mai.

"Non abbiamo molto tempo. Secondi, forse meno. Il Calderone, Ascanio. Adesso!" –Esclamò Avalon, prima che la sua sagoma iniziasse a tremolare.

"È il cosmo di Caos!" –Capì Asterios.

"No! Non gli permetteremo di distruggere quel che resta di nostro fratello!" –Ruggì Andrei, scattando avanti, avvolto in una sfera di fuoco rovente. –"Pendragon! Fai i tuoi trucchetti adesso! Noi ti daremo l’occasione! Fiamma di vittoria!!!"

"L’occasione per cosa?" –Mormorò Pegasus, che intanto aveva strappato la lancia di mano a Caos, spezzandone l’asta e gettandone i resti di sotto.

"Per liberare Avalon!" –Annuì Ascanio, rivelando il talismano da lui custodito.

In quello stesso momento gli Angeli circondarono Caos. Alexer lo tartassò con una selva di fulmini siderali, scheggiandogli persino l’elmo della corazza, subito imitato dall’impetuoso fratello che liberò bombe dall’ineguagliabile calore. E quando Caos si mosse per fermarli, trovò la strada sbarrata da una pioggia di lance di energia acquatica. Un coacervo di acqua, aria e fuoco che generò una nube di vapore sopra la piattaforma della ziggurat.

"E questi vostri attacchi dovrebbero impensierirmi?" –Esclamò Caos, liberandosene con un’esplosione di energia.

"Impensierirti no. Distrarti per un momento, perché no?" –Disse Andrei, precipitando a terra, osservando con la coda dell’occhio il Comandante dei Cavalieri delle Stelle piazzare il Calderone dei Misteri proprio ai piedi dell’Unico e attivarne il potere.

"Cosa?"

Il risucchio di energia fu immediato e prese Caos alla sprovvista e un attimo dopo il Generatore di Mondi si ritrovò a ribollire in una massa di cosmo da cui sembravano allungarsi migliaia di mani, braccia e filamenti che lo tenevano bloccato. E più si dimenava, più espandeva il cosmo per distruggere quella ridicola prigione, più la presa si faceva serrata, trascinandolo sempre più a mollo.

"Inconcepibile…"

"Non con la forza potrai vincere il Calderone dei Misteri!" –Precisò Ascanio, chiudendo gli occhi e mormorando qualcosa in gaelico antico. Andromeda, ai piedi della ziggurat, tentò di tradurlo per gli amici, ma vennero tutti distratti dalla nube di cosmo oscuro che si levò dal pentolone. Una nube che ai Cavalieri dello Zodiaco ricordò quella che aveva attaccato l’Isola Sacra e ucciso Avalon.

"Eccolo! È Caos!" –Gridò Alexer. Ma Ascanio non desistette, continuando a cantilenare, finché l’ultima stilla del cosmo del Generatore di Mondi non abbandonò il Talismano. A quel punto, nelle sue acque ribollenti di energia e vita, giaceva un corpo debole e fiacco, ben lontano dall’eleganza di cui aveva fatto sfoggio nel corso dei millenni, un corpo che comunque riconobbe come quello del suo maestro.

Anche Pegasus lo vide e gli si avvicinò, aiutandolo a tirarlo fuori. Era nudo e caldo, forse febbricitante, e magro, quasi scheletrico, e Pegasus ebbe paura che gli si sarebbero spezzate le ossa mentre lo muoveva. Ma la mano rachitica che gli afferrò il braccio, costringendolo a guardarlo in faccia, gli tolse ogni dubbio. Negli occhi argentei di Avalon brillava la stessa luce di sempre, la stessa determinazione a vincere, oltre che un improvviso senso di fine.

"Ora!" –Disse soltanto. E la sua voce risuonò nella mente dei suoi fratelli e di tutti gli Dei riuniti ai piedi della ziggurat, e ognuno udì parole diverse, note dello stesso suono che avrebbe prodotto l’armonia finale.

Asterios, Alexer e Andrei capirono all’istante quel che Avalon stava per fare, ciò per cui avevano vissuto e sopportato così tanto, così bruciarono i cosmi più che poterono, turbinando attorno alla nube di Caos per impedirle di muoversi.

"Stupidi!" –Parlò l’Unico in quel momento. O forse fu soltanto un tuono, il mugghiare furioso di un vento infernale. Ma poi, pian piano, quei rumori divennero distinte parole, una voce che stava ricreando. –"Sono stato a sufficienza nel corpo di Avalon per poterlo generare io stesso." –E la nube di cosmo oscuro iniziò a muoversi, contorcendosi, allungandosi, comprimendosi, fino ad assumere una forma vagamente umana, indifferente alle vampe di fuoco, alle folgori e alle lance di energia acquatica che la stavano vessando.

Avalon, al tempo stesso, non si distrasse, poggiando la mano sul petto di Ascanio e sorridendogli, fiero come un padre, ben più che un maestro.

"Va’!" –Gli disse, prima di chiudere gli occhi e recitare una formula appresa molto tempo addietro. Da Emera, che l’aveva ideata, e da Tegel, che per primo l’aveva messa in atto. Radunò ogni stilla del proprio cosmo, facendo appello ai Sette Saggi, alla Dea sua madre, al di lei fratello, che aveva condiviso la sua luce, alle forze della natura, alle memorie dell’isola di Avalon, alla coscienza dei druidi con cui aveva diviso il cammino, e ai ragazzi che aveva cresciuto e addestrato, strappandoli alle loro vite (o forse salvandoli?) e portato fin lì. Li trovo, uno dopo l’altro: Ascanio, Jonathan, Reis, Marins, Febo, Matthew e Elanor. E li chiamò. –"Talismani!"

Subito i sette manufatti brillarono nelle mani dei loro possessori, sollevandosi in cielo nello stesso momento e disponendosi in cerchio sopra Avalon. Il Calderone dei Misteri, la Spada di Luce, la Cintura dell’Arcobaleno, il Tridente dei Mari Azzurri, lo Specchio del Sole, lo Scudo di Luna e lo Scettro d’Oro. Sette talismani per sette saggi che li avevano creati. E che alla fine erano diventati una cosa sola.

"E pluribus unum!" –Mormorò Avalon, mentre i manufatti brillavano di una luce abbagliante che costrinse molti tra i presenti a tapparsi gli occhi. Soltanto Amon Ra, abituato a tale intenso lucore, riuscì a vedere quel che stava accadendo, e sorrise, felice per aver potuto vivere quel giorno.

Quando la luce scemò d’intensità, i sette talismani erano scomparsi. Al loro posto, sospesa in cielo, stava una grossa coppa di mithril, alta quanto la schiena di un uomo. E al posto della nube nera fuoriuscita dal Calderone dei Misteri si stagliava una sagoma simile ad Avalon, forse più all’Avalon che era stato un tempo, forte e muscoloso. Rivestito dall’armatura del Caos, impugnava la ricostituita lancia che Pegasus aveva spezzato poc’anzi. Vide il manufatto scintillare in cielo e arricciò le labbra, comprendendo.

"No!" –Gridarono gli Angeli, piombando su di lui. –"Fulmini siderali! Lance di acqua! Aurora infuocata!" –Il triplice assalto venne parato dall’arma che Caos torse davanti a sé, rimandandolo indietro, ma quando fece per balzare in alto trovò la strada sbarrata da tutti gli Dei e i Cavalieri rimasti, forti dell’appello che Avalon aveva lanciato poco prima nella loro mente.

"Difendere la Coppa di Luce a ogni costo!"

"Folgore Suprema!" –Tuonò Zeus. –"Occhio di Ra, illumina la via di tutti noi!" –Gli fece eco Amon Ra, affiancato dall’Ase Silente che liberò il Soffio di Asgard.

"Toglietevi… di mezzo!!!" –Ringhiò Caos, che ormai, dei bei modi di Avalon, non aveva più niente, travolto da una furia cieca e primordiale. Ma dopo i Signori degli Dei trovò i Cavalieri delle Stelle a ostruirgli il passo, e Atena, Bastet e Horus, e Ermes, Efesto e Demetra, persino i deboli Asher, Tisifone, Castalia, Nemes, Nikolaos e Shen Gado bruciarono quel che restava della loro vita per fermarlo.

"La Coppa di Luce!" –Parlò allora Avalon, con un filo di voce. –"La prima forma dei contenitori delle armature."

"Eh? State dicendo che quello… è uno scrigno?" –Esclamò Pegasus, in piedi accanto a lui, sulla devastata scalinata. Avalon annuì, riprendendo a spiegare.

"Non uno scrigno qualunque. Lo scrigno che racchiude i misteri del mondo, i segreti della Prima Guerra, le lacrime dei vincitori, il cosmo dei Sette Saggi. E un’armatura. Forse dovrei dire l’armatura. L’armatura della leggenda, interamente in mithril, forgiata all’Alba dei Tempi con il sangue di Emera. La più potente corazza mai esistita. Destinata al più potente di tutti, il Cavaliere della Leggenda, l’unico degno di indossarla. Tutti gli altri ne verrebbero consumati, bruciando come fiamma. Va’ Pegasus, reclama il tuo retaggio! L’armatura è tua!"

"Come?"

"Tu sei il prescelto, l’erede di Micene. All’inizio pensavo fosse lui, il mio allievo, sai, destinato a riceverla, ma poi ho seguito le tue gesta, ho visto il tuo cosmo crescere e la tua voglia di giustizia mai venire meno. Apri la Coppa di Luce, indossa l’Armatura della Leggenda e salvaci! Salva tutti noi!" –Mormorò Avalon, prima di chiudere gli occhi.

Pegasus levò lo sguardo in alto, dove lo scontro tra gli Angeli, gli Dei e gli ultimi Cavalieri che tentavano di fermare Caos stava continuando, e prese la sua decisione. Corse lungo la scalinata e poi si lanciò verso la Coppa di Luce, che ancora brillava in cielo, incurante delle lotte in corso attorno e sotto di lei. Nel vederlo scattare in quella direzione, Caos si agitò, liberando una devastante esplosione di energia, sperando di distruggere anche la coppa stessa, ma gli ultimi difensori unirono i loro cosmi in una catena di energia che circondò l’Unico, contenendo la sua potenza distruttiva. Durò un attimo quell’effimera protezione, prima che Caos la mandasse in frantumi, scaraventando tutti a terra, vinti, feriti o cadaveri che fossero. Ma in quell’attimo Pegasus aveva raggiunto la Coppa di Luce. E l’aveva aperta.

La luce che ne uscì fu violentissima, illuminando a giorno il deserto del Taklamakan e giungendo persino oltre le pendici del Karakoram e dell’Indukush, portando un momento di speranza alle genti del mondo che temevano di essere sprofondate nell’oscurità. Persino Caos dovette distogliere lo sguardo, riparandosi dietro un braccio, e non poté vedere l’Armatura della Leggenda uscire fuori. La vide soltanto quando, entrata in risonanza col cosmo di Pegasus, planò su di lui, quasi fosse fatta di luce, rivestendolo e donandogli nuova forza.

Con la Prima Corazza addosso, Pegasus atterrò nella spianata di fronte alla ziggurat, ristorato e pronto alla lotta. Somigliava alla sua armatura, con due ampie ali angeliche affisse alla schiena e un elmo azzurro con un cimiero a forma di Alfa. La spada di Balmung apparve nella sua mano, leggera e flessibile, quasi fosse un’estensione del braccio stesso, e tutte le ferite subite, i tagli e le contusioni, parvero rimarginarsi, grazie a un potere curativo rimasto inalterato per millenni.

"Avalon diceva il vero. La luce della coppa è la più pura." –Disse, notando che la coppa era ancora in cielo sopra di loro, a osservarli forse? A decidere se fosse degno di quel dono? O in attesa di profondere ulteriori doni? Quali fossero tutti i suoi segreti nemmeno Avalon doveva esserne al corrente.

"Pegasus…" –Mormorò Sirio, gli occhi colmi di lacrime di felicità. –"La meriti davvero, amico mio." –Disse Cristal. –"Quale meraviglia!" –Commentò Phoenix. –"Fa’ attenzione, Pegasus, te ne prego!" –Disse soltanto Andromeda.

"E così l’hai indossata!" –Esclamò Caos, che intanto era atterrato sulla piattaforma centrale della ziggurat. Indicò Pegasus con la lancia e subito un fascio di energia nera saettò verso di lui, solo per essere intercettato dalla spada di Balmung, strappando un ghigno al Generatore di Mondi. –"Mithril di prima generazione. Mi fu rubato nella Prima Era. Quanti crimini la mia progenie ha commesso! Non soltanto Emera e Etere fomentarono una rivolta contro di me, non soltanto cospirarono per detronizzarmi, ma seminarono persino i germi per impedire la mia futura felicità! Rabbrividisco di raccapriccio di fronte a tale nefandezza! Ma poiché sono entrambi morti, posso soltanto rivalermi su di te, Cavaliere di Pegasus! Anzi no, Cavaliere della Leggenda dovrò chiamarti? Fatti avanti, mostrami di essere all’altezza dell’epiteto che ti hanno dato! Mostrami di essere all’altezza di Caos!"

Pegasus non se lo fece ripetere, spiegando le ali dell’armatura e sfrecciando verso l’avversario, avvolto in una sfera di cosmo luminoso, di fronte agli sguardi ammirati, speranzosi e preoccupati dei Cavalieri suoi compagni e degli Dei.

"Fulmine di Pegasus!" –Gridò, scatenando il suo colpo segreto. Ma Caos non ebbe problemi a evitarlo, muovendosi più velocemente delle sfere di luce e lasciando le poche che lo raggiunsero (tre? forse quattro?) a infrangersi contro il manto di energia oscura che lo rivestiva. Quando mosse la lancia, Pegasus era sopra di lui e gli stava piombando addosso, con Balmung levata avanti.

L’impatto tra le due armi generò scariche di energia che travolsero entrambi, squarciando ulteriormente la scalinata della ziggurat, e lambendo perfino le forze dell’alleanza che a fatica si rimettevano in piedi, chiedendosi cosa potessero fare, come potessero prendere parte a uno scontro di pari potenza e entità. Pareva che, ammantato dalla Prima Luce, Pegasus fosse divenuto un Dio Ancestrale.

"Non sottovalutare il tuo avversario…" –Mormorò Alexer, lo sguardo fisso sul rapido confronto a colpi di lame e fendenti di energia che si stava consumando sulla piattaforma centrale. Macchie di ombre e di luce che si inseguivano, si circuivano, si abbrancavano l’un l’altra fino a separarsi, scattando in direzioni diverse per poi tornare a incrociarsi.

Pegasus colpiva in continuazione, senza risparmiarsi, senza mai fiatare, senza fermarsi a guardare se aveva raggiunto il bersaglio o meno, timoroso che Caos potesse approfittare di quel millesimo di secondo per ucciderlo. E ogni volta era quasi sicuro che sarebbe accaduto. Anche con le cure di Emera, con l’Armatura della Leggenda, con Balmung in mano, sembrava sempre che vi fosse un divario tra loro.

Del resto, Caos è il Generatore dei Mondi. Anche di questo. Disse Pegasus, scansando un affondo che gli strappò un ciuffo di capelli e rispondendo con un secco colpo di lama che Caos parò. Per un lungo istante rimasero così, con Pegasus che premeva su Balmung, riversandovi tutta la forza che era in grado di attingere, fin dai recessi della galassia, e l’Unico che, senza apparente sforzo, lo fissava superbo, spingendo la lancia in avanti, deciso a trafiggerlo al cuore. Rimasero così finché, con un rumore secco, che riecheggiò greve come una condanna a morte, Balmung non si spezzò.

"No!" –Gridò Vidharr, dal basso, accorgendosene per primo. –"La spada di Odino! Forgiata dai nani nelle fucine di Svartálfaheimr per suggellare la loro antica alleanza! Distrutta? Impossibile! Mai neppure Loki e i Giganti di Muspell vi riuscirono!"

Anche Pegasus dovette sembrare sconvolto ma riuscì a conservare sufficiente lucidità per balzare indietro, mentre la lancia di Caos strideva contro il lato sinistro del suo pettorale. La deviò con il troncone di lama rimastagli, prima di lanciarglielo in faccia, spalancare le ali e portarsi a una giusta distanza. Come se possa esistere una distanza giusta da Caos! Bofonchiò, osservando l’espressione divertita sul volto che questi aveva creato ispirandosi alle fattezze di Avalon.

"Cosa ti aspettavi? Pur potente che fosse, la spada di Balmung era soltanto una spada, nata da creature terrestri e figlia di giovani Dei. Come avrebbe potuto opporsi alla Prima Lama? Tu non lo sai, Pegasus. Tu non sai niente, ma la Prima Lama ha mietuto molte vittime all’Alba dei Tempi, abbeverandosi anche del sangue dei Gemelli di Luce e della loro stirpe infingarda. Una lama che io stesso ho forgiato e che non potrà essere spezzata finché vivrò. E io vivrò per l’eternità."

"Parli troppo. Ci hai preso gusto, adesso che ti si è sciolta la lingua, eh?" –Disse Pegasus, avvolgendosi nel suo cosmo incandescente. Roteò su se stesso e sfrecciò verso Caos, simile a una cometa di pura luce, riuscendo a impressionare persino il Generatore di Mondi, che comunque la schivò, lasciando che si schiantasse contro il muro esterno della ziggurat alle sue spalle. Un attimo dopo un’esplosione di pietre e lampi di luce rivelò che Pegasus stava caricando di nuovo, ma Caos quella volta era pronto, con la Prima Lama sollevata e un raggio di energia nera che frenò la corsa del cavallo alato, spingendolo di nuovo contro la parete e poi giù lungo la scalinata.

"Sei mio!" –Esclamò Caos, lanciandosi sull’avversario e inchiodandolo a terra per un’ala. –"A che servono, in fondo? Sei un umano, e come tale destinato a strisciare al suolo. Così io ti ho fatto. Non per volare tra le lontane stelle che non ti appartengono!" –E lo piantò a terra, sprofondandolo per decine di metri nel suolo con un sol colpo di tacco.

"Pegasus!" –Gridò Sirio, espandendo il proprio cosmo color smeraldo, subito affiancato da Cristal, Andromeda e Phoenix.

"Al vostro posto, insetti!" –Li derise Caos, sollevando un muro di tenebre su cui si schiantò la loro avanzata. Un muro che li spinse avanti, scaraventandoli contro gli Dei e gli Angeli. –"E ora… addio, Pegasus! Troppo a lungo questo ballo è durato!" –E calò la lama, mentre il Cavaliere faticava a uscire dalla conca macchiata dal suo sangue. La evitò per un soffio, e gli scheggiò l’armatura, ma la seconda volta capì di non riuscire a schivarla.

A salvarlo fu la Coppa di Luce.

"Uh?" –Esclamò Pegasus, notando che il manufatto si era spostato da solo, posizionandosi tra lui e Caos e impedendo alla Prima Lama di ferirlo.

"Stupida brocca! Ti distruggerò!" –Ringhiò Caos, calando la lama sulla Coppa di Luce, ma venendo spinto (anzi, scaraventato!) indietro da un’improvvisa onda di luce che sciabordò fuori dall’antico talismano. Un’onda che divenne una marea, che ricoprì l’intera spianta di fronte alla ziggurat, traboccando poi dalle mura lontane e fluendo in ogni direzione.

Guardandosi attorno, Pegasus non vide altro che luce e per un momento pensò di non essere più in guerra ma in quel tanto decantato Paradiso dei Cavalieri in cui sapeva che un giorno sarebbe finito. Era un oceano di luce abbagliante, di luce purissima, conservata dentro la coppa per millenni, in vista dell’ora più nera dell’umanità.

"Che meraviglia!" –Mormorò Andromeda, lasciandosi ristorare da quell’ancestrale bagliore, al pari degli altri combattenti.

In quella luce Pegasus e i suoi compagni videro migliaia di volti sorridere loro, ricordi dei giorni vissuti assieme, delle battaglie affrontate e vinte, delle fatiche superate, dell’amore provato, dell’amicizia che li aveva legati, della speranza che mai li aveva abbandonati. E videro anche il futuro, per loro e per le genti della Terra.

Videro Orion vincere il drago Fafnir e bagnarsi della linfa del suo sangue. E Sirya suonare il dolce flauto dall’incanto ammaliatore. E Abadir, lottare contro le correnti avverse per salvare l’amico d’infanzia. E Castore e Polluce allenarsi e diventare Cavalieri Celesti. E Freyr, figlio del Re dei Vani, inchinarsi ai piedi di Hliðskjálf e offrire la sua spada di luce al potente Odino. E Ippolita guidare le Amazzoni alla ricerca della perduta Themiskyra. E Bronte del Tuono difendere il Bianco Cancello dell’Olimpo assieme ai suoi fratelli. E Toma incatenato sulla sommità di Strobilus struggersi al pensiero della sorella rimasta sola. E Atlas, Jao e Berenice guidare il carro del Sole, accompagnando ovunque il loro signore. E Atteone osservare Artemide bagnarsi nuda e bella nelle acque di un fiume. E Tyr mettere la mano nell’enorme bocca del lupo Fenrir. E Mime incantare gli animali della foresta di Asgard, sfuggendo al costante allenamento impostogli da Folken. E Magellano della Mensa girare per il continente africano e usare il cosmo per lenire le malattie dei popoli. E Nike, Philotes e Dike impalarsi sullo scettro di Vittoria, cedendo ad Atena le loro vite e i loro sogni. E Zeus il giovane, Zeus il leggendario, Zeus il vittorioso, ergersi sulla cima dell’Olimpo, scagliando folgori sul mondo attorno, difeso e protetto dagli Olimpi suoi congiunti, e tenendo i Titani a distanza. E Iperione il Nero, Iperione della Forza, Iperione il Dio del Sole, che tutto ciò che voleva era dare un futuro alla sua gente. E Eos, che aveva amato così tanto Titone da meritarsi gli sguardi malevoli degli Dei. E Toru dello Squalo Bianco, addestrato da Afa, che affrontava la prova, uscendo per la prima volta fuori dalla Conchiglia. E Mani che giocava con i suoi figli, insegnando loro la psicocinesi. E Giasone e gli Argonauti veleggiare sulla nave verso la Colchide, in cerca del Vello d’Oro. E Artax nascondersi dietro le porte della fortezza di Asgard, solo per vedere Flare passare e bearsi della sua immagine. E i druidi di Avalon riunirsi sulla sommità dell’isola, tra le grandi pietre resto e testimonianza della Prima Guerra. E Emera che, poco prima, piangeva e pregava per tutti loro, irrorandoli con l’ultimo dono di cui era stata capace.

C’era molto altro da vedere. Molti momenti rimasti nella luce del cielo. Ma Pegasus e i suoi compagni li conoscevano bene, perché quei ricordi li portavano nel cuore, la magia di momenti che li avevano segnati e fatti crescere. Gradini di un percorso che li aveva condotti lì, e che adesso erano dentro di loro.

"Soltanto poche ore addietro, quando siamo giunti in questo deserto, abbiamo affrontato i nostri vecchi avversari. La luce della coppa, adesso, ha donato pace anche ai loro spiriti. Sono certo che se Radamante fosse qui preferirebbe essere scomparso nella luce che vivere asservito all’Unico!" –Disse Pegasus. –"E come lui tutti gli altri!"

"Ora basta!" –Tuonò Caos, colpendo la coppa con il piatto della lama e scagliandola lontano. –"Procrastinare l’inevitabile è inutile! Muori, Pegasus, e con te le stupide leggende gli uomini!" –Ma prima ancora che riuscisse a muovere la Prima Lama, vide vampe rossastre esplodere attorno a lui, levarsi alte verso il cielo sotto forma di serpi, frecce e uccelli di fuoco.

"Non lo raggiungerai!" –Esclamò Phoenix, balzando di fronte all’amico. –"Non finché le Ali della Fenice batteranno a sua difesa!" –Al suo fianco spuntò Andrei, i palmi delle mani irrisi di energia cosmica. –"Aurora infuocata!"

"Bomba del sole!" –Gridò Febo, spuntando alle spalle di Caos e calando il braccio su di lei, sostenuto dalla figura paterna che lo sovrastò. –"Occhio di Ra!" –Disse Amon, prima che anche Sin degli Accadi si unisse agli accalorati combattenti.

"È-kish-nu-gal!"

"A… amici…" –Balbettò Pegasus, mentre un oceano di fuoco si riversava sull’Unico da ogni direzione, liquefacendo persino il terreno attorno, rendendo difficile respirare e costringendo il ragazzo a muovere qualche passo indietro.

"Tutte queste fiamme… vi consumeranno." –Disse Caos, lasciando esplodere il proprio cosmo. Sin, che era il più vicino, venne disintegrato all’istante, ma prima di scomparire concentrò fino all’ultima stilla di cosmo nella Casa della Gran Luce, per assorbire l’attacco più che poté. Phoenix e gli altri vennero scaraventati lontano, le corazze scheggiate in più punti, gli arti piegati innaturalmente. Ma non ci fu tempo neppure per piangere il Selenite di Marte che una tempesta di fulmini iniziò a piovere su Caos, stridendo sulla sua corazza, e costringendolo a levare lo sguardo al cielo, dove avvolti nei loro cosmi azzurri Alexer e Zeus erano apparsi.

L’Unico volse loro il palmo della mano, per spazzarli via, ma in quel momento venne investito da poderose raffiche di vento, cariche di energia cosmica, scatenate da Andromeda e da Vidharr, mentre, spinti dalle stesse turbinose correnti, Bastet e Horus sfrecciavano su di lui, liberando artigliate energetiche.

Caos li sbaragliò all’istante, gettandoli contro il figlio di Odino e il Cavaliere di Andomeda, solo per accorgersi che le sue gambe stavano affondando nel terreno divenuto all’improvviso acquitrinoso. E da quella melma nacquero milioni di falene energetiche, svolazzandogli attorno, posandosi sulla sua corazza, sull’elmo e sulla Prima Lama e esplodendo all’istante.

"Lance d’acqua!" –Tuonò Asterios, apparendogli davanti e riuscendo a conficcargliene un paio nella gamba destra, prima che il mulinare della lancia lo spingesse indietro, con una vistosa crepa sul pettorale della corazza.

"Una tecnica bizzarra, invero!" –Ammise Caos, disintegrando le ultime falene che, fastidiosamente, gli ronzavano addosso, solo per essere costretto a coprirsi gli occhi, abbagliato, d’improvviso, da sette luci che, come stelle, erano esplose attorno a lui.

Jonathan, Reis, Matthew, Elanor, Shen Gado, Nikolaos e Atena avevano espanso i loro cosmi al massimo, distraendo l’Unico quel tanto di cui Cristal abbisognò per congelare il terreno fangoso, solidificandovi le sue gambe all’interno, e di cui Ascanio e Sirio approfittarono per liberare i possenti draghi di Albion e Cina.

"Siete… ridicoli…" –Esclamò Caos, mentre le fauci delle bestie sacre tentavano di trovare una breccia nelle sue difese. Con un solo movimento del braccio mozzò le loro teste, vanificando ogni speranza, prima di generare un’enorme sfera di energia che esplose a raggiera, fagocitando tutto quel che incontrò.

Quando il potente attacco si esaurì, attorno a Caos non c’era rimasto niente, soltanto un campo di sconfitti che giacevano deboli, feriti e sanguinanti, in armature che ormai non potevano garantire più la loro funzione primaria. Ma Pegasus respirava ancora, e ancora bramava di rialzarsi, puntellandosi sulle ginocchia e levando di nuovo lo sguardo su di lui. Quello sguardo sprezzante che Caos tanto detestava, poiché gli ricordava quello che Emera gli aveva rivolto prima di sprofondare nell’intermundi.

"Tu perderai." –Gli aveva detto. Poi era andata in pace.

Caos invece no. Pace non ne aveva mai avuta da quando gli avevano tolto il suo mondo. Beh, almeno tagliare la testa di quell’arrogante ragazzino che pretendeva di essere suo pari sarebbe stata una soddisfazione. Magari l’avrebbe cucita sul corpo mutilato di Emera, caricandolo su un grifone e osservandolo svolazzare per i millenni a venire. Sì, sarebbe stato divertente in fondo infierire su chi aveva così tanto ardito.

Si avviò verso Pegasus, con la Prima Lama in mano e gliela piantò nel ventre mentre si rimetteva in piedi. Poco, in verità. Colpa di quel mithril, antico e resistente, quasi quanto la sua armatura. Forse come la sua.

"Addio, Cavaliere di Atena! Non dispiacerti. Sei l’unico ancora in piedi dopo tutto. Ma sei solo." –Disse, estraendo la lama, mentre Pegasus barcollava, bruciava il cosmo e tentava di colpirlo con un pugno che Caos deviò con la lancia, prima di spingerlo a terra e troneggiare su di lui. –"E solo morrai!"

"Ti sbagli!" –Parlò allora una terza voce, costringendo Caos a voltarsi, accorgendosi soltanto allora che tutt’attorno a Pegasus si erano radunate decine, anzi centinaia, di Cavalieri. Dovevano essere seguaci di Atena, a giudicare dalle armature. Oro, argento e bronzo, ce n’erano di tutti i tipi, e sembravano aumentare in numero, traboccando fuori dalla Coppa di Luce che, zitta zitta, era riapparsa nel cielo sopra di loro.

"Quella maledetta coppa…" –Avvampò Caos, ma una moltitudine di cosmi dorati lo spinse indietro, separandolo da Pegasus.

"Desisti! Non lo raggiungerai mai!" –Continuò la voce, mentre un uomo alto e dai corti capelli castani avanzava verso l’Unico, rivestito da un’armatura d’oro, con un arco e una freccia già incoccata in mano. –"Pegasus non è solo! È l’ultimo di una gloriosa stirpe di eroi! E noi siamo fieri che sia il nostro rappresentante!"