CAPITOLO QUARTO: IL GIORNO DELL’IRA.

Visto dall’alto il Santuario delle Origini sembrava un’enorme montagna nera, che risaltava nettamente su uno sfondo arido come il deserto al centro del quale si ergeva. Il deserto della morte.

Guardandolo meglio, Neottolemo si accorse che più che un monte assomigliava a un insieme di scoordinate figure geometriche ammassate le une sulle altre, dandogli una forma rigonfia e massiccia. Di fatto, il Nocchiero di Tirinto non avrebbe saputo descriverlo meglio poiché non aveva mai visto una costruzione simile, totalmente diversa da ogni castello o roccaforte che avesse visitato in passato o di cui avesse letto al riguardo. E, a giudicare dai commenti di Nesso e di Horus, in piedi sulla poppa della Nave di Argo, il pensiero era unanime.

Eracle li aveva scelti per una veloce ricognizione, confidando sull’acuto sguardo del Pesce Soldato, e il Dio Falco si era offerto di guidarli, essendovi stato pochi giorni addietro. Eppure, osservando dall’alto quella grezza costruzione in roccia nera, Horus non poté fare a meno di ripensare alle parole di Naveed, quando l’aveva descritta come un organismo vivente. Nella pratica, il giovane egizio non aveva avuto torto, poiché il santuario sembrava davvero espandersi di continuo, mutando la sua struttura e creando bastioni là dove prima vi era soltanto deserto.

Cresce con l’aumentare del cosmo di Caos! Rifletté, chiedendosi cosa sarebbe potuto diventare se non fossero riusciti a fermare i Progenitori in tempo. Avrebbe forse fagocitato l’intero pianeta, estirpando l’enorme varietà dei suoi ambienti? Quella prospettiva lo fece rabbrividire, voltandosi verso il fedele di Eracle e ordinando di tornare indietro. Ormai avevano visto ciò di cui avevano bisogno.

Fu in quel momento che Nesso urlò. Un attimo prima che una folgore nera si schiantasse sull’albero maestro della Nave di Argo, spezzandolo e incendiando le splendide vele che illustravano le imprese di Eracle nel Mondo Antico. Un secondo fulmine e anche la prua fu scheggiata e la polena lignea avvampò.

"Ci hanno individuato!!!" –Gridò Horus, tentando di farsi udire nel frastuono che la pioggia di folgori aveva provocato. –"Siamo sotto attacco!"

"Portaci via da qui, Neottolemo!" –Incalzò Nesso, spinto indietro dallo scuotersi dell’intero vascello.

"Io… non ci riesco… Non riesco più a controllarlo!"

Un terzo fulmine spezzò in due metà la Nave di Argo, assieme alle speranze del timoniere di riportarli indietro. Fu lesto Horus ad afferrare Nesso, prima di scattare verso Neottolemo, prenderlo per un braccio e saltare fuori dalla carcassa del vascello in fiamme, che ormai stava precipitando verso terra. Un attimo dopo le ali della sua Veste Divina si aprirono, mentre il figlio di Osiride cercava di mantenere la rotta, evitando al qual tempo di essere incenerito da quella torma di folgori nere che aveva saturato il cielo all’improvviso.

Un vento amico parve spingerli più in fretta, gonfiando le sue ali e aiutandoli a uscire dalla tempesta, giusto in tempo per vedere Euro venir loro incontro, i luminosi bagliori delle sue ali colorate che rischiaravano il cielo. Afferrò Nesso con entrambe le braccia, togliendo peso al Falco d’Argento, prima di dirigersi verso i Monti Kunlun, dove le forze dell’alleanza divina li stavano attendendo.

Un caleidoscopio di colori indicò loro l’accampamento provvisorio, installato in una vallata interna poco distante dal luogo in cui i soldati egizi si erano posizionati prima di attaccare il Santuario delle Origini. In quell’occasione erano stati vittoriosi, ma il risultato era stato ottenuto con perdite altissime. Che anche stavolta sarebbe dovuta andare così? Dovevano per forza morire tutti pur di aver ragione del Neter?

A questo pensava Horus, mentre planava verso la zona riservata ai soldati egizi. Amon Ra lo stava aspettando, e Febo era al suo fianco, tutto quel che rimaneva della sua famiglia.

"Horus! Fratello, stai bene?" –Gli corse incontro il Cavaliere del Sole.

"Siamo stati fortunati! Il potere oscuro che permea quel luogo è enorme! Superiore a quanto ricordassi!"

"Devi riferire tutto al consiglio! Vieni, siamo attesi!" –Intervenne Amon Ra, invitando il Dio Falco a seguirlo. Febo e Neottolemo andarono con loro assieme a Nesso, appena depositato a terra da Euro.

Su una terrazza naturale, che chiudeva la vallata a nord, aspettavano i condottieri di tutte le forze in campo, osservando preoccupati lo scatenarsi dell’oscura tempesta. Gli Angeli, gli Olimpi, gli Asi, i Cavalieri dello Zodiaco e delle Stelle.

"Ci ha visti!" –Sospirò Alexer.

"Potrebbe anche non sapere che siamo tutti qua!" –Gli rispose Andrei, ma non convinse nessuno, neppure se stesso. –"Bene, allora non perdiamo tempo! Horus, guerrieri di Eracle, quali nuove?"

"La fortezza è inespugnabile!" –Esordì il figlio di Osiride, zittendo i presenti. –"Se anche non vi fosse questa barriera oscura e fossimo tutti riuniti fuori dalle mura, faticheremmo non poco ad abbatterle! Sono intrise del cosmo di Caos, che è in continua espansione! Ogni ferita che gli infliggeremo, lui saprà rimarginarla! Gli basterà volerlo, per farlo!"

"Qualcos’altro che già non sappiamo? Di più confortante, possibilmente!" –Sbuffò l’Arconte Rosso.

"Il santuario sembra avere una struttura irregolare, espandendosi in ogni direzione con casualità! Baluardi spigolosi, torri nere, mura serpentiformi. Eppure… per quel poco che abbiamo potuto osservare prima che le folgori si schiantassero su di noi…"

"C’è uno schema!" –Intervenne Nesso. –"Quattro angoli, disposti ai quattro punti cardinali, attorno ai quali si sviluppa la costruzione. Quelli sembrano rimanere fissi!"

"Ottima analisi!" –Concluse Horus, concordando con il fedele di Eracle.

"Quattro angoli…" –Mormorò Alexer, cercando i fratelli con lo sguardo. –"Quattro porte per quattro Progenitori! Ma certo! Quattro ingressi al Primo Santuario, ognuno presidiato da un’antica Divinità! Ricordate anche in che ordine sono disposti?" –Ma Nesso e Horus scossero la testa, non avendo avuto modo di verificarlo.

L’Angelo di Aria fece cenno di non preoccuparsi, riportando la conversazione sulla dislocazione delle truppe, quando una voce atona, che sembrava provenire da un mondo lontano, li distrasse tutti, portandoli a voltarsi verso un uomo dalla lunga chioma nera seduto su una roccia a breve distanza. Gli occhi chiusi, le mani giunte in posizione meditativa, il cosmo impegnato a vedere lontano.

"Tiresia!" –Esclamò Eracle, capendo quel che l’uomo stava facendo.

"Quattro porte io vedo disposte, quattro entità alla loro difesa preposte. A est, da cui sorge il sole, la Porta del Giorno che morir non vuole. A sud risplende la Porta della Luce, il cui custode di chiarore riluce. A ovest, la Porta della Notte vi attende e Nyx la torbida colei che la difende. A nord, nel freddo dell’inferno nascituro, la Porta delle Tenebre di Erebo l’oscuro."

"Quattro porte presidiate dai più potenti servitori di Caos! Come avrete sentito, i Progenitori sono opposti, come ruoli e come significato! Erebo e Etere corrispondono infatti alle forme estreme della tenebra e della chiarezza: il primo rappresenta un buio perenne, opaco alla luce, che regna nelle profondità abissali e ai confini dello spazio; il secondo è il fulgore di un cielo eternamente illuminato, che non conosce l'ombra delle nuvole né quella della notte. Allo stesso tempo Emera, il giorno, è l’antitesi di Nyx, la Notte, in un perfetto equilibrio che sussiste dall’alba dei tempi." –Spiegò Alexer, prima di ringraziare Tiresia per le preziose informazioni.

Per un momento sembrò che l’Hero dell’Altare Sacro avesse qualcos’altro da aggiungere, poi il suo corpo fu preda di violente convulsioni, che lo piegarono in avanti, facendolo cadere a terra, avvolto in un tetro bagliore.

"Tiresia!!!" –Gridò Eracle, correndo verso di lui, ma venne afferrato per un braccio da Zeus, che lo invitò a calmarsi.

"Non puoi fare più niente per lui!" –Chiosò, osservando l’uomo tentare di rialzarsi, gli occhi sgranati, in un’espressione di puro terrore, la bocca spalancata, da cui una mortifera ombra nera stava fuoriuscendo. Se anche Tiresia tentò di urlare, le sue grida furono inghiottite dalla marea oscura, mentre il suo corpo iniziava a sgretolarsi.

"Per gli Dei! È atroce!" –Balbettò Horus, e prima ancora che avesse terminato di parlare del fedele di Eracle non era rimasto niente, solo una manciata di cenere scura che un vento freddo stava già spazzando via.

"Aaargh!!!" –Ringhiò il Vindice dell’Onestà, chiudendo la mano destra a pugno e caricandola di tutto il suo cosmo. –"Dannati Progenitori!!!"

"Avrai la tua vendetta, Divino Eracle! Tutti noi oggi avremo la nostra!" –Intervenne allora l’Arconte Azzurro, invitando il Nume greco a mantenere la calma, ancora per pochi minuti. –"Poi potrai liberare tutta la tua rabbia, tutto il tuo furore cosmico! E altrettanto faremo noi!"

***

"Ti sei divertita, non è vero?"

La voce cavernosa di Erebo la distrasse, portandola a volgere lo sguardo verso l’ingresso del salone in cui stava riposando, nella più completa oscurità. Non c’erano finestre né candele in quella stanza, solo un vasto vuoto oscuro che le ricordava le caverne di Morea in cui era rinata, crescendo pian piano grazie ai giganti di Ebdera e ai sacrifici che le avevano offerto in dono.

"Sei stata gentile, in fondo, a concedergli una morte rapida! Io lo avrei fatto soffrire di più!" –Continuò il Tenebroso.

"Sei un discolo!" –Ridacchiò Nyx.

"Punizione meritata per aver osato guardare dove agli uomini è proibito porre lo sguardo! Piuttosto, perché glielo hai permesso? Perché non l’hai annientato non appena hai percepito la sua presenza?"

"Perché?! Proprio tu lo chiedi?! Per divertirmi! Lascia che guardino, lascia che vengano! Credi forse che Lord Caos non lo sapesse? Che non avesse intuito i piani di quella ridicola fratellanza di mortali e Dei minori? Per rubare una frase a mio figlio Moros, era già tutto stabilito! Stanno per arrivare e noi siamo pronti ad accoglierli nel migliore dei modi!"

"Sarò ben lieto di occuparmene! Del resto, sei Nefari di Polemos sono già stati uccisi, stessa sorte ha incontrato il Demone che della Guerra si proclamava figurazione! E non vorrei lasciare a te e a quel borioso di Chimera tutto il divertimento!"

"A noi due?! Dove hai trascorso le ultime ore, Signore delle Tenebre? Negli inferi che vorresti trasbordare sul pianeta?" –Rise Nyx sguaiatamente, invitando Erebo a seguirla negli oscuri corridoi del Primo Santuario, fino a raggiungere un’ampia sala dall’alto soffitto a volta, poco distante dal nucleo ove Caos riposava. La luminosità era minima, come nel resto della struttura, ma gli occhi di Erebo erano abituati a fendere le tenebre, per cui non ebbe problemi nell’individuare le molteplici figure che gli si pararono davanti. Un esercito terribile come mai ne aveva visto uno prima.

Schiere di demoni, creature mostruose, Divinità oscure e malvagie. Pareva che tutte le ancestrali entità avessero risposto alla chiamata di Caos, e più il tempo passava e più numerosa la sua armata sarebbe divenuta. Sogghignando sotto la maschera che gli copriva il volto, il Signore delle Tenebre infernali spostò lo sguardo nell’ampio stanzone, individuando i Nefari sopravvissuti alle campagne d’Egitto e del Ponto, i Lestrigoni, un gruppo di Mannari che si stava contendendo i resti maciullati di chissà quale sventurato avversario, demoni dagli occhi gialli di cui non conosceva il nome, grifoni, viverne, serpi mostruose, cani e volpi nere e altri abomini nati nell’ombra nel corso di millenni di storia. Millenni che presto sarebbero stati cancellati.

"I nostri ospiti sono puntuali, a quanto pare!" –Commentò una viscida voce, mentre una figura usciva da una galleria laterale, trascinando qualcosa di inerte, quasi fosse un sacco.

"Gran Maestro del Caos, è pronta la sorpresa?" –Chiese subito Nyx, riconoscendolo.

"Naturalmente! Non c’è voluto poi molto a fare, una volta scoperto come!" –Sghignazzò l’Angelo Oscuro, prima di sollevare ciò che aveva appena tirato fuori dagli oscuri sotterranei. Guardando meglio, Erebo vide una donna dal fisico gracile, rivestita di una tunica strappata e macchiata di sangue in più punti. Una donna dai lineamenti asiatici, con le sopracciglia rasate a formare due nei. –"Sei stata gentile, mia cara, a condividere con noi il tuo sapere! Ora, purtroppo, sei inutile, e le cose, quando perdono utilità, sai che fine fanno? Vengono gettate via! Oooh, sì!" –Aggiunse, scagliando il corpo massacrato della donna in mezzo alla massa di demoni e creature mostruose, che subito si avventarono su di lei, sventrandolo, trapassandolo con zanne aguzze e nutrendosi di quel poco cosmo che le rimaneva. L’unica cosa di cui Anhar si dispiacque fu la breve durata delle sue grida. Ma, del resto, si disse, ritornando nel suo laboratorio, dalla vita non si può avere tutto!

***

Con un disegno nel terreno, Andrei aveva stilizzato al meglio la struttura del Primo Santuario e adesso tutti ascoltavano l’acuto stratega ordinare la disposizione delle truppe, dando nel qual tempo ordini ai soldati di prepararsi a partire.

"La rinascita di Caos in quest’esatto punto non è casuale! Nel deserto di Taklamakan passa infatti una delle linee di energia che percorrono la superficie terrestre, di cui certo il Generatore di Mondi si è servito per attingere forza, proprio come altre orride creature hanno fatto o tentato di fare! Inoltre, proprio qua avvenne la battaglia finale che concluse la Prima Guerra, quando i Sette Saggi scaraventarono Caos nell’intermundi!"

"L’ho visto!" –Commentò Ascanio. –"Per essere un’entità ancestrale, possiede un macabro senso di vendetta!"

"La roccaforte è circondata dal deserto, non vi sono insediamenti nel raggio di miglia, per cui avremo campo libero per combattere! Questo significa però che non vi saranno barriere naturali ad aiutarci! Saremo noi e coloro che dimorano nell’ombra, gli uni contro gli altri, a fronteggiarci fino all’estinzione di una delle due parti!"

Per un momento tutti rimasero in silenzio, a riflettere sulle parole dell’Angelo di Fuoco. Per quanto fossero combattenti esperti e avvezzi alle battaglie, compresero l’enormità di quella dichiarazione. Quella non era una guerra di difesa o di conquista, no, era uno sterminio di massa basato su un’unica considerazione. Noi o loro. Luce o ombra. Il completamento di un rituale che aveva dominato tutte le culture fin dal Mondo Antico. La fine di un ciclo cosmico. Quel che sarebbe venuto dopo, nessuno poteva saperlo, nemmeno le Moire, le Norne o i veggenti più attenti. Anche chi possedeva la Vista oltre non poteva andare, poiché oltre non c’era niente.

"Il futuro è ancora tutto da scrivere!" –Rifletté Pegasus, cercando di rincuorarsi e infondere fiducia ai compagni, prima di tornare ad ascoltare l’Arconte Rosso.

"Poiché vi sono quattro entrate al Santuario delle Origini, attaccheremo su quattro fronti, impegnando tutte le nostre forze! Io guiderò l’assalto alla Porta del Giorno, a Est, portando con me Phoenix, Febo, Marins e le forze dell’Egitto!" –Al che Amon Ra annuì, accennando un breve sorriso al figlio.

"Verremo anche noi!" –Esclamò allora una decisa voce femminile, mentre i membri del concilio si aprivano di lato, per far passare una guerriera alta e fiera, con un fisico mascolino e corti capelli viola. –"Non vorrete fare tutto voi maschi? E tu, hai parecchi conti in sospeso con me! Non pensare di morire prima di averli saldati!" –Aggiunse, indicando il Cavaliere della Fenice.

"Molto bene! Il contributo delle Amazzoni sarà prezioso!" –Riprese Andrei, scambiando un cenno di intesa con Pentesilea. –"Da sud invece attaccheranno le forze di Asgard e di Avalon, guidate da Alexer, Sirio e Ascanio, con il contributo dei discendenti di Mu! La Porta della Notte, a ovest, dove il sole tramonta, sarà assediata invece dagli Areoi, dai Seleniti e dai Guerrieri di Inti. Pegasus e Asterios guideranno la compagine, con l’aiuto degli altri Cavalieri delle Stelle."

"Le fauci dello Squalo Bianco domandano giustizia per il popolo libero!" –Commentò il Comandante Toru, in piedi alle spalle di Asterios.

"Infine la Porta delle Tenebre, difesa da Erebo! Temo che sarà il nostro ostacolo principale, per questo vi ho concentrato più forze! Gli eserciti di Grecia caleranno da nord al gran completo, riuniti finalmente sotto un’unica bandiera! La folgore di Zeus, il tridente di Nettuno, la clava di Eracle, l’Egida di Atena e lo sfavillante cosmo dei loro Cavalieri avranno l’onere di impegnare il più diabolico dei Progenitori! Non fidatevi di lui, nemmeno per un momento! Non dategli mai tregua!"

Il Signore dell’Olimpo annuì pensieroso, ricordando lo scontro con Erebo del giorno prima. Lo avevano affrontato in sette e a malapena lo avevano ferito. Che fossero davvero necessari tutti gli Olimpi per averne ragione? Ah, fato, ti sei preso gioco di noi! Ci hai spinto in guerre continue, uno contro l’altro, per futili contese, portandoci ad addii prematuri! Rifletté, riferendosi ai tentativi di dominio di Apollo e Ade, al tradimento di Ares e alle perdite di Dioniso, Estia, Artemide e infine Era. O forse no! Forse il fato non è responsabile della nostra caduta, imputabile solo a noi stessi, alla nostra incapacità di vedere più in là delle nostre esigenze e far fronte comune contro il più grande nemico di tutti i tempi. La fine del tempo stesso.

"Ci siamo, infine!" –Lo riscosse una voce armoniosa, mentre una mano si poggiava sulla sua spalla. –"La battaglia finale, l’apocalisse di tutti gli Dei!"

"Sarà un onore combattere al vostro fianco, possente Amon Ra!" –Esclamò Zeus, strappando un sorriso al Sole d’Egitto, a cui presto si affiancò Vidharr, rimasto silente, come sua abitudine, durante il concilio. A lui si rivolse subito il Signore del Fulmine. –"Vorrei che anche Odino fosse qua, quest’oggi, a cavalcare assieme a noi, con Gungnir in mano!"

"In un certo senso, egli è con noi! Dentro ognuno dei suoi fedeli!" –Rispose placido l’Ase. –"Wotan sjálfr er með oss!"

"Forse, se avessi agito diversamente, se fossi intervenuto nel Ragnarok, egli sarebbe con noi!"

"Tutti dobbiamo morire, in fondo!" –Chiosò Vidharr. –"Cambia solo il giorno e il modo in cui accadrà! Voi come volete morire, Signore della Folgore?"

"Combattendo!!!" –Avvampò Zeus. –"Combattendo!!!" –E chiamò a raccolta i Cavalieri Celesti e tutte le forze di Grecia, avvolgendole nel suo adamantino cosmo. Amon Ra, Vidharr e gli Angeli fecero altrettanto, prima di scomparire e darsi appuntamento all’interno del Primo Santuario. Là, ai piedi del trono di Caos, si sarebbero ritrovati. Con quella promessa, gli eserciti di tutti i regni divini presero posizione.

Da nord, verso la Porta delle Tenebre Infernali, avanzavano tutte le forze di Grecia, quel che restava dello splendore olimpico. Davanti a tutti, con la Glory nera riparata da Efesto alla bell’e meglio e una robusta clava in mano, marciava il Vindice dell’Onestà, attorniato dagli Heroes della Legione dei Migliori. Marcantonio dello Specchio, Alcione della Piovra, Nesso del Pesce Soldato e Neottolemo del Vascello alla sua destra, Iro di Orione, Chirone del Centauro e Nestore dell’Orso Bruno sull’altro lato.

Dietro di lui venivano Titis della Sirena e i Cavalieri di Atena: Asher dell’Unicorno, Castalia dell’Aquila, Tisifone del Serpentario, Reda del Pastore, Salzius di Cassiopea, Kama della Poppa e Nemes del Camaleonte. Alle loro spalle camminavano Cristal il Cigno e Andromeda, nelle loro magnifiche Vesti Divine, seguiti dagli Olimpi sopravvissuti: Zeus, avvolto da un etereo bagliore, affiancato da Nettuno, che stringeva in mano il suo tridente, e da Efesto e Atena. A fare da scorta ai quattro Olimpi, i Cavalieri Celesti ancora vivi: Nikolaos dell’Eridano Celeste, Toma di Icaro, Shen Gado dell’Ippogrifo e Ganimede della Coppa Celeste, rivestiti delle loro cotte scintillanti. Nelle retrovie quel che restava dell’esercito di Atena: i soldati del Grande Tempio, guidati da Patrizio, gli apprendisti, le sacerdotesse e tutti i fedeli della Dea, protetti da Ioria del Leone e da Virgo, che procedevano ai loro lati. Sopra il gruppo, svolazzavano Euro, ultimo figlio di Eos, con le ali spalancate dell’armatura, e Ermes, grazie ai suoi magici calzari, che osservavano attenti e preoccupati le rozze mura di fronte a loro, sormontate da irti speroni aguzzi e bastioni neri. Non vi erano vedette, per quel che poterono scorgere, ma convennero entrambi che sarebbero state inutili. Caos, di certo, aveva già percepito il loro arrivo.

Uguale certezza avvampava negli animi degli Angeli, che si erano divisi in modo che ognuna delle altre porte avesse uno di loro alla guida delle schiere divine, affiancato da un Cavaliere dello Zodiaco.

Da est, in onore all’astro solare che l’indomani avrebbero voluto veder sorgere, procedevano le forze di Karnak, guidate dal magnifico Amon Ra, la cui Veste Divina, arancione con rifiniture dorate, rischiarava l’aria torbida di quel pomeriggio. Al suo fianco, la fedelissima Bastet, decisa a vendicare la caduta della sua maestra, e Horus, il Dio Falco. Sull’altro lato, suo figlio e il migliore amico di lui, seguiti dall’Angelo di Fuoco, da Phoenix e dalle Amazzoni, il cui marciare deciso, in perfetto stile militare, risuonava nel vasto deserto di fronte alla Porta del Giorno, scandendo l’avanzata di quella fiammeggiante armata. Dietro di loro i Soldati del Sole d’Egitto, le lame pronte a irradiare la sfolgorante potenza della loro stella guida.

A sud, invece, le schiere di Asgard erano già pronte, schierate davanti alla Porta della Luce, fin dove l’oscura energia aveva permesso loro di arrivare. Alexer e Vidharr osservavano il massiccio portone in roccia nera, chiedendosi cosa sarebbe uscito da quel varco, quali orrori ancora non avevano ammirato, per quanto molti fossero scorsi davanti ai loro occhi. Sirio il Dragone e Ascanio li affiancavano, calmi e a mente sgombra, come Dohko aveva insegnato loro ad essere prima di una battaglia. Alle loro spalle i Blue Warriors sopravvissuti, rivestiti dalle loro cotte azzurrine, avevano già sfoderato le lance a energia congelante, precedendo la guarnigione dei soldati di Asgard, i pochi combattenti che i discendenti di Mu avevano inviato e i superstiti al massacro operato da Caos sull’Isola Sacra. Druidi anziani ma coriacei, giovani sacerdotesse e novizi che avevano appena scoperto il Formhothú, decisi a onorare chi li aveva istruiti. Chiudevano il gruppo le Asinne scampate al crollo dei mondi: Idunn e Eir, pronte a difendere gli uomini del cui valore non avevano più dubbio alcuno.

Di quello era certo anche Pegasus, aggrappatosi a quel pensiero in quel momento cupo. Determinazione, passione e fedeltà a una causa giusta e nobile li avrebbero sostenuti nell’ora estrema. Questo era quel che si ripeteva, in piedi, a mille passi di distanza dalla Porta della Notte. Conosceva colei che ne sarebbe uscita, la torbida Divinità che aveva assalito la Luna giorni addietro, impegnandoli più di quanto avesse fatto fino ad allora nessun’avversario. Scosse la testa, per non pensare alla spiacevole sensazione che l’aveva invaso fin da quel loro incontro, concentrandosi sull’esercito che era chiamato a comandare. L’Angelo che lo affiancava, il più silente dei tre, ben poco lo conosceva. Il suo nome era Asterios e, da quel che Sirio gli aveva raccontato, parlava di rado, preferendo destinare le energie alla battaglia. Una caratteristica che il ragazzo apprezzava.

Alle loro spalle, in attesa, tre gruppi ben distinti, provenienti da tre regni divini. Il primo, il più numeroso, era costituito da circa quattrocento guerrieri rivestiti da una tunica colorata, con un sole dipinto sul petto. Jonathan ne era al comando e li aveva descritti come Guerrieri di Inti, una Divinità solare andina. Reis lo affiancava, la mano già pronta sull’elsa della Spada di Luce. Alla loro destra aspettavano gli Areoi sopravvissuti alla distruzione dell’Avaiki, e quelli che Toru era riuscito a richiamare da isole e colonie minori disseminate nell’Oceano Pacifico. Non erano molti, neppure duecento, e qualcuno era armato solo di un giavellotto energetico, ma erano risoluti a avere giustizia per coloro che avevano perduto. Facendogli un cenno con la testa, Pegasus ammirò lo sguardo truce, quasi sanguinario, dell’Areoi dello Squalo Bianco, felice di non doverne assaggiare le fauci.

Sul lato opposto c’erano i Seleniti superstiti: Avatea, della Terra, Divinità lunare presso i popoli polinesiani; Hubal, l’arciere della Luna, venerato dalle popolazioni arabiche, e Mani, Ase della Luna. Un’attempata signora, un vecchio muto e un padre dalla mente distratta al pensiero dei figli. Pegasus storse la bocca, chiedendosi che contributo avrebbero potuto offrire, ma poi si rischiarò alla vista dell’ultimo Selenite rimasto, di cui Andromeda parlava con un certo timore. All’apparenza era un ragazzo di vent’anni, dai folti capelli blu, come Phoenix, ma lo sguardo bastardo rivelava una volontà bellica che nessun’ombra avrebbe facilmente piegato. Sin degli Accadi gli strizzò un occhio, rimarcando che l’ala destra dello schieramento non sarebbe stata sfondata finché lui l’avesse difesa. Dietro di loro si era aggiunta una piccola delegazione di santoni indiani, uomini più dediti alla meditazione e alla cura della natura che non alla guerra, accompagnati da Tirtha, ultimo discepolo di Virgo ancora in vita, che tanto aveva insistito per prendere parte a quella campagna militare, in onore a Pavit, Dhaval e agli altri amici perduti.

Da qualche parte, alle sue spalle, c’erano anche Matthew ed Elanor, i più giovani Cavalieri delle Stelle. Lui era l’allievo di Gemini, per quanto poco gli somigliasse, lei la figlia indisciplinata di Selene. Pegasus li trovò, intenti a parlottare tra loro ai margini del gruppo, e, sebbene non potesse udire la conversazione, sembrava che il biondino fosse contrariato da un qualche atteggiamento della ragazza. Adolescenti in calore! Ironizzò il Cavaliere di Atena, sperando che non combinassero guai.

Proprio in quel momento un cigolio attirò la sua attenzione, e quella di tutti gli assedianti, portandoli ad osservare i portoni davanti a loro. Con un unico movimento, le quattro porte del Santuario delle Origini si aprirono, spalancandosi verso l’esterno, mentre un’oscura marea ne fluiva fuori. Così densa, così tetra, così compatta che per qualche istante nessuno capì cosa stessero osservando.

Fu Zeus il primo a notare da cosa era composta. E, nel farlo, fu travolto da una fitta al costato che, se l’avesse lasciata vincere, lo avrebbe piegato in due, facendogli vomitare tutte le sue certezze. Resistette, dando ordine a Ermes di suonare la carica.

Il giorno dell’ira era arrivato.