CAPITOLO OTTAVO: VECCHI AMICI, NUOVI NEMICI.

Con un balzo, Sirio evitò la carica delle cavalle di Diomede, che, di pura tenebra composte, sfrecciarono ringhiando alle sue spalle, abbattendosi sui soldati di Asgard. Spade e lance vennero sollevate, scudi infranti e grida di uomini coraggiosi accompagnarono la veloce corsa con cui il Cavaliere del Dragone azzerò la distanza dal suo avversario, investendolo con un attacco energetico.

Lo colpì sul mento, scagliandolo in alto, ricordando quanto il figlio di Ares si fosse divertito con lui, durante la scalata ai Templi dell’Ira. Un divertimento che stavolta non si era ripetuto. Non era passato molto tempo, in verità, ma le esperienze vissute avevano fortificato il suo spirito guerriero.

"Colpo segreto del Drago nascente!" –Gridò Sirio, liberando la possente bestia di Cina che dilaniò il corpo di Diomede, disperdendolo nel cielo di fronte alla Porta della Luce.

Quale ironia! Rifletté il giovane, atterrando a gambe unite, già in posizione di combattimento. La chiamano Porta della Luce ma non è altro che una fortezza d’ombra. Non è stato forse il suo custode a devastare il Grande Tempio di Atene? E, una volta varcata la soglia, cosa mai troveremo, se non ulteriore tenebra?

Immerso in cupi pensieri, s’avvide solo all’ultimo di un movimento alla sua destra. Fu lesto a spostare lo scudo, su cui una rozza clava nera impattò, spingendolo indietro. Un rapido roteare dell’arma e Sirio venne colpito alle gambe, costretto a piegarsi di lato.

Per essere tarchiato, si muove con indiscussa agilità! Notò il Cavaliere, osservando il nuovo avversario. Silenzioso e letale, come tutti i berseker affrontati fino ad allora.

Durante la Grande Guerra, aveva avuto modo di confrontarsi solo con un paio di loro e sembrava che adesso Ares cercasse la sua vendetta. Ares! Mormorò, stringendo i denti al ricordo della Divinità che aveva voltato le spalle ai suoi consanguinei, scegliendo di schierarsi dalla parte di Caos. Pegasus gli aveva raccontato del loro scontro sulla Luna, di quanto avesse dovuto sudare pur di aver ragione della sua furia battagliera. Parole che Sirio adesso ben comprendeva, ritrovando, nei berseker che lo circondavano e con cui stava guerreggiando fin da quando la Porta della Luce si era aperta, lo stesso demoniaco furore del padre che li aveva generati.

A quanto pare la berserksgangr è un tratto di famiglia! Ironizzò, evitando il nuovo affondo del guerriero dotato di clava. Ma, nel farlo, offrì il fianco a un altro berseker che gli scagliò contro una palla chiodata, arrotolandola attorno al suo braccio destro.

Un terzo, in quel momento, sbucò fuori da dietro il compagno, lanciandosi su Sirio e tempestandolo di pugni, in rapida sequenza, uno dopo l’altro, destro e sinistro, le aguzze zanne che ornavano i bracciali della sua nera corazza dirette verso il suo viso.

Con uno strattone, Sirio liberò il braccio prigioniero, proteggendo il volto con lo scudo, prima di espandere il cosmo e investire il berseker più vicino con la sua aura luminosa. Bastò quel contatto a disintegrarlo, mentre la marea color verde smeraldo assumeva la forma di maestosi dragoni che sfrecciarono in ogni direzione, travolgendo, squarciando e annientando tutti gli oscuri figli di Ares.

Fu allora che percepì due presenze alle sue spalle, due cosmi ben più evidenti e ostili dei guerrieri affrontati fino ad allora. Si voltò, sollevando lo scudo, quasi temesse un assalto immediato, solo per trovarsi di fronte due giovani (o tali gli apparvero) dai lineamenti simili, al punto che ritenne fossero gemelli.

Alti e ben fatti, i fisici scultorei evidenti nonostante il velo di tenebra che li rivestiva, indossavano due armature dai tratti inquietanti, simili a leggendari mostri così antichi che dei loro nomi si era persa memoria. Ai fianchi, entrambi portavano una spada, dalla lama lunga e sottile, completamente avvolta da fiamme nere.

Bastò quel particolare a fargli capire chi aveva di fronte e la conferma gli arrivò quando, torcendo le labbra fasulle in un ghigno, i due guerrieri scattarono su di lui, da direzioni diverse, muovendosi in perfetta sincronia. Sirio evitò lesto il piano di energia infuocata che uno dei due gli diresse contro, muovendo al qual tempo il braccio destro per parare il calare della lama dell’altro. Quindi lo spinse indietro con un veloce colpo dello scudo, proprio mentre il fratello balzava su di lui, sfiorandogli i già scorciati capelli con il soffio letale della sua spada.

Portandosi a qualche passo di distanza, Sirio tremò, liberando il respiro trattenuto in quella breve schermaglia. Cos’era quell’ansia che l’aveva invaso all’improvviso, quel freno che stava limitando il fluire dei suoi movimenti? Cautela? Studio attento dell’avversario? O forse pura e semplice paura?

No, si disse, stringendo i pugni, non è paura. È qualcosa di più. è terrore? Possibile?

Non ebbe tempo di porsi altre domande che i due berseker sfrecciarono verso di lui, mulinando le spade infuocate e generando continui piani di energia, affondi e vampe che piovvero sul Cavaliere da ogni direzione, obbligandolo a un balletto forzato per non essere travolto. Persino lo scudo non riusciva a parare tutti i loro attacchi incrociati e più volte Sirio sentì il tocco dell’oscura fiamma sulla corazza. E a ogni toccò rabbrividì, temendo che l’Armatura Divina cedesse.

"Non pensarlo!" –Esclamò una voce all’improvviso, mentre Sirio muoveva un passo indietro. –"È questo che vogliono! Distruggere le tue certezze e sprofondarti nella paura di una terribile sconfitta!"

Per un attimo, quelle parole gli fecero pensare al Vecchio Maestro che spesso, in quegli anni di guerre, era intervenuto in suo aiuto, anche solo con una frase di supporto. Ma Dohko era morto e la sua anima, Sirio lo sperava, aveva trovato pace oltre i confini del Lete, dove l’ombra di Ade non era giunta. O forse vagava raminga nell’intermundi, destinata allo stesso tragico oblio cui Caos e i Progenitori erano incorsi?

Una fitta improvvisa lo rubò ai suoi pensieri, mentre uno dei due avversari gli piantava la lama in un fianco scoperto. Grazie alla sapienza di Efesto e all’ichor, il danno fu contenuto, ma sufficiente per incrinare la sempre più misera fiducia di Sirio nella vittoria. Della sua esitazione approfittò l’altro guerriero, piombando su di lui e riempiendogli la faccia di pugni, senza fermarsi mai, fino a scaraventarlo a terra, privo dell’elmo e con il naso massacrato.

A terra. Dove finiremo tutti quest’oggi. Rifletté.

Pegasus glielo aveva detto, nel cimitero del Grande Tempio. Stavano andando a morire. Che cosa aveva pensato in quel momento, che il suo amico scherzasse? O forse, nell’ironia con cui aveva mascherato per anni le sue insicurezze, aveva voluto nascondere la verità?

Con quel dubbio in testa, Sirio faticò nel rimettersi in piedi, pulendosi il sangue che gli imbrattava il volto, di fronte agli sguardi divertiti dei due berseker. Scambiandosi una veloce occhiata, i figli di Ares si lanciarono di nuovo all’assalto, con un impeto che travolse il Cavaliere, portandolo ad arretrare un’altra volta. E a sentire di nuovo la voce nella testa.

"Mai arretrare, Sirio! Vai sempre avanti! Ricorda gli insegnamenti di Libra!"

Ora la riconobbe, voltandosi verso la mischia poco distante, proprio mentre i berseker piombavano su di lui, a lame sguainate. Lo vide, con il volto teso e sudato, avvolto nella sua aura luminosa, mentre incitava i druidi di Avalon e i discendenti di Mu a resistere, e trovava anche il tempo per venire in suo aiuto.

"Non cedere alla paura! Non fare il gioco di Phobos e Deimos!" –Esclamò Ascanio, prima che un assalto nemico lo obbligasse a rivolgere altrove la sua attenzione.

"Non lo farò!" – Si disse il Cavaliere di Atena, nello stesso istante in cui uno dei berseker calava la spada su di lui. Anziché fuggire, come l’istinto lo stava chiamando a fare, Sirio rimase al suo posto, immobile nella tempesta, sollevando le braccia e fermando la lama con i palmi delle mani. Prima ancora di dargli tempo di stupirsi, lo colpì con un calcio allo stomaco, gettandolo a terra e strappandogli l’arma, di cui si servì per parare l’affondo del fratello. Un attimo dopo e la mano destra del figlio di Ares cadeva a terra, mozzata di netto, sfaldandosi in una nube di vapore nero.

Infuriati, Phobos e Deimos si riunirono tra loro, portando avanti le braccia e liberando un attacco congiunto, che Sirio contrastò con lo splendore del suo cosmo. Un drago, due, tre, alla fine cento ne liberò, dirigendo lo sfavillante luccicore avanti a sé.

"Colpo dei Cento Draghi!" –Tuonò, osservando le loro fauci disperdere l’Ira di Ares e i corpi di coloro che l’avevano scatenata. Senza neppure rifiatare, fece per voltarsi verso la mischia, cercando Ascanio per ringraziarlo quando vide migliaia di frecce nere solcare il cielo, dirette proprio verso la zona in cui il Glorioso Comandante stava lottando. –"Ascanio!!!" –Gridò Sirio, lanciandosi avanti, tentando di farsi strada tra le orde di berseker che lo attorniavano.

Ma i discendenti di Mu furono più lesti, sollevando uno scudo mentale sopra di loro, su cui i neri dardi andarono a schiantarsi… perdendo le piume.

Osservandoli meglio, Dragone notò che non erano frecce bensì corvi. Neri, brutti, selvaggi, piovevano a centinaia, anzi no a migliaia, sul campo di battaglia, mirando ai crani dei combattenti dell’alleanza. Tiravano loro i capelli, pizzicavano occhi e pelle, ma soprattutto li distraevano, mentre gli avversarsi ne approfittavano per caricare.

La cantilena del popolo della Montagna Bianca aumentò d’intensità e la barriera da loro eretta crebbe, giungendo a proteggere anche altri soldati e spingendo indietro quello stormo impazzito di corvi, che, senza curarsi del dolore, presero a picchiettarla e a piantarvi le zampe, prima di essere annientati da un’onda di luce.

"Che strano!" –Rifletté Sirio, chiedendosi cosa potesse averli attratti. Forse la morte in cui alcuni combattenti dell’alleanza erano già incorsi? Troppo pochi, per il momento, per aver già saturato l’aria di nefasti effluvi. Eppure quelle bestiacce sembravano sapere esattamente dove andare, quasi fossero attratti da qualcosa. O forse spinti?

Fu mentre se lo chiedeva che vide un uccello più grande degli altri scivolare proprio sopra la barriera di luce e allungare gli artigli. Gli bastò sfiorarla per distruggerla, mandando i sacerdoti di Mu a gambe all’aria, travolti da un’ondata di cosmo nero. Subito i corvi sfrecciarono su di loro, i becchi assetati di sangue, ma due gigantesche sagome serpentiformi, irroranti luce bianca e rossa, si posero a difesa dei coraggiosi abitanti del Dhaulagiri.

"Double Dragon Attack!" –Esclamò Ascanio, disperdendo lo stormo assassino in uno svolazzar di piume. Solo un rappresentate di quella bizzarra stirpe rimase, il grosso uccello nero che planò proprio di fronte al Comandante dei Cavalieri delle Stelle, mutando le sue forme e rivelandosi per quello che era.

Una donna. Notò Sirio, ricordando le parole con cui Pegasus l’aveva descritta, dopo averla incontrata sulla Luna. Un terribile uccello nero.

"Ascanio! Attento! È Nyx!" –Gridò, mentre i berseker attorno a lui lo attaccavano.

Il seguace di Avalon volse lo sguardo verso la donna, dovendo ammettere di non riconoscerla affatto, ma di non percepire in lei quell’abisso di oscurità che invece la Primogenita doveva emanare.

"E infatti non sono la Signore della Notte, sebbene nelle terre in cui regno mi considerino altrettanto pericolosa!" –Ridacchiò lei, scuotendo il lungo mantello in piume di corvo che le permetteva di volare. Alta e ben fatta, con un fisico che avrebbe fatto invidia a un’Amazzone, la guerriera si passò una mano tra i corti capelli viola, togliendo una piuma che vi era rimasta incastrata, prima di annusarla, inebriandosi di quell’odore. –"Sono i miei figli che hai attaccato, Ascanio Pendragon, e pagherai per la tua insolenza!"

"Parole che in molti mi hanno rivolto e tali sono rimaste!" –Disse il Comandante.

"Parole che non hai mai udito dalla mia bocca!" –Sogghignò la donna, espandendo la propria aura oscura. Anche da lontano, Sirio la percepì; questa non era un’anima errante che Caos aveva risvegliato, asservendola al suo volere. Questa era una Divinità. –"Fatti avanti, Pendragon! Ho un conto in sospeso con un tuo antenato, l’unico che riuscì a ferirmi. L’unico che riuscì a ferire la Morrigan!"

***

"La Dea Corvo è scesa in battaglia!" –Commentò Nyx, raggiungendo Chimera nell’ampio salone ove il grosso degli eserciti di Caos si stava radunando.

"Non siamo riusciti a trattenerla!" –Si limitò a rispondere il guerriero delle tre bestie. –"Sapete come è fatta. Non le piace rimanere in attesa!"

"Oh la conosco bene! Potrei quasi dire di essere sua madre!" –Sghignazzò la Notte. –"Mi chiedo solo perché non mi abbia aspettato. Non voleva forse combattere al mio fianco?"

"Non si tratta di questo…" –Mormorò Chimera, abbassando leggermente il capo.

"Cos’altro c’è? Parla, suddito!"

"I vostri figli, mia Signora. Sono, come dire? Restii a impiegare questi… soldati! Per questo è uscita dalla Porta della Luce." –Spiegò, spostandosi in modo da permettere a Nyx di abbracciare l’intero salone con lo sguardo.

Erano aumentati rispetto a poche ore prima e il loro numero era destinato a crescere ulteriormente, mentre Caos si risvegliava e riprendeva coscienza di sé, attirando, dagli abissi del mondo (di tutti i mondi!), le ancestrali creature che lo popolavano. Sconfitte e confinate nel limbo dai combattenti della luce, anelavano adesso alla giusta vendetta.

Sfregandosi le mani soddisfatta, Nyx ammirò un gruppo di cani neri contendersi con le Empuse i resti di una qualche Divinità sconfitta (forse gli Atua della Polinesia? Non seppe dirselo, non ricordando le loro fattezze). Un cane rabbioso, che avrebbe potuto essere il figlio di Cerbero, azzannò una vacca oscura, sventrandola e saziandosi della sua linfa, mentre le altre, ringhiando, si radunavano attorno a lui, solo per essere allontanate dal colpo di coda portato da una donna alta e elegante.

Poco oltre undici volpi oscure aspettavano composte ai piedi di una figura indistinta, che, osservandola, a volte si presentava come una ragazza dal maliardo sguardo, a volte come una volpe. Dietro di loro Cagnazzo radunava le Malebranche, mentre i Nefari superstiti si erano inginocchiati non appena Nyx era entrata nel salone, con i Lestrigoni rimanenti, allineati alle loro spalle, e altre mostruose creature che il cosmo di Caos stava destando.

"Vedo con piacere che uno dei Nefari è già entrato in azione. Molto bene! Voialtri, con me! Smettetela di divertirvi! Adesso banchetterete con ben più prelibati bocconcini! Carne fresca di Cavalieri e Divinità! Carne ricca di sangue e cosmo, di cui potrete nutrirvi, rendendo grazie al Generatore di Mondi che ha permesso la vostra rinascita!"

Un coro di grida animalesche e versi che non riuscì a comprendere fece seguito alle sue parole, mentre Nyx si incamminava verso il bastione della fortezza a lei riservato, seguita dall’Armata delle Tenebre e da Chimera, che si affrettò a tenere il passo, quasi volesse rimarcare la sua distanza da quell’esercito di bestialità.

"Percepisco diffidenza verso l’operato di Lord Caos, Vaughn!" –Disse la Notte, divertita. –"Oh perdonami, solo il tuo amato Polemos poteva chiamarti per nome, non è così?"

"Potete chiamarvi come vi aggrada, mia Signora. Ma Vaughn era solo un uomo…"

"Chimera invece cos’è? Un abominio? Nel caso, non molto diverso da quelli che ci seguono, non è così?"

Il biondino non disse nulla e Nyx ne approfittò per rincarare la dose.

"A volte i flussi del tempo possono snodarsi lungo percorsi a noi inimmaginabili. Polemos avrebbe dovuto comprenderli, così forse avrebbe evitato di chiamarsi come la personificazione della Guerra, lui che in guerra è stato sconfitto."

"Ancora mi chiedo come sia potuto accadere!" –Esclamò prontamente Chimera. –"La colpa è certamente del mancato intervento di Forco!"

"Colpa? Niente avviene per caso in questo mondo. È stata la volontà di Caos a determinare tutti gli eventi, volontà che non spetta a noi questionare. Egli ha un piano per tutti, anche per gli esseri insignificanti come te. Perciò vedi di non deluderlo un’altra volta!"

"No, mia Signora!" –Disse Chimera, fermandosi infine, al centro del Primo Santuario, e muovendosi per dirigersi verso nord, lieto di allontanarsi da quell’orda.

"Che ne è dei gemelli di luce? Sono già scesi in battaglia?" –Lo richiamò Nyx.

"Non direttamente. Siete la prima, mia ardita Signora!" –Ripose il giovane, prima di inchinarsi e congedarsi.

Nyx rimase un attimo a riflettere sulle sue parole, mentre l’Armata delle Tenebre le passava di fronte, avviandosi verso il cortile alle spalle della Porta della Notte. Tese i sensi, per percepire traccia delle due Divinità in abito bianco, e li trovò chiusi nei loro bastioni, uno a sud e l’altra ad est. Li sentì mormorare, una litania in un linguaggio che gli uomini avevano dimenticato (o forse non erano ancora nati quando gli Dei comunicavano in quel modo?), e capì cosa stessero facendo. Quegli infingardi stavano soltanto prendendo tempo.

Sbuffando, Nyx superò le sue truppe, uscendo all’aperto e recuperando la forma che più preferiva, quella con cui Caos l’aveva generata. Con un grido stridulo, che spaventò persino i suoi abominevoli servitori, la Dea Primordiale spiccò il volo, sollevandosi sopra il cortile, sopra la Porta della Notte e, presto, sopra l’intero Primo Santuario.

Volteggiò fuori dalle mura, piombando sull’esercito di ombre e incitandolo, con un sol battito d’ali nere, ad avanzare. Ovunque passasse, i guerrieri sconfitti parevano riaversi, le forme ricomporsi, le armature forgiarsi di nuovo, rispondendo a un unico silenzioso e letale richiamo. Servire, generare e ovunque portare il caos.

Rise, e alle orecchie dei suoi nemici quelle risate parvero i lamenti dei dannati, così acuti da sfondare i timpani, costringendoli a terra, mani alla testa. Rise di nuovo, divertita, eccitata e innamorata della possibilità di volare. Lord Caos non l’aveva soltanto messa al mondo, aveva scelto la forma migliore per lei, quella che sempre l’aveva fatta sentire libera, quella di cui, nell’intermundi, aveva maggiormente sentito la mancanza. Là, oltre i confini del tempo e dello spazio, non c’erano terre che potesse sorvolare, nemici da cacciare o cieli verso cui issarsi. Poteva soltanto stare ferma, a deprimersi, a fissare il vuoto che diveniva materia, senza riuscire a sfiorarla. Irraggiungibile, come il passato che aveva perduto e il futuro così lontano a venire.

Diede un nuovo colpo d’ali e virò a destra, passando un’ultima volta sopra il campo avversario, mentre qualche sprovveduto scagliava frecce e lance che neppure la sfiorarono e un ragazzo imberbe dai capelli color cenere sollevava uno scettro dorato, da cui partì un fastidioso raggio di luce.

Che noia! Commentò, evitandolo e sbattendo le ali, sì da generare una tempesta d’aria che investì il coraggioso Cavaliere, scaraventandolo contro la compagna, prima di allontanarsi da quel fronte che non pareva offrire niente di interessante. Cosa avranno questi stolti da agitarsi tanto per un po’ di luce? Come possono preferire di vedere gli orrori e le ipocrisie di questo mondo, anziché coprirli sotto un velo di tenebra? Là, nella notte più profonda, tutte le differenze vengono azzerate, gli odi sopiti e le passioni estinte e ciò che rimane è solo una quiete infinita.

Con quel pensiero in mente, la convinzione che la propria missione fosse giusta e sacra, volteggiò nell’ampia piana di fronte alla Porta delle Tenebre, prima di andare ad abbarbicarsi su uno dei suoi torrioni. Cercò Erebo con un veloce colpo d’occhi, ma non lo trovò, e allora le tornarono in mente le parole di Chimera di poco prima. Era la prima, a suo dire, a scendere in campo.

Possibile? Da Etere e Emera non si era aspettata niente più di una difesa passiva, come infatti stavano facendo, avvolgendo i cancelli da loro presieduti in una barriera che impediva a chiunque, uomo o Dio, di superarla senza essere annientato. Forzando l’esercito di ombre ad avanzare o a morire nel tornare indietro. Subdoli, a modo loro.

Ma Erebo? Dov’era finito il Signore delle Tenebre?

***

L’apparizione di Nyx sul campo di battaglia non era passata inosservata.

Elanor era stata la prima a percepirne la presenza, sollevando il capo e distraendosi, offrendo il collo alla lama del suo nemico. Ma Matthew, con un agile balzo, l’aveva gettata a terra, prima di calciare via l’avversario.

"Si combatte a terra, non nei cieli!" –Le disse, aiutandola a rimettersi in piedi.

La ragazza fece per divincolarsi, sfuggendo al suo sguardo indagatore, prima di accorgersi di un’ombra alle spalle del compagno. Non voleva crederci, eppure era lì, che saltava con quei grossi piedoni da un santone indiano all’altro, atterrandoli e lasciando ai due che lo accompagnavano l’onere di finirli.

"Tecciztecatl…" –Mormorò, per poi riconoscere anche i Seleniti di Nettuno e di Plutone.

"Non più!" –Commentò Matthew. –"Ricordalo. Non più!" –E si voltò, accendendo la cintura dell’armatura di bagliori colorati e dirigendo verso di loro lucenti raggi di energia.

Chandra e Tsukuyomi vennero investiti e spinti indietro, con le corazze traforate dai fasci di luce, ma Tecciztecatl fu lesto a balzare in alto, preparandosi per piombare su Matthew a gamba tesa. Fu Elanor ad intercettarlo, ponendosi di fronte al compagno con lo Scudo di Luna sollevato, su cui il Selenite oscuro impattò, cadendo a terra e lì rimanendo. Solo allora la ragazza si accorse della figura che li stava osservando e che adesso stava sfrecciando nella loro direzione, avvolta in un gelido cosmo nero.

"Thot…" –Disse, a denti stretti, incapace di ammettere che quel concentrato di ombra e rabbia, che stava per travolgerli, era il sapiente Dio che non le aveva mai fatto mancare sorrisi, cultura e protezione. Matthew, alle sue spalle, percepì la sua esitazione e si preparò per levare il pugno, concentrandovi tutta l’energia che riuscì a radunare, ma prima che potesse agire un’enorme sagoma di energia sfrecciò accanto a loro. Un maestoso predatore bianco che azzannò Thot, riducendolo in una vaporosa poltiglia.

"Fauci dello Squalo Bianco!" –Tuonò una possente voce maschile, prima che Toru, campione degli Areoi, entrasse nel loro campo visivo, proseguendo l’assalto e investendo qualunque avversario si trovasse nella sua traiettoria.

Matt si voltò per osservarlo, realizzando di non averlo mai visto riposare da quando erano giunti nel Taklamakan. Il guerriero polinesiano pareva non conoscere la stanchezza, liberando di continuo le fauci del predatore dei mari. Lo ringraziò con un sorriso, cui Toru rispose con un rapido cenno del capo, prima che la sua attenzione venisse attirata da qualcos’altro.

A pochi passi da lui una legione di Areoi oscuri si era infatti radunata, guidata da un uomo alto e snello, rivestito da una corazza sinuosa che sprigionava scintille violacee.

"Tawhiri della Torpedine!" –Esclamò, mentre l’altro sfrecciava avanti, fagocitando il terreno tra loro in un oceano di scariche di energia.

Toru non riuscì a evitare di essere raggiunto a un fianco, la bianca corazza che sfrigolava al contatto col fuoco di colui che le armi degli Areoi aveva ideato. Ma piantò le gambe nel terreno, resistendo e, quando Tawhiri lo sorpassò, lo afferrò per un braccio, incurante della scossa energetica, tirandolo avanti e sbattendolo contro il suolo, più e più volte, finché la sua sagoma non si disintegrò.

In quel momento gli altri guerrieri oscuri si lanciarono su Toru, ma un ventaglio di energie luminose piovve su di loro, frenandone l’avanzata, mentre un gruppetto di sagome in armature bianche si disponeva a difesa del loro comandante.

"Ci siamo anche noi!" –Gridò un ragazzino, di sedici anni scarsi, liberando il proprio attacco. –"Soffio della Balenottera!"

Altri Areoi lo affiancarono, investendo gli antichi compagni e i loro antenati, tra le lacrime che quello scontro aveva cacciato fuori. Di certo nessuno, abbandonando il solitario ma pacifico Avaiki, aveva pensato di ritrovarsi ad affrontare gli aumakuas. Che fosse la punizione per aver disonorato il kapu e non aver saputo proteggere le Conchiglie?

Toru non seppe dirselo, ma si promise che un giorno, quando si fosse trovato di fronte agli antenati, glielo avrebbe chiesto, avrebbe chiesto loro cosa avevano tanto da lamentarsi, mentre loro rischiavano la vita per difendere un mondo da cui per troppo tempo erano stati lontani. Un mondo per cui giovani Areoi stavano morendo.

Quel pensiero lo infervorò, spingendolo ad affiancare Waku della Balenottera Azzurra e i suoi compagni, un gruppo di ragazzetti che mai avrebbero dovuto scendere in guerra. Ma i soldati più esperti erano caduti e se il popolo libero voleva fare la sua parte, dimostrando di meritare la libertà che tanto aveva cara, allora anche Waku, Parò, Aitu e gli altri dovevano combattere. Avevano curato le loro ferite nelle acque della Waiora, la fonte miracolosa, prima di unirsi agli eserciti di Grecia, Asgard, Avalon e dell’Egitto. Solo uno di loro era stato esonerato, il più giovane (e forse anche il più coraggioso) di tutti, di modo che, se nessuno di loro avesse fatto ritorno, la stirpe dell’Avaiki sarebbe continuata.

Un sibilo lo distrasse, spingendolo a scartare di lato, un attimo prima che una lunga lancia di corallo nero si piantasse nel terreno e l’atletica sagoma del suo possessore si facesse avanti, la estraesse e gliela puntasse.

Inorridendo, Toru riconobbe il suo più vecchio e caro amico.

"Maru…"

L’Areoi del Narvalo scattò avanti, mulinando la lancia con maestria, la punta diretta al cuore di Toru, che fu costretto a spostarsi di continuo per non essere infilzato. Ma Maru era di gran lunga più agile di lui, e fresco di forze, per cui, alla fine, la lancia trovò uno spazio libero tra le vestigia dello Squalo Bianco e colpì. Poco sotto l’inguine.

Trattenendo un grido di dolore, Toru tese i muscoli, trattenendo l’arma, mentre radunava il cosmo attorno al braccio destro. Di tutti gli scontri sostenuti fino ad allora, quello gli fece piangere il cuore, ma forse anch’esso avrebbe dovuto rimanere sepolto in profondità, negli abissi oceanici, assieme alla Conchiglia e a tutti i suoi ricordi.

"Perché quei giorni non vadano perduti!" –Mormorò, prima di liberare il predatore dei mari, che sfrecciò verso Maru a fauci aperte. Poco prima di azzannarlo, però, si scontrò con una bestia altrettanto imponente, generando un’esplosione di luce che spinse il Comandante indietro, disintegrando la lancia di corallo nero.

Quando Toru tornò a vedere, notò che il numero dei suoi avversari era aumentato. In un altro momento avrebbe riso, stimolato da quella sfida, ma non nel trovarsi di fronte, oltre a Maru, anche Tara di Diodon, Moeava, il suo maestro Afa dello Squalo Tigre e persino la grande Hina del Lactoria.