CAPITOLO SETTIMO: LA STRADA PER L’ODIO.

Marcantonio, Pasifae e Laoconte, dopo aver lasciato Tirinto, si diressero verso ovest, puntando in direzione della catena montuosa del Pindo. Procedettero ad una velocità di poco inferiore a quella del suono, sia perché Laoconte difficilmente avrebbe potuto mantenere un ritmo superiore, pari a quello del cugino e della Sacerdotessa sua compagna, sia per non stancarsi troppo, certi che, in un futuro recente, avrebbero avuto bisogno di tutte le forze disponibili.

"Perché proprio verso occidente ci stiamo dirigendo?" –Domandò Laoconte, sfrecciando nel vento assieme ai due compagni.

"Perché sospetto che là il mio maestro si sia rifugiato!" –Rispose Pasifae. –"Egli non ama la vita di gruppo, rifugge le città e gli ambienti troppo frequentati, preferendo rimanere in disparte, a contemplare le stelle dall’alto di una rupe, a meditare sul gramo destino degli uomini in completo isolamento! Vive nascosto, seguendo i dettami di Epicuro, convinto che la tranquillità interiore e la felicità nascano dal ritiro dalla gente! E le solitarie vallate del Pindo sono l’ideale per un asceta quale egli ha bramato divenire!"

"Dunque è là che ti ha addestrato?" –Intervenne Marcantonio, che ben poco sapeva riguardo al passato di Pasifae. Alla sua vita precedente all’incontro con Ercole e l’entrata negli Heroes.

"Non propriamente…" –Tagliò corto la Sacerdotessa, non molto intenzionata a parlare di tale argomento. –"C’è anche un altro motivo per cui ho scelto il Pindo come prima meta della nostra ricerca! Il suo monte più alto, lo Smòlikas, è sacro ad Apollo! E il mio maestro, di Febo Apollo e del suo misticismo, è sempre stato grande ammiratore. Un fanatico, oserei dire!"

"Dal latino fanaticum! Indica un uomo ispirato da una divinità, invasato da estro divino!" –Commentò Laoconte, mentre Marcantonio, che correva alla sua destra, annuiva, confermando l’analisi etimologica del cugino.

"Vedo che non hai dimenticato le nozioni acquisite ad Atene dal nostro precettore! Credevo che i fantasmi della brama di gloria le avessero velate ai tuoi occhi avidi!"

"Non mal giudicarmi, Marcantonio! Anche i saggi la brama di gloria è l’ultimo velo di cui si spogliano!" –Rispose Laoconte, con un sorriso divertito.

"Citare Tacito non mi porterà a modificare l’idea che mi sono fatto di te!" –Commentò Marcantonio, superando il cugino in velocità. –"E comunque era l’ultima passione, non l’ultimo velo!"

"Quale che fosse, non ho intenzione di spogliarmene!" –Si limitò ad osservare Laoconte a denti stretti, prima che la voce di Pasifae richiamasse entrambi.

"Fate silenzio, ve ne prego, nobili ateniesi! È così debole il suono che giunge alle mie orecchie che basterebbe un nulla, un soffio di vento, per spazzarlo via!" –Esclamò la Sacerdotessa, fermandosi d’improvviso e tendendo i sensi.

"Suono?!" –Borbottò Laoconte tra sé, non udendo alcun rumore.

Erano in una valle interna della catena del Pindo, una cinquantina di chilometri a ovest di Grevena. Una zona isolata costituita da rilievi boscosi, costellati da sporadiche costruzioni di montanari. Cosa avesse la Sacerdotessa da ascoltare proprio Laoconte non riusciva a capirlo. Tranne, sia chiaro, lo sfuggente belato dell’animale di qualche pastore solingo. Mormorò tra sé, approfittando di quel momento per riprendere fiato.

Per quanto fossero quattro anni che si allenava, sotto l’attenta supervisione del cugino, nel cortile interno di Tirinto, e avesse ben modellato il suo fisico, di per sé già curato e scultoreo, con costanti e incalzanti esercizi, questa era la sua prima missione ufficiale. La prima occasione, dopo anni di silente attesa, in cui poteva dimostrare di valere qualcosa. Di non essere soltanto parente del più celebre Eroe di Tirinto, ma di poter lui stesso assurgere al glorioso pantheon dei guerrieri mitologici.

Che Marcantonio non condividesse i suoi ideali era ben noto. Lo era stato fin da quando Laoconte aveva lasciato la famiglia, seguendo il cammino precedentemente tracciato dal cugino, ed era giunto a Tirinto, inginocchiandosi di fronte al Comandante della Seconda Legione e chiedendo di essere accettato come suo allievo.

"Perché vuoi combattere?" –Gli aveva chiesto quel giorno Marcantonio.

"Per la gloria della vittoria! Per vivere quell’attimo di trionfo che segue la battaglia!" –Aveva risposto Laoconte. E a quell’asserzione convinta non era mai venuto meno. –"Per afferrare uno spicchio di eternità che solo agli eroi mitici è concesso!"

Ed io lo diventerò! Il giovane aveva stretto i pugni e iniziato ad allenarsi duramente, eseguendo, senza mai lamentarsi, gli ordini del suo maestro. Un uomo che, come Ercole prima di lui, si era fatto da solo. Una luce, un modello di fede, il cui unico difetto, la cui unica ombra, era, agli occhi di Laoconte, pensare sempre in piccolo.

Perché accontentarsi di cacciar via briganti randagi o sprecar tempo ad aiutar zoppi contadini a coltivare i propri campi? Siamo Eroi, guerrieri mitici, capaci di spaccare la terra con un calcio e frantumare il cielo con un pugno! Ben più alte imprese ci aspettano! Perigliose, certamente, ma sempre adorne di una coppa d’oro da cui bere il sacro nettare della vittoria!

Forse, quel giorno, anch’egli avrebbe potuto sollevarla, come Ercole, Giasone e Perseo avevano fatto nel Mondo Antico.

"Cos’è che odi?" –La voce di Marcantonio lo riportò al presente.

"Vibrazioni!" –Mormorò la Sacerdotessa, i violacei capelli appena mossi dal vento. Come se anch’essi fossero fermi e intenti a percepire un segno. Come il suo mentore le aveva insegnato, e il maestro di lui prima ancora. –"Da questa parte!" –Esclamò infine, indicando il versante interno di una montagna poco distante.

Marcantonio prontamente la seguì, ed anche Laoconte, sia pur titubante, le andò dietro, la sacca da viaggio sempre in spalla, il pugnale affisso alla cinta dei suoi abiti.

Percorsero una mulattiera poco frequentata, sul versante di Smòlikas che dava a oriente, con la Sacerdotessa del Cancro che apriva la via, a testa alta e passo fermo, sicura dei suoi passi, e i due cugini ateniesi dietro di lei.

"Le vibrazioni sono più forti! In qualche modo ci ha sentito arrivare e mi ha inviato un messaggio, per portarmi fino a lui! Anche se il suo cosmo non è stabile come un tempo! Pare corroso dall’inquietudine!" –Commentò Pasifae, prima di aggiungere a bassa voce. Quasi parlando tra sé. –"Che questi anni di meditazione, anziché rafforzare la vostra tempra, vi abbiano reso più diffidente, maestro?!"

Solo in quel momento la Sacerdotessa notò uno stormo di corvi neri volare basso sopra di loro, come se li avessero seguiti fino a quel momento. Li udì gracchiare, prima di sbattere più velocemente le ali e scomparire dietro una curva della montagna. Pasifae sospirò, certa che fossero giunti alla prima meta della loro cerca.

Svoltato l’angolo infatti, il sentiero proseguiva inerpicandosi verso la cima del monte sacro ad Apollo, ma proprio a destra della ripida salita si apriva una terrazza rivolta ad oriente, sul cui terreno erboso un uomo, rivestito da un’armatura blu notte, sedeva in posizione meditativa. Dimostrava ben più dei trent’anni che dichiarava di avere, con quel viso poco curato, la barba incolta e i lunghi capelli castani, a chiazze sporchi, che scivolavano disordinatamente lungo lo spigoloso schienale della corazza.

Tutto attorno a lui planarono gli uccelli che Pasifae aveva osservato poc’anzi, disponendosi secondo un preciso schema di cerchi concentrici, che lasciava supporre un lungo e preciso addestramento degli stessi da parte dell’uomo. Colui che adesso li stava sfamando con quello che sembrava un rustico becchime.

"Eccoci dunque!" –Mormorò la Sacerdotessa, fermandosi al limitare della terrazza erbosa assieme a Marcantonio e a Laoconte. –"L’abbiamo trovato! Il mio maestro, Atamante l’Anacoreta!"

"Uomo dedito all’ornitomanzia, a quanto pare!" –Commentò il giovane apprendista. –"Non credevo vi fosse ancora qualcuno che si affidasse ai segni degli uccelli per predire il fato!"

"E perché non dovrei?!" –La voce stridula di Atamante interruppe la conversazione tra i tre compagni, obbligandoli a voltarsi verso il maestro di Pasifae, che non aveva ancora mosso lo sguardo verso di loro. –"Non fu forse un’aquila, con un serpente morto tra le grinfie, a predire l’avvento di Odisseo e la morte dei Proci? E non è stato forse grazie a queste creature, i miei occhi del cielo, che ho potuto prevedere e controllare la vostra avanzata?!"

"Maestro…" –Esclamò Pasifae, avanzando di qualche passo. –"Sono lieto di rivedervi! E di constatare che siete sempre in buona salute!"

"Umpf… A proferir menzogne non sei mai stata abile, Pasifae!" –Commentò l’uomo, degnando infine la giovane di uno sguardo torvo. –"Ma del resto è quel che ho amato subito in te! La sincerità del tuo animo, riflesso di uno specchio puro e lindo, capace di apprendere molto più di quanto un cuore irato potesse fare!"

"Vi ringrazio, maestro!" –Affermò la Sacerdotessa, accennando un inchino. Ma Atamante subito la fermò.

"Non ne hai motivo! E ora dimmi, cos’è che ti conduce sulla cima di Smòlikas? Vuoi trascorrere la notte con me, per ammirare il sole sorgere di nuovo?!"

"Uno spettacolo magnifico, ne sono certa! Ma non è per questo che sono qua!"

"E allora per cosa? Certo non per portarmi un saluto! So bene di non essere al centro dei tuoi pensieri, né di trovarmi in un luogo, come dire, di passaggio obbligato!"

"Sono qua per chiedervi aiuto! Reclamo un frammento della conoscenza del mio mentore!" –Esclamò infine Pasifae, inginocchiandosi di fronte all’eremita. –"Dove si trova la Legione Maledetta? In quale antro si celano coloro che ad Ercole fecero per viltade il gran rifiuto?"

"La Legione Maledetta?!" –Atamante la fissò per qualche secondo con occhi sgranati, e Marcantonio poté notare il loro colore. Ruggine. E la loro particolarità, essendo privi di pupilla. –"Sei dunque sulle tracce del niente, allieva? Perché, ti avverto, alcunché di buono potrà venirti se deciderai di seguire la strada dell’odio! È una via che conduce alla morte chiunque la percorra!"

"Voi dunque sapete dove i fuggiaschi si nascondono?! Lo immaginavo! Grande è la vostra conoscenza!"

"Grande e utile! Una conoscenza che mi ha permesso di trascorrere una vita serena e lontano dai guai! Altrettanto non posso dire per te, Pasifae, sempre a cacciarti in guerre continue, contro Divinità potenti e irraggiungibili, in battaglie perse in partenza! Pare che ti piaccia saltare burroni più lunghi di quanto le gambe ti permettano! Umpf! Non credere che il mio volontario isolamento mi abbia privato della vista e delle orecchie sul mondo esterno!"

"Cosa intendete per strada dell’odio e della morte?! Sono dunque vere le leggende che si riferiscono alla Legione Maledetta come ad un covo di guerrieri senza scrupoli, pronti a massacrare persino chi si rivolga loro in cerca di aiuto?!" –Intervenne Marcantonio, attirando lo sguardo di Atamante.

"In quale altro modo definiresti chi ha tradito l’onore di un giuramento fatto al suo Signore?! Non hanno avuto remore alcuna ad abbandonare Ercole, intimoriti dalla morte e dalla dimenticanza! Né la avranno nell’accogliervi nel modo che reputano migliore! Date retta a me, non andate! Vi risparmierete dolori e guerra!"

"Non possiamo farne a meno, nobile Atamante! Il Dio dell’Onestà è in pericolo, le legioni di Tirinto sono l’ombra di quel che erano un tempo e senza nuovi alleati perderemmo per certo la guerra contro Era e Dioniso!" –Precisò Marcantonio.

"La perderete comunque, e così la vita!" –Tagliò corto il maestro di Pasifae. –"E non rivolgerti a me in quel modo! Non sono un nobile io, né ho mai desiderato esserlo! Vivo per campare, fintantoché sarà il mio destino! Se invece voi siete di altra filosofia, orbene i miei corvi vi mostreranno la via!" –Un doppio fischio acuto fece sollevare l’immenso stormo di uccelli neri che scivolò lungo il versante di Smòlikas, assumendo una forma simile ad una lunga freccia. –"Seguiteli fino al crepaccio nord-orientale. Superato quel passaggio stretto e buio, vi ritroverete in una valle interna che i raggi del sole a fatica raggiungono! Là, in un modo o nell’altro, si concluderà il vostro viaggio!"

"Confortante…" –Ironizzò Laoconte.

"O forse anche prima…" –Parve aggiungere il maestro di Pasifae, prima di chiudere gli occhi e riprendere la meditazione che aveva interrotto all’arrivo dei tre compagni.

"Vi ringrazio maestro! Anche se so che poco vi importa dei miei omaggi, rimangono comunque sentiti!" –La Sacerdotessa si alzò in piedi e, affiancati Marcantonio e Laoconte, iniziò a correre sull’altro lato della terrazza, inseguendo lo stormo di corvi.

Soltanto quando furono a qualche chilometro di distanza, Atamante parve muoversi di nuovo e abbandonarsi ad un sospiro sincero. Il sospiro di un uomo che forse presto avrebbe trovato pace.

"Mi ringrazi per averti mandato a morire?!" –Mormorò, mentre una sagoma emerse dall’ombra di Smòlikas, affiancando l’anacoreta dagli occhi di ruggine.

"Un buon lavoro Atamante hai fatto! Suvvia, te ne do atto!"

"Il mio mentore mi ha insegnato ad essere rispettoso e obbediente nei confronti dell’autorità costituita! E nessun’altro, per me, potrebbe risplendere più di voi, sommo Sileno! Nemmeno il sole che da questa terrazza ho osservato sorgere per anni! Nelle mie lunghe notti di preghiera!" –Commentò Atamante, prostrandosi ai piedi di uno dei tre Praticanti di Dioniso, sul cui volto rifulgeva un sorriso di vittoria.

"Le buone maniere non ti fanno certo difetto, ma solo il successo da questa strategia mi aspetto! I caprini guerrieri già sono in posizione, e alla tua allieva impartiranno l’ultima lezione! Che fidarsi è nobile e bello, ma non farlo, nemmeno del proprio maestro, è meglio!" –Rise Sileno, gettando un acuto sguardo verso nordest, seguendo la scia nera lasciata dai corvi.

Non aveva avuto bisogno di esercitare troppa pressione sul suo vecchio allievo. Il rispetto per l’ordine e per l’autorità che Atamante provava lo avevano facilmente indotto ad accettare le condizioni di Sileno, convinto che in quel modo avrebbe finalmente trovato quella pace che inseguiva da troppo tempo. Da tutta una vita.

Bastò un colpo ben assestato, sulla stanca nuca dell’anacoreta, per farlo accasciare, e uno sguardo di Sileno fu sufficiente per incendiare gli avanzi del becchime rimasti al suolo, generando un rogo di fiamme che parevano danzare alla risata del Praticante.

"Onore a Dioniso e ad Era!" –Si limitò a commentare, senza degnare il corpo ardente di Atamante di ulteriore attenzione. D’improvviso sorrise, dandosi un buffetto su una guancia, realizzando di non aver parlato in rima per la prima volta da molto tempo.

Ma se lo concesse. Del resto, di fronte agli Dei la sua poesia era soltanto aria. E, per quanto colto e istruito fosse, un degno praticante del culto del Signore del Vino, alla fine quel che avrebbe contato davvero sarebbe stato il risultato delle sue azioni.

"Azioni che a Xanto del Fauno affido adesso, al fine di portarle al giusto successo!"

Proprio in quel momento Marcantonio, Pasifae e Laoconte raggiunsero l’entrata del valico nord-orientale, una stretta fenditura che correva irregolarmente nella roccia, sventrando quasi la montagna. Quale fosse la sua origine, i tre non lo sapevano, ma intuirono potesse essersi creata dall’erosione naturale, o da scosse sismiche violente che spesso scuotevano l’intera regione. La sua esistenza permetteva loro di superare l’ostacolo montuoso, senza aggirarlo, risparmiando così tempo prezioso.

Laoconte fece subito per lanciarsi avanti, incurante dell’oscurità che pareva trasudare da quelle aspre pareti di roccia, ma Marcantonio lo pregò di essere prudente. Nessuno infatti sapeva bene quel che li attendeva alla fine del percorso. Atamante era stato criptico al riguardo, come Pasifae si era aspettata, ma, in cuor suo, la ragazza era certa che il suo mentore avesse voluto dir loro qualcos’altro.

Un avvertimento? Un consiglio? Il tempo era loro nemico e non potevano perdersi in infeconde riflessioni. Soltanto tuffarsi nel tunnel e avanzare.

Ben misera era la luce che riusciva a giungere fin laggiù. Non soltanto la fenditura tagliava per intero l’altezza della montagna, ma la sua irregolarità permetteva a ben pochi raggi di sole di filtrare in basso, lasciando il terreno freddo e sterile.

I tre compagni avanzarono per una decina di minuti, con cautela, spesso sfiorando con una mano un lato del crepaccio, quasi come a rassicurarsi che fosse sempre lì e non si stesse chiudendo su di loro, come talvolta pareva accadesse. Scherzi della vista, dovuti alla poca luce, o forse il non espresso timore di antiche leggende, fiabe per bambini in cui creature infernali uscivano da antri oscuri per divorare gli incauti viaggiatori.

Fu solo quando giunsero a metà del percorso che parve loro che la strada si allargasse di lato, permettendo di camminare affiancati. Laoconte sollevò lo sguardo verso il cielo, riuscendo persino a cogliere uno spicchio di azzurro lontano. Non ebbe però il tempo di abbandonarsi ad un sospiro di sollievo che la terra attorno a loro tremò. Violentemente, come se il millenario sonno di chissà quale creatura fosse stato disturbato.

Voltandosi, gli Heroes videro che una frana aveva appena richiuso il passaggio alle loro spalle, e dovettero scattare in avanti di una decina di metri per non essere travolti dall’impetuosa pioggia di massi.

"Impetuosa quanto improvvisa!" –Sibilò Marcantonio, tendendo i sensi.

"Pare che qualcuno non voglia permetterci di tornare indietro!" –Annuì Pasifae, comprendendo i sospetti del compagno.

Proprio in quel momento la terra sotto i loro piedi esplose di nuovo, non per una frana, ma per il violento impatto di un globo incandescente che si schiantò in mezzo a loro, spingendoli di lato e travolgendoli con lingue fiammeggianti.

"Emisferi di fuoco!!! Abbattetevi sui tre peccatori!" –Risuonò una voce nello stretto passaggio. Ma i tre compagni non ebbero neppure il tempo di guardarsi attorno, per capire da dove provenisse, che dovettero spostarsi in fretta per evitare nuovi globi rossastri che esplosero attorno a loro, invadendo con lingue di fuoco il già di per sé poco spazio. –"Come Sodoma nel Mondo Antico fu sterminata dalle fiamme, ugualmente voi, che di immoralità non siete meno scevri, cadrete per mano divina!"

"Stiamo andando arrosto!" –Brontolò Laoconte, cercando di evitare le vampe di fuoco e le scintille che stavano trasformando la fenditura in uno spaccato dell’inferno.

"Non c’è che dire! Hanno scelto un bel posto per attaccarci!" –Commentò Marcantonio, affiancando il cugino, il quale, privo di una corazza, era molto più esposto ai pericoli di quelle fiamme mortali. –"Di strategia non sono certo privi!"

"Né noi di astuzia e della voglia di reagire!" –Esclamò allora Pasifae, espandendo il proprio cosmo blu vivido. Un mantello protettivo parve calare sui tre compagni, una barriera fluttuante dalle sfumature marine, che trasudava di freschezza e semplicità, per quanto fosse sufficientemente resistente da ripararli da quell’inferno improvviso.

"Ah ah ah! Un così tenue manto non basterà a proteggervi dall’incessante pioggia di fuoco che s’abbatte su di voi! Senza riposo mai siete condannati ad essere!" –Continuò la voce del loro avversario, mentre nuovi globi incandescenti si schiantavano ovunque, allungando le lingue di fuoco verso il cielo.

"Cough cough! Se anche le fiamme non ci raggiungeranno direttamente, moriremo per la mancanza d’aria! Il passaggio è ormai saturo di fuoco!" –Gridò Laoconte, con gli occhi rossi di lacrime a causa del fumo.

"Non perdere la calma, cugino! È condizione primaria se vuoi vincere una battaglia!" –Commentò Marcantonio, prima di voltarsi verso Pasifae, che aveva ulteriormente espanso il suo cosmo, generando onde bluastre di energia acquatica.

"Sinfonia degli abissi!" –Esclamò placida la Sacerdotessa, mentre migliaia di gocce di oceano sfrecciavano fuori dal mantello protettivo, abbattendosi sulle fiamme circostanti ed esplodendo al contatto, liberando una gran quantità d’acqua che ne ridusse l’intensità. –"Forte degli insegnamenti di Atamante e di Alcione, ho perfezionato il mio colpo segreto, riuscendo a generare acqua persino dalle molecole d’aria che mi circondano, fino a farla esplodere, con piccole ma continue ripetizioni!"

Subito Laoconte poté notare che, per quanto la pioggia di fuoco non fosse calata di intensità, il terreno attorno pareva più sgombro e le oppressive lingue fiammeggianti dovevano allontanarsi per non essere investite dal delicato, ma deciso, ondeggiare del manto acquatico dell’Hero del Cancro.

"Il divin castigo rifiutate? Voi che contro le leggi naturali andate?! Perché peccatori infami siete, della peggior specie, e negarlo, di fronte agli Dei che tutto vedono, non potete!" –Esclamò la decisa voce maschile, mentre la pioggia di fuoco parve farsi per un momento più rada, permettendo a Laoconte e agli altri di osservare una slanciata sagoma ritta su una sporgenza rocciosa, a una cinquantina di metri sopra di loro.

"E di quali peccati ci saremmo dunque macchiati? Illuminami, ti prego! Perché da solo non riesco a giungere alla verità!" –Ironizzò Marcantonio, nient’affatto intimorito. Anzi, quasi sollevato dalla comparsa del loro avversario, finalmente individuabile.

"Del peggiore di tutti. Da cui neppure il tuo inopportuno sarcasmo ti salverà. Violenti contro gli Dei, ecco cosa siete! Blasfemi, bestemmiatori! Eretici che mai, neanche dopo la morte, troveranno quiete!" –Tuonò la voce nemica, mentre il suo cosmo rifulgeva di bagliori color amaranto. –"Io vi punirò per quest’offesa meschina, sommergendo i vostri corpi sotto una pioggia di fuoco dalle dilatate falde, innaturale come il peccato da voi consapevolmente commesso! Io, Xanto del Fauno, Satiro della Passione, il più potente e retto dei Satiri Guerrieri che popolano l’Olimpo! Emisferi di fuoco, ardete!!!"

Ciò detto, nuovi globi lucenti esplosero attorno ai tre servitori di Ercole, rimbombando nel ristretto spazio, seguiti da una continua, quasi monotona, pioggia di lapilli infuocati.

"Così, prostratevi a terra, vinti e supini, infami bestemmiatori giacete nel tormento di una sbagliata esistenza!" –Ringhiò Xanto furioso, espandendo ancora di più il proprio cosmo. –"Non vi basterà battere i piedi al suolo per estinguere le mie faville, o soffocarle con le vostre vesti, come Alessandro Magno ordinò di fare ai suoi soldati in India, poiché queste fiamme sono eterne. Sono le fiamme della vostra vergogna! E cadono, martoriando i vostri corpi, incessantemente, fitte come la neve sulle Alpi quando non c’è vento!"

Pasifae cercò di contrastare la travolgente carica, aumentando l’intensità della propria sinfonia oceanica e lasciando che migliaia di gocce d’acqua crivellassero le sfere di fuoco che Xanto stava dirigendo loro contro, rallentandole o distruggendole del tutto. Quelle che riuscirono a superare la difesa dell’intrepida Sacerdotessa vennero infine fermate da un trasparente piano inclinato che apparve sopra le teste dei compagni.

"Specchio delle stelle!" –Esclamò infine Marcantonio, aprendo le braccia e lasciando che sulla resistente barriera i globi e le faville infuocate concludessero la loro corsa. –"Il tuo canto, oh novello Dante, termina qua!" –Sibilò, puntando un dito avanti a sé, verso un imprecisato punto del cristallino specchio, che si caricò di tutta l’energia necessaria per riflettere l’assalto ricevuto, com’era nei suoi poteri di difesa.

Il contrattacco prese Xanto di sorpresa, obbligandolo a gettarsi di lato, nel vuoto del crepaccio, per non essere investito dai suoi stessi globi incandescenti, che si schiantarono contro la parete rocciosa, bucherellandola e facendo piovere schegge ovunque. Laoconte si lanciò subito su di lui, senza che Marcantonio potesse trattenerlo, caricando il pugno destro di energia cosmica e lasciando piovere una carica sufficientemente potente da indurre il Satiro Guerriero a scattare di lato, per evitarla, e poi a balzare in alto, saltando sopra al giovane guerriero.

"Spirale dell’onore!" –Esclamò allora Marcantonio, mentre Xanto veniva afferrato per una caviglia da una corda che non era riuscito a vedere e sbattuto a terra. –"Filo sottile ma resistente, come vedi. E non prenderti la briga di sciogliere il nodo, poiché di puro cosmo è realizzato!"

"Maledetto! Stritola pure la mia gamba, dannato sacrilego, non fai che aumentare la tua pena!" –Gridò Xanto, sollevando la mano al cielo e caricandola di un incandescente globo, che diresse verso Marcantonio, scattando lesto verso di lui.

"Attento, cugino!" –Urlò Laoconte, impressionato dalla capacità di ripresa del Satiro Guerriero. Ma Marcantonio, di tutt’altro parere, si limitò ad abbassare lo sguardo, ricreando lo Specchio delle Stelle di fronte a sé, che non soltanto parò l’attacco di Xanto, ma lo travolse per intero, muovendosi avanti e trapassandolo, fino a gettarlo a terra a gambe all’aria, tra i frammenti della sua corazza insanguinata.

"La tua ira guerriera si è già sopita?" –Ironizzò il Comandante della Seconda Legione. –"Dov’è dunque tutto il tuo furore? A proferir sermoni minacciosi eri ben esperto, ma in quanto a tecniche di lotta certo non eccelli!"

"Grrr!!!" –Ringhiò Xanto del Fauno, approfittando di quel momento per riprendere fiato. Avrebbe voluto caricare di nuovo, saltare addosso all’eretico dal pizzetto curato e strapparglielo ad unghiate, una per ogni atto sacrilego che lui e i suoi compagni avevano compiuto, schierandosi apertamente in guerra contro gli Dei.

Per un satiro nato e cresciuto sul Monte Sacro, che per millenni si era cibato dei frutti della mitologica terra, dagli Dei concessa al pari della vita stessa, era inconcepibile che qualcuno osasse ribellarsi all’ordine olimpico. Una guerra contro Era, suprema Madre Terra e Signora del creato, e contro Dioniso, Divinità feconda e gaudente, era un atto che superava ogni oltraggio. Secondo solo a sfidare Zeus in persona.

"Avevi iniziato bene, con un’interessante strategia! Ma proseguire da solo, contro due Heroes di Tirinto, è stata mera follia!" –Continuò Marcantonio, osservando il nemico con aria di superiorità. Aveva intuito parte del suo carattere e sperava, provocandolo, di renderlo più vulnerabile. E magari di scoprire qualcosa sui piani del Dio del Vino.

"Ed infatti non avrei dovuto essere da solo…" –Si disse Xanto, stringendo i denti.

Un’ora prima aveva raggiunto il valico tra le montagne che il Sommo Praticante gli aveva indicato come luogo ideale per l’agguato, seguito da una cinquantina di satiri e Menadi, armati di cerbottane per sparare dardi velenosi, pugnali e fruste. Li aveva dislocati negli anfratti attorno e lungo la parte finale del sentiero, ordinando di intervenire dopo che egli avrebbe scatenato l’inferno. Nel caos che sarebbe seguito all’improvviso attacco fiammeggiante, sarebbe stato facile, anche per loro, colpire i tre Heroes.

Ma l’assalto del Satiro Guerriero si era concluso. E, per quanto condotto con tutta la passione che era stato capace di dimostrare, non era riuscito, da solo, a mettere in gran difficoltà i tre compagni. Dei satiri, delle Menadi e delle loro frecce avvelenate non aveva visto traccia, né riusciva più a percepire la loro presenza.

Che se ne siano andati, quei codardi?! Pagheranno anch’essi il fio per non aver avuto il coraggio di combattere per gli Dei che li hanno generati! Ringhiò, cercando di rimettersi in piedi.

Fu solo in quel momento che si accorse che il masso che era crollato poco prima, rotolando fin quasi accanto a lui, non era una pietra. Né lo erano quelli che stavano iniziando a cadere dall’alto del crepaccio, prendendo di sorpresa anche i tre Heroes.

Erano teste umane. Di donne e di uomini barbuti.

Le menadi e i satiri che lo avevano accompagnato nella gola.

Inorridito, Xanto mosse un passo indietro e fu in quel momento che avvertì una presenza alle sue spalle. Un robusto petto rivestito da un’armatura scura e viola. Un guerriero, al pari degli altri tredici che improvvisamente circondarono Marcantonio e i suoi compagni, la cui aura emanava oscurità, dolore e rabbia.

Un sentimento, quest’ultimo, che anche Xanto provò quando vide che l’uomo apparso dietro di lui stringeva per i capelli la testa di una Menade, con noncuranza e soddisfazione.

"Carogna!" –Gridò. –"Chi siete voi, per aver commesso un simile massacro?! La collera degli Dei vi raggiungerà!"

"Coloro che stavamo cercando… e che realmente esistono!" –Mormorò Marcantonio, affiancato di scatto da Pasifae e Laoconte. –"La Legione Maledetta!"

Tutto attorno a loro, i volti dei quattordici Heroes si torsero in un perverso ghigno di sfida e il Comandante della Legione d’Onore capì che la loro venuta non era affatto inattesa.