CAPITOLO OTTAVO: ASSEDIO ETERNO.

A Tirinto tutti gli Heroes avevano sentito il cosmo di Ercole accendersi impetuoso e poi svanire. E adesso lo sentivano diverso, distante da loro, quasi come si trovasse in un universo lontano. Neppure Penelope del Serpente e Nesso del Pesce Soldato, ben allenati ad ascoltare il vento e i segni che portava con sé, riuscivano a percepire notizie precise sulla sorte del Dio dell’Onestà.

Alcione della Piovra vagava inquieta nello studio di Ercole, con indosso la ricostruita Armatura degli Eroi, chiedendosi cosa fosse accaduto sull’Olimpo e come procedesse il viaggio di Marcantonio e Pasifae, i cui cosmi sembravano scomparsi in un tunnel di tenebra. C’era ben poco che potesse fare per loro, soltanto aver fiducia, proprio come il Comandante della Seconda Legione e i suoi compagni l’avevano avuta in lei e nella Legione del Mare giorni addietro, quando avevano raggiunto il Karakoram per cercare la Lama degli Spiriti. Loro c’erano riusciti e Alcione era sicura che anche la cerca di Marcantonio avrebbe avuto successo. O almeno lo sperava.

Fu Artemidoro della Renna, servitore privato di Ercole, a rubarla ai suoi pensieri, precipitandosi nello studio e avvisandola che i suoi compagni volevano assalire direttamente l’Olimpo.

"Immagino sia una tua idea…" –Commentò il Comandante della Terza Legione, uscendo nel piazzale principale e rivolgendosi a Nestore dell’Orso, che stava illustrando agli altri Heroes, rivestiti dalle loro corazze e ben armati, le linee guida.

"Non ho intenzione di restare inerme, rifugiato tra queste quattro mura piene di innocenti, ad attendere che la fiumana di follia di Dioniso ci travolga! Ritengo che dovremmo essere noi a muovere per primi! Noi a fare la prima mossa!"

"E attaccare l’Olimpo in… quanti? Sette? Otto? La ritieni una mossa intelligente?"

"Sempre meglio affrontare una battaglia che sfuggirla!" –Intervenne una terza voce, aspra a sentirsi, che Alcione intuì subito a chi appartenesse.

Ad Archia di Corinto, l’allievo di Gerione.

"Non sapevo tu fossi un esperto di strategie di combattimento!"

"Tanto quanto tu lo sei di tattiche di aggiramento, Comandante!" –La schernì Archia.

"Cosa stai insinuando?"

"Io non insinuo! Io affermo!" –Precisò Archia, avvicinandosi ad Alcione e fissandola intensamente con occhi carichi di rancore. –"Affermo che non vali molto come Comandante, debole donna! Preferisci restare in difesa passiva, lasciando che siano gli altri a sporcarsi le mani, come il mio maestro Gerione, che hai sempre usato per aprire la strada, condannandolo infine a morte brutale!"

"Affermazioni false e pretenziose!" –Commentò Alcione, sbuffando e dandogli le spalle. Ma Archia insistette, afferrandola per un braccio e obbligandola a prestargli ancora attenzione.

"Non laverai così i tuoi rimorsi, piovra d’un Alcione! Il mio maestro è morto per colpa tua! Se tu fossi stata più forte, se tu fossi stata degna della corazza che indossi, Gerione sarebbe ancora vivo!!!" –Gridò, con voce così alta da far voltare tutti gli Heroes e numerose persone nel cortile di Tirinto.

Per un momento Alcione fu attraversata dal desiderio di stritolarlo con i tentacoli, tappando quella bocca da cui sapevano uscire solo parole di amarezza. Parole che, fu costretta ad ammetterlo, erano vere. Sospirò, senza rispondere alcunché, prima di sentire la mano amica di Penelope del Serpente stringere la sua e regalarle un sorriso che, se anche non poteva vederlo, sapeva essere sincero.

Fu Nesso del Pesce Soldato a replicare, balzando su Archia e sbattendolo a terra, prima di tempestarlo con un paio di secchi pugni sul viso.

"Bastardo!!! Non osare offendere il mio Comandante! Tu non c’eri a Samo, e neanche ad Argo e a Micene! Nessun luogo di battaglia ti ha visto protagonista! Nessun colle si è macchiato dei rivoli del tuo sangue codardo! Perché? Eri intento a nasconderti in chissà quale anfratto di Tirinto, aspettando che il tuo maestro morisse e che la guerra finisse?! Facile accusare gli altri di negligenza quando non si conosce il dolore della perdita, il sapore del sangue e l’odore della morte che in guerra ti possono investire in qualsiasi momento!"

"Ehi!!!" –Gridarono Nestore e Druso, avventandosi sui due e allontanandoli uno dall’altro. –"Nesso, che diavolo ti prende?!"

"Alcione, come tutti noi Heroes, queste sensazioni le ha provate, mettendo tutta se stessa per vincerle! E altrettanto hanno fatto Gerione, Argo e Gleno, e tutti coloro che hanno dato la vita per permetterci di essere qui quest’oggi! A sprecar fiato con un ragazzino che stenta ad uscire dalla pubertà!"

"Basta così!" –La cavernosa voce di Nestore richiamò tutti all’ordine. –"L’agitazione per questa guerra interminabile si fa sentire in tutti noi, ma questo non significa che sarò disposto a tollerare nuovamente scenate simili! Da parte di nessuno! Sia un Hero valoroso, o un apprendista capriccioso che non ha ancora visto il mondo!" –E scrutò sia Nesso che Archia, ancora intenti a guardarsi l’un l’altro con ostilità. –"Anche se non siete guerrieri della mia Legione, e non posso comandarvi direttamente, siamo tutti sulla stessa barca adesso! E per non affondare c’è bisogno di unità! Spero di essere stato chiaro!"

"Limpido!" –Mormorò Nesso, liberandosi dalla presa di Druso con una scrollata di spalle e riprendendo posto accanto ad Alcione.

"Per questo credo che dovremmo prendere una decisione adesso! E io propongo di attaccare l’Olimpo! Anche Marcantonio stava ponderando questa eventualità e sono certo che, quando tornerà, ci raggiungerà sul Monte Sacro! E solo gli Dei sanno quanto vorrei che fosse qua adesso, a confortarci con la sua saggezza!"

Alcione osservò i volti dei compagni e si accorse che, oltre a Nestore e all’irrequieto Archia, anche Druso, Neottolemo, Antioco e persino Penelope parevano d’accordo con lui. Tranne Nesso, sempre pronto a schierarsi al suo fianco.

Quale che fosse stata la loro risoluzione, gli Heroes non riuscirono comunque a metterla in pratica, venendo richiamati dalla voce delle guardie di vedetta.

"Una nube viola in avvicinamento! Eserciti nemici di fronte a noi!"

"Maledizione!" –Ringhiò Nestore. –"Sono arrivati prima del previsto! E non abbiamo neppure percepito i loro cosmi avvicinarsi? Cosa accade? La follia di Dioniso ha ottenebrato persino i nostri sensi?!" –E corse sul camminamento di ronda, seguito da Alcione e dagli altri Heroes, per vedere con i propri occhi la situazione e perdersi in un mare di suoni discordanti.

Nella piana di fronte a Tirinto avanzavano infatti tre battaglioni di nemici, sulle seicento unità complessive, che a prima vista non sembravano veri e propri soldati, tanto singolare era il loro abbigliamento. Ogni gruppo pareva avvolto da una leggera brina color violetto ed era preceduto da un guerriero rivestito da un’armatura verde e marrone, che Alcione riconobbe essere identica a quella del Satiro delle Alseidi, che l’aveva cercata ad Atene. Infine, davanti a tutti, marciavano a passo fiero due uomini che parevano essere i comandanti di quell’armata. Uno dei quali, per quanto Nestore e gli altri stentassero a crederlo, indossava un’Armatura degli Eroi.

"Non può essere!!!" –Esclamò sorpreso il Comandante della Quarta Legione.

"Eppure è così! Guarda i colori! La corazza di quell’uomo riluce del frammento, ormai spento, della Glory nera di Ercole!" –Precisò Penelope del Serpente. E Druso di Anteus tolse loro ogni dubbio.

"Quell’uomo è il mio primo, e unico, allievo! Idomeneo delle Spade Incrociate, l’Hero del tradimento!" –Commentò, con voce triste. E allora Penelope, Nestore e Alcione lo riconobbero. –"Quando Ercole gli rifiutò il comando di una delle Legioni, preferendogli Chirone del Centauro, se ne andò, maledicendolo con rabbia! Seppi in seguito che era divenuto un mercenario e aveva iniziato a mettere i suoi poteri al servizio del miglior offerente!"

Non ci fu tempo per chiedergli ulteriori spiegazioni che già le prime fila dell’esercito di Dioniso avevano iniziato a correre verso Tirinto, osservati a vista dai Satiri Guerrieri e dai due comandanti, rimasti indietro. Nestore diede allora ordine ai soldati posizionati lungo le mura di incoccare gli archi, pronti per travolgerli con una pioggia di dardi, ma all’ultimo istante Alcione li fermò.

"Aspettate!!! Guardate!!! Non sono dei soldati… sono… dei satiri e delle donne?!" –E indicò sotto di loro, di fronte al Portone Principale, dove i servitori di Dioniso si andavano ammassando, sull’altro lato del fossato che circondava Tirinto. Il ponte era stato sollevato, ma questo non sembrava affatto demoralizzare la strana armata. I satiri, dalle caprine zampe, continuarono a fischiettare nei loro flauti di canne, mentre le Menadi ballavano, quasi ipnotizzate dalla folle melodia.

"Non capisco…" –Mormorò Nestore.

"Nemmeno io, per la verità! Ma non possiamo colpirli! Va contro il credo degli Eroi di Ercole, oltre che contro le regole più basilari della cavalleria, uccidere esseri indifesi e impotenti!" –Precisò Alcione, e anche Penelope e Antioco le diedero ragione.

Vestite con pelli di animali, con il capo cinto da una corona di edera, le Menadi seguivano il ritmo, danzando e vagando nella piana di fronte a Tirinto, fino a portarsi al bordo del fossato che circondava l’intera fortezza. Là si fermarono, presto raggiunte dai satiri, che continuavano a soffiare nei loro flauti di canne, cambiando però improvvisamente melodia. I suoni leggeri e festosi cedettero il posto a tonalità più acute, che fischiarono fastidiosamente negli orecchi dei difensori di Tirinto, mentre le Menadi iniziarono a intonare canti in onore di Dioniso. Canti pieni di malia e di ebbrezza, con lo scopo di intontire i difensori di Tirinto, penetrando nelle loro menti e confondendole, rendendole vulnerabili ad attacchi esterni.

"Che… diavolo succede?!" –Mormorò Nestore, tenendosi la testa con entrambe le mani. –"È come se udissi mille voci parlare contemporaneamente nella mia mente! Le sento… così vicine… così rimbombanti…"

"Questa cacofonia è insopportabile!" –Esclamò Antioco, crollando sulle ginocchia e ansimando a fatica.

Anche Druso, Neottolemo, Artemidoro, Anfitrione, e persino Alcione, accusarono il colpo, vittime della malia stordente dei canti delle Invasate. E le guardie di vedetta, ugualmente travolte da quel rintronante suono, lasciarono partire le frecce che avevano incoccato, alcune delle quali si dispersero nel cielo o nel piazzale interno di Tirinto, ma altre ferirono qualche compagno, aumentando la confusione del momento.

Fu Penelope del Serpente la prima che cercò di reagire, concentrando il cosmo e sfruttando un particolare potere che le era proprio. Un potere che un amico le aveva insegnato e che adesso avrebbe tentato di usare per difendere i suoi compagni.

"La mia maschera…" –Mormorò, sedendosi in posizione composta, con le gambe incrociate e le mani giunte. Come era solita pregare nelle lunghe notti di veglia e di meditazione trascorse con Tiresia dell’Altare, nella torre più alta di Tirinto.

"Come tutte le maschere delle Sacerdotesse, essa agisce da filtro contro odori e sostanze tossiche… ma, se sostenuta da un cosmo sufficientemente ampio, può aumentare la sua potenzialità difensiva, divenendo insuperabile barriera per qualsivoglia attacco mentale o sonoro!" –Le aveva detto una notte l’allievo di Asmita della Vergine. –"Niente avviene per caso, Penelope, ma tutto ha una sua funzione! Il mio maestro mi raccontò un tempo che persino la maschera della sua Armatura d’Oro, per quanto ovviamente egli non la portasse, nascondeva un segreto! Anche se temo non sia vissuto abbastanza a lungo per poterlo rivelare!"

"Penelope…" –Annaspò Nestore, che per la prima volta vedeva la Sacerdotessa sua compagna intenta ad espandere al massimo il suo cosmo. Lei, che aveva sempre preferito rimanere nelle retrovie, a servire Ercole come stratega e consigliera, dispiaciuta dal doversi macchiare le mani di sangue nemico.

"Ho soltanto… bisogno di tempo…" –Mormorò l’Hero del Serpente, mentre il suo cosmo dalle sfumature dorate si espandeva tutto attorno, allargandosi come un’immensa maschera protettiva sul versante della fortezza esposto all’attacco.

Le onde sonore propagate dalla voce delle Invasate e dalle note dei fallici flautisti scemarono d’intensità, venendo frenate dall’evanescente barriera cosmica sollevata da Penelope, che comunque non aveva il potere di annientarle.

"Se è solo tempo ciò che ti occorre… io te lo darò!" –Esclamò Nesso del Pesce Soldato, balzando sui merli del camminamento di ronda. –"Su di me, che sono abile a svuotare la mente, questi canti orgiastici non hanno particolare effetto! Nulla più di un’emicrania!" –E senz’aggiungere altro si lanciò in aria, avvolto nel suo cosmo azzurro, balzando sull’esercito di Menadi e di satiri, lasciando Alcione e gli altri Heroes a bocca aperta. –"Frecce del Mare, saettate nel vento!"

I dardi di energia acquatica, ben calibrati da Nesso, si piantarono ai piedi delle Invasate, spingendole indietro con piccole esplosioni, o distrussero con precisione millimetrica i flauti dei satiri, mentre ancora li stavano suonando, senza provocare loro altro danno che non un rigo di sangue sul volto.

"La temerarietà di quel ragazzo mi sorprende ogni volta…" –Commentò Nestore, rimettendosi in piedi e osservando la scena dall’alto.

"Io ormai ci ho fatto l’abitudine…" –Sorrise Alcione, affiancando il Comandante della Quarta Legione, approfittando del calo di intensità dell’attacco stordente dell’esercito nemico.

"Continuate a suonare!!!" –Riecheggiò d’improvviso una voce per l’intera piana, accendendo, con il suo cosmo, l’invasato animo dei servitori del Dio dell’Ebbrezza. –"I bei canti per Dioniso Signore voi sapete intonare, quando nell’animo siete folgorati dal vino!"

Alcione e Nestore sollevarono lo sguardo oltre la confusa nube violacea ammassata di fronte al portone principale, perdendosi nei taglienti occhi del Luogotenente di Dioniso e in quelli di colui che aveva appena parlato. Il più fedele servitore del Dio, di cui condivideva l’estasiata forza che nel culto della natura trovava il suo perno.

"Pan…" –Strinse i denti Alcione, riconoscendo il Signore dei Boschi e delle Selve, prima di venire disturbata dal rinnovato canto delle Invasate e dalle note dei satiri.

Nesso, da solo in mezzo a quel turbinante delirio estatico, cercava di spingerli indietro, senza ferirli, come il suo Comandante aveva ordinato poc’anzi. Ma pareva che i suoi avversari non fossero altrettanto attenti a non fargli del male.

Alcune Menadi avevano infatti sciolto delle catene di edera che portavano con sé, lanciandole contro il ragazzo e intrappolandolo in un confuso ammasso di rampicanti. Nesso, straniato da quella strana tecnica, esitò un momento, convinto di poterle strappar via come si estirpa un’erbaccia, ma quando vide le Invasate avvicinarsi, con dei pugnali stretti nelle mani, decise di reagire, pur dispiaciuto per la sorte in cui sarebbero incorse.

"Non possiamo esitare più!" –Commentò, espandendo il proprio cosmo azzurro. E anche Alcione, rimasta ad osservare dall’alto del torrione, dovette dargli ragione.

Con un sospiro, fece cenno a Nestore di procedere, approfittando di quel momento in cui le onde sonore dell’inebriato esercito di Dioniso venivano rallentate dalla barriera protettiva di Penelope.

"Caricate!" –Tuonò l’Hero dell’Orso. E al suo comando tutte le guardie puntarono le frecce verso il basso, posizionandosi tra i merli e nelle aperture per gli arcieri. –"Ora!" –Aggiunse.

Ma in quel momento accaddero molte cose.

Una voce stridula sormontò quella più cavernosa del Comandante della Quarta Legione, mentre un raggio di energia, di colore verde, sfrecciò nell’aria, schiantandosi contro la barriera e mandandola in frantumi, quasi fosse semplice vetro.

Penelope, presa alla sprovvista da un attacco così diretto, che la sua maschera non era atta a fronteggiare, si portò le mani alla testa, cadendo indietro dolorante, come se l’assalto l’avesse direttamente raggiunta.

Vedendo la barriera venir meno, i satiri e le Invasate ricominciarono a suonare e a ballare, lasciando che le loro onde stordenti nuovamente si propagandassero per l’aere, raggiungendo gli sconclusionati Eroi di Tirinto e prostrandoli ancora una volta a terra, con la mente confusa da quell’assordante cacofonia. Soprattutto Antioco del Quetzal, il meno dotato di difese mentali, ne risentì, rantolando sul terreno con gli occhi iniettati di sangue, quasi sul punto di impazzire.

Nesso, nel frattempo, aveva tentato di liberarsi dalla prigionia delle catene di edera delle Invasate, rimanendo a bocca aperta quando i suoi muscoli non erano riusciti a strapparle via, resistenti e coriacee quasi fossero di metallo. Il sorriso beffardo, e un po’ ubriaco, delle Menadi si chiuse su di lui, a cerchio, mentre numerosi stiletti affilati puntavano al cuore del ragazzo, che si dimenava come un forsennato, ricevendo tagli continui sul corpo, nei punti non protetti dall’armatura.

"Io… non ci sto!" –Mormorò, socchiudendo gli occhi e concentrando i sensi. –"Per un Eroe che ha scalato le alte vette del Karakoram ed ha portato la Lama degli Spiriti, come fardello e come onore che rende paghi, morire così, stritolato da una pianta da giardino, sarebbe il massimo dell’umiliazione! E ciò non accadrà! Parola mia!" –Sibilò a denti stretti, lasciando esplodere il suo cosmo azzurro.

Le Frecce del Mare scaturirono direttamente dal suo corpo, falciando le catene di edera, e liberandolo, mentre le Menadi venivano spinte indietro dall’onda d’urto. Quindi il giovane sollevò il braccio destro, scagliando uno dei rampini del bracciale dell’Armatura del Pesce Soldato, che si conficcò nel punto più alto del muro esterno di Tirino, dandosi poi la spinta all’indietro e lasciandosi trascinare. Con agilità atterrò sulla dura roccia della fortezza, sganciò il rampino e, dandosi la spinta con le gambe, balzò sopra l’esercito di Dioniso, di fronte allo sguardo pieno di ammirazione di Alcione.

"Quale che sia il tuo altrove, non resterai mai ad aspettarlo!" –Commentò lei, ricordando la breve conversazione avuta con l’Hero durante la notte di veglia precedente all’attacco all’Isola di Samo. –"No, tu la vita la affronterai sempre! Libero di sbagliare, libero di cadere, libero di non arrenderti mai! Ed io, per quel che mi è concesso, ti aiuterò ad inseguire questo sogno, amico mio! Pur fatuo che sia!" –E balzò a sua volta sopra i merli del camminamento, espandendo il cosmo e generando schiumose onde di energia acquatica. –"Alti flutti spumeggianti, travolgeteli!"

Nesso atterrò in mezzo alle Menadi, rimaste disorientate dalla sua frettolosa azione, e le colpì con piccole squame, simili a siringhe, stordendole con un veleno naturale che aveva ricavato proprio da alcuni pesci, negli anni in cui aveva prestato servizio nelle isole Eolie, come servitore del Dio dei Venti, per controllare le sue mosse, come ordinatogli dal Sommo Ercole.

"Ad un guerriero dotato di cosmo non recherebbe maggior disturbo di una puntura di zanzara, ma a voi, che siete solo donne ubriacate dalla follia di Dioniso, concederà un celere sonno!" –Commentò, osservando le Menadi crollare a terra, e ponendo così fine al loro canto. –"Possa il vostro animo risvegliarsi mondato da tale ebbra possessione!"

Coloro che riuscirono a fuggire all’attacco di Nesso, e i satiri, rimasti poco distante, vennero travolti dagli spumeggianti flutti di energia acquatica di Alcione, che li trasportò per qualche centinaia di metri lungo l’arida piana di Tirinto, lasciandoli poi nel fango, storditi e confusi.

A pochi passi da due uomini rimasti indietro ad osservare gli Heroes tentennare di fronte all’avanzata delle Menadi e dei satiri, certi, come il Dio del Vino aveva previsto, che l’onestà e l’onore che contraddistinguevano i difensori di Ercole avrebbero impedito loro di uccidere degli innocenti.

"Non dovresti intervenire?" –Commentò in quel momento Pan, i cui piedi furono solo lambiti dal rifluire delle ormai fangose acque di Alcione.

"È ancora presto!" –Si limitò a rispondere il Luogotenente di Dioniso, fissando con sguardo acuto il campo di battaglia. –"Lascia che i canti delle Invasate li stordiscano ancora un po’, in modo da farli arrivare stanchi ai combattimenti contro i Satiri Guerrieri! Gli sventurati che resteranno in vita affronteranno noi, in una naturale progressione di scontri, dagli avversari più deboli ai più forti!"

"Temi forse i tuoi antichi compagni?" –Ironizzò Pan, a cui Dioniso aveva affidato il preciso incarico di controllare l’operato di Idomeneo. Ma questi non gli lasciò neppure il tempo di sghignazzare, che con un fulmineo scatto del braccio sinistro gli mozzò il pizzetto caprino, da abilissimo spadaccino quale era.

"Io non ho compagni!" –Sibilò, riponendo una delle due spade che portava dietro la schiena. –"E, perché tu lo sappia, non temo nessuno! Neanche un Dio che trascorre la sua esistenza copulando infelice nei bassi boschi dell’Olimpo!"

"Già, dimenticavo… tu hai solo padroni!" –Commentò Pan, nient’affatto turbato, prima di abbandonarsi a una gaudente risata.

Pur tuttavia riconobbe che la strategia di attacco del mercenario aveva un senso. Se anche gli Heroes fossero riusciti ad arginare il fiume di follia delle Invasate e dei Satiri Guerriero, avrebbero comunque consumato energia. Preziosa energia di cui sarebbero stati carenti negli scontri con Pan e Idomeneo.

"Ciononostante occorre sbrigarci!" –Il Luogotenente lo richiamò dai suoi pensieri. –"Voglio riportare vittoria su costoro prima che arrivino gli Adorni! O ben poco resterà di cui gloriarci!" –E anche Pan dovette dargli ragione. –"Per questo ho dato ordine di passare alla seconda fase!" –Sogghignò, poggiando lo sguardo sugli Heroes, intenti, sulle lontane mura della fortezza, a rimettersi in piedi.

"Un ottimo lavoro, me ne compiaccio, Alcione!" –Commentò Nestore, visibilmente soddisfatto, mentre anche Antioco, Druso e gli altri si rialzavano, finalmente liberi dalla malia dei canti dionisiaci.

Artemidoro aiutò Penelope a sollevarsi di nuovo, notando quanto fosse provata dallo sforzo sostenuto. Persino una crepa era comparsa sulla maschera rifinita d’oro che la ragazza portava sul volto.

Proprio in quel momento il ponte levatoio crollò, abbattendosi con un fragoroso schianto sul fossato e aprendo la via alla conquista di Tirinto. Di fronte agli occhi sbalorditi degli Heroes.

Non visto infatti, un Satiro Guerriero, mimetizzatosi con l’arbustivo paesaggio circostante grazie alla sua corazza, si era avvicinato alla fortezza e aveva diretto due raggi energetici contro le catene di metallo che sostenevano il ponte, approfittando del disorientamento delle guardie, stordite dalla cacofonia dei satiri e delle Menadi.

A tal vista, l’improvvisato esercito di Dioniso sembrò riprendere vigore e dirigersi, sia pur con passo malfermo, verso l’entrata della fortezza, ricominciando a intonare un canto dionisiaco.

"Eh no! Adesso basta!" –Ruggì il Comandante della Quarta Legione, prima di lanciarsi dall’alto delle mura e atterrare, con un gran boato, sul ponte levatoio. –"Ci abbiamo provato con le buone, a tenervi lontani dai guai, ma pare che abbiate una certa predilezione per impantanarvi nel terreno sbagliato! Me ne rammarico, ma questa farsa di battaglia deve finire!"

Le parole del corpulento guerriero non sortirono alcun effetto sulle menti soggiogate e vinte dall’ebbrezza della compagine olimpica, che proseguì ad avanzare a ritmo di musica. La stessa melodia, di follia e morte, che da sempre scandiva i secondi della sua esistenza.

Fu solo quando Nestore espanse il suo cosmo azzurro e modificò le forme del suo corpo, abbandonandosi a un sonoro ruggito, che le Menadi e i satiri si fermarono, terrorizzati da tale repentina trasformazione.

"Ursus arctos middendorffi!" –Tuonò, evocando il potere dell’orso Kodiak, la più grande sottospecie di orso bruno sulla Terra.

Alto e massiccio, con una folta pelliccia marrone che fuoriusciva da sotto l’armatura, che si era adattata alla più robusta corporatura, Nestore avanzò verso l’esercito di Dioniso, agitando le braccia artigliate e spingendo indietro la gran massa di nemici. Ne afferrò alcuni, scagliandoli contro altri, gettandoli a terra e spezzando l’incanto della malia.

Druso, Antioco, Artemidoro e Anfitrione, a quella scena, discesero nel piazzale interno di Tirinto, per raggiungere il ponte levatoio e affiancare il compagno, la cui gigantesca mole torreggiava sulle Menadi e sui satiri, spingendoli confusamente indietro. D’un tratto però, un raggio di energia dal colore verdastro sfrecciò nell’aria, investendo in pieno l’imponente guerriero di Ercole e frenando la sua azione distruttiva, obbligandolo a focalizzare lo sguardo avanti a sé.

Sulle prime, Nestore non vide niente, e anche Alcione, che seguiva la scena dall’alto delle mura, e Nesso dall’acuta vista, ancora intento a tenere a bada le Menadi nel campo, impiegarono qualche secondo per individuare l’indistinta sagoma che era apparsa di fronte a Nestore.

Rivestito da una corazza verde e marrone, dalle forti proprietà mimetiche, capace di fondersi con l’arbustivo paesaggio circostante, un uomo dai folti capelli color verde pisello sogghignava soddisfatto, con il braccio teso verso Nestore, ancora fumante di energia cosmica. La stessa che, non visto, aveva rivolto contro il ponte levatoio prima e contro il grande orso poi.

Alcione lo osservò e gli bastò un secondo per notare quanto fosse identico a Momio del Fauno, fatta eccezione per il colore dei capelli, e capì che era un altro dei Satiri Guerrieri che Dioniso aveva aizzato loro contro. Si sentì quasi sollevata, poiché ben sapeva, per esperienza diretta, che la loro forza non era enorme, molto lontana dallo strapotere di Iris, Argo e Didone. Ma quel sorriso furbetto stampato sul volto del nemico la fece comunque temere.

"Chi sei, uomo che ti nascondi pavido tra i cespugli, anziché affrontare diretto il tuo nemico?" –Gli gridò. Ma le sue parole non lo toccarono minimamente. Né si spaventò quando il grande orso, ripresosi dalla momentanea sorpresa, fece per avventarsi su di lui, ruggendo inferocito.

Il Satiro Guerriero si limitò a soffiar sbadatamente di lato un ciuffo di capelli, afferrando al contempo un piccolo strumento musicale legato alla cinta dell’armatura. Un flauto a sei canne, su cui subito poggiò le labbra.

Al primo leggero soffio, Nestore si fermò, incapace di muovere ancora i propri arti massicci, quasi fosse trattenuto da visi invisibili. Al secondo, Alcione lo vide portarsi le braccia alla testa, afferrandola con sì grande forza al punto da credere che se la sarebbe staccata di getto.

Il terzo soffio fu più consistente degli altri. Acuto, vibrò di fronte alle mura ciclopiche, prostrando molti Heroes, satiri e Menadi a terra, disturbati da quel suono così stridulo, che terminò comunque poco dopo. Per un momento Alcione e gli altri pensarono che non fosse accaduto nulla, ma quando il grande orso risollevò lo sguardo, ruggendo irato verso il cielo, il Comandante della Legione del Mare vide che nei suoi occhi non c’era più traccia di razionalità.

Privato persino di quel barlume di autocontrollo che Nestore riusciva a mantenere quando assumeva la forma dell’orso Kodiak, adesso era divenuto un’inarrestabile fiera, che volse la propria azione distruttrice contro le mura di Tirinto, scagliandovi pietre e massi, e contro gli Heroes suoi compagni, avventandosi su di loro, di fronte al compiaciuto sguardo del Satiro Guerriero.

Lui, Celeneo del Fauno, il Pastore di Orsi, aveva appena ammaestrato il Comandante della Legione di Fede.