CAPITOLO V

 

Il mare spesso parla con parole lontane.

Dice cose che nessuno sa.

Soltanto coloro che conoscono l'amore

possono apprendere la lezione delle onde,

che hanno il movimento del cuore.

Romano Battaglia

 

Vuoto.

Vorrei avere solo il vuoto, in testa. Riuscire a non pensare. Quegli istanti...Cancellarli. Attimo per attimo. Secondo per secondo. Tornare indietro. E dire che non è successo nulla. Nulla. Che è stato solo un brutto sogno. Un incubo. Uno dei tanti, che mi visitano la notte. E invece...invece...

Vero. Tutto vero.

Ogni fotogramma di memoria. E la testa fissa lì, su quelle immagini. Una moviola continua: le urla, la rabbia, io che mi giro per andarmene e poi...poi...Quella sensazione strana, come quando ti aspetti che succeda qualcosa, da un momento all'altro...Quando sai di essere nel torto, di star commettendo un grandissimo errore...e illuderti cocciutamente di essere nel giusto...fino all'ultimo istante; all'ultimo secondo. A quell'ultimo dannato secondo. Quando ormai è già troppo tardi.

Mi sono voltato, ma ho sentito solo il fischio di una frenata. Poi, il colpo...e tanti voci attorno a me...confuse, lontane...Non capivo niente...Non sentivo più niente...Solo il pulsare martellante del sangue nella testa...e la sicurezza di non respirare più...

Bevo d'un fiato il mio whisky. Fuoco puro. In bocca; in gola; nello stomaco. Nausea.

Non importa. Ignoro tutto. In questo momento, quello che sento mi scivola semplicemente addosso. Non mi tocca.

Sento solo l'angoscia mordermi l'anima. Forte. Molto forte. E fa male. Maledettamente male.

Artiglio il bicchiere che ho in mano. Mi sembra quasi di sentire lo scricchiolio del vetro che si crepa, per poi spezzarsi.

Colpa mia.

E' stata solo colpa mia. Un attimo, il tempo di un respiro...e mi sono sentito morire. Come allora. Come con lei.

Lo stesso errore. Lo stesso maledettissimo errore: ho ignorato quel brivido che ho sentito. Quel campanellino d'allarme che ogni tanto mi suona in testa. L'ho ignorato. Questa volta l'ho fatto. Proprio questa volta.

Sferro un pugno sul bancone. Un secondo. E un altro. Ancora. Legno contro pelle. Schegge sottili nella carne, aghi che bruciano.

Maledizione! Perché ho permesso che fosse la rabbia a ragionare? Perché?! Perché?!

Di quello che può capitare a me non ha importanza. Io solo devo rispondere a me stesso. Io, e basta. E ho pieno diritto di scegliere come condurre la mia vita. Di giocarci, anche. Per vedere fin dove posso spingermi.

Egoista. Lo sono. Incosciente, pazzo, sventato...Mi hanno definito in mille modi. Non mi è mai importato. Riguarda me. Solo me.

Ma tu...Cosa c'entravi tu? Ti eri affidata a me. E io mi ero promesso di proteggerti. Come non avevo saputo proteggere lei. Lo avevo promesso a me stesso. Di vederti di nuovo sorridere; anche senza scoprire cosa ti angoscia. Perché qualcosa c'è, che ti fa preoccupare. E ancora non sono riuscito a scoprire cosa. Era un impegno che mi ero preso. Senza che tu mi dicessi qualcosa.

Anche se all'inizio la tua presenza mi infastidiva. Anche se ero arrabbiato. Avevo fatto quella promessa, perché in realtà ce l'avevo solo con me stesso.

Non ci sono riuscito.

Ho permesso che accadesse: la rabbia a dominare la mia mente. E ora maledico ogni parola che ho detto e pensato. Ogni gesto. Ogni respiro. Maledico me stesso.

Stupido. E' inutile. Non serve a niente. Non cambia quello che è successo. Non lo fa mai.

Mi passo una mano fra i capelli; sul collo. Devo avere un aspetto stravolto. E la cosa incredibile è che non mi importa nulla se qualcuno se ne accorge. Non me ne frega niente. Non ha importanza. Debole...sono debole. Pietoso...Dannatamente pietoso. M ora non ha importanza.

Sono annichilito. Semplicemente. Facoltà cerebrali ridotte a zero.

Svuotato completamente di ogni forza. Annullato in ogni fibra, in ogni atomo. Come allora.

Freddo...Come allora...L'ho risentito. Una sensazione di gelo che ti prende le ossa; che ti morde la carne...Pietrificante. Anche se fosse mezzogiorno. Anche se ci fossero cinquanta gradi.

Tremavo. Battevo i denti per quel freddo. Un freddo che mi sono ricordato subito. Come un lampo. L'ho riconosciuto. Perché non è un gelo normale. Ma ti viene da dentro. Si genera dentro di te. E non puoi fermarlo. Non c'è fiamma che possa scioglierlo.

Puoi solo cercare di ignorarlo. Rincorrere una lucidità che non riesci ad afferrare. Cercare di scacciare quelle sensazioni: la nebbia nella testa; le chiazze di luce davanti agli occhi. Condensa. Una condensa che ti impedisce di vedere. E tu non riesci a toglierla. Non ci riesci. Ci provi. Ci metti tutto te stesso. E al tempo stesso vorresti che non se ne andasse mai. Perché hai paura di quello che potresti mettere a fuoco.

Ho avuto paura. Per te.

E mi sono fatto violenza. Come allora. Come con lei. Quel torpore...l'ho scacciato. Ignorato. E mi sono mosso. In fretta; molto in fretta. Ignorando il respiro che non voleva tornare; le proteste dei muscoli che non riuscivo a controllare... Mi muovevo veloce, eppure mi sembrava di trascinare del piombo. Il più piccolo gesto era uno sforzo immane. Mozzava il respiro.

Tutto. Ho ignorato tutto. E ho pensato a te. Solo a te.

Era l'unica cosa di cui mi importasse. L'unica.

Ma più tempo passava, più il gelo s'irradiava. Strisciava silenzioso dentro di me. Sotto la pelle. Sgradevole. Una sensazione orribile. Alla fine, mi ha avvolto tutto: un limbo dove non senti più nulla. Anestesia totale. E ora che se ne sta andando, si porta via le ultime scintille di energia che mi restavano.

Whisky. Ne voglio un altro. Per svegliarmi.

Faccio un cenno al barista. Mi guarda con rimprovero, accennando agli altri bicchieri che ho allineato sul bancone. Sarebbe il decimo...

Mi stringo nelle spalle, ignorandolo. In questo momento, non ho proprio voglia di sorbirmi una predica moralistico-salutistica.

Deve averlo capito, perché non sento più il suo sguardo su di me.

Non ho intenzione di ubriacarmi. Voglio solo svegliarmi. Tornare me stesso.

Un colpo sordo, secco: un bicchiere davanti a me, sul bancone. Sono sobbalzato. Istintivamente. Alzo la testa, e lo sguardo che incrocio è duro, pieno di rabbia e frustrazione.

E' un'occhiata di un attimo. Forse me la sono solo immaginata. O forse no.

In fondo, lo capisco. Cosa ha visto?... un ragazzo...che tracanna d'un fiato bicchieri colmi di liquore... Un ragazzo annientato, sbandato... un perdente...Potrei essere suo figlio...

Una smorfia mi storce la bocca. Un sorriso. Amaro.

Devo sembrare completamente ubriaco. I miei gesti, l' atteggiamento, gli scatti improvvisi. Tutto lo farebbero supporre.

Non sono ubriaco. Anzi. Sono lucidissimo. Nonostante tutto l'alcool che ho ingurgitato. Nonostante lo sguardo vacuo che mi si deve leggere negli occhi.

Sono perfettamente sobrio. Perché bere fa dimenticare. E io non voglio dimenticare. Perché è un' aiuto falso e ipocrita. Una chimera che lascia vuoti e insoddisfatti. E io non ho bisogno di aiuto. Di certo, non di un aiuto del genere.

Sarebbe come ammettere una sconfitta. Come se cedessi alla disperazione. E io non amo arrendermi. Non è qualcosa che mi appartenga. Perché è da vigliacchi arrendersi. E dimenticare.

E io non sono un vigliacco. Non ancora...

Guardo il bicchiere davanti a me; la luce riflessa da quell'ambra scura.

Arabeschi...immagini sbiadite ed evanescenti...Ricordi...

E rimpianti...

Ne ho tanti, di rimpianti. Troppi, forse. E non riesco a scrollarmeli di dosso. Mi limito a conviverci. semplicemente.

Ma questo non lo avrei voluto avere. Non di nuovo. Avrei dovuto evitarlo; in qualunque modo. Non lo volevo, questo senso di colpa. Come quello per lei.

Come tanti altri.

Sbagli...Tanti sbagli che io ho commesso in vita mia...Una somma che mi pesa sul cuore...Perché hanno colpito chi mi stava attorno; perché mi hanno risparmiato. Almeno direttamente. E adesso non posso far altro che affogare nel dispiacere. E nella consapevolezza che indietro non si può tornare.

Alla fine, sono rimasto solo. Con un grande vuoto dentro. Un nulla che mi spaventa. Terrore puro. Angoscia. Perché conosco la sola cosa che lo potrebbe colmare. E so di averla persa per sempre. Per colpa mia.

Disilluso...ormai lo sono. Completamente. Quasi fatalista.

Eppure ho ancora abbastanza lucidità, e forza, per capire che la soluzione non è in questo bicchiere. Non è nell'oblio. Sarebbe solo una scorciatoia verso l'abbandono. E non fa per me. Anche se ogni tanto mi piace abbandonarmi al vuoto. Per non pensare. Mi serve. Per ritrovarmi.

Come in un gioco...Perché amo giocare...soprattutto con me stesso. Per vedere fin dove posso arrivare...

Perdermi e ritrovarmi... Vivere, libero e senza regole...Per affermare la mia indipendenza...

Per fuggire i miei fantasmi...

La mia vita è un gioco. Solo un gioco...Con il destino...Contro il destino...Sempre se esiste...

Ma tu non dovevi entrarci, in questo gioco. In questo vortice che mi sono creato attorno. Dannazione! Non dovevi esserne coinvolta! Io non dovevo coinvolgerti!

Perché anche in quel momento io stavo giocando. Un gioco stupido. E inutile. Maledettamente inutile. Mi ero intestardito; e volevo vedere fin dove riuscivo a reggere. Volevo farti perdere. Per una volta. Una soltanto.

Questione d'orgoglio. Di questo mio stramaledetto orgoglio.

Litigare...Non avevo mai litigato così con te...Con rabbia. Vera. Con esasperazione.

Perché mi ero stufato dei tuoi rifiuti. E perché il non capire i tuoi occhi imploranti mi ha dato alla testa.

Prendo in mano il bicchiere, avvicinandomelo. Il riflesso della lampada naufraga in quell'ambra scura. Si è perso. Come il mio cinico autocontrollo. Che non è mai esistito. Una grottesca recitazione...Delirante...

Sorrido. Un sorriso tirato. Di commiserazione. Verso di me.

No. Non sono ubriaco. Sono sobrio. Perfettamente. E so che è stata colpa mia. Mia e del mio maledetto caratteraccio. E che devo rimediare.

Posiziono il bicchiere sul bancone, accanto agli altri. Non so ancora come, ma devo trovare il modo per chiederti scusa.

Anche se è difficile. Molto difficile. Soprattutto per me. Perché significa affrontare quel rimorso che ho dentro. Da più di dieci anni.

Pronunciare quelle parole che non ho mai detto. Neanche a lei. Anche se dentro di me le ripeto ogni istante. Da più di dieci anni.

Getto un'ultima occhiata la bicchiere ed esco. È ancora pieno. Non l'ho bevuto. Perché non mi serve. So cosa devo fare. E so che lo voglio fare.

Devo trovare il modo di dire che mi dispiace. Che so che è colpa mia. E che so anche che le parole non servono a molto ormai. Che non servono a niente, dopo.

Tuttavia, devo riuscire a dirlo. A te. E anche a lei.

 

 

Il mare...

Mia madre lo adorava. Amava l'acqua; ne era attratta come ne fosse stata parte...come se fosse nata dal mare...

L'acqua...Diceva che era come velluto; una stoffa magica e irreale. Che era fatta per avvolgere e cullare. Mi teneva in braccio, stretto a sé, e camminava fra le onde, lasciando che la salsedine ci inebriasse. Mi faceva volare con i gabbiani, fra perle di sale. Mi faceva ascoltare il canto antico del mare. Nelle volute perlacee delle conchiglie. Mi insegnava ad mare l'abbraccio della sabbia.

È il ricordo più caro della mia infanzia. Al tramonto, mia madre che indica quella distesa d'inchiostro e qua e là un bagliore d'oro smorzato e suggestivo. Non riuscivo mai a capire di cosa si trattasse, ma aveva sempre un fascino magico e irreale. Uno scintillio fugace contro un fondo umido e nero.

Ho amato il mare. Perché mia madre mi ha insegnato ad amarlo.

E l'ho odiato. Perché si è portato via mia madre. Perché si è portato via anche lei.

Lei che era il sole che filtrava fra le sbarre d'acqua della mia adolescenza...Lei che amava il mare come mia madre...Lei con cui rievocavo un gioco di bambino...Lei che per prima mi aveva fatto battere il cuore...La mia forza...

...Se l'è portata via...Me l'ha tolta, avvolgendola per sempre nelle sue profondità...Mi ha privato anche di quell'ultimo conforto...

È crudele, il mare. Ti seduce, e poi ti abbandona.

Ti ipnotizza con la sua danza lenta, e quando ti lascia ti scopri incapace di sostenere il sole. Sei solo un ciottolo ben levigato. Indifeso. Uno; fra milioni. Destinato a sbriciolarsi.

Odio il mare.

E lui, subdolo, continua a sussurrarmi all'orecchio il suono della sua risata. Continua ad accarezzarmi, ma io so che non aspetta altro che schiaffeggiarmi. Di nuovo.

Salsedine…È il suo sapore. Il sapore del mere. Il profumo che aveva lei. Avvolge. Stordisce. È un delirio. Una vertigine.

Il mare...

È la mia condanna. Non riesco a starci lontano. Mi sento soffocare se non ne respiro l'aria salina.

Mi ha conquistato. Mi ha dannato.

Perché sono ancorato a ciò che più di tutto mi ha fatto male. E non riesco ad allontanarmene.

Non posso.

Perché in fondo io assomiglio al mare... Incostante ed eterno...Subdolo e traditore...Come il mere...

E lui, impalcabile, mi restituisce tormenti e ricordi. Perché azzera il tempo nel suo sciabordio infinito. E mi fa rivivere sempre le stesse sensazioni. Pugni allo stomaco. Un nodo in gola.

Ormai, non so più neanche da quanto ho questa sensazione di soffocare. Ho perso il conto dei giorni. So solo che c'è. Punto. Non è più dolore. E neanche fastidio. Ho anche rinunciato a scioglierlo. Credo che sia come una forma di espiazione. Almeno, la vivo così...

Mi siedo su uno degli attracchi di ferro del molo, fra il cordame. Sono tornato al mare. Di nuovo. Odore di sabbia e sale. Odore di marcio.

Mi nausea. Mi da il voltastomaco. Anche se di solito mi piace.

Nausea...E paura. Di non riuscire a spiegarmi. Di sentire di nuovo il malessere di allora. Il dolore.

Una sensazione che corre sotto la pelle. Come un brivido o un fuoco sottile. L'idea di aver fallito. Di non essere riuscito a proteggere ciò che mi era caro. Di essere un incapace. Un fallito.

No. Non sono un fallito...Ma ho l'anima a pezzi...Quel puzzle che avevo faticosamente ricostruito...Che mi ero illuso di aver ricostruito...Precario, va bene...Ma di nuovo integro, almeno in apparenza...Frantumato...Esploso come una bolla di sapone...

No. Non sono un fallito...Sono solo debole. Maledettamente debole!

Io...Proprio io...Io che ho sempre spronato mia fratello ad essere forte. Io che rivendicavo con arroganza la mia indipendenza, la mia autonomia...

Sono il più fragile di loro...però è una fragilità che non mi pesa...non più...Perché è dovuta a lei...

Lei...Ho sempre rincorso il suo ricordo. Ho sempre cercato una forma di espiazione.

La mai forza...Tutta la mia forza...è solo questo...cocciutaggine e rimorso.

Verso di lei...e ora anche verso di te...

Respiro. Un respiro profondo. Ho bisogno di aria. Di forza. Perché non posso continuare a scappare. Sono cresciuto, e devo trovare la forza per affrontare me stesso.

Per provare a respirare ancora. Senza sentirmi soffocare. Senza la sensazione di aver rubato l'aria a lei. L'aria...veleno nei polmoni, nella gola. Brucia...Come le lacrime di quel giorno...

Devo smetterla di giocare. Anche con me stesso.

E voglio iniziare da qui. Da questo molo. Dal mare. Perché è giusto così.

Ho un filo d'argento intrecciato alle dita. Una catenina lucente nel tramonto. Ci sto giocando da ore. Da quando l'ho acquistata.

Sorrido.

È una striscia sottile, delicata; cerchietti minuscoli intrecciati. Luce. Attorno alla mia mano, perennemente abbronzata.

Malinconia.

Il ricordo di una carezza leggera. La sua mano nella mia.

L'ho comprata per lei. Perché appena l'ho vista in quella vetrina ho deciso che era per lei. Una striscia bianca con un fiore d'argento traforato per pendaglio.

Un fiore...

Perché lei era il mio fiore.

Gli ultimi raggi imbiondano il mare. È ora. Mi alzo e raccolgo la collana in una mano, portandomela alle labbra.

Un istante...e la getto lontana. Con tutta la forza che riesco a trovare. Voglio donargliela. Per chiederle scusa. Perché non sono mai stato bravo con le parole. Ma lei lo sa. Capirà ugualmente il mio gesto. Perché lei mi conosce. E mi sa leggere dentro.

Buio. Velluto. Solo lo sciabordio delle onde. E profumo di sale.

Aspetto.

Un minuto. Due minuti. Tre...Non ho fretta. Mi godo totalmente il vuoto che mi pervade. Aspetto...Come quando ero bambino, fra le braccia di mia madre.

Un riverbero d'argento.

E io so cos'è. Questa volta lo so.

Respiro piano e una smorfia mi increspa le labbra. Un sorriso. Triste.

Va bene. Va tutto bene. Il mare ha capito. Ha raccolto il mio dono.

E lo porterà a lei.

 

 

Panico.

L'ho provato quando l'infermiera mi ha detto che te ne eri andata. Ero semplicemente sconvolto. Poi lei è stata più chiara, e io ho ripreso a respirare. Ormai sono cinque minuti buoni che sono qui, inchiodato davanti alla maledetta porta di questa pensione. Inizio a sentirmi leggermente stupido, mentre cerco di trovare il coraggio di bussare. Accenno il colpo e poi mi blocco, sorprendendomi di me stesso. Respiro profondamente...Dannazione! Che mi ha preso? Avevo deciso cosa fare. Ora non ha senso farsi prendere nuovamente dai dubbi...Insomma! Sono una persona adulta; mi devo comportare di conseguenza!

D'accordo. Ora busso...

Le mie nocche sul legno producono un suono stranamente leggero; eppure, mi sembra il rullare di un tamburo. Ho un ronzio assordante nelle orecchie. E mi gira la testa. Non riesco a capire nulla. Non percepisco nulla. Solo un sussurro che arriva lieve al mio cervello. La tua voce.

Non so cos'hai detto. Non l'ho capito. Ma ormai non posso più tornare indietro. Se solo le pareti smettessero di ondeggiare...

Socchiudo leggermente la porta. Non odiarmi...

"Posso?" chiedo, e la mia voce trema.

Il tuo sguardo è sorpreso. Forse non ti aspettavi di vedermi, non ti aspettavi che sarei venuto...Non così presto, almeno...

Che stupido. Ovvio che non te lo aspettavi. Non dopo che sono andato via dall'ospedale. Anzi, per essere più precisi, dopo che sono scappato. Perché è questo che ho fatto: ti ho lasciata sola. Dopo tutti i miei buoni propositi di starti accanto. Ma non ce la facevo più. Ero troppo confuso. E impaurito. Avevo bisogno di pensare. E dovevo essere solo per farlo.

Non dici niente. Continui a fissarmi. Stai cercando di dirmi qualcosa, ma io non capisco. Non voglio capire. Perché non me lo merito.

Insultami. Cacciami via. Odiami...Fa qualsiasi cosa! Ma ti prego: smettila di guardarmi! Sono colpevole. Sono maledettamente colpevole. Me ne rendo conto. Perfettamente.

Non ce la faccio più a reggere il tuo sguardo così sereno. Perché è questo che c'è nei tuoi occhi...Serenità...Non stupore, quello c'era prima; e neanche rabbia, risentimento...Ora c'è solo tranquillità.

"Entra. Non restare sulla porta".

Annuisco, senza rispondere. Sono incapace di parlare. Mi chiudo la porta alle spalle, come un automa, e mi avvicino al tuo letto.

Devi esserti svegliata da poco, perché le coperte sono tutte sfatte...Forse sono stato proprio io a svegliarti...

Hai addosso una tuta di tre taglie troppo grande...Una mia vecchia tuta...E attorno alla testa, fra i capelli, si intravede una fasciatura...

Un crampo mi chiude lo stomaco...é stata colpa mia...é andata bene, te la sei cavata con una semplice botta, e un bello spavento...ma questo non cambia la realtà...la colpa è stata mia...

Dovresti essere arrabbiata per come mi sono comportato con te...E invece sei qui che mi sorridi tranquillamente...Come se non fosse successo niente...Come se fossi appena ricomparso dopo una di quelle assenze di alcune ore che ogni tanto mi concedo ancora, nonostante ci sia tu ora con me...

Non ce la faccio a guardarti in faccia. Indugio con lo sguardo oltre la finestra, nel buio della notte… È difficile trovare le parole per dirti quello che ho in testa...

Non so per quanto resto smarrito nei miei pensieri. So solo che all'improvviso mi sento afferrare delicatamente il polso e tirare verso il basso.

Ci metto un po' a riprendermi, e quando realizzo che sono seduto sul letto, sul tuo letto, tu mi stai già allungando una tazza fumante.

Non so cosa sia, ma ha un buon profumo di menta. Prima non me ne ero accorto, ma tutta la stanza ha lo stesso profumo.

Mi piace... È acre, un po' pungente, ma non aggressivo. Mi spieghi che è una tisana, un ottimo analgesico, migliore delle medicine che ho intravisto sul tuo comodino. Te lo ha portato la proprietaria della pensione. Quella donna anziana, che ha sempre un grembiule bianchissimo e i capelli grigi raccolti in una crocchia e che ti ha preso i simpatia da quando siamo arrivati qui. E che ti mette sempre da parte un po' del dolce del giorno. Da quando sei diventata così golosa?...

Chiudo gli occhi e ne bevo un lungo sorso. Buono. Davvero. Menta, verbena, chiodi di garofano e poi c'è qualcos'altro...qualcosa di dolce...forse miele...

Ti guardo sorridermi, con il viso avvolto dal leggero vapore dell'infuso, e inizio a rilassarmi.

Una smorfia mi storce le labbra. Una specie di sorriso. Va bene: non è molto. Ma è un inizio. Forse riuscirò anche a trovare il modo giusto per scusarmi. Come l'ho trovato per lei.

Continui a guardarmi, inclinando la testa di lato. Lo so: adesso dovrei parlare, dirti qualcosa. Anche solo una banalità. E invece non riesco a spiccicare parola.

Abbasso lo sguardo ed evito di nuovo di guardarti. Ho paura, ecco la verità. Paura di quello che ti può succedere se mi resti accanto. Paura di farmi coinvolgere troppo. Paura del tuo sorriso.

Vago con lo sguardo per tutta la stanza, ma in realtà non vedo nulla. Sto solo cercando disperatamente un argomento per introdurre una conversazione. Qualcosa che vada oltre i miei mugolii e i miei cenni. Qualcosa che non sia il solito, patetico Come va?. Qualsiasi cosa.

Perché ho voglia di parlare. E di sentire la tua voce. Un desiderio fortissimo. Come non lo sentivo da tanto. Forse, come non l'ho mai sentito. La tua voce...Esserne accarezzato...Non m'importerebbe l'argomento, mi basterebbe sentirti parlare...Perché vorrebbe dire che stai bene; davvero. E io avrei la certezza che non stai fingendo per non farmi preoccupare.

Avere la certezza che la tua non è solo una maschera.

Parlare...Anche perché ho la sensazione che tu stessa voglia parlare. Dirmi qualcosa...Non riesco proprio a capire questa mia sensazione, ma la distinguo chiara...

Ed è spiazzante...anche se mi lascia tranquillo...Non mi fa preoccupare...Qualunque cosa tu debba dirmi...

Fra le lenzuola, c'é il mio lettore CD. Mi rabbuio di colpo. Ti fa male. Perché continui ad ascoltare quel maledetto CD? Ti fa male. Cerco di convincermi che non sono la persona più indicata per dirtelo. Che a questo punto non sono affari miei, visto il mio comportamento. Ma non ce la faccio. È più forte di me.

Tu mi guardi ammiccante, ed estrai da sotto le coperte un porta CD. Il mio porta CD.

"Sai...Hai una raccolta davvero interessante. È molto particolare".

Dannazione. Vorrei sprofondare. Continuo a non guardarti in faccia. Non voglio che tu ti renda conto di quanto mi senta debole.

Ti sento armeggiare con il lettore e poi la tua mano mi sfiora una guancia. Delicatamente. Stai cercando di infilarmi in un orecchio una delle cuffie. Come una bambina.

Muovo la mano meccanicamente, sostituendola alla tua. Ci sfioriamo...Una scossa che mi percorre tutto il corpo.

Non riesco a pensare a nulla. Non voglio pensare nulla...La mia testa è in grado di formulare una sola parola: grazie.

Grazie...Una parola che mi esce raramente dalle labbra, ma che ora vorrei gridare forte...Anche se la voce è un respiro strozzato, anche se è un mormorio rauco e indistinto...

Grazie...

Perché mi stai lasciando il tempo per trovare le parole giuste. Perché cerchi di aiutarmi senza farmi pesare il mio silenzio colpevole. Perché esisti. E cerchi di capirmi.

Se leggera ti farai
io sarò vento
per darti il mio sostegno
senza fingere e
se distanza ti farai
io sarò asfalto
impronta sui tuoi passi
senza stringere mai.
Se battaglia ti farai
io starò al fianco
per darti il mio sorriso
senza fingere e
se dolore ti farai
io starò attento
a ricucire i tagli
senza stringere mai.


Fuori è un giorno fragile
ma tutto qui cade incantevole come quando
resti con me
fuori è un mondo fragile
ma tutto qui cade incantevole come quando
resti con me.


Se innocenza ti farai
io sarò fango
che tenta la tua pelle
senza bruciare.
Se destino ti farai
io sarò pronto
per tutto ciò che è stato
a non rimpiangere mai.


Fuori è un giorno fragile
ma tutto qui cade incantevole, come quando
resti con me
fuori è un mondo fragile
ma tutto qui cade incantevole, come quando
resti con me.


Fuori è un giorno fragile
fuori è un mondo fragile.


Fuori è un giorno fragile
ma qui tutto qui cade incantevole, come quando
resti con me
fuori è un mondo fragile
ma tutto qui cade incantevole, come quando
resti con me.

Questa canzone...Mi stai parlando...Stai cercando di comunicare con me. E io finalmente riesco a capirti. Perché mi stai parlando in una lingua che conosco. Che ho imparato a conoscere. Per riuscire a mia volta a parlare con chi mi circonda e mi sa ascoltare...

Tutto quello che in questi mesi ti leggevo negli occhi, tutte quelle sfumature cangianti...stai cercando di spiegarmele...e non con le parole, ma con la musica...perché io possa comprenderle appieno e ogni tuo atteggiamento trovi una spiegazione, come i tasselli di un puzzle...

Insicura. Confusa e vulnerabile. Ti senti così in questo momento, vero? Uno stato d'animo molto umano. Profondo.

Fragile. Ti senti così, in questo momento. Come mi sento anch'io.

Ti sfioro con una carezza. Mi dispiace. Per non averti capita subito. Per averti lasciata sola. Per non averti protetta. Per averti fatto del male.

Tu appoggi il viso alla mia mano e scuoti leggermente la testa. Mi compatisci?

Già, sono uno stupido...Avresti ragione a farlo. Ma so che vuoi solo dirmi che non mi serbi rancore...Che ti vado bene così come sono...

Giocherelli col filo delle cuffie...mentre questa musica azzera i nostri pensieri...

Le tue dita sottili...sembrano danzare...una danza che non ha musica, ma che mi ipnotizza e stordisce...

Sembri così tranquilla...

Stop. Hai bloccato il lettore. Per un attimo, c'è solo il sussurro dei nostri respiri. I tuoi occhi in cui affogare.

Perché abbiamo litigato? ...Orgoglio...Per il mio orgoglio...

Lo so, ma non lo voglio ricordare. Perché ormai non ha più importanza. Non voglio più litigare. Non con te.

...America...Casa mia...La mia casa sul mare...

È stato un lampo veloce nella mente, ma ho deciso. Ti porterò là...Perché voglio che tu respiri quell'aria...Come avrei voluto che facesse lei...

Sì. Ho deciso. Andremo là.

Perché non voglio che il tuo sorriso si spenga di nuovo. Non a causa mia.

Ti osservo intensamente. Mi capisci? Riesci a capire quello che ti voglio dire?

Hai vinto. Lo ammetto: mi hai battuto. Stregato dai tuoi occhi. Come mi aveva stregato lei.

Occhi che ridono...I tuoi occhi ridono...

Play.

Suoni. Una pioggia di suoni. E colori e raggi di sole. Me ne sento inondare.

Riconosco l'album: Takk…. Sigùr Ros.

Un regalo di mio fratello.

Suoni densi che si susseguono nei brani, fra crescendo di sonorità. Una beatitudine improvvisa, che trasporta lontano i problemi.

E poi, melodie di carillon, voci acute e tremolii d'archi: intermezzi riflessivi. Per poi tornare alle sonorità forti dei crescendo espressivi.

Come un fiume infinito. Linfa vitale che mi sento scorrere nelle vene.

La musica si spegne; e io respiro paino.

È ora. Devo darti il pacchetto che ho in tasca. Perché non riesco a trovare le parole adatte. Allora lascio che siano i miei gesti a parlare. Come ho fatto con lei.

Il tuo sguardo sorpreso mi fa sorridere. Decisamente, questo non è un comportamento da me. O almeno, non della persona che ho sempre voluto dimostrare di essere.

Te lo saresti mai aspettato un regalo da me? Probabilmente no. Ma ormai, non ricordo più neanch'io cosa è da me.

So solo che questo è l'unico modo che ho trovato per dirti che mi dispiace. Lo stesso che ho usato per dirlo a lei.

Sono teso, una corda di violino, mentre ti guardo scartare piano la carta blu e argento, come se fosse preziosissima. Era molto bella. Peccato che le mie mani nervose l'abbiano pressoché distrutta. Ci sto giocherellando da tutta la sera. Da quando sono uscito dal negozio. Al molo. Davanti a questa porta. Mentre ascoltavamo musica.

L'altro pacchetto era per lei. L'ho scartato io.

Ma questo devi aprirlo tu. Perché è giusto così.

Dopo, puoi anche sbattermelo in faccia e dirmi che sono uno stupido, un immaturo, un superficiale, che crede che un regalo possa risolvere tutto. Che invece non è risolto nulla. Che tu sei arrabbiata con me. Delusa da me. E che non mi vuoi più vedere. Puoi farlo. Ne hai pieno diritto. Mi meriterei tutto questo e anche di peggio.

Dopo, però. Dopo...

Ora, voglio solo godermi il tocco curioso delle tue mani su quella scatolina colorata.

"È stupenda" sussurri sollevando una catenina d'argento con una farfalla traforata per ciondolo.

Già, una farfalla...Perché come lei anche tu sei fragile e bella, ma hai la forza di volare...e io voglio vederti di nuovo spiccare il volo...

Te la predo mentre ancora la stai rigirando fra le mani. Spero solo che tu non ti accorga di quanto sto tremando mentre mi sporgo verso di te, ti abbasso il bavaro della tuta e ti cingo il collo con quel filo sottile...

...Ti prego...Non mi cacciare...

...Vorrei restare con te...

"Promettimi che la porterai sempre". È una supplica. Perché ho bisogno di sapere se tu hai capito. Non m'importa del dopo. Voglio solo sapere se tu hai capito quello che non riesco a dirti: mi dispiace. Ti sto chiedendo perdono. Mi puoi anche cacciare. Mi basta sapere che non mi odi. Perché questo non riuscirei a sopportarlo...

Per questo non mi vergogno neanche del tono della mia voce. Una voce che non mi appartiene.

Abbasso la testa. Sono in attesa di una tua parola. Una parola qualsiasi.

Secondi lunghi una vita...

Sussulto...

Le tue braccia attorno al mio collo...e il tuo viso vicino al mio...troppo vicino...

"Sempre. È una promessa" mi sussurri piano all'orecchio, e poi appoggi la testa sulla mia spalla, chiudendo gli occhi.

...Inebetito...Non riesco a reagire...Il tuo corpo vicino al mio...

Ho paura...Come non ricordo di averne provata mai in vita mia...Come quella che mi prese quel giorno, mentre abbracciavo lei...

"Sei uno sciocco..." aggiungi sfiorando con una carezza."Non te ne andrai, vero?"

Sorrido. E finalmente mi rilasso.

Hai capito...E mi hai perdonato...

Ti cingo piano la vita, ricambiando il tuo abbraccio.

No. Non me ne vado. Dovrai cacciarmi tu, se vuoi che sparisca dalla tua vita. Per il momento resto qui. Voglio solo respirare il tuo profumo.

Sì; voglio sentire avvolgermi dal tuo profumo. Perché mi stai donando un'emozione che non provavo da più di dieci anni.

Chiudo gli occhi e abbasso il mio viso.

Solo un istante. Mi basta un istante.

Ma voglio respirare il tuo respiro.

 

1: La canzone s’intitola Incantevole dei Subsonica ed è uscita nel 2005