CAPITOLO IX

DeathMask, l'irrequieto

Sul mare calmo, arrossato dal sole basso all'orizzonte, stava scivolando lentamente una piccola imbarcazione, diretta verso ovest, mentre alcuni pescatori, a riva, l'osservavano allontanarsi, raccogliendo le reti sui loro gozzi.

Un uomo dall'aria soddisfatta, che abitava nelle vicinanze del porto, entrò nel cortile di casa, tenendo in mano una cassa colma di pesce.

"Irene eccomi di ritorno. Ho fatto un affare al porto".

"Ho sempre uno strano presentimento quando odo tali parole, Zenas" rispose enigmatica la donna, dall'interno.

Zenas si fermò di colpo sull'uscio, poi, con un sorriso un po' forzato, entrò in casa rispondendo in modo impacciato:

"Ma, ma cosa dici tesoro? Vieni qui e guarda tu stessa".

La donna, dai capelli neri come la notte e col viso segnato dai primi segni del tempo, asciugò le mani col suo grembiule e si avvicinò incuriosita al tavolo dove Zenas aveva appoggiato la cassa.

"Per sole venti dracme ho acquistato tutto questo pesce!"

"Va bene, dov'è la brutta sorpresa?" rispose quasi annoiata Irene, osservando la merce.

"Ma...ma..." rispose interdetto Zenas "...è un affare, te l'ho detto!" Irene osservò con attenzione la cassa, realizzando che con sole venti dracme suo marito aveva davvero fatto un ottimo acquisto:

"Sembra che tu abbia ragione, sei un uomo che migliora con l'avanzare dell'età a quanto pare!" Sorrise.

L'espressione soddisfatta di Zenas divenne di colpo una smorfia perplessa:

"Sembro invecchiato, tesoro?"

Irene rise, portandosi la mano alla bocca.

"I tuoi capelli argentati non mentono, ma questo non importa". Lo baciò sulla guancia.

L'uomo fu ammaliato dall'amorevole gesto ma la donna lo riportò prontamente alla realtà, indicandogli la porta:

"Ora però vai ad innaffiare gli ortaggi, con questo caldo il terreno si sarà di certo inaridito troppo!"

"Va bene, va bene..." rispose controvoglia Zenas, alzando lo sguardo e dirigendosi all'uscio.

"Sbrigati, la cena è quasi pronta!"

"D'accordo, d'accordo cara".

Irene osservò il marito uscire lentamente e sorrise.

Zenas calò il secchio nel pozzo e tirò su l'acqua, iniziando ad innaffiare qualche pianta quando, d'un tratto, venne distratto da una voce a lui familiare.

"Ehi, Zenas!"

Si voltò, stupito.

"Tu? Brutta peste, sei tu? Vieni qui fatti abbracciare!"

"Piano con le smancerie, Zenas!"

"Sono passati pochi giorni, eppure ti vedo cambiato! Sembri cresciuto davvero tanto moccioso che non sei altro!" Sorrise.

"Dunque è qui che abiti?"

"Si DeathMask, questa è la mia umile dimora". Il giovane, incuriosito, si guardò intorno, osservando con attenzione il piccolo orticello dell'uomo. Nonostante nei giorni precedenti avesse avuto varie discussioni con l'irrefrenabile allievo, Zenas era un uomo troppo buono per portare rancore: l'inattesa visita lo aveva molto rallegrato.

"Maestro Zenas!"

Una nuova voce lo salutò in lontananza. L'uomo si voltò e riconobbe la grande sagoma di Aldebaran avvicinarsi, salutandolo.

"Anche tu qui? Venite, entrate pure!"

Irene si affacciò all'uscio, incuriosita dalle nuove voci:

"Zenas, cos'è questo baccano?"

Il marito si voltò entusiasta:

"Tesoro, ti presento DeathMask ed Aldebaran, due promettenti allievi dell'Accademia che un giorno vestiranno le Armature d'Oro..." gonfiò il petto e abbracciò Aldebaran per mostrare con orgoglio alla moglie il rapporto confidenziale che aveva istaurato nei pochi giorni trascorsi al fianco di quei giovani "...Come ti ho spiegato, ho avuto l'onore di accoglierli qui a Rodorio non più di una settimana fa".

"Dunque sono loro?" chiese stupita la donna, unendo le mani.

"Sono due dei nove allievi che avranno l'onore e l'onere di presidiare un giorno le dodici Case!".

"Ma è meraviglioso. Accomodatevi, vi prego! Mai nessun guerriero, Cavaliere o apprendista che fosse, era entrato in casa nostra!"

Dopo i saluti, i giovani entrarono, si accomodarono attorno al tavolo centrale, sul quale era ancora appoggiata la cassa col pesce, e diedero un'occhiata alla piccola ma accogliente casa del loro primo maestro.

"Irene, prepara il chai per i nostri ospiti" disse Zenas prendendo uno sgabello.

"Chai?" chiese incuriosito DeathMask mentre dava un'occhiata al pesce.

"E' un tè aromatizzato con erbe e spezie che mio figlio ha portato dall'Oriente. Sapete, è un commerciante e per tale motivo è spesso lontano da casa. Lavora con mio fratello e viaggia in lungo e in largo da Oriente a Occidente."

Irene, avvicinandosi, disse con un sorriso:

"Saremmo felici se vi fermaste per cena, giovani Cavalieri".

"Siete molto gentile signora, ma non ci è permesso restare fuori dall'Accademia dopo il tramonto. I nostri maestri ci hanno concesso un po' di tempo libero, dopo il duro allenamento odierno, ma tra poco dovremo ritornare".

"Capisco" fece la donna con un filo di dispiacere nella voce.

"Un vero peccato, sapete, mia moglie è un'ottima cuoca".

"Ne sono sicuro..." sorrise Aldebaran "...dal profumo che proviene dalle pentole non può che essere così".

Irene giunse con la bevanda e quattro tazze. Bevvero. Tra un sorso e l'altro, Zenas chiese incuriosito:

"Aldebaran, cos'è quella fasciatura al braccio? Hai subito una ferita in allenamento?"

"Sì, purtroppo non riesco ancora a controllare il mio enorme potere e l'ho ferito involontariamente" si intromise DeathMask in tono irriverente.

"Ma smettila..." rise il compagno "...in realtà ho avuto l'onore di combattere contro il grande Sibrando della Coppa e questo è un piccolo ricordo delle varie volte in cui oggi ho mangiato la polvere!"

"Oh, mi dispiace!" esclamò Irene.

"Non preoccupatevi! E' così grande e grosso che una ferita del genere per lui non è nulla, vero Aldebaran?" disse ironico DeathMask, mentre con una pacca colpiva il braccio ferito del compagno.

"Idiota, così mi fai male!".

DeathMask rise di gusto, contagiando in breve anche il compagno e con egli Irene e suo marito.

"Dove sono i vostri compagni?" chiese poi Zenas.

"Da qualche parte nelle vicinanze o, chissà, saranno già ritornati all'Accademia. A proposito, il sole è calato DeathMask, dobbiamo andare. Vi ringrazio per l'ospitalità Irene..." Aldebaran si portò una mano al petto e abbassò il capo. "...Zenas mi ha fatto piacere rivedervi, grazie di tutto".

"Irene, Zenas vi ringrazio." Anche DeathMask salutò con riverenza.

"E' stato un vero piacere conoscervi, porgete i miei saluti ai vostri compagni e dite che la nostra casa è sempre aperta se un giorno vorrete ritornare a farci visita".

"Sarà fatto gentile signora".

Zenas li accompagnò alla porta e li osservò allontanarsi nell'ormai debole luce del tramonto che precedeva il buio della sera. Con un sorriso malinconico tornò in casa.

Dalla brulla collinetta che fiancheggiava Rodorio e si spingeva fino al mare, stavano nel frattempo discendendo Mur e Shaka, abbigliati con tuniche leggere e colorate, le stesse che avevano indosso al loro arrivo in Grecia. Era un abbigliamento inusuale a vedersi, ma elegante e raffinato: le sete orientali, decorate con motivi variopinti, tipici delle rispettive zone d'origine, erano uno spettacolo inatteso per gli sguardi curiosi di alcuni abitanti del villaggio.

Flemmatici come sempre, i due compagni proseguivano con calma, godendosi gli ultimi caldi raggi del sole che lentamente si era quasi del tutto inabissato in mare, dietro la sagoma imponente di Patroklos.

"Non avevo mai visto il mare prima del mio arrivo in Grecia" esordì Shaka, posando lo sguardo sul compagno.

"E' stata una sorpresa anche per me..." rispose Mur abbozzando un sorriso e abbassando gli occhi "...Una placida distesa che giunge fino all'orizzonte. Durante la mia infanzia ho trascorso vari giorni sulle sponde dei grandi laghi che si snodano tra gli altipiani dello Jamir, ma allora mi sembrava che quelle distese d'acqua si espandessero davvero all'infinito".

"Un luogo ideale per meditare, questa altura: lontano dal chiasso del villaggio e con una vista meravigliosa".

"Vero, Shaka, il rumore calmo delle onde e il soffio del vento proveniente dal mare sono una buona alternativa alla tranquillità delle nostre vette in Oriente".

Il compagno sorrise.

"Amici".

Si voltarono: era la voce di Aphrodite, accompagnato da Milo e Camus, che li salutava con un sorriso. I tre provenivano dalla spiaggia dorata più in basso. Si alzò in quell'istante un vento fresco che fece roteare foglie e sabbia un po' ovunque, mantre alcune finestre in legno delle case più vicine alla riva si chiusero violentemente con un rumore che fece eco tra i vicoli del villaggio.

"Tornate all'Accademia?"

"Sì, Camus" rispose Mur.

"Gradirei godermi questo tramonto ancora per un po' se fosse possibile, giornate così sono impensabili dalle mie parti" sospirò il giovane candidato all'Armatura dei Pesci, voltandosi verso il mare.

"Pare che la Grecia vi piaccia, amici miei..." aggiunse Milo con orgoglio, portandosi le mani dietro la nuca "...bel mare, bel clima, belle spiagge e luoghi che hanno da raccontare tanta storia".

"L'avrai ripetuto un'infinità di volte in pochi giorni" rispose Camus per canzonarlo.

"Ehi, che razza di antipatico!"

Mur e Aphrodite sorrisero davanti a quella scena comica, rendendosi conto che l'amicizia nata tra i due compagni dovesse essere davvero speciale: si conoscevano da poco tempo, eppure sembravano amici da una vita. Anche a Shaka non dispiaceva trascorrere del tempo con dei coetanei, dopo gli anni trascorsi al monastero, ma il suo modo di fare poco affabile, così diverso da quello degli altri, gli impediva ancora di creare legami stabili. Solo Mur, che per spirito gli somigliava, sembrava aver scalfito in parte quel velo di riservatezza che lo aveva contraddistinto fin dal suo primo incontro con gli altri.

Si avviarono insieme verso l'Accademia quando, dall'angolo di un'abitazione, sbucarono DeathMask e Aldebaran, che si aggregarono al gruppo. Il giovane del Toro raccontò dell'incontro con Zenas, della gentilezza di Irene e della curiosa bevanda che era stata loro offerta.

"Shaka, Mur..." disse avvicinandosi ai due "...Zenas ed Irene ci hanno offerto un infuso proveniente dall'Oriente. Si chiama chai, lo conoscete?"

"Credi che non conosciamo il masala chai, amico mio?..." rispose il giovane Mur rivolgendosi al compagno con un sorriso "...E' una bevanda molto comune in Oriente".

D'un tratto, DeathMask si avvicinò a Camus e Milo e li abbracciò, dicendo con tono irriverente: "Voi due, non siate così silenziosi!"

"Lasciami" rispose Camus, con tono seccato, infastidito dai modi troppo esuberanti del giovane italiano.

"Ma che modi!" Con finto dispiacere, DeathMask si allontanò per raggiungere poco più avanti Shaka. Gli si affiancò e lo squadrò sornione. Dopo aver attirato l'attenzione del compagno si rivolse anche a lui:

"Ehi, Shaka, ho trovato qualcuno più antipatico di te!"

Shaka lo fulminò con lo sguardo e il giovane Cancer, simulando ancora finta afflizione, si incamminò avanti, guadagnando qualche passo sui suoi amici:

"Compagni antipatici! Che noiosi che siete!"

Percepì un brusìo alle sue spalle.

"Silenzio antipatici!", si voltò con un sorriso complice.

"Mi domando dove siano Ioria e Shura".

"Quei due ormai vivono soltanto per duellare, Milo! Saranno da qualche parte ad azzuffarsi" rispose Camus.

Giunsero infine all'Accademia, dove vennero accolti dalla gentile Kassandra.

"Bentornati ragazzi. A differenza dei vostri compagni, siete rientrati piuttosto in ritardo".

"Intendete dire che Ioria e Shura sono già qui?"

"E da molto, Aldebaran".

I giovani salirono al piano superiore dell'edificio ed udirono le voci ovattate di Ioria e Shura provenire dalla grande sala comune, dove erano diretti.

"...e dimmi Shura, cosa ne pensi di mio fratello?"

"Sono davvero impaziente di allenarmi con lui, sono certo che sarà un ottimo maestro ed un ottimo compagno d'armi, ma..."

"Ma cosa?" chiese Ioria con tono interrogatorio, credendo che il compagno avesse qualche dubbio sulle abilità di Micene. Shura, seduto sulla sua branda, capo chino, proseguì pensieroso:

"Ma spero di essere all'altezza, spero di non deludere i nostri maestri, i Cavalieri d'Oro e il Gran Sacerdote. La via da percorrere sarà lunga e tortuosa, spero di intraprenderla nel migliore dei modi".

Ioria si avvicinò e, rabbonitosi, gli mise una mano sulla spalla:

"Amico, condividiamo gli stessi dubbi e le stesse paure, ma sono certo che alla fine del nostro percorso evolutivo potremo guardare al nostro passato con soddisfazione, tu non credi?"

"Cavalieri di Atena. Fino a pochi giorni fa non sapevo nemmeno cosa fosse un Cavaliere della dea ed ora eccomi qui a condividere con voi questo onore. E quest'onere. Invidio la tua sicurezza e la tua grinta, Ioria, sono virtù importanti per non lasciarsi mai abbattere dallo sconforto. All'inizio, tutto qui ci sembrava un gioco, un'avventura: siamo diventati amici, abbiamo trascorso del tempo insieme, ma da quando ho iniziato a riflettere sulla grandezza della missione che ci è stata affidata, ho giurato a me stesso di viverla senza rimpianti, per poter indossare senza macchia l'Armatura d'Oro, se Atena vorrà, e per sentirmi degno di appartenere all'esercito della dea, insieme a voi e ai maestri". Il suo sguardo malinconico si posò su un punto indefinito della parete.

"Amico..." fece Ioria, senza parole.

"Nelle sere passate, prima di cedere al sonno, mi immaginavo con indosso un'Armatura, fiero davanti alla Casa del Capricorno; poi pensavo ad altro, a cosa significasse davvero porsi a difesa di una casa dello Zodiaco. Le battaglie, i nemici del Santuario, la fiducia di chi mi aveva sostenuto fino al raggiungimento del traguardo, l'eroismo di chi ci aveva preceduto. Hai visto anche tu il grande cimitero ai piedi del monte del Tempio? A quella vista ho realizzato che essere un Cavaliere è un grande privilegio, ma è anche una promessa di vita e di morte..." Fissò l'amico, che intanto si era seduto al suo fianco e concluse "...Ioria, spero di vivere degnamente il mio futuro, così che possa davvero, un giorno, guardare al nostro passato con soddisfazione".

Il giovane Leone rimase stupito dalla purezza d'animo di Shura che, con quella confessione così intima, sincera, travagliata, aveva fatto emergere la parte più profonda del suo essere. Dapprima non seppe cosa dire, ma poi si fece coraggio e in un crescendo di vitalità trovò le parole:

"Shura, ammiro la tua nobiltà d'animo e la tua sincerità. Credo che un vero Cavaliere non debba difettare in tali virtù. Sai, subito dopo la sua investitura, Micene tornò a casa e mi parve quasi di non riconoscerlo: era cambiato nel corpo e nello spirito. Partì ragazzo e tornò uomo. Rivedo parte di lui in te, ora". Sorrise, ricambiato dal compagno.

"Sai Ioria..." proseguì l'amico, con un pizzico di ardore ritrovato "...per me è stato un grande onore aver parlato con tuo fratello". Ioria, orgoglioso a tal punto da percepire un vuoto al petto, tornò ad incitare l'amico, con l'energia e la grinta che lo avevano da sempre distinto:

"Non ho mai visto l'Armatura del Capricorno e non saprei nemmeno immaginarla, ma una cosa è certa: non attendo altro che vedertela addosso, amico mio".

"E io di ammirarti in quella del Leone, Ioria!"

Si alzarono.

"Facciamo in modo che quel gior..."

La porta della stanza si aprì di colpo, cigolando, e per primo entrò DeathMask, seguito dai compagni.

"Bentornati" fece Shura.

"Ehilà, paladini della giustizia!" rispose DeathMask, passando di fianco ai due e dispensando, come al solito, parole e sarcasmo.

Ioria, che aveva mal digerito la discussione avuta col giovane di Cancer poche sere prima, a quella frase percepì un ribollire continuo ed agitato allo stomaco che si tramutò in una smorfia infastidita sul volto. DeathMask, soddisfatto nell'accorgersi che le sue parole avessero avuto un effetto negativo sul compagno, gli si avvicinò e con aria perplessa disse:

"Cos'è quella faccia?..." rise "...Dai, su, non fare così, so di esserti antipatico, ma in fondo siamo amici noi due, vero?"

"Già, già" rispose Ioria, chiudendo gli occhi e trattenendo la rabbia.

"Non ricominciate ora" intervenne Aldebaran, ponendosi tra i due e sorridendo ad entrambi.

"Ma io non voglio litigare..." fece DeathMask, indicando con la mano Ioria e scostandosi "...lui ed io la pensiamo in modo diverso su molte questioni, ma siamo amici ed un giorno saremo entrambi Cavalieri d'Oro, è questo ciò che conta, no?" Digrignò i denti in una sorta di sorriso soddisfatto.

A quelle parole, tutti i suoi compagni lo fissarono ed un improvviso silenzio avvolse la sala. Shaka, che nel frattempo aveva raggiunto il suo letto, si rialzò e si diresse inaspettatamente verso DeathMask con aria decisa. I passi attirarono l'attenzione su di lui.

"DeathMask, avverto molta leggerezza nelle tue parole. Il tuo non è l'atteggiamento di chi aspira a diventare Cavaliere d'Oro: non rispetti chi non la pensa come te, sembri prendere tutto molto alla leggera, non c'è occasione che non cogli per deridere e sbeffeggiare il prossimo. Non puoi continuare a comportati così, pensavo l'avessi capito". Molti dei compagni rimasero stupiti dalla forte presa di posizione del giovane indiano nei confronti di DeathMask: fu una vera sorpresa averlo al centro dell'attenzione. Shura si strinse nelle spalle ed abbassò lo sguardo, ripensando alla discussione avuta poco prima con Ioria.

"Shura, tutto bene?" gli sussurrò Aphrodite poggiandogli una mano sulla spalla, resosi conto dell'improvviso disagio.

"Sì, grazie amico, va tutto bene". Ricambiò la pacca.

DeathMask e Shaka vennero per un attimo distratti dalle parole dei compagni, ma poi il giovane del Cancro con un sospiro riprese la parola, iniziando a gesticolare in maniera nervosa:

"Ah, Ioria, Shaka, voialtri, so bene che mi considerate una persona antipatica, irrazionale, superficiale." Puntò il dito contro Shaka e proseguì dopo una breve pausa:

"Tu ed io ci siamo detti parecchie cose, non è vero? Sai come la penso, perché ora mi accusi di essere superficiale? Che ci crediate o no, diverrò anch'io Cavaliere di Atena, proprio come voi, contribuendo ad alimentare questa vostra...speranza. Cosa sono quelle facce?..." chiese "...Non credete alle mie parole?" Incrociò le braccia e sembrò farsi remissivo:

"Sì. Sì, in fondo fate bene a guardarmi in quel modo, nemmeno io credo a ciò che dico. Ho iniziato questa nuova vita come un gioco, un'avventura, nient'altro, ed è per questo che mi diverto a scherzare sulle vostre ferree convinzioni. Probabilmente vi dovrei delle scuse per i miei continui atteggiamenti irrispettosi..." si voltò verso Ioria "...probabilmente dovrei iniziare proprio da te. Lo ammetto, ti ho provocato anche questa volta, sperando di colpire nel segno. Che razza di imbecille che sono, non è così?..." rise forzatamente, rendendosi conto della spiacevole situazione che si era venuta a creare. Tacque per alcuni istanti poi, passandosi nervosamente una mano sugli occhi, come per impedirne la lacrimazione, continuò a denti stretti, evitando gli sguardi dei compagni: "...Perdonatemi, ma per adesso davvero non riesco a prendere nulla sul serio: le parole del Sacerdote sembrano aver fatto presa solo sui vostri cuori". E non seppe cos'altro dire o, forse, non volle aggiungere altro per non ricordare che cosa si celasse nel suo.

Per alcuni, interminabili attimi nemmeno Shaka, colui che più degli altri era riuscito a scavare nel suo animo, riuscì a proferire alcunché, ed un nuovo, assordante e terribile, silenzio si impadronì della stanza. Fu lo stesso DeathMask a spezzare il velo opprimente che si era venuto a creare, avvicinandosi alla sua branda, per sfilare le bende dai polsi, che era solito fasciarsi durante gli allenamenti, e poggiarle sul cuscino. Si diresse, poi, verso l'uscita della sala, sotto gli occhi di tutti.

"Su, andiamo..." disse come se nulla fosse accaduto, affogando la malinconia in un sorriso, "...io ho una gran fame, voi no?"

Aprì la porta e si diresse verso le scale fischiando, senza attendere la risposta. Shaka, scosso come mai prima d'allora, rivolse istintivamente lo sguardo verso Mur il quale, in realtà, lo stava già fissando. Shura fece qualche passo verso la finestra posta tra il suo letto e quello di Milo e fissò la luna piena per qualche istante, pensieroso. Camus era sul suo letto, a braccia conserte e con lo sguardo basso: durante le discussioni vivaci era solito non prendere quasi mai la parola, limitandosi ad ascoltare attentamente, pur assumendo un atteggiamento distaccato. Fu Ioria, un po' titubante, a rompere il silenzio, rivolgendosi a Shaka.

"Ehi..." disse avvicinandosi con voce bassa verso quel compagno così diverso caratterialmente e a cui, per tale motivo, non aveva quasi mai rivolto la parola "...non ci hai ancora raccontato cosa vi siete detti l'altra sera, quando ti avvicinasti a lui per parlargli. Il suo sfogo è legato anche a quello, giusto?"

Shaka, che era di spalle, si voltò appena e sentendosi quasi in dovere di non parlare apertamente del lato più debole dell'animo di DeathMask, rispose asciutto:

"Non serve che te lo dica, lui stesso poco fa ha ammesso gran parte della sua verità".

Per nulla soddisfatto della risposta e infastidito dal tono ritenuto troppo supponente, Ioria gli si parò davanti e, con rinnovata audacia, lo incalzò:

"Ma insomma, non hai altro da dire? Ha ammesso che non gli interessa nulla di tutto questo..."

"Questo non è vero Ioria..." lo interruppe con un filo di rabbia, Shaka, questa volta fissandolo attentamente e accennando a qualcosa in più "...il suo peccato di insubordinazione, se così lo si può definire, scaturisce dall'aver assaggiato troppo presto il gusto del dolore e della sofferenza, motivo da cui scaturisce la sua visione nichilista dell'esistenza. Il suo animo è lacerato, tormentato, è una persona inquieta che si comporta spesso in modo esuberante per affogare nel profondo del suo cuore la parte più instabile ed insicura di sé".

"E tu cosa ne sai?"

"Insomma, è evidente che sia così Ioria..." intervenne Camus, senza scomporsi, attirando l'attenzione di tutti "...e credo che gran parte del suo tormento sia dovuto a quel suo strano potere di interagire con i morti..." sospirò "...chissà a quanto dolore avrà, suo malgrado, assistito".

"E' proprio così..." proseguì Shaka "...d'altronde lo ha confidato a noi tutti, lo ricordate?"

"Non possiamo biasimarlo per questo..." intervenne Aphrodite "...se ciò che ci ha raccontato è vero..."

"Ora basta!"

Si voltarono verso la porta, rimasta aperta dopo che DeathMask fosse uscito, e riconobbero la figura di Agape che, con passi ben cadenzati, stava entrando nella sala.

"Da quanto ci ascoltavate?" chiese un agitato Ioria.

"Da abbastanza tempo per aver compreso che tra voi c'è qualcosa che non va".

Il tono della Sacerdotessa, grave come non mai, sorprese non poco gli allievi, consapevoli di aver attirato l'attenzione di un importante membro dell'Accademia su di un argomento che fino ad allora era rimasto circoscritto alle quattro mura della loro sala comune: Camus, fino ad allora semidisteso sul letto, assunse una posizione più decente, mentre gli altri, che erano tutti in piedi, rimasero immobili, con lineamenti turbati che si disegnarono sui loro volti.

"Cosa sta succedendo tra voi e DeathMask?" chiese dopo un sospiro Agape. Nessuno avrebbe voluto rispondere a tale domanda, ma Shaka prese d'un tratto la parola e, risoluto nel tono, disse: "Se fosse possibile, Agape, vorrei parlare con la nostra addestratrice, Vera dell'Uccello del Paradiso; lei è in parte a conoscenza della situazione ma fui io che, a sua insaputa, mi presi la responsabilità di risolvere questo spiacevole inconveniente, anche se devo constatare, purtroppo, di aver fallito" concluse con un inaspettato tono remissivo: era la prima volta che l'antipatico Shaka, come lo amava definire DeathMask, mostrava il suo lato più umano e sincero.

"No Shaka, non crucciarti..." intervenne Camus, alzandosi in piedi "...questa situazione non deve gravare sulle tue spalle o, perlomeno, non solo sulle tue: ognuno di noi ha le sue responsabilità in questa vicenda, non abbiamo fatto altro che litigare o assistere in silenzio finora. Forse siamo incapaci di risolvere la questione da soli, sarebbe, dunque, meglio per tutti se DeathMask parlasse con chi è più adatto di noi."

"Andiamo ora! Parlerò io con Vero, sperando di dipanare questo vostro mistero, non so come altrimenti definirlo" rispose Agape con tono insoddisfatto e leggermente preoccupato.

Si diressero tutti al piano inferiore, dove DeathMask, ora apparentemente rilassato, li attendeva nella sala adibita a mensa, mangiando delle olive che aveva preso da un ciotola posta su uno dei tavoli.