Capitolo 38: La Terra Gaelica

Era fra i guerrieri neri più potenti, ma, oltre ciò, era fra i più motivi: lei, così come il Toro Nero e l’Acquario Oscuro.

Certo, il Sagittario ed il Leone Nero non erano guerrieri da poco, mentre l’Ariete Oscuro era alimentato dall’ossessione per gli Alchimisti Rinnegati, di cui si diceva un discendente; ma nessuno di loro aveva in se l’odio che vedeva in Bjorn e nella fanciulla senza nome; un odio che in lei era presente, ma sotto una forma diversa: disprezzo per gli uomini che rovinavano la Terra e la Natura, le uniche vere divinità che lei riconosceva, e verso gli dei che glielo permettevano.

Dopo l’arrivo di Bjorn, Brienne, così si chiamava aveva persino notato che il Toro e l’Acquario oscuro erano entrati in confidenza in breve tempo, era addirittura arrivata a credere che fra i due vi fosse un altro sentimento che li legasse, tanto quanto l’odio comune per il mondo, finché, un giorno, la ragazza sfigurata, che aveva iniziato a farsi chiamare Sedna, l’avvicinò: "C’è qualcosa che devi vedere, Brienne…", le aveva accennato, invitandola, per la notte successiva ad incontrarsi in un luogo più nascosto dell’isola.

Quando la massiccia donna di origini francesi raggiunse quel luogo, ad attenderla non vi era solo Sedna, ma anche il possente Toro Nero e, con loro, due uomini sconosciuti, privi d’armatura, seppur uno aveva il volto celato da una maschera.

"Ti abbiamo osservato, Brienne dei Druidi ed in te abbiamo riconosciuto il disprezzo per gli dei che molti altri nostri alleati possiedono.", aveva esordito proprio l’individuo mascherato, "Sono una devota seguace della Madre Terra, come potrei disprezzare gli dei!", sbottò l’altra di rimando, "Chi siete? Che succede qui, Sedna?", domandò poi la donna che indossava le vestigia del Capricorno Oscuro, portandosi in posizione di guardia.

"Puoi chiamarci Temujin e Giano, noi gli Homines, coloro che porteranno un nuovo Ordine su questa terra, un ordine in cui non saranno più le divinità a decidere per gli uomini, ma saranno i mortali stessi ad essere dei per se stessi; un ordine in cui la Terra sarà protetto dalle differenze di culto.", rispose il secondo.

"E perché mai dovreste parlarne con me?", domandò la donna, ancora in posizione di difesa, "Per diversi motivi.", rispose secco Giano.

"Ci è delle tue grandi qualità combattive e, al contrario di molti tuoi compagni in questa prigione, non ti piegherai silenziosamente, quando entreremo nei vostri ranghi, come nuovi possessori di vestigia d’oro nero. Già il Finnico qui presenta ha già fatto ciò in questi luoghi.", iniziò a spiegare, mentre un ghigno soddisfatto si dipingeva sul volto di Ukko.

"Non possiedi l’odio per le divinità dell’Inuit, ma come molti altri che ci sono vicini, anche tu comprendi l’errore di lasciare che siano divinità così differenti fra loro a governare sugli uomini, definendo le loro azioni, per questo, seguendo il suggerimento dell’Inuit stessa, ti abbiamo convocata, per proporti di diventare una di noi, di essere un Homo Novo.", continuò, mentre la sfigurata guerriera dell’Acquario Nero, le rivolgeva un cenno positivo con il capo.

"Inoltre, il giorno che il mondo sarà rimodellato secondo la nostra volontà, ci sarà di certo una guerra: gli dei non abbandoneranno il dominio sul mondo senza combattere, nel momento stesso in cui ci riveleremo, decine di guerrieri dei più variegati culti ci si opporranno e si scatenerà una guerra, la distruzione invaderà questa Terra. Tutto sarà distrutto, anche la Madre che ti è tanto cara.", s’intromise allora quello chiamato Temujin.

Le stavano offrendo la forza per difendere la Madre Terra che i Druidi volevano proteggere semplicemente chinando la testa ed inginocchiandosi a pregare: avevano ragione quelli stranieri, quello fu il primo pensiero che balenò nella mente di Brienne, prima che facesse un passo verso di loro.

"Mi unirò a voi, poiché il giorno in cui la guerra scoppierà, sarò presente a combattere per la Madre Terra, tanto meglio se contro i seguaci di molte minori divinità.", assicurò decisa la donna guerriero, ricevendo un sorriso dall’uomo non mascherato, "Molto bene, dunque preparati, poiché in breve tempo, ti offriremo come viaggiare da quest’isola verso il resto del mondo e, soprattutto, rinvigoriremo i vostri ranghi dorati!", aggiunse ancora mentre quello di nome Giano restava in silenzio.

"Fuggire dall’Isola della Regina Nera? È impossibile per noi guerrieri condannati alla prigionia! La maschera dei sorveglianti ci tiene legati a questi confini!", obbiettò stupita Brienne, "Niente è impossibile quando si sottraggono i poteri alle divinità che li detengono senza diritti. Scoprirai che grandi sono le nostre capacità e quelle dei nostri alleati tutti, di cui ben presto anche tu entrerai a far parte.", ribatté decisa la voce, deformata dalla maschera, di colui che sembrava comandare gli uomini lì presenti.

E quelle capacità lei in effetti ottenne! Brienne delle terre di Francia scomparve poco dopo quella notte, per dare spazio ad Epona, la Gaelica, la Custode della Terra!

Ed ora, mentre si preparava ad uccidere i due cavalieri d’oro che aveva incontrato lungo le scalinate verso la Quarta Casa dello Zodiaco, ancora sentiva i cosmi dei due compagni che l’avevano portata quel giorno ad incontrare Giano e Temujin, entrambi nel pieno di furiose battaglie ad Atene.

Una notizia che la rendeva molto felice.

***

La smorfia sul volto di Sedna dell’Acquario Oscuro rendeva, probabilmente, ancora più terribili i suoi lineamenti deformati.

"Ebbene, insetti? Nessuna pomposa frase? Niente di saccente da dire? Nessuna promessa di vincermi grazie alle virtù della Giustizia?", ridacchiò la guerriera d’oro nero, "Forza, attaccatemi, prima che questa attesa mi venga a noia!", minacciò, lasciando esplodere il tetro cosmo, che produsse nuove crepe nel terreno, da cui acqua iniziò a sgorgare minacciosa e bollente.

I tre santi di bronzo si scambiarono una rapida occhiata, consapevoli, quasi certi, di come quella battaglia non potesse essere vinta, non dopo aver affrontato tre di guerrieri d’argento oscuro, perdendo ben due compagni durante gli stessi.

"Non possiamo comunque arrenderci!", esclamò, quasi a farsi portavoce di un pensiero che tutti e tre condividevano, Talos del Leone Minore; "Non abbiamo speranze? Ne sono convinto anch’io, amici miei, ma non per questo possiamo arrenderci! Altri cosmi ancora si accendono ad Atene, intenti in battaglie forse persino più impossibili di questa, ma tutti quanti noi combattiamo per un unico fine: la difesa della Giustizia e la salvezza dell’Umanità!", continuò convinto il santo di bronzo.

"Finalmente il discorso tanto atteso!", esultò di rimando Sedna, sbalordendo persino Talos, che subito si portò in posizione di guardia, "Non mi aspettavo di meno da voi, insetti, che solo a parole potete farvi grandi quanto i custodi dorati che nemmeno lontanamente potreste raggiungere con i fatti!", lo derise subito dopo, prima che l’incandescente acqua frantumasse del tutto il terreno, creando due lame di vapore che corsero all’unisono contro il giovane discepolo dell’ormai defunto Menisteo.

Il santo di bronzo non ebbe modo di difendersi: troppo veloce la furia della nemica, troppo potente e precisa nello sferrare quel singolo attacco, che investì in pieno il giovane cavaliere, sollevandolo dal suolo, dilaniando carni e vesti, oltre quei pochi frammenti che restavano dell’armatura che un tempo aveva indossato, lasciandolo poi a terra, con ustioni che evidenti ne segnavano il corpo già martoriato dalle precedenti battaglie.

"Non preoccupatevi!", aggiunse l’oscura nemica, senza dare agli altri il tempo di comprendere cosa stesse avvenendo, "Non mi sono dimenticata di voi!", esclamò e due nuove esplosioni, simili a geyser, s’alzarono dal terreno, travolgendo all’addome la sacerdotessa della Colomba e colpendo alla schiena il santo della Lince, gettandoli ambedue poco lontani dal loro parigrado, altrettanto ustionati e feriti.

Una risata proruppe dalle labbra deformi di Sedna, "E così s’estingue la fiamma della guerra in voi, insetti, sopita dalle possenti correnti dell’Oscuro Acquario!", esultò, "Salutate la dura roccia su cui siete sdraiati, poiché ora proverete la più terribile delle morti, l’annegamento!", imperò, prima che ancora ondate di acqua incandescente s’alzavano dal suolo, intrappolando al loro interno i tre santi di bronzo, soffocandoli e, al qual tempo, ustionandoli, con il calore di quelle selvagge correnti.

Il dolore era accecante all’interno di quelle colonne d’acqua, ma, per quanto soffrisse, i sensi di Darius della Lince non erano così intorpiditi da impedirgli di avvertire il cosmo del suo stesso maestro intento in una battaglia poco lontano: sentiva la forza e la determinazione di Amara del Triangolo che esplodeva in uno scontro non meno arduo del suo.

Aveva intravisto il proprio insegnante dopo il ritorno dalla missione in Polinesia: stremato, privo ormai d’armatura, distrutta dalle lunghe battaglie, stanco, ma deciso nel dare il massimo di se stesso per la difesa del Santuario.

L’insegnante con cui aveva viaggiato, durante le ricerche su questi misteriosi nemici, quelli che solo di recente erano stati etichettati come Ladri di Divinità, nemici fra i quali, di certo, si poteva annoverare anche l’orrida donna che ora li stava torturando, la stessa donna cui lui non avrebbe lasciato modo di ucciderli senza combattere.

La determinazione ed i ricordi degli anni con l’insegnante portarono Darius a far esplodere il proprio cosmo, luminoso e determinato, rompendo con furia la colonna d’acqua, per poi cadere malamente al suolo.

"Dunque, un insetto è bravo a parole ed il secondo è capace di brillare!", valutò divertita Sedna, osservando il ragazzo a terra, inginocchiato e dolorante, seppur libero; "Peccato che tale virtù non ti sarà di aiuto per evitare la morte che già poc’anzi v’avevo promesso!", continuò decisa, pronta a sferrare un nuovo attacco, prima che l’avvicinarsi di tre cosmi la fermasse: non erano cavalieri d’oro, questo era certo, ma per quanto stanchi, due dei tre che raggiunsero quel piccolo ed improvvisato campo di battaglia, sarebbero stati una sfida ben più grande per l’Acquario Oscuro.

Fu così che l’Inuit accolse con un sorriso Zong Wu dell’Auriga e Wolfgang dei Cani Venatici, che assieme a Ludwig del Centauro erano giunti in soccorso dei santi di bronzo.

***

I due cavalieri d’oro avevano osservato la loro nemica scomparire nel terreno ed ora entrambi erano in posizione di guardia: Kalas di Capricorn con le braccia sollevate, pronto a sferrare fendenti d’energia, mentre Munklar del Sagittario aveva le ali delle vestigia dispiegate, pronto a spiccare un salto ed attaccare dovunque l’avversaria si fosse rivelata.

"Dove credi che sia?", domandò d’un tratto il custode della Decima Casa, "Sono dovunque!", urlò una voce sotto i due cavalieri, prima che il terreno stesso tremasse, ben più di quanto aveva fatto quando la guerriera aveva attivato quella sua particolare tecnica.

Lo stupore si dipinse sui volti dei due santi di Atena: le scalinate stesse sembravano d’improvviso diventate una sostanza quasi liquida mentre un braccio sorgeva dalle stesse, subito seguito da una spalla, giganteschi nella forma, subito come l’altro arto che poco dopo apparve, poco prima di una testa ed un tronco.

Il tronco di una donna, fatto di pura pietra, su cui s’ergeva un mastodontico volto dai lunghi capelli di erbe e ghiaia, gli occhi due sassi oscuri ed i lineamenti di roccia, mentre le mani avevano artigli affilati, fatti, all’apparenza, di puro granito.

"Per la dea…", balbettò stupito Munklar, incredulo dinanzi a ciò che vedeva: Wolfgang e Ludwig gliene avevano accennato, nel breve tempo intercorso prima dell’inizio dell’invasione delle Ombre; il primo aveva descritto come il Sole di Accad potesse manipolare la gravità ed il calore, quasi fosse veramente una stella atterrata sulla terra; mentre il più giovane dei suoi discepoli gli aveva descritto lo stupefacente potere del Re d’Africa, capace di generare innumerevoli ed egualmente potenti manifestazioni del proprio cosmo e dai poteri incontenibili.

"Questo è dunque il potere di chi ha assorbito l’essenza di una divinità?", domandò sgomento Kalas, "Quale blasfemia in tutto ciò…", aggiunse poco dopo, mentre anche il santo della Nona Casa concordava con un cenno del capo.

Il mezzobusto di pietra, d’improvviso, ruggì, scuotendo il braccio sinistro di roccia, calandolo con ferocia fra i due cavalieri d’oro, che dovettero muoversi rapidi, spostandosi sui lati opposti della creatura, per impedirle di avere facile ragione d’entrambi.

"Infinity Break!", invocò prontamente Munklar, alzandosi in volo sul fianco sinistro della gigantesca creatura; "Estrellas de la Triada!", aggiunse Kalas, indietreggiando veloce verso la destra; i due attacchi andarono a segno, dilaniando gli arti della maestosa figura, ma, la distruzione portata fu solo un breve attimo di sollievo, prima che la roccia, la terra e le radici ricrescessero, coprendo gli angoli dilaniati, e, incurante, il mezzobusto di Epona continuava a muoversi, dirigendo l’attenzione su ambedue i suoi bersagli.

Veloce si mosse il pugno sinistro, cercando di spazzare l’aria e colpire il santo d’oro alato, mentre la mano destra provava a chiudersi addosso all’altro cavaliere di Atena, entrambi abbastanza pronti di riflessi da evitare il contatto con la mastodontica creatura.

Un fendente d’energia nacque dal braccio di Kalas ed ancora una volta l’attacco raggiunse il bersaglio, ma i suoi effetti rimasero visibili solo per pochi istanti, prima che la roccia risanasse il mastodontico essere.

"Non è ancora finita!", urlò allora il santo del Sagittario, lanciandosi in picchiata contro la gigantessa, il corpo circondato da energia dorata e fulminante, mentre si schiantava contro il mastodontico tronco di pietra, perforandolo, affondando nello stesso, ma restando lì bloccato.

"Hai ragione, piccolo seguace di una divinità, non è finita: la vostra agonia sarà molto più lunga!", avvisò la voce di Epona, distante, eppure, così presente da sembrare che riempisse l’intera scalinata, mentre il corpo di Munklar veniva circondato da radici e la roccia iniziava a bloccarne le braccia, risalendo dalla cinta, già affondata dentro il mezzo busto.

"Lascialo andare!", ordinò prontamente Kalas, lanciandosi all’attacco e sferrando un fendente dopo l’altro contro il petto della creatura di pietra, che si limitò a portare la mano sinistra dinanzi a se, lasciando che i colpi nemici la dilaniassero poco alla volta, mentre già la destra si stringeva sul corpo del cavaliere d’oro, bloccandone i movimenti. Una risata, dura e gutturale, sorse dal terreno, "Ed ora, che inizi la vostra vera sofferenza!", imperò la voce di Epona.

"Non hai appreso niente su di noi, nera Ladra di Divinità!", la ammonì Kalas, "Noi cavalieri di Atena non ci pieghiamo, nemmeno dinanzi ai nemici più potenti! Hai rubato il potere di qualche divinità, hai invaso il nostro Santuario con l’intenzione di fare altrettanto qui ad Atene, ma non ce la farai!", esclamò il santo del Sagittario, concordando con il parigrado, mentre due possenti cosmi riempivano l’ambiente, fra questi, uno era ben noto ad ambedue i custodi dorati.

"Persino il Sommo Sacerdote sta lottando per impedire che la nostra guida venga rapita dai vostri rituali!", esclamò Munklar, il cosmo brillante d’energia, "Come possiamo fare meno?", incalzò, lasciando che i fulmini dirompessero attorno a lui, travolgendo e frantumando il ventre di roccia della creatura, permettendo così al cavaliere di sollevarsi di nuovo in volo, mentre anche il santo del Capricorno si liberava, rilasciando fendenti di luce attorno a se, che mozzarono le dita della gigantesca statua vivente.

Il fragore del frantumarsi della roccia fu però sovrastato dal rombo di un tuono, quello che echeggiò attorno a Munklar del Sagittario, mentre il pugno si caricava, "Huge Thunderbolt! Dilania la statua di pietra!", imperò il custode dorato, liberando il colpo contro il ventre scoperto della mastodontica creatura e frantumandola in diverse decine di macigni, lasciando i due cavalieri al suolo, apparentemente da soli.

"Dubito che sia già sconfitta…", ipotizzò Kalas, riavvicinandosi al compagno, prima che un nuovo tremore del terreno anticipasse il risvegliarsi di un’ennesima mastodontica creatura di pietra.

"Kataigidas!", imperò, però, una voce, al di là del mezzo busto che stava risollevandosi, frantumandone la testa e lasciando che Olimpia del Leone scattasse in avanti, raggiungendo i due parigrado.

"Non arrivo in ritardo per la battaglia, mi sembra di comprendere!", esordì la sacerdotessa d’oro, "No, amica mia, sei giunta in tempo per affiancarci nella vittoria contro l’ultima del gruppo di invasori entrati nelle Dodici Case!", confermò con tono serio Munklar, mentre un nuovo mezzobusto di pietra si sollevava dinanzi ai tre, massiccio e minaccioso quanto i precedenti.

"Sei giunta in tempo per una caccia alla talpa!", concluse con un sorriso deciso il cavaliere d’oro.

***

Il Rito in Egitto era concluso: Ra e le divinità del Deserto erano sconfitte, prigioniere dei medesimi abissi in cui molti altri dei erano caduti, nel viaggio di conquista dell’Armata d’Africa, e mediante le loro stesse azioni.

Aveva guidato alla vittoria i propri confratelli, dimostrandosi una degna Regina fra gli Homines, eppure, quando sentì il Giapponese inveire, la Coreana sapeva che i suoi sogni di gloria sarebbero stati screditati per colpa d’altri.

"Egizia! Cosa sarebbe questo maleficio?", stava, in quello stesso momento, chiedendo colui che si faceva chiamare Onamuji alla traditrice dei Faraoni di Ra, osservando quello che non sembrava affatto il cadavere del nemico da lui sconfitto.

Anche Yuhwa, così come Ewah e Xipe Totec, si avvicinarono al corpo del guerriero di Anukis, che il Giapponese aveva ucciso con un singolo fendente della mistica lama di cui si diceva padrone, solo per vedere che quella al suolo era una statua d’argilla scura.

"Uno shabti…", analizzò impassibile Mertseger, "Anzi, guardate bene, confratelli, sono tutti degli shabti…", aggiunse, mentre anche gli altri cadaveri si rivelavano come dei blocchi d’argilla ormai in colore.

"Che stregoneria è mai questa?", sbottò Yuhwa, "Gli shabti sono delle statue d’argilla, o terracotta, che in tempi antichi si pensava avessero persino poteri magici, ma, in realtà, venivano comandati dai Faraoni di Ra che avevano un cosmo molto affine alla terra stessa, com’è il caso di Geb di Anukis.", iniziò a raccontare la traditrice dell’Enneade.

"Immagino che il mio anziano vecchio compagno d’arme, non è stato ucciso immediatamente dall’attacco di Onamujii ed ha usato le sue ultime forze per allontanarsi, portando con se gli altri Faraoni.", suppose pacatamente l’Egizia.

"Per fare cosa?", domandò la Coreana, "Dare loro degna sepoltura, o forse tentare di salvare le loro vite.", ipotizzò ancora la donna.

"Follia, in ambo i casi.", rise divertito il Pellerossa, "Hai ragione, che cosa avremmo da temere da una ranocchia, uno scarafaggio, un cerbiatto che scappa e cos’era quel tuo amichetto, Egizia? Uno randagio? Deboli nemici erano e deboli nemici resterebbero, semmai fossero ancora vivi!", ridacchiò imperturbabile Xipe Totec.

Proprio mentre in silenzio Yuhwa osservava il Giapponese, intento a studiare lo shabti diviso in due perfette metà, si aprì dietro di lei un varco oscuro, richiamato dal cosmo del suo amato: il percorso che li avrebbe ricondotti al luogo che usavano come nascondiglio e che ancora per poco avrebbero utilizzato, prima di mostrarsi al mondo.

Lei aveva avuto successo, il fallimento non era stato una sua colpa, bensì di Onamujii, lo avrebbe detto a Temujin e Giano, poiché non voleva rischiare la loro collera.

***

"Caccia alla talpa?", ripeté perplessa Olimpia, osservando la mastodontica figura, "Sì, esatto…", confermò Munklar, facendo un passo avanti, "Quando abbiamo distrutto la prima gigantessa di pietra, se tale si poteva definire, non ho visto nessuno al suo interno. Tu, Kalas?", domandò il santo d’oro verso il proprio parigrado, "Nessuno, adesso che mi ci fai riflettere.", confermò quello; "Quindi, se la nostra nemica non è dentro quella creatura che guida contro di noi, allora c’è una sola spiegazione: è nascosta sottoterra, come una talpa.", spiegò secco il maestro di Wolfgang e Ludwig.

"Tale è la sua codardia? La stanerò!", ringhiò decisa la sacerdotessa del Leone, "Sarebbe inutile!", la ammonì Munklar, con un secco cenno della mano, "Se anche attacchi un animale nascosto sottoterra, cercando di costringerlo ad uscire lì dove ti attendi che lo faccia, non è sempre certa la sua reazione, poiché non puoi mai sapere quante via tenga nascoste nelle profondità del terreno.", spiegò il cavaliere del Sagittario.

"Che cosa proponi, quindi?", domandò allora Kalas, "Di portare la battaglia nel suo territorio.", tagliò corto l’altro, lasciando esplodere il cosmo fulminante, subito imitato da quelli brillanti dei parigrado.

Con uno scatto felino, Olimpia si lanciò all’attacco per prima: "Vediamo se questa… cosa… di pietra riesce a sopravvivere persino alla mia rete di luce!", imperò seria la sacerdotessa, "Kataigidas!", esclamò subito dopo, liberando la furia dell’attacco, che scavò con ferocia nella dura roccia del mezzobusto, disperdendo un braccio e parte di una spalla, ma senza distruggerlo.

"Ti serve una mano, mia fiera compagnia d’arme?", domandò prontamente Kalas, lanciandosi anch’egli alla carica, "Estrellas de la Triada!", imperò, eseguendo i tre possenti fendenti, che perforarono il volto della mastodontica creatura, mentre già Munklar si gettava in picchiata, "Huge Thunderbolt, adesso!", tuonò il terzo cavaliere d’oro, perforando ciò che restava del tronco e forando la dura roccia, lasciando che il suo cosmo esplodesse all’interno della stessa.

La detonazione produsse un tremito lungo tutta la scalinata, ma, con grande stupore dei cavalieri d’oro, nessuna crepa si aprì sulle stesse, nessun danno visibile, solo delle onde, che parvero agitarsi sul terreno, quasi lo stesso non fosse fatto di pura roccia, ma d’acqua.

Un sorriso si dipinse rapido sul volto di Munklar: "Cavalieri, non preoccupatevi della creatura di pietra, attacchiamo assieme!", suggerì deciso il santo d’oro del Sagittario, notando l’incertezza nello sguardo di Kalas e nel pugno di Olimpia, "Abbiate fiducia! Tu, leonessa, mostra la ferocia di cui sei padrona! E tu, custode dell’Excalibur, rivela le virtù dell’arma consacrata ad Atena!", continuò, mentre già la gigantesca figura di pietra iniziava a riformarsi.

Ancora una volta, quindi, il santo del Capricorno liberò le Triade delle Stelle della Decima Casa, prima che il custode del Nono Tempio si unisse all’attacco utilizzando la propria tecnica più potente e, nel momento stesso in cui i tre fendenti e la freccia tuonante cozzavano contro il suolo, anche la Leonessa d’Oro scattò in avanti, il pugno ricolmo d’energia.

"Dankana Fotismou!", imperò la sacerdotessa, liberando un globo di luce e scariche energetiche, che impattò il suolo pochi istanti dopo gli attacchi dei due compagni, detonando in un’esplosione, che non frantumò la scalinata, bensì, con grande stupore di Kalas, creò delle onde di roccia, quasi fosse argilla ancora liquida, piegando e deformando in un grosso globo la creatura di pietra e rivelando, nel vuoto di pietre e radici che restava, la figura confusa di Epona.

"Adesso!", imperò Munklar, "Colpiscila, cavaliere!", aggiunse, mentre già il maestro di Damocle, sferrava un fendente, ricolmo d’energia cosmica.

"Sagrada Espada!", invocò il santo d’oro, mentre l’attacco raggiungeva la nemica, stordita, quasi incapace di seguire l’azione, confusa, distruggendo molto delle vestigia del Capricorno Oscuro e lasciandola cadere diversi metri lontano, sanguinante, mentre la roccia precipitava sulle scalinate, costringendo i tre santi d’Atena a scartare sui lati di quel crollo innaturale e danneggiando oltremodo le scalinate, che, però, ripresero la loro natura conformazione.

Non ebbero tempo di mettersi in guardia i tre cavalieri, però, o anche di comprendere cosa fosse successo attorno a loro, che già un urlo di rabbia esplose, prima che dal terreno si alzassero aculei di roccia, quasi stessero rispondendo alla furia che echeggiava dalla figura di Epona del Capricorno Oscuro, il cui cosmo pervadeva ancora il suolo.

"Avete cercato di spezzare il mio legame con la Madre Terra! Futile tentativo il vostro, posso sempre riunirmi a lei!", ruggì furiosa la Gaelica sollevando le braccia e lasciando che delle maestose lame di pietra si creassero dal suolo, puntando verso i tre santi di Atena, per poi calare contro gli stessi all’unisono.

Bastarono però pochi secchi movimenti di Kalas per distruggere tutte quelle lame, facendo sì che solo pochi frammenti di pietra piovessero sul trio di cavalieri, prima che lo sguardo del custode della Decima Casa fosse di nuovo contro la comune nemica.

"Puoi sfruttare i perversi poteri che ti concedono il controllo della terra, ma se cerchi di combattermi con le spade, Ombra, non avrai ragione di me!", affermò deciso il cavaliere, "Poiché la Sacra Lama Excalibur è affilata tanto quanto la mia fede in Atena è forte! E non c’è niente di più forte in me, della devozione alla Giustizia!", avvisò deciso il Custode della Decima Casa.

"La Giustizia? La tua fedeltà alla divinità che segui è ben misera cosa dinanzi al potere che proviene dal mio legame con la Terra! Ti spezzerò, cavaliere, così come spezzerò la lama che tanto orgogliosamente utilizzi!", urlò rabbiosa Epona.

"Non spezzerai niente, nera nemica, bensì preparati a cadere! Ho lasciato che superassi la Prima Casa, assieme ad alcuni tuoi compagni e di ciò mi rammarico, poiché un amico ed eroe è caduto per mano di voi ombre. Per onorare lui ed Atena combatto! Preparati ad affrontare non solo la spada del Capricorno, ma anche gli artigli della Leonessa!", aggiunse minacciosa Olimpia della Quinta Casa.

"Parole vuote le tue, donna, così come sono vuote quelle dello spadaccino che ti è pari! Morirete, al pari del Sagittario che vi affianca e dei compagni caduti prima di voi in questo giorno di battaglie! La Terra ha sentenziato la vostra fine!", imperò sicura la donna del Capricorno Nero.

"La Terra non ha niente a che fare con ciò che tu sei, Ladra di Divinità!", la zittì Munklar, "Non hai forse notato la desolazione del suolo dopo che quel gigante di pietra ne ha assorbito l’essenza? Non senti il suolo scricchiolare sotto il peso dei nostri passi, reso più friabile perché il tuo cosmo ne assorbe la possanza? Non avverti come i poteri di cui fai uso, non siano un’arma per difendere la Madre che dici di amare così tanto, bensì un modo per distruggerla? No, Capricorno Oscuro, sei solo una Ladra, rubi l’essenza stessa della grande Gea, o quale che sia il nome che l’antico culto che ti ha cresciuto dava lei, per renderlo tuo e portare distruzione e desolazione!", la accusò il cavaliere.

"Non sei migliore del Profanatore di Delfi che ho sconfitto alla Seconda Casa, anzi, sei forse più folle e pericolosa e per questo, adesso cadrai, per mano di noi, tre difensori della Giustizia!", concluse il custode del Nono Tempio.

"Bugiardo!", ruggì Epona, sollevando le braccia dinanzi al busto, su cui le ferite andavano rimarginandosi, e lasciando che il terreno tutto s’agitasse al risvegliarsi del suo cosmo, diventando sempre più scuro, finché, attorno ai piedi della nera guerriera, vi rimase solo sabbia, mentre l’energia fra le braccia della stessa era ora verde e brillante.

"Fureur de la Terre!", urlò la Ladra di Divinità, manipolando il globo sopra di se, fino a dargli la forma di una mastodontica montagna, "Crolla su di loro!", ordinò, lanciando la colossale struttura d’energia contro i tre santi d’oro, che furono veloci nello spostarsi.

L’attacco, però, non si schiantò contro il suolo, bensì nello stesso fu assorbito, generando poco dopo un breve terremoto e molteplici esplosioni di roccia s’alzarono dirigendosi verso i cavalieri di Atena.

"Attenti!", li avvisò Kalas, sollevando lesto un braccio per disperdere i lapilli che stavano apparendo attorno a lui.

Con veloci movimenti, sia il santo del Capricorno, sia i suoi compagni si difesero: lampi di luce, sagitte di fulmini e lame energetiche divelsero acuminati segmenti di pietra, uno dopo l’altro, ma per ogni attacco parato, un altro si sollevava contro i custodi dorati.

"Usa il terreno stesso a proprio piacimento, dobbiamo spezzare questo legame per vincerla!", esordì Munklar, liberando la pioggia d’energia dell’Infinity Break contro il suolo; "Come suggerisci di farlo, cavaliere?", incalzò Kalas, sferrando i possenti affondi della Triade delle Stelle, "Dividiamola dalla Madre che sta derubando!", propose secca Olimpia, liberando la fitta rete di luce dinanzi a se.

"Pensavo proprio la stessa cosa, amica mia!", confermò il maestro di Wolfgang, "Prima ho fatto un errore nel definirla una talpa, è forse più simile a te, Olimpia, o, permettimi di correggermi, è più simile al Leone Nemeo del Mito, il cui corpo non era vulnerabile, finché si trovava sulle terre da cui traeva la propria forza!", continuò il cavaliere d’oro, "Ebbene rendiamo l’ambiente inadatto affinché esso, o ella in questo caso, possa farne uso!", concluse il santo del Sagittario, accennando un movimento con il capo, cui subito i due parigrado risposero scattando all’unisono sui due fianchi della nemica.

"Inutile, tutto inutile risulterà per voi! Io sono uno strumento della Madre Terra e come tale ne uso il potere!" li ammonì Epona, scatenando nuove piogge di roccia ascendente, "Mi accusi di rubare la vita a mia madre? Non è forse questo il fine di un genitore? Vedere i propri figli brillare! Ebbene, eccomi brillare, in tutto il mio potere, un potere che si rivela nella distruzione e nella guerra! Per creare un nuovo mondo, quello vecchio deve essere cancellato! E dalla Grande Madre prendo il potere per fare ciò! Ed ora, di nuovo, Fureur de la Terre!", imperò infine il Capricorno Oscuro.

Olimpia si chinò verso il terreno, mentre già Munklar spiccava un salto, oltrepassandola ed aprendo le dorate ali, "Infinity Break!", invocò il santo del Sagittario, utilizzando il proprio attacco per difendere la compagnia d’arme il cui cosmo brillava sul pugno destro, che andava schiantandosi al suolo.

"Dankanes Astrapis!", imperò la sacerdotessa di Atene, il cui potere scosse il suolo, lasciando brillare bagliori dorati fra le rocce, prima che artigli d’energia luminosa esplodessero sotto la nera avversaria, che, però, prontamente, sollevò le barriere di pietra attorno a se, parando la furia dell’attacco di Olimpia.

Nel difendersi dagli Artigli della Leonessa d’Oro, però, il Capricorno Oscuro non s’avvide della sua dorata controparte che già si muoveva veloce, spiccando un agile salto, usufruendo di Munklar come sostegno per oltrepassare la barriera di roccia e, da sopra la stessa, eseguire uno svelto attacco: "Cuernos de Chivo!", invocò il cavaliere, eseguendo un movimento montante, un fendente d’energia che aprì nuove ferite sulla pelle ora rimarginata della nemica, scagliandola, al qual tempo, verso il cielo.

Non persero tempo, poi, i tre santi di Atena: subito Kalas roteò su se stesso, sferrando il triplice affondo delle Estrellas de La Triada, verso le colonne di roccia che stavano alzandosi in soccorso dell’oscura Ladra di Divinità, mentre già i cosmi di Olimpia e Munklar si univano per un nuovo attacco combinato, fondendo assieme la furia dell’Huge Thunderbolt del Sagittario e la potenza del Dankana Fotismou della Leonessa.

I due colpi investirono all’unisono l’avversaria, in balia dei tre santi di Atena, spingendola ancora più in alto, mentre già il maestro di Ludwig e Wolfgang impugnava l’arco dorato.

"Adesso addio, Ladra della Madre Terra, che la Freccia Sacra del Sagittario ti dia una morte veloce e priva di sofferenze! Tu che tanta distruzione hai provocato alla Terra, proprio perdendovi il contatto non la distruggerai oltre!", imperò il cavaliere d’oro, scoccando il dardo d’oro, che trafisse il petto della nemica, prima che anche Kalas scatenasse il proprio attacco: "Sagrada Espada!", invocò, dividendo in due parti uguali il corpo dell’oscura controparte.

"Kataigidas!", concluse allora Olimpia, disperdendo nell’aere ciò che restava di Epona con la furia del proprio attacco.

Fu solo allora che i tre cavalieri di Atena quietarono i loro cosmi, volgendo lo sguardo l’uno verso l’altro.

"Abbiamo vinto, Atena ed il Santuario sono salvi.", sussurrò gioioso Kalas del Capricorno, mentre la fine della loro battaglia permetteva a tutti loro di percepire quali cavalieri di bronzo e d’argento erano sopravvissuti alle lunghe battaglie di quel giorno.

"Alto il prezzo della nostra vittoria… Ascanus e molti dei difensori di questo luogo sono caduti.", commentò Olimpia, dando parole ai pensieri di tutti quanti loro, mentre avvertivano il concludersi degli ultimi due scontri.

Homines 20: Il Celta

Aveva lasciato Black Cancer, anzi l’Etrusca, così come Veive gli aveva detto di chiamarla d’ora in poi, per dirigersi verso il luogo indicato per incontrarsi con gli altri guerrieri d’argento nero.

Lui, però, non era più un semplice guerriero d’argento nero, non lo era mai stato: era stato colui che li comandava, il più potente, il migliore fra i Quattro che comandavano quella schiera oscura, un passo al di sotto dei Dorati Neri. Ed adesso sarebbe diventato persino più potente di tre di loro, avrebbe superato per virtù guerriere quel viscido di Ashur, quello stolto di Luis e persino il possente Medonte!

Quelle certezze erano solide, tanto quanto il terreno che calpestava con i piedi, immersi nella neve e fra alti alberi del Nord dell’Europa, lì dove già vide due dei guerrieri neri con cui avrebbe dovuto muoversi.

"Sei arrivato…", esclamò alzandosi in piedi Faust della Lyra Oscura, per poi rimanere senza parole, una reazione che lui s’era aspettato, una volta che lo avessero visto in tutta la potenza che gli era propria, senza più un motivo per nasconderla.

Minori soddisfazioni gliene diede Coppa Oscura, l’allieva del Cinese, il suo nuovo confratello, poiché in tal modo si chiamavano fra loro quei guerrieri.

"Nessun altro ancora?", domandò secco, volgendo lo sguardo prima alla muta e poi al musico, e fu proprio il secondo a parlare: "Non ancora, ma credo d’aver avvertito il cosmo di Cane Maggiore Nero spegnersi, mentre apparivo in questi luoghi, dove mi ha inviato Gemini Oscuri assieme a lei.", spiegò.

Fu poco dopo che avvertirono dei cosmi raggiungerli da Sud, due ad una prima percezione, ma in realtà tre, uno leggermente più debole, che si palesò nella sfinita figura di Akab della Vela Nera, sostenuto dal Corvo Oscuro.

"Dove sono gli altri?", fu la prima domanda con cui apostrofò i tre arrivati dal Tempio di Eolo.

"Morti, tutti quanti. Quando siamo andati via, solo Sagittario, Ariete e Pesci Oscuri restavano della dozzina che ci aveva accompagnato nell’Isola del Signore dei Venti.", spiegò con voce dura Megara dell’Ofiuco Nero, per nulla impressionata da chi si trovava dinanzi.

"Lucertola, Mosca, Gru, Altare, Centauro, Orione, Auriga, Cani Venatici e persino Bussola ed il Leone d’oro Nero? Tutti morti?", domandò sgomento, sorpreso specialmente dalla morte di una di loro, per quanto la più debole, e di Medonte, per di più, Akab era ancora lì, seduto al suolo, stremato, ma vivo, incapace di rispondere alla sua domanda.

"Guerriero della Carena…", ebbe appena la forza di balbettare l’allievo del Sagittario Oscuro, prima che un secco gesto dell’altro lo zittisse: lui non era più solo la Carena Nera. Cert ancora ne possedeva le ancore da guerra, ma no, lui adesso era molto di più.

"Hai fatto carriera, Carena Oscura!", esclamò una voce, introducendo tre nuovi cosmi, due di questi molto deboli, "O forse dovrei dire: Omega di Black Cancer?", domandò il padrone di quella voce.

"Su tutti quanti, proprio tu dovevi sopravvivere, Cicno?", ringhiò l’Homo di rimando, volgendosi e vedendo con piacere Eracle Nero pallido e mal ridotto, affiancato dai restanti membri del suo sestetto.

"Solo i più forti sopravvivono, non lo sai? E mentre tu ricevevi quel regalino dalla precedente padrona di quell’armatura d’oro nero, io uccidevo un cavaliere d’oro di Atena e ne affrontavo una seconda.", ribatté sicuro, mentre già Megara abbracciava il proprio uomo ed anche Kurnak e Yan Luo si avvicinavano ai tre compagni.

"Gli altri?", domandò sorpreso Akab, alzando lo sguardo.

"Triangolo, Croce e Cerbero, così come lo Scorpione, non sono sopravvissuti alle Dodici Case, mentre Epona stava ancora combattendo nelle stesse, quando ho abbandonato il campo di battaglia.", rispose Cicno.

"I miei tre compagni d’addestramento, Umba, Ramsay e Joppa, sono caduti, mentre il maestro Ukko mi ha ordinato di ritirarmi, prima di accingersi a vendicarli.", continuò Sinai di Perseo Oscuro.

"Tolué, e come lei anche Sagitta e Scudo Oscuri, sono caduti. Il mio maestro credo fosse prossimo a combattere contro i pochi nemici rimastigli dinanzi, quando sono partito.", concluse Duhkra del Pavone Nero.

"Chiacchierare oltre non serve!", sbottò allora Omega, "Ci sono altri guerrieri d’oro nero, ma sono l’unico qui, quindi seguirete i miei ordini! E gli ordini sono semplici: continuiamo con il piano, invadiamo questo Regno del Nord, questa Asgard!", imperò, iniziando ad incamminarsi verso il luogo dove, gli era stato spiegato, avrebbero trovato degli alleati.

Otto guerrieri aveva davanti, alcuni stremati, molti poco più che ribelli, quello era ciò che gli restava da guidare nella conquista, in quelle terre dell’estremo nord, ma non sarebbe stato per lui un problema, poiché lui non era più solo un cavaliere di Atena mancato, lui era diventato un Homo Novo, era un eletto a diventare una divinità!

Era Omega, il Cancro Oscuro, adesso, ma, ancora di più, era il Celta! Ed il mondo avrebbe avuto terrore di lui e della sua forza spaventosa.