CAPITOLO 3 - UN TUFFO NEL PASSATO

La stanza era immersa nel silenzio, la brezza dal mare muoveva appena le tendine rosa alle finestre, aperte per rinfrescare la notte della torrida estate greca. Se si restava in silenzio abbastanza a lungo, aguzzando l'udito di poteva percepire il calmo respiro di un neonato, il profumo fresco di borotalco e di biancheria pulita.

Il neonato, in realtà, era una bambina ed il suo nome era Athena, no, non come la dea della giustizia, lei era la dea della giustizia.

Un lampo d'oro, macchiato del sangue di un eroe, grida e confusione

"Tradimento" una voce imperiosa che non ammette repliche.

Di corsa, a rotta di collo fino all'alba, un fagotto di appena sei mesi tra le braccia, salvare la dea, salvare quella piccola bambina, a costo della propria vita.

Ferite aperte, occhi negli occhi di un compagno d'arme

"La tua corsa finisce qui Aiolos" parole strascicate, accento vagamente latino, forse spagnolo, una mano alzata, colpire di taglio, fendere l'aria e le carni.

No, non adesso, non ancora, devo portare in salvo Athena, devo...

Lotta tra lampi di luce la bambina, dov'è la bambina?! odore di polvere e sangue. Fino a quando il mondo per lui, diventa nero come la pece, i suoni attutiti dal ruggito poderoso del suo sangue che gli rimbomba nelle orecchie.

Alza la testa, cercando freneticamente una tutina rosa, quando la vede, per poco non perde i sensi per il sollievo. Ma non c'è tempo, non c'è più tempo. Facendo appello alle sue ultime forze, si aggrappa alla vita, alle prime luci dell'alba, il Partenone, un uomo maturo, profuma di lavanda e tabacco.

"Le affido questa bambina, è la reincarnazione della dea Athena" poche parole, l'uomo non fa domande ed accoglie il fardello con seria devozione. Che gli creda o no, ora quella bambina è in buone mani.

Le ferite bruciano e sanguinano, un dolore che va oltre la sua umanità, un dolore che porta dentro all'anima

Aiolia, perdonami, io..ti proteggerò...per sempre

Il sole nacque proprio in quel momento.

Nelle sue stanze private, il sommo Shion stava lentamente morendo, giaceva in una pozza del suo stesso sangue, le vesti macchiate, la pelle diafana e tirata sul volto stanco. Ma c'era ancora una cosa che doveva fare, prima di poter tranquillamente lasciare il mondo dei mortali.

"Mu"

il suo richiamo telepatico, più imperioso che mai, destò il piccolo allievo da un bel sonno ristoratore.

Il ragazzino dai capelli viola si alzò seduto sul suo giaciglio, si stropicciò gli occhi, solo un secondo di esitazione, prima di avvertire il cosmo del suo maestro spegnersi piano piano.

In un balzo fu fuori dal dormitorio teletrasportandosi fino nelle stanze di Shion.

"Sommo Shion" gli occhi verdi pieni di lacrime, mentre stringeva al petto la mano del suo mentore e maestro.

"Non c'è tempo, piccolo mio" lo apostrofò con un affetto che non gli aveva mai dimostrato durante i lunghi anni di addestramento "Là, dietro alle tende, c'è una camera segreta, vai e portami la bambina" indicò la direzione.

Il giovane, sempre più confuso, si diresse dove designato, trovandovi una bambina addormentata nonostante la confusione, gli scalpiccii ed il vociare delle guardie nel corridoio poco distante.

La prese in braccio con delicatezza, portandola al cospetto del Sommo Sacerdote morente.

L'uomo la prese in braccio, guardandola con dolcezza, un ultima volta, le sorrise, ottenendo di rimando un plateale sbadiglio mentre lei apriva pian piano gli occhi scuri come il cielo di notte.

La consegnò a Mu insieme ad un biglietto, vergato con la sua scrittura.

"Ti troverai di fronte ad una scalinata con una strana costruzione in cima, percorrila fino in fondo, quindi bussa alla porta principale, dovrebbe aprirti un uomo che risponde al nome di Soichiro, ricordalo bene, affidagli la bambina, a nome mio...e digli..che " un accesso di tosse gli fece vomitare sangue vermiglio

"Maestro" la voce stentorea di Mu ed i suoi sforzi titanici per evitare di piangere gli strapparono un doloroso sorriso

"Mu, digli che se ne prenda cura, lei è una piccola cosa preziosa, l'ago della bilancia di una battaglia futura. Tieniti forte, ti teletrasporto io, ma fai attenzione, quando dovrai ripartire io non ti potrò aiutare...chiedi aiuto a Soichiro se non ce le fai..." gli carezzò la testa ancora un sorriso "Diventerai un uomo straordinario, piccolo Mu"

"Maestro Shion" il grido di dolore attraversò le dimensioni, le sue calde lacrime caddero sul suolo giapponese, il suo maestro era morto.

Come se lo sapesse, e forse era proprio così, Soichiro lo attendeva alla fine della scala.

"Vieni dentro ragazzo, ti preparo qualcosa di caldo"

La bambina, Alexandra, fu affidata a Kaede, la paziente moglie di quell'uomo dalla corporatura poderosa Come un guerriero si trovò a pensare Mu, intanto che sorseggiava controvoglia un the verde, cercando di concentrarsi su qualsiasi cosa gli impedisse di piangere ancora.

Quando le spalle del ragazzino, che non poteva avere più di sette anni, smisero di essere scosse da violenti tremiti, l'uomo dai capelli corvini gli consegnò una specie di piccolo rosario buddista uno di quelli da legare al polso

"Per proteggerti durante il viaggio di ritorno" lo abbracciò "se hai bisogno di aiuto, sai dove trovarmi, chiaro?..e un'ultima cosa, non parlare a nessuno di Shion e della bambina, a nessuno chiaro?"

il ragazzo annuì, come in trance, cominciando ad espandere il proprio cosmo per effettuare il ritorno. La mano di Soichiro gli accarezzò i capelli proprio come aveva fatto minuti prima Shion, si voltò specchiandosi nei suoi occhi scuri a mandorla, per un attimo l'immagine del suo maestro si sovrappose a quella dell'uomo di fronte a lui.

"Torna a casa"

Una luce calda e dorata lo avvolse, e poi fu, di nuovo, il buio del dormitorio.

Kaede si avvicinò al marito "Cosa è successo caro?" una mano di conforto sulla spalla

"Mio fratello è morto"

L'alba appena accennata all'orizzonte, il cuscino pieno di lacrime

"Mu, che hai?"

Aldebaran, un ragazzone grande e grosso, ma con un cuore d'oro, gli mise una mano sulla spalla, come a volerlo scuotere

"Nulla, un brutto sogno" la voce stentata, ti prego non fare domande.

"Torna a dormire, abbiamo ancora un'ora buona di sonno" sorriso, pacca sulla schiena.

Anni dopo, non appena Mu ricevette l'investitura e l'armatura dell'Ariete, la stessa che un tempo aveva indossato Shion, chiese congedo dal Santuario, deciso a non mettervi più piede, guardò dritto negli occhi l'uomo che aveva ucciso il suo maestro e viveva sotto le sue mentite spoglie, il Grande Sacerdote, gli parlò dall'interno del suo cuore.

Sei morto

 

Il destino tesse trame che agli occhi dei più sembrano non avere senso, persone allontanate si ritrovano dopo lunghi anni, persone vicine da tempo si separano. Dice bene la lingua giapponese con il vocabolo "en", se il fato decide che la sorte di due persone è di stare l'una accanto all'altra nessun evento accidentale le può separare, e comunque saranno sempre destinate ad incontrarsi.

Ma accanto a questa opportunità, come in tutte le cose, bisogna ricordare il rovescio della medaglia: se due persone non sono destinate a rimanere insieme, tutto, nella loro vita, cercherà di separarle.

Senza pietà.

Così un anno dopo, proprio al confine con il boschetto del tempio/pensione del nonno di Alexandra, si affacciavano gli immensi giardini dell'oramai ultimata Villa Kido: residenza al mare della famiglia più potente del Giappone.

Così Alexandra, che nel frattempo aveva compiuto tre anni, aveva fatto amicizia con Athena, che era stata ribattezzata Saori, la nipote di Mitsumasa Kido, uno de migliori amici di suo nonno Soichiro.

Così entrambe le bambine, che presto si fecero ragazze, crebbero insieme, senza chiedere del loro passato, insieme ai ragazzi che i Kido allenavano per fare da guardie del corpo di Saori, insieme a quei ragazzi strani che arrivavano di notte, dalla Grecia, con delle strane valigie d'oro, e seguivano come cagnolini il nonno Soichiro pendendo dalle sue labbra.

Così Alexandra conobbe Hyoga ed Ikki, due ragazzi di villa Kido che, forse per la loro intraprendenza o forse perché, come lei, avevano pochi peli sulla lingua, venivano spesso lasciati in disparte.

Ed un giorno di temporale, l'estate dei suoi dodici anni, l'idillio finì.

La pioggia battente contro i vetri li aveva confinati tutti nel salone principale dell'abitazione.

Alexandra scambiava occhiate di fuoco con Hyoga, quell'improvviso maltempo li aveva costretti tutti insieme e, in quel frangente, non potevano nemmeno eclissarsi senza passare inosservati.

Saori, come al solito stava tenendo banco, Jabu pendeva dalle sue labbra

"Su Jabu, facciamo il cavallino, un'ultima volta, in ricordo dei bei vecchi tempi!"

Tutti si voltarono, era forse impazzita? A dicembre avrebbe compiuto dodici anni e Jabu tredici, erano troppo grandi per questo genere di cose.

Intuendo la tensione nella sala, Ikki si avvicinò a Shun e Hyoga ad Alexandra, la ragazza sentiva che qualcosa di terribile stava per accadere, come quando era più piccola, scariche nervose le facevano tremare le braccia.

Poi lo avvertì, dietro alle sue palpebre chiuse, rumore di vetri infranti, la sirena di un'ambulanza, come un eco nella sua testa, ed una sensazione di pesantezza proprio alla bocca dello stomaco.

Stava sudando freddo

"Ehi, Alex, cosa ti succede, sei pallida" la mano di Hyoga si era stretta nella sua ed il ragazzo si accorse che era ghiacciata.

"Perchè non giochiamo a qualcos'altro?"

La guardarono come se fosse una marziana, era la prima volta che apriva bocca davanti a tutti, anche se lei non sapeva capacitarsi di aver compiuto un tale gesto.

Saori la guardò con aria di sfida

"E perchè mai? Io voglio giocare al cavallino"

"Ma pensaci Saori, potreste, che so, organizzare una partita di nascondino " tentò con uno dei passatempi preferiti della ragazza.

"Basta con le stupidaggini, Jabu, vieni qui!" negli occhi le passò un lampo d'ira, quello che per tutti i coetanei della ragazza sarebbe stato un capriccio, per Saori era un ordine.

Senza discutere Jabu si inginocchiò, lei a cavalcioni sorridente e leggermente accaldata.

Alexandra si appoggiò pesantemente alla spalla di Hyoga, il respiro veloce e poco profondo Devo stare calma, aria dentro aria fuori, come mi dice sempre il nonno, aria dentro ar...

Avvertì il braccio del ragazzo biondo che le circondava le spalle, stringendola leggermente.

"Non mi sento bene"

Proprio in quel momento uno dei piedini di Saori urtò una riproduzione in scala di un capitello corinzio posto ad ornamento al centro del salone, il vaso di cristallo sopra di esso, dopo una serie di piroette ellittiche, perse del tutto il proprio baricentro finendo per cadere.

Jabu si girò di colpo, facendo scudo a Saori con il proprio corpo, stringendo i denti in attesa del dolore

"No"

rumore di vetri infranti

Lei aprì gli occhi, tutti la stavano guardando come se fosse un fantasma. Lei si guardò le mani, le dolevano i palmi, e rimase letteralmente di stucco. Dalle sue normalissime, insignificanti mani usciva una specie di onda di luce che aveva formato un solido e compatto muro di energia, proprio sopra i due ragazzi.

Era stato proprio il suo muro a frenare la corsa del vaso ed impedire che finisse in testa al povero Jabu.

La tensione si allentò, il muro sparì ed i cocci finirono sul pavimento

"Meno male".

Hyoga la sorresse per le spalle, mentre lei si afflosciava a terra, svenuta.

Quando si riprese, fuori era già buio, si voltò, era in camera sua, nella casa del nonno, seduto accanto al suo letto c'era un giovane uomo, non poteva avere più di diciotto anni, i lunghi capelli viola legati in una coda distratta, gli occhi chiusi.

Lei si alzò seduta, trovandosi a fissarlo in due pozze verdi come la laguna di notte

"Uh"

"Stai coricata, Alexandra, ti chiamo subito il nonno." una bella voce profonda, un profumo strano come di incenso mentre lasciava la stanza.

Sgusciò nella direzione presa dal ragazzo, a debita distanza, la vista ancora un po' appannata ai lati, si fermò dietro un angolo, sentiva la voce del nonno e quella del signor Kido.

"Mu, si è ripresa?"

"Sì signor Kido"

"Non sai che sollievo"

"Dimmi, Mu hai avvertito qualcosa, mentre era addormentata?"

"Qualcosa sì, un cosmo vasto come il cielo terso, in primavera, e odore di fiori...e di morte."

Alexandra si annusò con circospezione un'ascella, no, non puzzava così tanto

"Cosa facciamo?" questa volta era stato nonno Soichiro a parlare, con la voce strozzata "speravo che non si manifestasse mai. Mu, tu cosa dici?"

"Non saprei, emettere un crystal wall senza un briciolo di allenamento non è cosa da tutti, è anche vero che se queste doti andassero sprecate sarebbe un peccato"

"Già, e lo sarebbe ancora di più se lei morisse"

"Non la manderò a morire Soichiro, magari se non viene allenata queste 'doti' come le chiama Mu, rientreranno da sole" questa volta era il signor Kido "Tienila lontana da casa mia, per un po', quei ragazzini sono un covo di cosmi, probabilmente lì dentro verrebbe sovrastimolata, e mandala via anche da qui, i cosmi di questi giovani sono deleteri"

Fruscio di vestiti, lei, di corsa, fuggì nuovamente in camera sua, le lacrime agli occhi. Non avrebbe più rivisto il nonno, Hyoga e Ikki?

Si lasciò andare sul letto esausta proprio mentre il nonno e quello strano Mu stavano entrando

"Scimmietta, tutto ok?" lei annuì

"Senti, per stanotte lui dormirà sul divano, accanto a te, per qualsiasi cosa, chiamalo, ti saprà aiutare. Vado a dare una mano alla nonna, ora, riposati e cerca di mangiare qualcosa." le accarezzò la testa, dopo aver appoggiato un piccolo vassoio con del riso e un po' di carne.

"Buonanotte scimmietta" gli sorrise.

Non appena la porta in carta di riso frusciò alle spalle del nonno, lei si accoccolò sui cuscini, spingendo aperta la tenda della grande finestra accanto al suo letto ed ignorando deliberatamente gli sguardi indagatori di Mu.

Non era passata nemmeno mezz'ora che un trio cianciante si avvicinò alla sua camera. Il giovane fece per alzarsi, quando la porta venne aperta senza tante cerimonie da un ragazzo, più o meno coetaneo di Mu, una massa riccioluta di capelli del colore del cielo di notte.

"Servizio di babysitting stasera?" rise sguaiato

"Milo, non entrare, vai via" Mu era stato adamantino, ma non solo quel Milo era entrato nella sua personalissima camera, ma si era tirato dietro un codazzo di altri due impiccioni, uno grande e grosso con la pelle abbronzata ed il sorriso aperto, l'altro con i capelli colore del mare, lo sguardo serio ed un'aura di gelo tale che lei si strinse involontariamente nelle braccia.

"Aldebaran, Camus, almeno voi..." Mu, ora, sembrava piuttosto disperato.

Ma lo strano trio parve ignorarlo, anzi, Milo si era comodamente spaparanzato ai piedi del letto, Aldebaran si era seduto composto accanto a Mu, sul divano, occupandolo per i tre quarti, solo Camus, forse per rispetto, forse per noia malcelata si era appoggiato allo stipite della porta, pronto per levare velocemente il disturbo.

Dopo due ore buone lei perse completamente il filo del discorso, santuari, Grecia e segni zodiacali si affollavano nella sua testa senza avere un senso compiuto, mentre Milo, alla terza birra, rideva ad un'ottava superiore rispetto al suo normale tono di voce battendole delle manate di approvazione che le stavano facendo gonfiare i piedi.

Ormai, nonostante fosse la sua stanza, nonostante lei sbadigliasse sonoramente nel tentativo di ricordare che ore fossero, l'allegro gruppetto non si schiodava da lì, inviperita si alzò avvicinandosi minacciosa alla porta, dentro di lei, l'inspiegabile impulso di gettarli fuori, tutti, in mezzo al petto, qualcosa che risuonava, vibrante come un accordo, unitamente a quei ragazzi strani, fastidioso come un ronzio che si diffondeva in tutto il corpo

"Non è il caso che ve ne andiate? E' così tardi..."

"Dunque dunque, la bimba ha sonno?" Milo, lo avrebbe strangolato con calma, più tardi

"Lasciala stare Milo, ha avuto una giornataccia" questo era Aldebaran, con il suo vocione

"Ecco appunto, allora perché non togliete il disturbo? Io me ne torno a letto, dormo, così Mu può andare con voi dovunque lo porterete, vero Mu?" lui annuì, per nulla convinto

"Senti senti, ora io dovrei prendere ordini da questa bambina che puzza ancora di latte?" lei corrugò la fronte "Attento che ti ci affogo nel latte!"

Lui fece finta di ritrarsi spaventato alzando i palmi in segno di resa "Che paura, ti prego Camus, ghiacciala prima che distrugga l'umanità" Rise ancora più sguaiato mentre l'alto ragazzo appoggiato alla porta sospirò per nulla contento di essere stato chiamato in causa.

"Allora ve ne andate o no?" a questo punto anche Aldebaran si era alzato, avvicinandosi a Milo "Forse è meglio andare a letto, domani abbiamo gli allenamenti" il suo vocione aveva qualcosa di caldo e su di lei aveva l'effetto di una cioccolata d'inverno. Si distese, rivolgendosi per la prima volta a Camus, di cui non aveva ancora sentito nemmeno un sussurro

"Lo chiedo a te che mi sembri sobrio, per favore."

"Tu non dai ordini a nessuno, non sei Saori, non sei Athena, non sei nessuno ed io sono un cavaliere d'oro, non prendo ordini da una stupida ragazzina!" Milo stava sbraitando, alzando la voce così avrebbe finito per scuotere l'intero albergo dalle fondamenta. Lei lo guardò sbigottita, anche quando lui allungò una mano verso di lei; come per magia, il muro di cristallo si formò di nuovo a sua difesa, facendo retrocedere il ragazzo di qualche passo. "Che cavolo vuol dire questo, mocciosa!" il muro andò in frantumi, Milo le mollò un ceffone spingendola con forza per le spalle e lei ringraziò la sua buona stella che quel Camus fosse nella posizione giusta per prenderla al volo, prima che si spaccasse davvero quella sua testa dura.

Milo corse fuori imprecando in una lingua a lei sconosciuta, seguito da Aldebaran, che si scusò uscendo e le augurò la buonanotte. Lei si mise diritta, lasciando le braccia di Camus

"Grazie," i suoi occhi erano così freddi "Ti fa male?" lei si tastò la guancia, l'angolo della bocca era gonfio, annuì, mentre seriamente, le stava venendo da piangere.

Lui la fece sedere sul letto, posandole una mano sul viso, in breve un fresco piacevole si diffuse, placando il bruciore "Devi perdonarlo, di solito non si comporta così, ma..." sospirò "stiamo passando un periodo molto duro"

Lei scosse i riccioli "Non è nulla" sbadigliò stendendosi, si addormentò nella sua mano fredda, prima ancora di rendersene conto.

Nei suoi sogni lei era una donna, vestita di bianco, che raccoglieva fiori in un campo, al tramonto. Improvvisamente, come emerso dal nulla, un uomo la avvicinava, vestito di nero, i capelli corvini.

"Vieni via con me"

Lei lo guardava, stupita in quegli occhi azzurri, tristi

"Non posso"

Lui si inginocchiava

"Vieni con me, sarò tuo per sempre"

I fiori danzavano attorno a loro, come in un vortice, lui abbassò lo sguardo, sconfitto

"Perché sei così triste?"

"Dove abito io c'è buio, tu saresti la mia luce"

"Io sono solo una bambina..."

Gli porgeva i fiori appena raccolti, lui le dava una carezza, un bacio sulla fronte

"E diventerai una donna, presto, una donna che ha rapito il mio cuore"

Arrossì, portandosi le mani al volto e guardandolo di sottecchi sorridendo

"Ora devo andare, ci rivedremo"

"Aspetta, chi sei tu? Come ti chiami?"

I fiori profumavano così tanto...

Lui sorrideva, un sorriso che non si specchiava nei suoi occhi

"Hades"

Quando si svegliò, il giorno seguente, non c'era più traccia del sogno nella sua memoria, solo la sensazione di essere felice come non lo era mai stata.

Uscì in giardino qualche istante, sempre accompagnata da Mu che sembrava a tutti gli effetti diventato la sua ombra. Tutto aveva l'imminente tristezza di qualcosa che sta per finire. Si tenne a debita distanza da Milo e dal suo gruppo di esaltati e ricevette la notizia della sua imminente partenza per Tokyo, dove avrebbe concluso gli studi. Sarebbe partita tra una settimana.

"Ciao!" una voce profonda la fece sobbalzare e voltare, era Camus, il ragazzo con le mani fredde. Gli sorrise in risposta "Come stai?"

"Bene..." lui sembrò sollevato

"Non hai nemmeno la guancia arrossata..."

"Questo perché qualcuno ha fatto in modo che non uscisse alcun livido..."

Camus annuì, i capelli del colore del mare ondeggiarono alla brezza di fine autunno

"Bè, ti saluto, immagino che avrai un sacco di cose da fare e i tuoi amici ti stanno aspettando." fece un cenno nella generale direzione di Milo.

Senza preavviso lui le diede un buffetto là dove Milo l'aveva colpita, gli occhi pieni di una dolcezza infinita

"Ho saputo che ti trasferirai a Tokyo"

"Tra una settimana dovrei partire" si guardò le mani, stratte l'una all'altra talmente forte da lasciarle le nocche bianche.

"In bocca al lupo, allora"

"Anche a te" gli regalò uno di quei sorrisi genuini che le facevano brillare gli occhi. Lo seguì con lo sguardo tornare dal gruppo e parlottare con Milo, fece una linguaccia, presto restituita, al cavaliere dello Scorpione e se ne andò con Mu prima che il suddetto cavaliere potesse nuocerle in qualche modo.

Fortunatamente quella sera, appena calato il buio, Hyoga era riuscito a sgattaiolare fino alla sua finestra. Si erano salutati tra le lacrime, anche lui sarebbe dovuto partire, la sua meta era stata fissata; le pianure ghiacciate della Siberia dell'Est.

Si diedero appuntamento per il giorno dopo, anche con Ikki, là, dopo i ciliegi, dove la rete era meno tesa, per colpa delle siepi, così si sarebbero potuti vedere in quei giorni che presagivano la partenza. L'ultima sera della sua permanenza, le portarono un dolce, sapientemente rubato dalle cucine, Hyoga le rubò il suo primo bacio ed il triste sorriso di lei rubò una lacrima ad entrambi.

Non sarebbe tornata che anni dopo, per il funerale del nonno, una donna fatta, non avrebbe più visto nessuno di loro, nemmeno Saori, della quale aveva solo sentito parlare dai media in occasione della Guerra Galattica o del rapimento del giovane Solo.

Il mondo strano che il nonno le aveva insegnato e dal quale l'aveva categoricamente esclusa, era lontano anni luce dalla sua mente e dal suo cuore.