CAPITOLO 5 - FESTA

Uscì di prima mattina, qualche minuto prima dell'alba. Shorts e maglietta per una breve corsa, quando ancora la rugiada trasformava le foglie d'erba in piccoli gioielli di smeraldo. Arrivò fino alla rupe che lei e Hyoga avevano ribattezzato "l'artiglio del drago", uno spuntone di terra a strapiombo sul mare, senza alcun parapetto di protezione. Il primo sole del mattino trasformava le onde in una tavolozza di colori e riflessi che le fecero socchiudere le labbra in un sorriso. Shinichi, le sua bugie, le sue amanti, ora, sembravano lontani anni luce, confusi nelle mille luci di Tokyo.

Respirò a pieni polmoni l'aria fresca che spirava, dolcemente, dal mare lasciando che il suo cuore tornasse a battere ad un ritmo normale, poi si accinse a rientrare, decidendo di intraprendere un percorso differente.

Luce ed ombra, luce ed ombra mentre i raggi del sole filtravano tra le fronde degli alberi nel piccolo boschetto sul retro della pensione disegnando sul suo viso disegni misteriosi. La ragazza rise sommessamente mentre i capelli legati in una coda, sobbalzavano ad ogni passo.

Arrivò alla piccola radura che ospitava i festeggiamenti di mezza estate con il cuore in gola, i fiori tardivi costellavano l'erba verde, le corolle pulsanti di colori.

Incoerentemente si lasciò cadere nell'erba, supina, a guardare scie di nubi rincorrersi nel cielo, la risata di poco prima ancora sulle labbra.

Da quanto tempo non mi sentivo così felice...mi sembra di galleggiare nell'aria...

"E' un po' difficile dipingere un campo di fiori se qualcuno vi fa irruzione, non trovi?"

Alexandra si alzò seduta di scatto, guardandosi attorno, spaesata da quella voce profonda e del tutto inaspettata.

Poi lo vide, al limitare del campo, un ragazzo alto, i lunghi capelli neri legati in una coda alla base del capo, occhiali squadrati dalla montatura scura, occhi azzurri come il cielo.

Era intento a dipingere su una tela di medie dimensioni disposta su un cavalletto, di fianco a lui, una valigetta di cuoio, la pelle scura graffiata e macchiata da varie tonalità di colore.

Le sorrise portandosi il pennello alla fronte in un parodistico saluto militare.

"Non ti avevo nemmeno notato..." si scusò lei, avvicinandosi lentamente

"Non c'è che dire, sono un uomo che lascia il segno" ottenne il suo sorriso

"Già...soprattutto quando interpreti la parte della siepe di gelsomino parlante..." una breve risata

"Touché. Speravo ti ricordassi di me, tuttavia mi rendo conto che è trascorso davvero troppo tempo." gli sembrò che lei trattenesse il respiro

"Bè, non così tanto. Mi ricordo vagamente di te, ma se devo essere sincera, non saprei contestualizzare il nostro incontro..."

Lui si voltò a contemplare il suo volto accaldato

"Mi devi scusare, eri poco più di una bambina...non potevi ricordare..."

"Posso?" lei si avvicinò alla tela, linee di colore tenue come l'acqua in primavera definivano forme e colori, quell'opera incompiuta era davvero notevole. Il dipinto riproduceva fedelmente la radura, così come i suoi colori e gli alberi del piccolo boschetto. Al centro del campo fiorito, un po' più evanescente rispetto al resto, c'era una donna, di tre quarti, con il viso leggermente voltato come a voler guardare negli occhi il pittore. Il vestito bianco sembrava fatto di semi di soffioni tanto leggero e fugace era il tratto con cui lo aveva caratterizzato, mentre gli occhi scuri e profondi avevano una traccia di vago divertimento.

Alexandra si sporse, le sembrava che da qualche parte nella sua memoria, cento campanelli stessero suonando contemporaneamente, mentre la scena rappresentata la stava attirando in un mondo parallelo

"Che cosa?" mosse un passo, poi, di colpo, un capogiro le fece perdere l'equilibrio.

Avvertì il braccio di lui sostenerla, fermo e forte

"Ehi, tutto a posto?" lei annuì, per nulla convinta, chi era quell'uomo? Perché la turbava così tanto?

"Forse è meglio che rientri per la colazione..."

"Ti accompagno, se vuoi" il suo braccio la circondava ancora ma la presa era diventata un abbraccio appena abbozzato.

Gli sorrise

"Non ti preoccupare, ce la faccio. La pensione è a due passi."

Lui la lasciò

"Fai attenzione..."

Si allontanò dalla radura camminando. Era solo stress, unito alla sua instabilità emotiva dovuta alla separazione dal marito. Per di più una corsa a stomaco vuoto non l'aveva certo aiutata. Ecco spiegato quanto successo.

La parola instabilità emotiva le echeggiava nella testa come un mantra. Si trovò suo malgrado a sorridere, la siepe parlante, in realtà, era solo un avventore dell'albergo che la conosceva.

A pomeriggio inoltrato giunsero alla piccola pensione cinque ragazzi dorati ormai fatti uomini, ognuno con un personalissimo fardello che si rispecchiava nei loro occhi. Quando lei raggiunse la sala comune, pronta per una serata a casa di Saori, Kaede la informò del loro arrivo

"Sii gentile con loro e non litigare, mi raccomando" aveva l'espressione grave delle grandi occasioni, così Alexandra si limitò a sorridere

"Ma certo, nonna"

Lo incontrò di nuovo, il misterioso pittore, sulla lunga scalinata che conduceva alla via privata in fondo alla quale si stagliava, dorato dal sole del tramonto il grande cancello di Villa Kido.

"Buonasera" un'occhiata di sfuggita, poteva avvertire il suo sorriso nell'aria attorno a lei, insieme al sentore di fiori di campo

"Buonasera a te, Cenerella, niente zucca a carrozza stasera?"

Lei si fermò, nonostante il piccolo ritardo già accumulato, sorridendogli a sua volta

"Niente zucca, niente topini, sono una donna grande, ormai. E non porto scarpette di cristallo" aggiunse scoprendo i sandali neri allacciati a calzare.

"Ti auguro di trascorrere una bella serata, allora" le rivolse un inchino beffardo

"E stai attenta ai principi azzurri, sono un branco di imbranati..."

 

La tappezzeria della grande sala, pensava Alexandra, si adattava perfettamente al suo vestito, come una tazza di latte ad una mosca, come le era venuto in mente di indossare il completo due pezzi nero, la gonna lunga ed ampia aveva uno spacco troppo profondo, il top, anch'esso di seta cadì, era decisamente troppo scollato.

Tutto era bianco, immacolato, perfettamente in stile classicheggiante, aveva personalmente incontrato Saori all'entrata, altrimenti avrebbe avuto dei seri problemi a non scambiarla per una elegante meringa, ma sorrise, quell'uomo, Julian, che a lei piaceva tanto checchè ne dicesse, non le toglieva gli occhi di dosso; non fu una sorpresa, quindi, quando le prese la mano conducendola verso la terrazza vista mare.

Quei due facevano una bella coppia, avrebbe volentieri ascoltato il resto più tardi.

Una rapida occhiata al resto della sala, il clima rilassato e sereno, una specie di riunione di famiglia. Tra alcune facce nuove, era riuscita a riconoscere un elegante Hyoga con appesa al braccio una ragazza bionda, profondi occhi verdi, che sembrava pendere dalle sue labbra, Seiya con una tipina tutto pepe dagli occhi di giada, Shiryu con l'immancabile Shunrei, il vestito rosso le donava come non mai, l'espressione di gioia radiosa sul volto, un tenue rossore sulle guance, quando il ragazzo le posò, protettivo, una mano sul pancione che l'avrebbe appesantita ancora per il prossimo mese.

Alexandra non poté fare a meno di avvertire una punta di gelosia, di tristezza, distolse lo sguardo quando una risata sguaiata attirò la sua attenzione verso un gruppetto di persone alla sua sinistra.

La sua memoria richiamò immagini a cui seppe dare un nome, Mu, Milo, Aldebaran, Shaka, Aiolia, quei ragazzi erano diventati uomini, allora? Una rapida scansione, un tipo strambo con i capelli lilla stava parlano concitatamente con Shun, uno con i capelli blu oltremare, l'espressione preoccupata sul viso forse un po' troppo magro, che si teneva in disparte con Ikki, una ragazza dai capelli lisci, il colore della luna, con accanto un omone con gli occhi talmente chiari da sembrarle trasparenti, no, non conosceva nessuno e nessuno aveva dato segni di riconoscere lei, così, bicchiere di rhum alla mano, decise che era il momento di defilarsi verso la terrazza, sigarette alla riscossa.

Non si sentiva una ciminiera, ma il primo tiro, dopo una giornata intera senza toccare un posacenere, era davvero un'esperienza rilassante, un momento di intimità, di pace con se stessi.

Pace che fu bruscamente rotta da una manata sulla spalla

"Ehi, guarda, c'è la bambina dell'albergo!" Milo, aveva dubitato che la riconoscesse, ma quello era un uomo dalle mille sorprese

"Milo, non dire così, insomma, è tutto tranne che una bambina!" questo era Aldebaran, al quale aveva riservato un sorriso speciale

"Ciao a tutti"

Mu le lisciò un braccio con una carezza

"Sei cresciuta davvero, Alexandra"

si sorrisero, poi lei aprì le sue labbra lucide di un tenue rosa, e rivolse una domanda che fece cadere il gelo in quella notte d'estate

"Non vedo parecchia gente, troppi impegni o semplici defezioni?"

nessuno la guardava più negli occhi, il dolore era palpabile, talmente tanto che lei ebbe un singulto

"No..non..."

"Sì, purtroppo sono morti" era stato Shaka a parlare, il respiro le si era mozzato, anche Camus? Quel ragazzo gentile con le mani fredde. La vista le si annebbiò mentre sentiva pungere le lacrime dietro agli occhi.

"Quando...come..." guardò Milo dal quale poteva avvertire, provenivano onde di dolore crudo e profondo

"Durante l'ultima guerra, al Santuario, i cavalieri di bronzo ci hanno decimati" fece un cenno verso l'interno della sala, "eravamo ciechi, seguivamo un falso sacerdote, e Seiya e gli altri hanno riportato Athena in Grecia, sotto i nostri occhi, perché potessimo redimerci...ma alcuni di noi non ce l'hanno fatta" lo sguardo del ragazzo si perse nel mare scuro "Camus è stato addirittura ucciso dal suo allievo Hyoga" un singhiozzo lo fece interrompere, guardò verso di lei che stava tremando come una foglia, Hyoga...il suo Hyoga, come poteva aver fatto una cosa del genere?!

"Scusatemi"

Le onde del mare, concentrarsi sulle onde del mare, la sigaretta, le seconda quella sera, mandava un bagliore rossastro, unico segno di vita in quella spiaggia buia. Nessuno si sarebbe accorto della sua assenza, tanto, nessuno sarebbe arrivato per lei.

"Toh, una stella cadente." si appoggiò più comodamente allo scoglio, umido contro la sua schiena nuda, socchiuse gli occhi, finendo per assopirsi, immagini strane di battaglie e di sangue si rincorrevano dietro alle sue palpebre chiuse, fino a quando alcuni ansimi non la ridestarono.

Si nascose, tendendo l'orecchio

"No, Julian fermati, io...non ho mai" la voce sottile di Saori evidentemente a corto di fiato

"Saori, tu...sarai mia, presto, presto, io ti voglio mia per sempre" la voce roca, profonda del ragazzo le fece venire i brividi.

"Torniamo in sala, adesso basta..." fruscio di vestiti, passi concitati, ad Alexandra scappò da ridere, davvero Saori era ancora vergine?

Sgattaiolò fuori dal suo nascondiglio con circospezione, i due stavano faticosamente arrancando nella sabbia, mano nella mano

"Ma brava adesso ci mettiamo a giocare alla piccola spia?" lei per poco non cadde, si voltò furiosa, Milo, stava cominciando ad odiarlo

"Ero qui per caso"

"Lo so, c'ero anch'io" sorrise, sedendosi su una roccia e tendendole una mano per aiutarla ad issarsi e prendere posto accanto a lui

"Senti, tregua, ero venuto a vedere come stavi"

"Sono di ferro, mi è dispiaciuto, però, mi sembravano tutti dei bravi ragazzi, ero lontana dall'immaginare che tali situazioni potessero verificarsi sul serio. Io ho condotto una vita normale" lui rise

"Normale e tu nella stessa frase suona male" lei sorrise sospirando

"Sei l'ultima persona che credevo venisse a cercarmi" lui la guardò, un'espressione indecifrabile gli attraversava il volto

"Non ti ho mai chiesto scusa per quello schiaffo" lei si toccò assente la guancia

"Non sono Saori, io facevo a botte più spesso di quanto credi"

"Già, ci avrei giurato, ma mi dispiace ugualmente"

"Scuse accettate" gli batté una mano sul braccio destro, poi, con malagrazia, cercò di scendere da quell'improvvisato sedile.

"Ora di tornare per i saluti, a presto, Milo"

Si diresse verso l'imponente villa arrancando nella sabbia, Milo, al contrario, volse lo sguardo al mare, nero, uno specchio del cielo immobile.

"Camus..."