VIII

 

L’oscurità sembrava essersi fatta ancora più fitta nella Valle delle Meteore. Il giovane cavaliere del Leone era rimasto solo e il nemico lo stava attendendo, da qualche parte, nel buio della notte.

"Non temere, Pisandro, io ti aspetto" disse Koibe che evidentemente era rimasto fermo al suo posto, almeno a giudicare da dove proveniva la sua voce.

Pisandro non si fece pregare: "Ebbene, lascia che ti mostri come un cavaliere di Atena illumina la notte! Lighting Plasma!"

Un fascio di luci dorate saettò dal pugno del cavaliere nell'oscurità e a breve seguì un singulto. "Stai soffrendo Koibe?" ghignò Pisandro "Forse che ti stai rimangiando le tue baldanzose parole."

"No, affatto" disse una voce, inaspettatamente vicina. Pisandro si rese allora conto che l’avversario aveva eluso il suo attacco e si era ormai avvicinato, alla sua destra. D’improvviso distinse quello che parve un elmo, sul quale spiccavano degli occhi gialli accesi d’una luce tremula. "Benvenuto nelle tenebre, stolto! Tenebre dalle quali non uscirai più! Oscuro Abisso!" tuonò Koibe.

Pisandro fece in tempo a sollevare le braccia. Gli parve che una notte più nera della notte stessa lo avvolgesse, tanto che pure la vista del tenue bagliore dei suoi bracciali e del resto dell’armatura gli fu negata. La tenebra che gli si parò innanzi era orribile e ripugnante, innaturale, un rigurgito stesso degli Inferi. Gli parve che il terreno gli mancasse da sotto i piedi, che qualcosa lo trascinasse a terra, sottoterra, nel Tartaro. La luce, pure quella fioca, delle stelle divenne un ricordo lontano come se fosse precipitato nell’abisso della morte da moltissimo tempo. Poi avvertì chiaramente il colpo dell’avversario che lo atterrava colpendolo al torace e di seguito la sua voce, che sembrava provenire da un mondo lontano. "Ed ora, caro il mio cavaliere, che le tenebre ti inghiottano per l’eternità!"

A queste parole un brivido percorse Pisandro sotto le sacre vestigia del Leone. Possibile che fosse già prossimo alla fine? Aveva sferrato un solo colpo all’avversario e non era riuscito a portarne altri. Koibe invece aveva sfruttato al meglio la sua evidente dimestichezza con l’oscurità e lo aveva colpito in modo rapido ed efficace. Improvvisamente, in quel pozzo di buio nel quale sembrava essere caduto, la luce di un ricordo si affacciò alla sua mente. Vedeva lui e suo fratello, poco più che bambini, vagare sul pianoro dove gli anziani dicevano sorgesse una polis dei tempi remoti. Il carro del sole stava ormai passando oltre e le pecore, disperse sugli aridi prati e sulle balze scoscese, andavano radunate. Eccone altre, finite all’estremità del pianoro, tra massi e anfratti. E lì, nascosta da terra e sterpi quell’apertura, quella specie di cunicolo, inesplorato da chissà quanto tempo. Nei due fratelli la voglia di sfidare il buio e il pericolo. L’apertura liberata e, inaspettate, delle scale che scendevano giù, sempre più giù, nell’oscurità fitta che non lasciava intravedere nulla. Passi lenti nell’oscurità, gradini umidi che conducevano sempre più in basso, che scendono ancora. Poi un bacino colmo d’acqua, che non si vede ma che bagna piedi e caviglie. Improvvisa la paura, l’ansia di non rivedere più la luce e il mondo esterno. La lenta risalita tra il freddo e la paura, la scala che sembra interminabile. Finalmente l’uscita, le luci incerte del tramonto, il frinire dei grilli, il belare delle pecore impazienti sul pianoro.

"Non posso cadere senza combattere!" si sentì gridare Pisandro "Cosa penserebbe di me il mio prode fratello Lisandro?" Vinta la gravezza che lo aveva invaso si alzò in piedi. "No, Koibe, il Leone non teme il tuo buio. Già una volta è riemerso dalle tenebre. Ed ora, se sarà necessario, il leone si farà leopardo per darti la caccia nella notte!" Chiuse gli occhi, il cui compito era comunque superfluo in quella situazione, e si concentrò sulla presenza dell’avversario. Nel buio pure il cosmo del nemico pareva nascondersi e gli giungeva attenuato. Concentrò le sue energie vitali nel senso dell’udito ed ecco finalmente che un tenue rumore di passi, poco discosti da lui, gli rivelarono che il nemico era ormai a portata e che stava forse per sferrare l’attacco decisivo.

"E’ la tua fine!" urlò finalmente Koibe, ormai a un paio di passi da lui. "Pozzo dell’Oscurità, inghiottilo!"

"Hai perso, stolto" rispose di rimando il cavaliere di Atena, piegandosi sulle gambe per poi sferrare il pugno del basso verso l’alto all’avversario che si era lanciato su di lui. "Lighting Plasma!"

Il colpo andò a segno e come d’incanto le tenebre si aprirono rivelando il corpo di Koibe che si contorceva a terra, la sua nera corazza danneggiata in più punti e in altri andata completamente in frantumi.

"Come è potuto accadere… maledetto…"

Pisandro, ora di nuovo pienamente padrone di sé, con fierezza rispose: "Credevi che l’attaccarmi al buio mi rendesse cieco. Ebbene non è così. Un cavaliere d’Oro sa trovare dentro di sé le risorse che gli permettono di vincere una battaglia. Ho udito i tuoi passi e ho distinto il momento in cui ti sei slanciato su di me."

"Se solo non… avessi parlato…"

"Non sarebbe cambiato nulla. Il tuo destino era segnato, incauto soldato di Ade."

E così dicendo lo afferrò per il collo lo sollevò davanti a sè. Fu sorpreso nel distinguere un volto chiaramente umano e non quello di un demone, come si era più volte figurato gli Spettri del signore degli Inferi. Lo sguardo sbarrato del nemico, un rivolo di sangue alla bocca, i capelli scompigliati mostravano chi ora provasse davvero paura.

"Ora io e te parleremo un po’, ci sono molte cose che voglio sapere sui piani del tuo signore!" disse brusco Pisandro mentre l’altro, con le forze residue, cercava di liberarsi dalla stretta.

 

Nel frattempo Pelopida si era ormai avvicinato al suo avversario che aveva raggiunto la base di un altro sperone roccioso, più basso del precedente ma pur sempre imponente. Finalmente il cavaliere dei Pesci poteva scorgere chiaramente Millios, che era coperto dalla testa ai piedi da una corazza luminescente color nero e verde; l’elmo lo ricopriva completamente, viso compreso.

"La tua rincorsa è finita, Pelopida dei Pesci! Queste terre, che già ti videro cedere contro i servitori del possente Ares, accoglieranno finalmente le tue misere spoglie mortali."

Il Cavaliere si irrigidì nell’udire quelle parole. Il passato tornava inaspettatamente a fargli visita per bocca di uno sgherro di Ade. Mantenendo il controllo di sé disse: "E cosa ne sai tu di quel che mi è capitato combattendo contro le orde del signore della guerra?"

"So quello che hanno raccontato a noi Spettri i servitori del divino Ares che voi cacciaste negli Inferi. E ora voi cavalieri di Atena pagherete per la vostra arroganza. Non avete segreti per noi, molto ci è stato rivelato." Rise "Quanto a te, sei stato decisamente sfortunato a tornare in questi luoghi perché ora quel che non portarono a termine i soldati del dio dalla guerra, finirò io da solo." Già si stava preparando a lanciare l’attacco ma fu fermato dalla sonora risata dell’altro.

"E dimmi, Millios, non ti è stato raccontato che, prima di cadere ferito da uno dei generali di Ares, avevo bloccato da solo un’intera falange nemica, spazzandola via?"

Millios fece un passo indietro: "Soldati semplici, non certo uno Spettro di Ade, che sa il fatto suo."

Pelopida si portò istintivamente la mano alla fronte, a sfiorare la cicatrice ricordo di una giornata eroica e drammatica al tempo stesso.

"Stai già tremando di paura?" lo schernì Millios "Tranquillo la tua fine arriva ora! Soffio degli Abissi!" Una tempesta di vento si abbatté sul Cavaliere d’Oro.

Pelopida parve non reagire, poi alzò fulmineamente una mano e bloccò il turbine di vento generato dal nemico. Allo stesso tempo le vestigia dei Pesci si illuminarono e Millios, sgomento, vide chiaramente un’onda spumeggiare alle spalle del cavaliere di Atena.

"E dimmi" disse Pelopida con piena padronanza di sé "cosa saresti mai, tu, se non un povero soldato di Ade, tronfio e pieno di sé? Questa dovrebbe essere la mia fine? Se ti ritieni davvero tanto abile prova tu ora a fermare il mio colpo. Onda Impetuosa!"

Un’onda dirompente si mosse verso Millios, lo travolse e lo proiettò sulla parete rocciosa alle sue spalle, sollevandolo in alto per diversi metri. Quando la spinta venne meno le acque, scintillanti nella notte, rifluirono e il corpo esanime di Millios si schiantò al suolo; l’elmo in frantumi mostrò una selva di capelli nero-bluastri.

Pelopida si avvicinò e scorse l’espressione atterrita dell’uomo. "Può essere che io muoia durante questa guerra sacra, Millios, se così decreterà il Fato, ma di sicuro il signore degli Inferi dovrà porre in campo le sue forze migliori per avere ragione dei Cavalieri di Atena!".

Poi si allontanò correndo dove supponeva stessero combattendo i suoi compagni d’armi.

 

Kyriakos si arrestò di colpo. Okois, che era andato fuggendo fino a quel momento, si era fermato e pareva anzi che lo stesse attendendo.

"Le gambe cominciano forse a dolerti?" disse severo il cavaliere.

Lo Spettro inarcò leggermente le labbra: "Certo che no, saggio Kyriakos! Ma questo è il luogo del riposo. Del tuo eterno riposo. Presto gli Inferi ti accoglieranno. Non si senti pervadere dal terrore?"

"Il regno dei morti non mi spaventa. Mi spaventava da ragazzo, prima che conoscessi la dea, quando ancora credevo impensabile che qualcuno potesse visitarlo da vivo, anche se di tale impresa si narra siano stati capaci Eracle e l’astuto Odisseo."

"Ma tu invece farai un viaggio di sola andata verso il Tartaro, e non ci sarà nessun Eracle che sappia liberarti, come capitò al sacrilego Teseo."

"Tu dici?"

Okois rise: "Ti ritieni avveduto, Kyriakos, e forse lo sei davvero. Vediamo se alle parole sai far seguire i fatti." Ponendosi in posizione d’attacco, sollevò le braccia tenendo le palme aperte e gridò: "Sguardo di morte!" Le sue pupille si fecero nere come la pece mentre un’aura caliginosa l’avvolgeva e subito un fascio di luce nero-bluastra proruppe dai suoi occhi e dalle mani.

Kyriakos sollevò le braccia per parare il colpo e un sorriso gli apparve sul volto quando vide che riusciva facilmente a reggere l’urto. Ma la sua sicurezza svanì di colpo quando vide che i bracciali dell' armatura, in prossimità delle mani, si stavano facendo neri, come neri erano il colpo dell’avversario e la sua aura cosmica.

"Impossibile!" disse incredulo Kyriakos "La sacra armatura di Cancer non può essere intaccata!"

Okois con voce gutturale gridò: "Non è infatti la tua armatura che assorbe l’aura di morte, ma il tuo stesso corpo."

"Tu menti, un’armatura d’oro è una difesa impenetrabile."

"Dubito che lo sia, ma se anche fosse non farebbe alcuna differenza."

Nel frattempo Kyriakos aveva scoperto con orrore che anche i gambali e i coprispalle si stavano annerendo.

Okois continuò: "Non credere che il nostro signore Ade mandi i suoi guerrieri in battaglia senza averli istruiti a dovere. Sappiamo benissimo che sei stato proprio tu, assieme al vecchio grande sacerdote Callistrato, a spedire Ade negli Inferi spianando la strada alla vittoria di Atena." Vide la sorpresa negli occhi di Kyriakos e sorrise sarcastico "Sì, cavaliere, so benissimo che tu puoi raggiungere la Bocca di Ade e spingerti sul limitare del regno dei morti, anzi forse puoi addirittura varcarne la soglia e tornare. Grande è il tuo potere e per questo devi essere neutralizzato."

Al nome di Callistrato, Kyriakos non potè non pensare al suo amico fraterno, all’addestramento, alle battaglie sostenute assieme e alla sua eroica scomparsa. Ma ora i ricordi dovevano lasciare spazio al presente.

"E come vorresti fare, Okois della Terra Corsara, a rendermi inoffensivo?"

"Lo vedrai." rispose acido, e aumentò la potenza dell’attacco.

Il cavaliere di Cancer fece allora rilucere il suo cosmo e per un attimo le parti annerite dell’armatura brillarono nell’oscurità. "Preparati, stai per ricevere il colpo che ti rispedirà da dove sei venuto. E ti posso garantire che ti precipiterò io stesso nella Bocca di Ade per rimandarti sconfitto al cospetto del tuo padrone."

"Non chiedo di meglio!" lo irrise lo Spettro.

Ma quando stava già per sferrare il suo attacco Kyriakos esitò e una voce gli risuonò nella mente "Non lo seguire!" Il cavaliere non capiva, la situazione gli imponeva di agire, e alla svelta. "Non lo seguire!" risuonò ancora la voce.

"Strati di spirito!" gridò forte Kyriakos.

Una spirale di morte si staccò dal dito di Kyriakos  raggiungendo l’avversario, il quale non fece nulla per difendersi, anzi, con uno sforzo estremo, intensificò ancora l’attacco. Tra alte grida il suo corpo parve scomporsi e dopo pochi istanti, dove si trovava Okois, giaceva a terra la sua Surplice, fumante. Dell’avversario non vi era nessuna traccia.

"Ti sei dunque sottratto al tuo destino, demone?" pensò il cavaliere. Guardò i bracciali, tornati normali. "Mentivi, dunque. L’attacco sembra neutralizzato. Ma allora qual’era il tuo obiettivo, Okois? A cosa miravi?" D’un tratto avvertì un cosmo, flebile. La surplice brillava debolmente. "Sei forse fuggito? E dove?" Mosse un passo verso la corazza per esaminarla da vicino. Il cosmo era ora un po’ più forte. "Sei dunque fuggito, lasciando l’armatura? Che vigliacco!" disse ad alta voce. "Possiedi poteri simili ai miei. Ebbene, non ti permetterò di sottrarti al tuo destino e di tornare a nuocere. Okois, sto venendo a prenderti, so dove trovarti."

Stava già per attuare la tecnica che il suo maestro, Ctesia, gli aveva trasmesso ormai qualche decennio addietro quando nella sua mente risuonò la voce che aveva udito poco prima. "Non lo seguire!" Si bloccò. Ripensò a quanto accaduto. L’armatura divenuta nera. Il nemico scomparso, senza difendersi, dopo che si era vantato di conoscere le sue tecniche. La sua probabile discesa negli Inferi. Un duello che sarebbe proseguito, forse, in forma di spirito. Lo avrebbe vinto? Sì, ne era convinto, poi sarebbe tornato per aiutare i compagni. "L’armatura… Non lo seguire…" Ancora quella voce. Guardò la surplice, iridescente nel buio. Il cosmo che da essa promanava sembrava lontano. L’armatura… Il corpo scomparso… La sua mente sondava idealmente lo spazio circostante per spostarsi poi nel regno dei morti, all’inseguimento del nemico. Gli sarebbe stato facile, lo aveva fatto ormai chissà quante volte. Non aveva paura di recarsi ancora, abbandonando momentaneamente il suo corpo, alla Bocca di Ade. Ormai però il dubbio lo aveva reso titubante. Raccolse un frammento della nera armatura che giaceva ai suoi piedi. Nulla, se non la fredda sensazione metallica e quel colore nero-bluastro che ora emetteva però dei vaghi riflessi più chiari. Riflessi aurei. Fu un lampo. Si sfilò uno dei bracciali: appariva dorato, come d’abitudine, ma la superficie interna, notò con orrore, si stava scurendo. Pur nella scarsità di luce intravide un’ombra più scura sul suo stesso braccio, dove poco prima poggiava il bracciale. Allora capì. Si spogliò all’istante dell’armatura mentre bruciava il suo cosmo. Poco dopo un’ondata di luce si abbatteva sulla surplice di Okois, disintegrandola completamente.

Kyriakos, madido di sudore, guardò allora le vestigia di Cancer, sparse ai suoi piedi. Avevano ora l’aspetto abituale e l’aura che emettevano non era offuscata da alcuna ombra.

D’improvviso avvertì però la presenza di un cosmo alle sue spalle. Scartando sulla destra evitò il colpo che gli stava arrivando da dietro e vide Okois sfilargli davanti. La pelle biancastra e due occhi da pazzo, che lo fissavano con rabbia: "Maledetto! Eri quasi morto!"

"Esatto" disse Kyriakos "ero quasi morto ma un amico mi ha messo in guardia, salvandomi."

"L’effetto della Nera Gorgone che avevo proiettato sulla tua armatura avrebbe distrutto il tuo corpo una volta che ti fossi recato in spirito alla Bocca di Ade."

Kyriakos sorrise stancamente: "Quasi certamente sarebbe accaduto. Ma ora a lasciare questo mondo sarai tu. Sei sprovvisto di armatura."

Non riuscì a finire la frase che l’altro gli si lanciò addosso scagliando neri strali dalla mano, ma l’eroe lo colpì con un pugno alla mandibola e lo fece volare parecchi metri più indietro. "Questa è la forza di un cavaliere di Atena." Okois ebbe la forza di sollevare per un attimo il capo e guardare quell’uomo maturo che si ergeva di fronte a lui, i muscoli tesi, un’aura dorata che lo avvolgeva e comprese che la battaglia che attendeva l’esercito di Ade sarebbe stata assai dura. Tuttavia prima di lasciare le terre mortali riuscì a dire: "Eppure cadrai, Kyriakos di Cancer… Prima di quanto tu non creda… Il tuo nemico… è già…"

Il cavaliere lo osservò pensieroso ancora per un po’, poi fece entrare in risonanza il suo cosmo con le sacre vestigia di Cancer che si disposero di nuovo sul suo corpo.

E mentre si allontanava di corsa mormorò: "Grazie, Callistrato, amico mio."

 

Pisandro aveva ora posato a terra Koibe, sanguinante e ansimante per le parole che il Leone l’aveva costretto a proferire. Fu in quel frangente che percepì chiaramente un cosmo avvicinarsi e fu per lui un sollievo veder apparire la figura di Pelopida. Il cielo si andava rischiarando e le tenebre cominciavano a diradarsi.

"Tutto bene, mio giovane allievo?"

"Certo" fece Pisandro "con lui ho già finito. Dov’è Kyriakos?"

"Non lo so. Ho avvertito il suo cosmo indebolirsi poco fa."

Con un rantolo Koibe disse: "Gli Inferi l’avranno accolto."

"Taci!" disse furente Pisandro. Poi più calmo ma con una certa concitazione: "Pelopida, dobbiamo far presto. Costui mi ha rivelato che una schiera di Spettri è in marcia verso sud e che lungo strada vuole seminare il terrore nei villaggi."

"Quello che la dea temeva si avvera." disse Pelopida con gravezza "Il nostro nemico ci attacca nel modo più vigliacco, coinvolgendo le genti di polis e villaggi."

"Quello che meritano… insulsi fedeli della dea e degli olimpici…" tossì Koibe.

"Non ne avranno il tempo, illuso, perché noi li precederemo." disse una voce.

"Kyriakos!" fecero all’unisono Pelopida e Pisandro.

"Coraggio, cavalieri, gettiamoci all’inseguimento." esclamò con decisione il cavaliere di Cancer "E tu, Koibe, facci da guida e forse Atena avrà pietà di te."

"Stolto!" disse a fatica Koibe. "Non tradirò il mio signore."

"E allora ci seguirai con la forza!" disse Pisandro sollevandolo e caricandoselo in spalla. "Mi fa ribrezzo portarmi appresso una simile carogna, ma faccio volentieri lo sforzo per evitare che altri abbiano a patire la furia demoniaca degli Spettri di Ade. Andiamo!"

"Non così alla svelta." echeggiò una voce nella valle. I tre si guardarono attorno, ma non riuscirono a percepire donde venisse. Fu un cosmo potente a rivelare che qualcuno stava sopra di loro, sull’alto pilastro di roccia che si ergeva alla loro destra. La tenue luce dell’aurora rivelò una sagoma che si stagliava sulla cima.

"Koibe! Vedo che avete fallito." disse la voce, soave e pungente al tempo stesso. "Ma non temere, la tua fedeltà sarà comunque premiata." Dopo una breve pausa, durante la quale tre paia di occhi si erano levate verso l’altro cercando di distinguerne la figura, proseguì: "Finirò io il lavoro con questi tre. Tu affrettati a raggiungere chi sai e trova il modo di riscattarti. Quanto a voi, Cavalieri di Atena, la valle delle Meteore sarà il vostro monumentale e splendido sepolcro. Siatene felici."