L'ULTIMA BATTAGLIA

Al di là della coltre di nebbie, al di là del nero cosmo della Prima Ombra, un sole rosso sangue illuminava il cielo della sacra Avalon, prova inequivocabile che un giorno di guerre si stava avviando lentamente al termine.

Sin dalle prime luci dell'alba, Cavalieri, Flagelli e Imperatori si erano battuti fino all'ultimo respiro nel conflitto finale tra i portatori delle tenebre ed i campioni della giustizia. Vi erano state vittime, da ambo le parti. Tradimenti imprevisti e aiuti inattesi. Momenti di nobile audacia e vili menzogne.

Ora, in quella che un tempo era stata la sala del trono del sommo Oberon, Pegasus era finalmente di fronte ad Erebo, Portatore del Caos, Flagello di uomini e Dei, uccisore di Atena.

Nel vederlo, il Cavaliere si sentì attraversare da un brivido misto di odio e rispetto. L'ultima volta che si erano scontrati, Erebo aveva totalmente annichilito lui ed i suoi compagni, annullando qualsiasi loro colpo segreto, arma o strategia.

L'ultima volta che si erano scontrati, Lady Isabel era morta.

Il desiderio di vendicarla ardeva forte in lui ora. Solo pochi anni prima probabilmente vi si sarebbe abbandonato, lanciandosi alla carica a testa bassa. Adesso però aveva molta più esperienza, come uomo e come guerriero. Sospirando, si calmò ed alzò la guardia, notando ma cercando di non guardare il macabro trono del nemico, fatto dei resti di Oberon.

In quel momento, Erebo parlò.

"Sei arrivato sino a me. I Flagelli hanno dunque fallito, e prima di loro gli Imperatori!" esclamò con voce cavernosa, guardandolo fisso negli occhi.

Deglutendo, l'eroe ne sostenne lo sguardo. La sensazione che provava alla sua presenza era simile a quella dell'ultima volta, ma meno opprimente. Avvertiva un senso di pericolo estremo spirare dai suoi occhi dorati, ma non sentiva il terrore che lo aveva paralizzato o l'impellente desiderio di fuggire.

La Prima Ombra sembrò accorgersene. "Mi ricordo di te... Pegasus è il tuo nome. Sei cambiato, e non solo nell'armatura. Sento che anche il tuo cosmo non è più lo stesso di pochi giorni fa..." constatò, con calma glaciale. Il tono ebbro e sguaiato che il Cavaliere lo aveva sorpreso a usare al suo arrivo appena pochi istanti prima era scomparso, sostituito da una calma ben più minacciosa.

"Tu e i tuoi compagni siete sopravvissuti al mio tocco: esigo sapere come!" disse ad un tratto.

Pegasus non poté trattenere una smorfia divertita al pensiero di sapere qualcosa che la Prima Ombra ignorava. "Zeus ci ha salvati! Grazie alla sua previdenza, abbiamo visto il futuro che creeresti con il tuo empio regno, ed ora siamo tornati per impedire che si avveri!"

Nel sentire queste parole, uno scintillio brillò negli occhi del tiranno. "L'occhio di Zeus... era stato per questo allora..." comprese, memore di quello strano gesto del suo nemico, sull'Olimpo.

"L'hai detto! E ora basta parole, il loro tempo è passato. Per lui, che mi ha fatto dono di quest'armatura, e per i miei amici, che hanno lottato fino alla fine per permettermi di raggiungerti, io non fallirò! Preparati alla battaglia, ombra malefica!" gridò l'eroe, espandendo il suo cosmo. "Fulmine di Pegasus!!"

Nonostante la stanchezza, il colpo segreto esplose con sorprendente vitalità, talmente luminoso da rischiarare la cupezza della sala del trono. Intrigato, Erebo si lasciò colpire dalle prime meteore, sentendole stridere contro la sua corazza, spingere per spazzarlo via.

"Non sbagliavo, la tua forza è aumentata. Hai fatto tesoro dei drammi che hai vissuto come degli scontri che hai sostenuto..." affermò, prima di annullare il colpo segreto con un solo gesto del braccio. "Ma non mi sarai mai abbastanza vicino, l'abisso che ci separa rimarrà sempre per te un golfo incolmabile!"

Spalancando gli occhi, investì l'eroe con una scarica di energia, sbattendolo contro la parete.

***

"Sirio! Coraggio, amico mio, apri gli occhi!" esortò preoccupato Phoenix, scuotendo il corpo immobile del Dragone. Quest’ultimo era immerso in una pozza di sangue, che insieme alle condizioni del salone ormai in rovina, ben indicava la violenza del suo duello con Guerra.

"Rispondimi! Non puoi essere sfuggito al tocco di Morte solo per cadere qui! Avanti!" disse ancora, con frenesia crescente. Poteva sentire i cosmi di Pegasus ed Erebo accendersi, segno che la battaglia finale era iniziata.

Con un gemito, il ragazzo riprese finalmente i sensi. "Phoenix... sei tu... sono di nuovo nell'aldilà, oppure...?"

Sorridendo, il Cavaliere della Fenice scosse la testa. "Non è ancora giunta la nostra ora. Coraggio, alzati! Pegasus è in fondo a questo corridoio ed ha bisogno di noi!" esclamò, porgendogli una mano.

Sgranando gli occhi, Sirio lo guardò meglio, accorgendosi che vestiva solo quel che restava dei suoi vecchi abiti. Phoenix li aveva indosso sin da quando era partito per recarsi sull'Olimpo, pochi giorni che però avevano il peso di un'eternità. Laceri e sporchi, rovinati da strappi e chiazze di sangue rappreso, mostravano eloquentemente quanto patito dall'eroe.

"La tua armatura..." iniziò, notando subito l'amarezza negli occhi dell'amico. "Perduta, per sempre. E' stato l'alto prezzo da pagare per avere ragione di Morte! Non invano però: ora nessuno più ci ostacolerà nella corsa verso Erebo!"

Dragone annuì, intuendo subito le implicazioni delle parole del Cavaliere. Anche senza difese, aveva intenzione di lottare, fino alla fine. Il pensiero di convincerlo a fare altrimenti non lo sfiorò neppure. "Al suo posto, non farei lo stesso?" si chiese retoricamente, prima di aggiungere ad alta voce "Non sarai solo!"

Con uno sforzo supremo, Sirio serrò i pugni e si sollevò sulle ginocchia. "Pegasus... questa battaglia... la vinceremo insieme!" sussurrò, accettando la mano tesa dell'amico.

Insieme, i due si incamminarono lungo il corridoio, diretti al palcoscenico finale.

***

"E' finita, Pegasus! Perderai la vita!" esclamò Erebo, alzando di scatto il pugno e sbattendo di nuovo il Cavaliere contro le mura del salone. "Con quest'armatura saresti potuto nasconderti ai confini dell'universo, la fuga ti avrebbe salvato! Ma sfidandomi di nuovo hai scritto la tua fine!"

Indicandolo con la mano, sferrò un potente fascio di energia per annientarlo. Con un gesto sorprendentemente rapido però, il Cavaliere lo schivò, portandosi verticalmente sopra di lui.

"Tsk, spiacente ma non mi piace fuggire, i problemi preferisco affrontarli!" rispose con falsa leggerezza, allargando le braccia. "Fulmine di Pegasus!!"

Una cascata di meteore cadde sulla Prima Ombra, colpendolo ripetutamente alla testa e le spalle senza però nemmeno piegarlo in ginocchio. "Le somme divinità si sono piegate di fronte a me, folle sei tu che speri in sorte migliore!" proclamò, aprendo il palmo e liberando un'onda che annullò completamente la tecnica dell'eroe, investendolo in pieno petto. Poi Erebo piegò le dita, lasciando partire da ciascuna una miriade di dardi neri.

Ancora a mezz'aria, il paladino di Atena fece esplodere il suo cosmo. "Purtroppo per te non sono più quello di prima! Ammira il frutto della battaglia contro Surtur: Lacrime di Pegasus!!"

Il cosmo del Cavaliere avvolse l'energia nera, prendendone il controllo. Di fronte allo sguardo per la prima volta interdetto di Erebo, i colpi da lui scagliati gli si rivoltarono contro, potenziati dall'aura del giovane eroe. Migliaia e migliaia di dardi, veloci più della luce stessa, si abbatterono su di lui, investendolo e sforzandosi di spingerlo indietro.

"E non è finita! Cometa Lucente!!" gridò il giovane lanciandosi in avanti.

Al pensiero di quel torto, lo stupore di Erebo si mutò in disprezzo. "Credi io sia indifeso di fronte alla mia stessa forza?" ringhiò, allargando di scatto le braccia. Una sfera concentrica di pura aura cosmica disperse totalmente i colpi di Pegasus, spegnendo la cometa come una fiammella di fronte all'impetuoso soffio del vento. Momenti dopo, essa colpì il ragazzo, annullandone lo slancio e schiantandolo contro le mura.

Pegasus cadde, ma stringendo i denti si contorse per atterrare sul palmo della mano, piegandosi poi per far scattare le gambe contro la parete e volare in avanti come una molla, i pugni tesi.

"Ancora, Fulmine di Pegasus!!"

"Ora basta!" tuonò Erebo, portandosi rapidissimo accanto a lui e centrandolo a mezz'aria con un calcio dall'alto verso il basso, che lo schiacciò a terra. "L'aver sconfitto gli Imperatori ti ha reso arrogante, evidentemente hai dimenticato il terrore che è Erebo! Rimembra!" minacciò, colpendo con un secondo calcio. Parte dello schienale del Destriero dell'Empireo andò in pezzi, facendo contorcere e sputare sangue all'eroe.

"Saresti tu il paladino delle profezie? La mano mortale che dovrebbe uccidermi?! Misera cosa! Compiango chi si è sacrificato per aiutarti!" lo derise, spalancando gli occhi e travolgendolo con ondata dopo ondata di energia.

"E' disumano! Nemmeno Violenza aveva danneggiato così facilmente la mia armatura! Ma devo trovare un modo di vincerlo! Devo!!" pensò Pegasus, sbattendo duramente la testa e disegnando una scia scarlatta sul muro nell'accasciarsi a terra.

"Non prenderò rischi questa volta, i miei artigli ti strapperanno il cuore!" promise Erebo avvicinandosi, le unghie ora lunghe diversi centimetri, affilate più di qualsiasi lama.

Prima che potesse trapassare il corpo del nemico, una luce intensissima avvolse Pegasus, brillante come un sole azzurro.

"Cos'è questa vitalità?!" sibilò, obbligato a ritrarsi.

"La forza di tredici stelle che ardono intense, forse per l'ultima volta!" rispose Pegasus, rialzandosi di scatto. "Brucia, mio cosmo! Risveglia la forza del nono senso e innalzati fino ai limiti massimi!! Fulmine di Pegasus!!" gridò con tutto il fiato che aveva in gola.

L'energia del colpo segreto era immensa, la velocità superiore a quella della luce. "Pegasus ha raggiunto livelli divini!" dovette ammettere Erebo, salvo poi aggiungere "Ma ricorda che degli Dei io sono il massacratore!"

Allargando le braccia, si lasciò colpire in pieno petto, al centro dello sterno. Il copripugno del bracciale di Pegasus produsse un clangore metallico nello scontrarsi sulle vesti nere della Prima Ombra.

Purtroppo per l'eroe, quel rumore fu l'unico risultato.

"Non è possibile... nemmeno una crepa!" balbettò incredulo il ragazzo, osservando la superficie liscia e perfetta della corazza color pece, mentre gli occhi dorati del nemico lo guardavano con espressione di scherno.

Onde nere si propagarono dal corpo di Erebo, premendo su di lui con una pressione terribile. Al tempo stesso, qualcosa gli impediva di venir semplicemente travolto, paralizzandolo sul posto, inerme e indifeso di fronte alla crescente aura del Flagello degli Dei.

L'aria era carica di elettricità. Pegasus sentì le ossa scricchiolare, l'armatura stridere e creparsi. Il sangue quasi gli ribolliva nelle vene, dilaniando i tessuti e sprizzando fuori laddove il corpo era già ferito. Tentò di opporsi con il proprio cosmo, ma persino la luce sembrava soffocata.

"Neppure i Flagelli potevano paragonarsi a lui... E'... è come un buco nero... un gorgo dal quale neppure le stelle possono fuggire... è davvero possibile contrastare un tale, scellerato potere?!" si chiese, sentendo l'ombra della disperazione scendere su di lui.

"Folle sei a credere che armature improvvisate o scatti di volontà ti rendano pari a me: Erebo non ha eguali nel creato, né tra i Numi dell'alto empireo né tra i vermi che sulla terra strisciano! Sono solo vittime a circondarmi, vittime in attesa di essere schiacciate nel palmo della mia mano!" proclamò, rilasciando di colpo l'energia accumulata.

Un'onda fragorosa investì Pegasus e lo lanciò per aria tra schizzi di sangue, le parti più esterne di ali, coprispalla e schinieri in frantumi. Dopo aver disegnato una parabola, cadde pesantemente al suolo, intontito e confuso.

"Uh uh uh, pochi tocchi ed è già sconfitto. Che sciocco sono stato a temere le parole di quelle megere, ancora un istante e l'ultimo tra i Cavalieri di Atena sarà un ricordo!" ridacchiò la Prima Ombra muovendo un passo verso di lui.

In quel momento, un cosmo brillante invase il salone.

"Sbagli, e per ben due volte! Pegasus non è sconfitto, né tanto meno è da solo: amici leali sono con lui!" esclamò Cristal il Cigno comparendo sulla soglia, le braccia già sollevate sopra la testa.

Reagendo alla velocità della luce, Erebo si girò di scatto, ma l'eroe fu più persino più rapido e le abbassò, facendo esplodere il suo cosmo nello scatenare la forza del Sacro Acquarius.

La tempesta di gelo che si abbatté sulla Prima Ombra non aveva pari nella storia del mondo, neppure le guerre divine avevano mai visto niente di simile. Un essere umano, o persino un Dio inferiore, sarebbero stati spazzati via senza alcuno scampo.

Non Erebo. Ripresosi dallo stupore in una frazione di microsecondo, reagì con il suo cosmo di tenebra, disintegrando i cristalli di ghiaccio prima ancora che potessero attecchire sulla sua armatura.

"Cavaliere che ti fregi del dominio delle energie fredde, hai dimenticato il nostro ultimo incontro? Il gelo che sai evocare su di me è inutile!" esclamò, iniziando a spingere con la sua aura.

"Non ho affatto dimenticato..." rispose laconico il Cigno. Prima che Erebo potesse portare a termine il suo contrattacco, i cristalli di ghiaccio attorno a lui cominciarono a fluttuare nell'aria, prendendo la forma di evanescenti fiammelle.

"Danzate, fiamme tra i ghiacci! Scintille nella Bufera!!" gridò il giovane sposo di Flare, raddoppiando i suoi sforzi. I cristalli esplosero a bruciapelo, investendo l'incarnazione del Caos con forza devastante.

Eppure, ancora Erebo resisteva.

"Non credere che basti!" sibilò, cercando di spostare il baricentro in avanti per opporsi all'energia che cercava di travolgerlo.

"Non lo credo affatto, per questo ho preso le mie precauzioni! Adesso, Andromeda!"

Un secondo cosmo avvampò accanto a quello del Cigno, accompagnato da folate impetuose di vento. "Colpisci, Nebula Chain!!"

Comparendo alle spalle dell'amico, Andromeda lasciò schizzare la sua arma all'attacco, circondandola con il devastante vortice della sua Nebulosa. Il bersaglio della catena però non era il nemico, ma il pavimento del salone.

Vedendola sprofondare in profondità, Cristal sorrise. "Per quanto grande sia la sua forza, non può schivare ciò che non può vedere... non mentre è impegnato a contrastare le Scintille nella Bufera..." pensò, soddisfatto nel mettere in atto il piano frettolosamente organizzato nella corsa verso il salone.

Non aveva torto. Un momento più tardi, la catena riemerse imprevedibile dinanzi ai piedi di Erebo, sfrecciando verso il suo viso. Avvertendone la forza, la Prima Ombra piegò istintivamente il collo, ma non poté impedire all'arma di colpirlo di striscio all'avambraccio e alla spalla.

Nella posizione precaria in cui si trovava, quell'impatto fu sufficiente a sbilanciarlo, facendogli perdere il controllo sulle Scintille nella Bufera, a loro volta sospinte improvvisamente in avanti dai venti della Nebulosa.

L'effetto fu devastante. Per la prima volta, Erebo venne completamente travolto e spinto indietro.

Subito i due amici corsero da Pegasus, che li fissava incredulo.

"Cristal! Andromeda!! Gli occhi non mi ingannano, amici miei siete vivi! Com'è possibile?!" domandò, felice e sollevato al pensiero di rivederli.

"Non lo sappiamo per certo... forse lo dobbiamo a Dragone e Phoenix, o forse è un miracolo del cielo! Non importa, siamo al tuo fianco ora!" gli sorrise Cristal,

"Sono certo che anche loro ci raggiungeranno presto, non è facile separarci!" esclamò Andromeda, aiutando il compagno a rimettersi in piedi.

Il suo sorriso fu spazzato via dall'innalzarsi del cinereo cosmo di Erebo.

Immenso e maestoso, il Flagello dell'Olimpo annullò totalmente gli ultimi cristalli di ghiaccio che ancora galleggiavano a mezz'aria e ricomparve innanzi a loro, fissandoli con occhi dorati. Due tizzoni ardenti che bruciavano dalle profondità di pozzi neri.

Ai Cavalieri non bastò che uno sguardo per sentire il senso di impotenza provato poco prima da Pegasus.

"Non... non ha neanche una ferita! E non ci sono graffi o spaccature sulla sua armatura... è completamente incolume!" realizzò stupefatto il discepolo di Albione.

"Come può essere?! Con una strategia simile abbiamo avuto ragione persino di Colpa e Agonia! Non importa la sua forza, per quanto grande avremmo dovuto almeno ferirlo!" balbettò Cristal, indietreggiando di un passo.

Fu proprio a lui che si rivolse il Dio ancestrale. "Uh uh uh, la disperazione che vedo nei vostri occhi quasi ripaga l'onta di poco fa. I Flagelli... siete stati talmente impressionati dalla loro forza da considerarli un valido termine di paragone. Erano potenti, sì, superiori agli Dei, ma cos'erano in confronto ad Erebo? Nient'altro che pallide ombre a cospetto dell'infinita oscurità della notte!

"Tra tutti gli Dei, solo Zeus e Odino sono mai riusciti a scheggiare quest'armatura. Voi non avete scampo!"

Con un gesto talmente rapido che i tre non riuscirono neppure a vederlo, fece scattare il palmo in avanti, fermandolo a pochi millimetri dal torace del Cigno e rilasciando una vampata nera che travolse l'eroe, scagliandolo sanguinante contro le mura interne.

"Ed ora a voi!" sibilò, girandosi verso i due nemici rimasti. Ancora stordito, Pegasus stentò a sollevare la guardia, ma Andromeda gli si pose davanti e alzò la spirale della catena di difesa.

"Già una volta ho distrutto questa ferraglia di cui ti circondi!" ricordò Erebo, abbassando deciso il taglio della mano, ma con un certo stupore si accorse che stavolta la catena resisteva. Guardando meglio, vide che essa era avvolta dal turbinare del vento, alimentato dal cosmo dell'eroe.

"La catena che hai distrutto non aveva ricevuto in dono il sangue di Eolo, signore dei venti! Ti vanti delle vittorie conseguite sull'Olimpo, ma Zeus ci ha spiegato la verità: un potere superiore impediva agli Dei di arrecarti danno, quei trionfi non sono indice della tua forza!" esclamò con inusuale veemenza, fissandolo negli occhi prima di ritrarre la catena e lasciar esplodere il suo cosmo. "Nebulosa di Andromeda!!"

Devastante come un uragano, la Nebulosa si abbatté sul Flagello degli Dei, scompigliandone i bianchi capelli, agitando il mantello, strappando le lastre del pavimento ai suoi piedi nello spingere per spazzarlo via. Ma, nonostante i suoi sforzi, Erebo rimase immobile, continuando a torreggiare su di lui.

"Insinui che la mia potenza sia menzogna, sperimenta sulle tue carni la magnitudine del tuo errore!" disse, spostando la mano in avanti nonostante la forza contraria del vento ed afferrandolo per il collo.

Andromeda annaspò mentre la stretta si faceva sempre più soffocante ed il nemico lo sollevava a mezz'aria, stringendo tanto da far scorrere rivoli di sangue sulle carni del ragazzo.

Per qualche motivo, esitò un istante prima di serrare del tutto le dita e affondargli le unghie nella gola. In quel momento, tre cose accaddero contemporaneamente. La catena di attacco schizzò in avanti, accorrendo in difesa del padrone, mentre i cosmi di Cristal e Pegasus avvampavano. I due amici attaccarono all'unisono, lanciando il Fulmine e la Polvere di Diamanti da direzioni opposte.

Erebo rispose con la rapidità del lampo. In un unico movimento fluido, spostò di peso Andromeda, ponendolo sulla traiettoria del colpo di Pegasus, che lo raggiunse in pieno ripetutamente alla schiena. Simultaneamente, colpì la catena con un manrovescio, deviandola contro Cristal.

Preso in controtempo, il Cavaliere del Cigno tentò invano di schivare e venne raggiunto di striscio al braccio destro, già malconcio dopo la battaglia con Fenrir. Il dolore fu talmente agonizzante da farlo incespicare, proprio mentre Erebo apriva il palmo della mano per travolgerlo con una nuova bordata di energia.

Pegasus intanto si vide costretto ad interrompere l'offensiva, proprio come la Prima Ombra aveva previsto. Ridendo, lanciò Andromeda contro di lui, seguendolo un momento più tardi con un fascio nero.

"E' indifeso!" pensò l'eroe, afferrando l'amico al volo e ruotando sul proprio asse per fargli da scudo con il corpo. L'assalto del Dio ancestrale lo centrò in piena schiena, frantumando la corazza all'attaccatura delle ali e schiantando entrambi contro la parete, che franò per l'impatto.

In quel momento, anelli di ghiaccio allo zero assoluto gli comparvero attorno, imprigionandolo. La Prima Ombra si voltò verso Cristal, piegato su un ginocchio, con flotti di sangue che gli scorrevano sul viso. Senza esitare, allargò il braccio e li mandò in frantumi, indicando il ragazzo con l'indice e lasciando partire una raffica di dardi.

Con lo scudo del cigno ormai in pezzi, l'eroe tentò di difendersi con quel che restava delle ali, ma in pochi istanti la pressione si fece insostenibile, mandandole in frantumi ed esponendo il suo corpo alla tempesta del nemico.

"E' come tentare di arrestare un maremoto con staccionate di legno... cosa dobbiamo fare per fermarlo?!" si chiese, venendo colpito centinaia di volte.

Fu un dragone a rispondergli, comparendo alle spalle di Erebo con le zanne scoperte. Accortosene, il Dio ancestrale ruotò per respingerlo, solo per scoprire che dietro di lui si celava una fenice fiammeggiante, gli artigli pronti a ghermirlo. Nel momento dell'impatto però essa non esplose, sembrando piuttosto affondare nel suo corpo. Un momento più tardi, un vulcano di fuoco eruttò e lo avvolse.

"Rogo della Fenice!!" gridò Phoenix, entrando con un balzo sul campo di battaglia insieme a Sirio. Più o meno nello stesso momento, anche Pegasus e Andromeda riemersero dalle macerie, malconci e sanguinanti ma ancora in grado di combattere.

Di nuovo uniti, i cinque amici si raggrupparono accanto a Cristal.

"Non abbassate la guardia, dubito che sia finita!" avvertì Pegasus, mantenendo lo sguardo fisso sulle fiamme.

"Il vostro arrivo è stato provvidenziale, sapevamo che non avreste tardato!" commentò il Cavaliere del Cigno, sollevandosi su un ginocchio. "E' grazie a voi che Andromeda ed io siamo salvi, non è vero?"

"Grazie a Phoenix, io ho fatto ben poco!" rispose Sirio, tirandolo su ma continuando a tener d'occhio l'incendio. Avrebbe voluto tentare la Pienezza del Dragone, ma era così stremato che non era certo di farcela senza qualche minuto di preparazione.

Andromeda invece guardò preoccupato il fratello. "La tua armatura... non penserai di combattere senza?!"

Quando Phoenix non rispose nulla, limitandosi a fissare le fiamme, il tono del ragazzo si fece allarmato. "E' una follia! I colpi di Erebo sono devastanti! Le nostre corazze..."

"Basta così, Andromeda!" intervenne Pegasus, continuando a dargli le spalle. "E' evidente che ha preso la sua decisione, al suo posto faresti lo stesso, lo sai bene. Combattiamo per la giustizia... per la libertà, il più alto tra gli ideali... e per lei siamo pronti a qualsiasi sacrificio..."

C'era amarezza nel tono del Cavaliere, ma non rassegnazione. Non era la voce di chi si aspettava necessariamente di morire, ma di chi neppure lo temeva. Di chi era in pace con se stesso, pronto a compiere l'estremo passo se necessario. Il fatto che nessuno avesse altro da aggiungere, mostrava chiaramente che Pegasus non era il solo.

"Giustizia, libertà..." commentò la voce di Erebo, risuonando sopra il crepitio delle fiamme. La sua aura nera avvolse le lingue di fuoco, soffocandole e rivelando la Prima Ombra, ancora privo della più piccola ferita.

"Neppure il Rogo della Fenice è bastato a sconfiggerlo!" pensò Phoenix. Subito, lui e gli amici alzarono le difese, pronti all'imminente contrattacco. Sorprendendoli però, Erebo rimase immobile.

"Cosa fareste se vi dicessi che, in un certo senso, combatto anch'io per la libertà, ben più di voi?" affermò, ottenendo sguardi perplessi.

"Ti prendi gioco di noi?! Come può un aspirante tiranno combattere per la libertà?" disse Pegasus.

"Mpf, tiranno dite? Esiste un tiranno a me ben superiore..."

"Cosa vogliono dire queste parole?" chiese Sirio.

Erebo si fece pensoso, gli occhi persi nel vuoto.

"E' nella natura degli esseri inferiori immaginare benevole le entità più alte, ritenerle pronte ad ascoltare suppliche e concedere favori. Ma in fondo al cuore un dubbio vi assilla, e talvolta, ascoltandolo, vi chiedete perché un dio buono permetta che accadono atti malvagi. Dov'è la giustizia? Perché permette ad un essere come me di esistere, mentre nobili eroi perdono la vita? Sono interrogativi che spesso evitate di porvi, perché l'incapacità di trovare risposta vi tormenta. O meglio, perché avete paura dell'unica risposta logica: che egli non sia affatto buono o generoso.

"Come voi umani concepite Dio o gli Dei come forze votate al bene, così i Numi che regnano dall'alto empireo vedono in Lord Fato un padre giusto e amorevole, un signore sì severo ed enigmatico, ma anche pronto ad aiutarli. Illusioni! Per Fato, bene e male, luce ed ombra non sono che parole, pedine di un gioco che ha nel mantenimento eterno dell'equilibrio la sua unica regola!"

Man mano che si lasciava trasportare dalle parole, il tono di Erebo si fece aggressivo. Il suo cosmo si agitò inconsciamente, spaccando il pavimento con scariche nere. Erano parole cariche dell'astio di chi è stato tradito.

"Quel che vi dico lo compresi eoni fa, al culmine del duello contro Emera, la mia più antica rivale. All'apice della lotta, quando la possibilità di poter cadere divenne reale, entrambi pregammo per un intervento risolutore di Lord Fato. Eravamo come bambini, supplicanti per un gesto o un cenno di soccorso dei genitori. Un aiuto che non giunse mai, per alcuno di noi! Quel giorno, i figli che si credevano prediletti si scoprirono schiavi senza valore, pienamente sacrificabili!

"In procinto di essere sigillato, mi chiesi perché non fosse venuto in soccorso di almeno uno di noi. Perché insistesse così platealmente ad impedire l'emergere di un vincitore. La risposta fu ovvia: per paura! Da soli, privi dell'opposizione l'uno dell'altra, io o Emera potremmo assurgere al comando, spezzare l'equilibrio del creato, conquistare il suo stesso trono di signore supremo! E' questo ciò che Fato temeva, è per questo che ci ha traditi, rivelando la sua reale natura! Ed è questo quel che farò! Emera non ne avrebbe mai avuto il coraggio, ma io sarò colui che si ribellerà alla più alta sfera! Spezzerò l'equilibrio eterno: luce ed ombra non si divideranno più l'universo, sarà tutto avvolto nelle tenebre!"

L'enfasi ora era palese, negli occhi di Erebo brillava una traccia di lucida follia. Pegasus riconobbe quello sguardo, lo stesso che aveva scorto al suo arrivo nella sala del trono. E lo stesso che aveva visto sul volto di Gemini o di Megres, colmo di smodata ambizione.

"Sono i deliri di un folle!" gridò. "Surtur prima di te aveva parlato di usare la distruzione per creare un mondo ideale, ma non mi avevano convinto le sue parole e non mi convincono le tue! I massacri che stai perpetrando non appartengono ad alcuna causa, men che meno alla giustizia!"

"L'odio che provi verso Fato è evidente, ma libertà che aneli resterà solo un'illusione finché ne sarai corroso. Non è solo con la forza delle armi che si possono raggiungere simili traguardi. L'ho capito a mie spese, combattendo contro Fenrir!" intervenne Cristal.

"Come te, Jormungander detestava la memoria di chi lo aveva creato e poi abbandonato. Il desiderio di rivalsa che lo spingeva in avanti però era un falso amico che ha quasi finito per distruggerlo. È stato solo affrancando se stesso dall'ombra di Loki che ha trovato la vera libertà!" disse Sirio.

Le loro parole trasportavano enfasi e sincera convinzione, ma Erebo neppure le udì. Davanti ai suoi occhi già vedeva l'impero che avrebbe creato. "Sarà un regno oscuro, sì, ma non più appestato da dilemmi ed incertezze, da dubbi e contrasti! Via la luce delle stelle, via le inutili speranze che danno alito a illusioni!" esclamò, allargando le braccia trionfante.

Un attimo dopo, senza preavviso, tornò a focalizzarsi sui cinque Cavalieri. "Sarà solo la notte!"

Veloce come il fulmine, si lanciò in avanti e sferrò un pugno al ventre di Cristal. La protezione per l'addome andò in pezzi e il ragazzo venne scaraventato indietro.

Subito, gli altri Cavalieri cercarono di intervenire in suo aiuto. Andromeda sferrò la catena di attacco, ma Erebo la prese a mezz'aria e con un balzo l'avvolse attorno al corpo di Sirio, che stava accorrendo dal lato opposto. Poi poggiò la mano sull'arma, rilasciando una scarica di energia che si diramò in entrambe le direzioni, fulminando gli eroi.

A Pegasus non sfuggì la somiglianza tra quella scena e lo scontro con Zeus nel tredicesimo tempio dell'Olimpo.

"Attraverso gli occhi di Oberon ha visto ogni nostra battaglia, conosce le strategie che adoperiamo e sa come evitarle!" pensò preoccupato, spiegando le ali della sua armatura e prendendo il volo. "La sua corazza non ha ali, forse in aria sarò avvantaggiato!"

Manovrando agilmente, schivò una serie di dardi neri che partivano dalle dita dell'avversario e tentò un attacco in picchiata. La Prima Ombra però sorrise sinistramente e spiccò un balzo, superandolo di gran lunga in altitudine.

"Non ho ali perché non ne ho bisogno, per eoni ho vagato nel vuoto dell'universo sospinto solo dal mio cosmo!" sibilò, prima di calare il taglio della mano e conficcarla nella schiena del ragazzo. Pegasus sputò sangue e tentò di liberarsi, ma Erebo fece leva sulla presa e lo colpì a piedi uniti, facendolo letteralmente precipitare a terra e schiacciandolo con il proprio peso.

Un dragone di smeraldo comparve allora alle sue spalle, mentre Sirio rientrava nella mischia. Nemmeno minimamente allarmato, il Dio ancestrale lo vide giungere con una smorfia di scherno e lo parò con la sola punta del dito indice, disperdendolo neanche fosse un capriccio del vento. Poi si avventò sul Cavaliere, tempestandolo di pugni e colpi di taglio fino a strappargli letteralmente il coprispalla destro e spezzare la clavicola sottostante.

"Mi annienterà!" pensò Dragone, spostando di colpo il baricentro e lasciandosi cadere all'indietro sia per schivare la mano assassina che per tentare un calcio a spazzare. Afferrandolo per la caviglia, Erebo lo sollevò di peso sopra di sé e sbatté a terra come una mazza, direttamente sulla schiena di Pegasus, che stava cercando di rialzarsi.

"Scivolate nell'abisso!" sibilò, calando un pugno che frantumò facilmente il muro di ghiaccio comparso improvvisamente a difenderli e centrò entrambi, facendoli sprofondare tra i marmi del pavimento.

"Ci sta massacrando... se solo avessi la mia armatura!" pensò Phoenix, balzandogli sulla schiena per trattenerlo con la forza, mentre Cristal provava a caricare l'Aurora del Nord. Il solo tocco con la sua corazza nera però lo ustionò e respinse, impedendo al tempo stesso ai ghiacci del Cigno di far presa nonostante fossero allo zero assoluto.

Ridendo, Erebo camminò tranquillamente verso di lui, ignorando l'impatto dell'Aurora del Nord o la sua forza crescente finché non fu a ridosso del nemico. In quel momento abbassò i palmi, frantumando i copribicipite e afferrando le braccia del ragazzo.

"Vuole... strapparmele!" realizzò Cristal con orrore, dimenandosi invano per liberarsi. Per sua fortuna, la catena di Andromeda si avvolse attorno al collo del Dio ancestrale, strattonandolo abbastanza da permettere all'allievo del Maestro dei Ghiacci di sgusciare via.

"Forse è la nostra occasione!" pensò, gettandosi sulle caviglie del nemico e tentando in ogni modo di congelarle. Contemporaneamente, il compagno lanciò la catena di attacco, ricorrendo di nuovo ad una delle configurazioni usate contro Kira: le spire di Andromeda.

"Uh uh uh, io sono sopravvissuto ai geli siderali di galassie non ancora nate, come puoi sperare che i tuoi patetici poteri bastino a trattenermi?" domandò Erebo, muovendosi nonostante la tremenda pressione delle catene. Le unghie della mano si allungarono in artigli, trapassando il Cigno al fianco prima di essere avvolte da fiamme e scariche nere. Con gli occhi vitrei, il ragazzo urlò in agonia e barcollò all'indietro mentre il nemico ritraeva le unghie, solo per centrarlo al volto con un calcio e sbatterlo a terra.

"Perché la catena non riesce a trattenerlo?" si chiese Andromeda, provando a stringere le spire senza alcun successo.

"Il mio cosmo è troppo potente per la tua arma! Esso crea attorno a me un'aura che da sola basta a tenere a distanza questa patetica catena!" dichiarò Erebo, mostrando che in effetti gli anelli del principale strumento di Andromeda erano bloccati a qualche centimetro dal suo corpo.

Con un gesto deciso del braccio se ne liberò del tutto, per poi portarsi alle spalle di Andromeda e calare il taglio della mano in un movimento diagonale. Una profonda spaccatura comparve su coprispalla e pettorale, facendo sprizzare flotti di sangue scarlatto. Alla sua vista, Erebo sorrise ed appoggiò il palmo sul petto dell'eroe, travolgendolo con un'onda di energia.

Fu Phoenix ad afferrarlo in qualche modo al volo prima che sbattesse al muro. Barcollando, zoppicanti e malconci, Pegasus, Sirio e Cristal si avvicinarono agli amici, cercando di far quadrato attorno a loro. A quella visione, Erebo sollevò la mano.

"Restate così, vicini sarete un bersaglio più facile. E' tempo di porre fine alla vostra esistenza: Fiat Nox!"

I Cavalieri riconobbero con orrore quella tecnica, la stessa che l'ultima volta li aveva annientati, ma soltanto Andromeda fu abbastanza lesto da muoversi prima che l'oscurità si abbattesse su di loro, avvolgendoli in un globo nero e scagliandoli in aria tra schizzi di sangue e frammenti di armatura.

"Sui vostri cadaveri costruirò il mio impero!" commentò Erebo nel vederli cadere. Solo dopo un istante si accorse che erano soltanto in quattro.

"L'impero che tanto desideri non diverrà mai realtà! Ali della Fenice!!" ringhiò Phoenix, scagliando il suo colpo speciale. Andromeda era riuscito a spingerlo via appena in tempo, impedendogli di restare coinvolto dalla tecnica del Flagello dell'Olimpo. Avrebbe voluto sincerarsi delle sue condizioni, ma non ne aveva il tempo: già l'aura nera del nemico stava annullando le fiamme, espandendosi minacciosa.

"I colpi segreti sono inutili su di lui, ma forse sul corpo a corpo sarà più vulnerabile!" pensò, memore della battaglia contro Morte.

Era un rischio, ma cosa aveva da perdere? Scattò in avanti, portandosi a ridosso del bersaglio, ed incassò il pugno nel fianco.

"Che follia è mai questa? Pensi di potermi impensierire con una mano nuda quando nemmeno i vostri attacchi più potenti hanno danneggiato le mie vesti?" lo derise Erebo, non badando a difendersi.

"Tsk, aspetta a parlare!" ritorse l'eroe, cambiando posa all'ultimo momento e facendo scattare in avanti non il pugno, ma il solo dito indice. "Fantasma Diabolico!"

Sottile e insidioso, il raggio centrò il nemico alla fronte, spingendolo istintivamente a ritrarsi. Senza neppure controllare se la sua arma più pericolosa avesse avuto successo, Phoenix approfittò di quell'istante per saltare, contorcersi e afferrare la lama di una delle spade sulla schiena della Prima Ombra. Una leggera pressione e la staccò, ruotandola e prendendola per l'elsa. Era pesante, ancora sporca di sangue incrostato, ma gestibile e affilatissima.

"Vediamo se l'armatura di cui vai tanto fiero resiste anche a questa!" gridò, vibrando un fendente.

Sorridendo sarcastico, Erebo neppure si mosse. A pochi millimetri dal suo viso, la spada si bloccò di colpo, con grande stupore del Cavaliere.

"Ma che cosa...?!" esclamò, provando a muoverla con tutte le forze, senza produrre alcun risultato.

"Quest'armatura e le sue armi sono parte di me, non mi arrecheranno mai danno. Gli Dei del bianco Olimpo lo hanno scoperto a loro spese, e altrettanto farai tu!" sibilò. Spuntoni neri schizzarono fuori dall'elsa, trapassando in più punti le mani del ragazzo.

Con un grido di dolore, Phoenix lasciò la presa e barcollò indietro. Muovendosi da sola, la spada si alzò a mezz'aria e tornò a posizionarsi sulla schiena della Prima Ombra. Nello stesso momento, anche l'artiglio sul suo coprispalla partì in avanti, trafiggendo il ragazzo alla coscia per poi ritrarsi di nuovo.

Fiumi di sangue grondarono a terra. Il Cavaliere tentò di fare qualcosa, ma in quelle condizioni ed a quella distanza il solo cosmo di Erebo lo paralizzava, schiacciandolo a terra. Il nemico gli si avvicinò, torreggiando su di lui.

"L'arroganza che ti ha spinto a combattere senza nemmeno l'armatura ha segnato la tua sorte. Raggiungi i tuoi amici in Ade!"

"Perché dovrebbe farlo? Non ha nessuno da raggiungere! Cometa di Pegasus!!" si intromise la voce del paladino di Atena, sferrando ancora una volta il suo colpo segreto. Esso si infranse impotente sulla corazza di Erebo, ma permise ad Andromeda di saltare a prendere e allontanare il fratello, mentre anche Sirio e Cristal si schieravano, avvolti nei loro cosmi.

La Prima Ombra non poté nascondere una smorfia di stupore. "Siete ancora vivi?!"

"Ti sorprende? La tua tecnica era molto più debole dell'ultima volta, stai perdendo colpi!" rispose l'eroe.

Erebo ne osservò la corazza. Era segnata da nuovi danni e crepe, ma comunque in condizioni migliori di quel che sarebbe dovuta essere dopo aver subito il Fiat Nox. "Possibile che dica il vero e io abbia frenato il mio colpo senza accorgermene? E perché non ho percepito prima la loro presenza?" si chiese, adombrandosi.

Il discepolo di Castalia non gli diede tempo per cercare una risposta. Facendo esplodere il suo cosmo, disegnò con le braccia le tredici stelle della sua costellazione. "Fulmine di Pegasus!!"

"Stupido! Ormai dovresti aver capito che non serve a nulla!" lo redarguì, solo per accorgersi che le meteore non erano sole: una miriade di dragoni emeraldini volava in mezzo a loro.

"Dimentichi che non è da solo: Colpo dei Cento Draghi!!" ruggì Sirio, affiancando il compagno.

"Foste anche in centinaia, non farebbe alcuna differenza!" sibilò, tenendo agevolmente testa ad ambo le tecniche.

Pegasus e Dragone allora si scambiarono un'occhiata, e improvvisamente circa metà dei loro colpi cambiò direzione, allargandosi ai lati di Erebo o persino prendendo di mira il soffitto sopra di lui.

"Mh? Che stanno..." iniziò la Prima Ombra, solo per venire interrotto da raffiche alla schiena e alla nuca. Girò la testa, i colpi continuavano a bombardarlo ma alle sue spalle non c'era nessuno. E non solo: a colpirlo erano draghi e sfere di luce, ma Pegasus e Sirio erano ancora di fronte a lui.

Soltanto quando confuso alzò lo sguardo, si accorse che, sparsi a mezz'aria in tutto il salone, c'erano dozzine di cerchi di ghiaccio. Era a loro che i due amici stavano mirando, usandoli per riflettere i loro attacchi.

Con un'occhiata li mandò in frantumi, ma subito altri presero il loro posto. Girandosi di nuovo, la Prima Ombra vide in disparte Cristal, il cui cosmo stava bruciando intensissimo.

Sul Cigno si focalizzarono gli occhi di Erebo. "E' opera sua, ha creato dei cristalli allo zero assoluto, angolandoli in modo da respingere contro di me l'energia che li colpisce!"

Accortosi che il nemico aveva compreso, Cristal sorrise. "Era dai tempi della guerra per l'armatura di Sagitter che non ricorrevo ad uno stratagemma del genere, ma Pegasus e Sirio hanno intuito il mio piano non appena li hanno visti!" pensò, memore del modo in cui, in un passato che ora sembrava lontanissimo, aveva riflesso il Fantasma Diabolico di Phoenix.

Erebo si accigliò. Era un vero e proprio bombardamento, e le continue raffiche iniziavano a premere con forza crescente contro la sua corazza.

"La tua difesa è solida, lo sappiamo bene, ma sarà anche abbastanza uniforme da restar valida contro assalti che vengono da tutte le direzioni?" domandò Sirio, facendo esplodere il suo cosmo fino ai limiti massimi. "Ecco una seconda scarica: Colpo dei Cento Draghi!!"

"Iaiii!!!" lo affiancò Pegasus, imprimendo più energie possibile nel fulmine.

"Uuh, sarete morti molto prima di scoprirlo!" ritorse, alzando la mano per contrattaccare. La catena di difesa di Andromeda però gli bloccò il polso.

"Non parli che di morte! Vi è altro nel tuo cuore oltre a distruzione e sete di potere?!" accusò il più giovane tra i Cavalieri, facendo esplodere la sua aura. Ancora una volta, il vortice della Nebulosa avvolse la sua catena d'attacco. "Nebula Chain!!"

Il colpo segreto che aveva sconfitto Apopi raggiunse il Dio ancestrale in pieno petto, la punta tesa continuava a spingere per cercare di perforare l'armatura color pece.

Per la prima volta, il cosmo di Erebo avvampò di collera. "Ora basta!" ringhiò, scatenando un anello concentrico che disintegrò i cristalli, spazzò via le catene e travolse Pegasus e Sirio, scagliandoli contro le colonne.

In un unico movimento fluido, la Prima Ombra prese di mira Andromeda. "Tu per primo! Croce d'Ebano!"

Con la catena di difesa troppo lontana per raggiungerlo in tempo, il ragazzo riuscì appena a girarsi prima di essere colpito con forza devastante. Le ali, l'elmo e parte del coprispalla sinistro esplosero in frantumi mentre lui veniva malamente catapultato a terra, strisciando per diversi metri prima di sbattere alla parete.

Ciononostante, quella vista turbò Erebo. "La Croce d'Ebano avrebbe dovuto trapassarlo da parte a parte, cosa l'ha frenata?!" si chiese, prendendo di nuovo la mira con la mano.

Una tempesta di ghiaccio lo investì prima che potesse rimuginare ulteriormente. "Polvere di Diamanti!!" urlò Cristal, accorrendo in difesa dell'amico. La Prima Ombra la spazzò via senza sforzi, ma già il Cigno stava preparando la mossa successiva. Come all'inizio della battaglia, fiamme azzurre comparvero a mezz'aria.

"Scintille nella Bufera!"

"Non esiste fiamma in grado di rischiarare la notte. Fiat Nox!"

L'oscurità di Erebo inghiottì totalmente le scintille del ragazzo, sfrecciando poi contro di lui per cancellarlo dal creato. Affaticato dallo sforzo, Cristal vacillò, ma non Phoenix che, colpendo dall'altro lato della sala con un fascio di energia, spinse l'amico al sicuro.

Il peso degli occhi della Prima Ombra si spostò su di lui. "E' stato il tuo ultimo sgarbo. Croce d'Ebano!"

"Non esserne troppo convinto! Lacrime di Pegasus!" intervenne il Cavaliere, schierandosi a difesa del compagno ferito con la tecnica elaborata contro Surtur.

"La presunzione sarà la tua rovina: la Croce d'Ebano è troppo potente per poter essere sottomessa da..." iniziò Erebo, ma le parole gli morirono in gola. Sotto i suoi occhi, il cosmo lucente di Pegasus avvolse totalmente l'energia del suo colpo segreto, prendendone il controllo.

"Troppo potente, eh? A me non sembra proprio!" provocò il ragazzo, bombardandolo con raffica dopo raffica di strali luminosi.

"Non capisco, perché?!" si chiese Erebo. "Avrebbero dovuto già essere morti ormai, cosa rallenta la mia mano? Cosa?!! Fiat Nox!!"

Sferrato in un impeto di frustrazione, il colpo segreto annullò le Lacrime di Pegasus, devastando e facendo crollare parte del soffitto del salone, obbligando i Cavalieri a balzare al riparo dalle macerie. Non bastò però a rimuovere i dubbi dalla mente della Prima Ombra. "Le Strane Sorelle avevano predetto la mia caduta, che sia opera loro?"

In quel momento, il cosmo verde smeraldo di Sirio esplose, innalzandosi come mai da quando era iniziato lo scontro. Girandosi a guardarlo, Erebo vide che era immobile in piedi, i lunghi capelli che lo circondavano come una spirale su cui strisciava un drago di energia.

La concentrazione dell'eroe dei Cinque Picchi era al massimo, la mente tesa verso un unico obiettivo. "Fiore di Luna, onorato maestro, quanto desidero rivedervi! Poter tornare da voi e trascorrere i miei giorni nella quiete della cascata di Cina, è anche per questo che Erebo deve essere sconfitto! Padre, dammi la forza di eseguire ancora una volta la tecnica che in tua memoria ho creato!" pensò, racimolando ogni iota di cosmo in suo possesso.

Il bagliore della sua aura era accecante, persino Erebo non poté negarlo.

"E' portentoso che abbia ancora tante energie, ma qualsiasi cosa stia tentando di fare è troppo lento!" pensò, prendendolo di mira.

Prima che potesse colpire, quattro assalti si abbatterono sul suo corpo. Catene avvolte da turbini di cosmo gli legarono le braccia, un rogo fiammeggiante e ghiacci allo zero assoluto lo centrarono rispettivamente al petto e alla schiena, scarica dopo scarica di colpi alla velocità della luce lo bersagliò al volto. Pegasus in particolare stava sfruttando le ali della sua corazza per volargli attorno, colpendo da tutte le direzioni nel tentativo di rallentarlo.

"Adesso, Sirio!!" gridò.

Il Cavaliere aprì gli occhi e congiunse le mani, cercando di sfruttare tutta l'energia accumulata. "Sì, adesso! In nome della giustizia sulla terra, scompari da questo mondo! Pienezza del Dragone!!"

Con un ruggito maestoso, la collera del drago divino sfrecciò verso Erebo, le fauci spalancate per spazzarlo via. Andromeda fece appena in tempo a ritrarre le catene che essa si abbatté sul nemico, travolgendolo contro la parete esterna fino a sfondarla.

In affanno per lo sforzo, i visi sporchi di sangue, i Cavalieri fissarono il varco.

"Non avevo mai visto Sirio imprimere così tanta energia in un attacco. Se non l'ha sconfitto questo..." iniziò Pegasus, tentando di riprendere fiato.

In risposta, un sottile raggio nero uscì fuori dal buco, trapassando Dragone da parte a parte. Con gli occhi sbarrati, il ragazzo vomitò sangue, vacillò all'indietro e cadde al suolo.

Inorriditi, i Cavalieri lo guardarono crollare. "Si... Siriooo!!" gridò Pegasus, correndo verso di lui. A metà strada, Erebo gli comparve davanti, circondato dal cosmo ora simile a esalazioni di cenere e vapore, gli occhi dorati colmi di odio. Alzò di scatto le braccia, travolgendolo con un'esplosione color ebano che mandò in pezzi i coprispalla e le ali del Destriero dell'Empireo.

"Pegasus!" esclamò Andromeda, muovendo un passo verso l'amico. Phoenix però l'afferrò per la spalla, trattenendolo.

"Osserva Erebo... il suo cosmo non è affatto calato, e neppure un graffio macchia la sua armatura!" notò.

"Anche la Pienezza del Dragone è stata vana!" balbettò Cristal.

Per la prima volta, disperazione e sconforto erano comparsi nelle loro voci. Avevano tentato tutte le armi più forti in loro possesso, i colpi segreti che avevano permesso di sconfiggere Imperatori e Flagelli, ma nulla aveva sortito il benché minimo effetto.

"E... esiste davvero un modo per sconfiggerlo, o stiamo tentando l'impossibile?" si chiese Phoenix.

"Finalmente avete capito: per quanto disperatamente possiate tendere le mani al cielo, le stelle resteranno eternamente fuori dalla vostra portata. Non importa quanto vi sforziate, non importa quante volte rialziate la testa, non importa quanto crediate di essere forti o abili... ad attendervi alla fine vi sarà sempre solo un cocente fallimento. E' la sorte di tutti gli esseri inferiori, rassegnatevi!" sussurrò Erebo, aprendo il palmo della mano e travolgendo Cristal con un'ondata di energia.

Phoenix si mosse in un disperato tentativo di reagire, ma la Prima Ombra lo fulminò con una sola occhiata, facendolo crollare in un lago di sangue.

"Non rimani che tu..." sussurrò, girandosi verso Andromeda. Il ragazzo aveva il capo chino, e le mani, serrate a pugno, tremavano vistosamente.

"Hai paura del destino che ti attende... beh, è comprensibile. Il pensiero della morte spaventerebbe chiunque!" commentò Erebo.

Andromeda però scosse la testa, guardandolo negli occhi. "Non paura, ma frustrazione! Non condivido le tue parole, non ne condivido nemmeno una! Gli esseri umani mostrano la loro vera grandezza proprio quando devono superare le difficoltà più estreme per raggiungere nuovi traguardi. Quando tutto sembra perduto, quando l'abisso della disperazione si apre sotto i nostri piedi minacciando di inghiottirci, sappiamo farci forza e andare avanti, lottando per avvicinarci all'obiettivo che ci siamo prefissati! E quando questo traguardo appare irraggiungibile, diamo esso il nome di sogno e lo usiamo come ispirazione per noi stessi e per gli altri, cercando sempre di realizzarlo senza mai fermarci o voltarci indietro!" esclamò.

Erebo scoppiò a ridere.

"Sciocchezze... ingenui deliri di un bambino, che non cambiano la realtà dei fatti: tutti i vostri sforzi non mi hanno provocato nemmeno un sottile graffio!"

"In questo caso continueremo a provare, ancora ed ancora! E' un sogno di pace a sostenerci, un ideale che appartiene a tutti gli uomini!" insistette cocciutamente Andromeda, prima di scuotere la catena di attacco. "Onda del Tuono!"

Erebo la schivò con un movimento del capo e aprì le dita. Quattro unghie si mutarono in artigli e schizzarono in avanti, trafiggendo Andromeda ad ambo le braccia ed ambo le cosce, facendo grondare fiumi di sangue. Quattro pozze scarlatte si allargarono al suolo. Solo il pollice mancava, ed era puntato verso la gola del giovane eroe.

Eppure, Andromeda continuava a fissarlo, e qualcosa nello sguardo del solo occhio rimastogli lo turbava, facendo riaffiorare ricordi che sperava sepolti per sempre. Non l'aveva ammesso neanche a se stesso, ma era per questo che aveva cercato di strapparglieli, durante il loro primo scontro.

"Sono proprio come gli occhi di Emera... laghi in cui sembra riflettersi tutta la purezza del creato..." pensò, rivedendo in esso il volto sereno di colei che lo aveva sconfitto.

Seccato da quei pensieri, scosse la testa per allontanarli. "Riconosci la resa!" sibilò al nemico.

Il Cavaliere fece un cenno di diniego. "Non dimenticare... che in fin dei conti la tua situazione è identica alla nostra..."

"Che cosa?"

"Proprio come noi tentiamo disperatamente di sconfiggerti, così tu ambisci a detronizzare Lord Fato, l'unico essere che riconosci come a te superiore. Non importa che tu lo ammetta o meno, analoga è la nostra condizione, analogo e il sogno che ci spinge: scacciare un tiranno! Se tu sei così convinto di riuscire, perché non dovremmo esserlo noi?" domandò, con il tono di chi evince la più ovvia delle verità.

"Non osare paragonarti a me!" ruggì Erebo, tendendo il pollice. Qualcosa però gli impediva di distendere l'artiglio che lo avrebbe liberato del nemico.

"Puoi ignorare le sue parole, ma non negare la verità che in esse è insita!" lo accusò in quel momento una voce. Contemporaneamente, un fendente d'oro sfrecciò contro di lui, tagliando la terra e sbattendo duramente sulle unghie già tese, obbligandolo a ritrarle di scatto.

Con un balzo, Dragone affiancò l'amico, afferrandolo prima che crollasse a terra. "Come sempre, sai mettere il cuore in quello che dici. E' proprio come hai notato, il fatto stesso che egli aspiri a sconfiggere Fato rivela che non è invincibile! Nessun sovrano creerebbe un servitore più forte di lui!" esclamò, tenendo lo sguardo fisso sul nemico.

"Sei ancora vivo..." notò sorpreso Erebo. In risposta, Sirio indicò una ferita al fianco, profonda e sanguinante, ma non mortale. "Evidentemente la sorte mi è venuta in aiuto, il tuo colpo ha solo sfiorato gli organi vitali..."

Il Dio ancestrale si incupì. "Non può essere, avevo mirato al cuore... come posso aver mancato il bersaglio?!" si chiese.

In quel momento, le Ali della Fenice si schiantarono sul suo petto. "Non... non riesci a uccidere... nemmeno un nemico nudo?" lo schernì Phoenix, rialzandosi nonostante flotti di sangue scorressero copiosi dalla fronte, il naso e gli angoli della bocca, tingendo il suo volto con linee scarlatte.

"Come potete rialzarvi ancora? Cosa vi sostiene?!" gridò Erebo.

"Non capisci, ma è naturale. Per quanti servitori e guerrieri ti circondino, tu sei solo... non hai nessuno da amare, nessuno da proteggere... nessuno per cui vivere. Noi invece siamo sostenuti dal pensiero di coloro che ci hanno donato il cuore. Le loro voci sono un coro che ci sostiene e incoraggia!" dichiarò Cristal, trascinandosi verso gli amici.

"I Cavalieri d'Oro, i Guerrieri del Nord, i Generali degli Abissi, ed anche gli Dei dell'Olimpo, i Guardiani di Avalon, e Oberon che hai barbaramente ucciso! Arrenderci... lasciarci andare... sarebbe un tradimento nei confronti loro e di tutti i nostri compagni. Dei nostri fratelli valorosi, con cui abbiamo condiviso questa terra piena di stelle, sotto il segno di Atena!" disse Pegasus, alzando un volto ormai ridotto a una maschera di sangue in cui però brillava ancora la speranza.

Nell'ascoltare le loro parole, Erebo si sentì percorrere da un brivido. Involontariamente, indietreggiò di un passo. Cercò di alzare il braccio e riprendere la lotta, ma qualcosa lo bloccava.

"Sono determinati, genuinamente fedeli agli ideali della loro bandiera, ma nessuna convinzione può curare le ferite, se avessi combattuto nel pieno del mio cosmo li avrei spazzati via! Allora perché non riesco ad ucciderli? Perché ho frenato i miei colpi durante tutta questa battaglia?" si chiese, tormentandosi. Per la seconda volta, il pensiero della profezia delle Strane Sorelle si affacciò alla sua mente, portando con sé il timore di un destino ineluttabile.

Nel frattempo, anche i Cavalieri erano incerti. Erano allo stremo, sorretti solo dalla forza di volontà, e nessuno dei loro colpi segreti aveva arrecato al nemico il minimo danno. Fu Cristal a offrire loro una possibilità.

"Andromeda, ricordi il modo in cui abbiamo sconfitto Colpa? La tua catena ha incamerato l'energia delle Scintille nella Bufera, guidandole sul bersaglio. Pensi di poter fare lo stesso, non solo con me ma con tutti i nostri colpi più potenti? E tu, Pegasus, potresti potenziarle con il tuo cosmo" chiese serio. L’idea gli era venuta osservando le ultime fasi dello scontro. Un piano disperato, per una situazione disperata.

"Che hai in mente?" chiese l'allievo di Castalia.

"Congiungere le nostre armi più devastanti: le Scintille nella Bufera, la Pienezza del Dragone, unite al tuo cosmo e compresse insieme dalla Nebula Chain di Andromeda!" spiegò, sbalordendo tutti.

"La pressione che ne risulterà sarà schiacciante, la loro forza decuplicata!" realizzò Sirio.

Andromeda soppesò la possibilità. Grazie ai venti della Nebulosa, forse la Nebula Chain sarebbe riuscita nell'impresa, ma di certo lo sforzo l'avrebbe mandata in pezzi. Non avrebbero avuto una seconda occasione, ma d'altra parte che alternative c'erano?

"Tentiamo!" annuì.

"Aspettate!" protestò Phoenix. "Cosa dovrei fare io? Avrete bisogno anche delle fiamme del Rogo della Fenice per causare il massimo danno possibile!"

"Non puoi unirti a noi! Perché la tecnica abbia effetto, dovremo essere molto vicini tra noi ed alla catena nel lanciare i colpi. La pressione sarà terribile, senza armatura verresti spazzato via!" rispose Cristal, ma l'espressione del ragazzo non si ammorbidì affatto.

"Se avessi avuto paura di morire non sarei nemmeno venuto! Unirò il mio cosmo ai vostri, che lo vogliate o meno!" insistette, ignorando lo sguardo preoccupato del fratello.

"Ci disporremo a rombo!" intervenne Sirio, preoccupato dal prolungarsi della discussione. Per qualche motivo, Erebo aveva sospeso l'attacco, ma non sarebbe durato a lungo.

"Se ti metterai al centro, i nostri cosmi e le nostre armature dovrebbero in qualche modo proteggerti!" spiegò, evitando qualsiasi replica schierandosi alla sua destra ed iniziando a bruciare le poche energie che gli restavano.

Uno sguardo d'intesa per spazzar via ogni dubbio residuo e gli altri quattro fecero lo stesso. Phoenix si pose al centro, Pegasus al vertice posteriore, Cristal a sinistra e Andromeda al vertice superiore. Pochi istanti dopo, cinque cosmi rifulgenti avvamparono.

La loro luminosità scosse Erebo. "Quella posizione... stanno tramando qualcosa, ma disponendosi così vicini sono un bersaglio facile!" pensò, alzando la mano per sferrare il Fiat Nox.

All'ultimo momento però per qualche motivo cambiò idea, scagliando solo un fascio di energia. Vedendolo arrivare, Andromeda sollevò la catena di difesa, riuscendo in qualche modo a intercettarlo.

"Dobbiamo sbrigarci!" chiamò, richiamando i venti della Nebulosa.

"Qualsiasi cosa abbiate in mente, vi aspetta solo l'ennesimo fallimento!" gridò Erebo, lasciando partire una pioggia di dardi nero pece.

"Catena di Andromeda, disponiti a difesa!" si difese il ragazzo. Avvolta dai venti, la catena si pose attorno a tutti loro, ma la pressione dei colpi della Prima Ombra cresceva di secondo in secondo, iniziando già a deformarla. Per di più, l'eroe doveva convogliare la maggior parte dei venti attorno alla catena di attacco affinché il loro piano avesse successo.

"Non resisterà a lungo, dobbiamo fare in fretta!" gridò preoccupato. "Nebula Chain!!"

In risposta, il cosmo di Cristal esplose. "Andate, Scintille nella Bufera!"

Le fiamme di ghiaccio vennero avvolte dalla catena, concentrandosi in uno spazio sempre più ristretto. Scariche di elettricità statica e vampate di energia si allungarono sui cinque eroi, stridendo sulle loro armature ed aprendo ferite sanguinanti nelle zone scoperte. Sirio e Cristal si avvicinarono ulteriormente a Phoenix, proteggendolo con i loro corpi.

"La pressione è incredibile, e siamo solo a due tecniche!" pensò Dragone, lottando per richiamare l'energia necessaria ad eseguire di nuovo la Pienezza. I vasi sanguigni ormai allo stremo esplosero, facendo sprizzare fontane di sangue tra le crepe della sua armatura.

"Lacrime di Pegasus!" gridò in quel momento l'amico, unendo la propria tecnica a quella dei due compagni. Il cosmo azzurro si unì al vento ed ai cristalli fiammeggianti, irradiandoli con la propria energia.

"Stanno cercando di fondere i loro colpi segreti in uno solo!" comprese Erebo. "Non credevo potessero arrivare a tanto, un'arma del genere potrebbe essere pericolosa persino per me! Ma ogni tecnica ha un punto debole, e questa richiede troppo tempo!"

Congiungendo le mani, scatenò una raffica di attacchi ben più potenti dei precedenti. Scariche, raggi e ondate di energia si abbatterono sulla catena di difesa, facendola scricchiolare pericolosamente. Nonostante i venti della Nebulosa, numerose crepe comparvero sugli anelli più esterni, mentre la forma della spirale diventava sempre più schiacciata.

"P... presto!" Urlò Andromeda. Le sue mani sanguinavano copiosamente, martoriate dal propagarsi dell'energia di Erebo e dall'effetto prolungato della Nebulosa.

In risposta alla sua supplica, Phoenix allargò di scatto le braccia. "Rogo della Fenice!"

Per la prima volta non dirette a un nemico, le fiamme del colpo segreto danzarono nell'aria alimentate dal vento, sfrigolando contro i cristalli del Cigno. I cosmi di Pegasus e la Nebula Chain stentavano a contenerle, violente fiammate si allungarono a lambire i corpi degli eroi, ustionandoli e torturandoli.

Cristal annaspò, soffrendo per un calore enormemente superiore a quello della caverna vulcanica di Asgard. Nonostante gli amici lo schermassero il più possibile, Phoenix stesso crollò in ginocchio, grondando linfa vitale da centinaia di ferite. Ciononostante, continuò a bruciare il suo cosmo, immettendone la forza nel suo colpo segreto.

"Manco... solo io..." pensò Sirio, sforzandosi di richiamare le energie necessarie. Era allo stremo, i nervi delle braccia, incapaci di sostenere ripetutamente un tale potere, bruciavano agonizzanti.

"Non ve lo permetterò!" ruggì Erebo, sferrando un fascio nero devastante. Con un clangore drammatico, la catena di difesa andò in pezzi, bombardando i cinque amici con frammenti di metallo.

Uno sguardo preoccupato andò da Andromeda agli altri. "Se sposto la Nebula Chain sarà tutto vano, ma se non lo faccio..." pensò, allarmato.

Soddisfatta, la Prima Ombra alzò il pugno per il colpo di grazia.

"Ed ora vi spazzerò via! Fiat..." iniziò. Improvvisamente però sentì qualcosa bloccarlo. La mano assassina rifiutava di muoversi, disobbedendo ai suoi comandi.

Il Dio ancestrale vacillò. "Che... che mi sta succedendo?! Perché il mio corpo non risponde più al mio volere?!" si chiese a denti stretti. Tentò di liberarsi, ma ogni sforzo era vano.

I Cavalieri lo guardarono allibiti, ma solo Phoenix riconobbe la somiglianza con un evento simile del loro passato.

"Quel conflitto... è... è come quando lo spirito di Andromeda si ribellò al volere di Hades!" balbettò sbalordito.

"Vuoi dire che qualcuno lo sta trattenendo?!" domandò incredulo Pegasus, ottenendo un confuso cenno di assenso.

Erebo era giunto alla medesima conclusione. Rabbioso, alzò lo sguardo al cielo. "Chi sei, maledetto?! Chi sei?! Mostrati!" ringhiò digrignando i denti. "Sei tu che mi hai frenato per tutto questo tempo, spingendomi a ferire quando avrei potuto uccidere! Tu hai indebolito i miei colpi segreti e deviato la mia mira! Chi sei?!!"

Tale era la sua collera che il suolo ai suoi piedi andò in pezzi, mentre cercava con tutte le forze di riprendere il controllo delle proprie membra. La presenza che lo bloccava però resisteva ad ogni suo sforzo.

"Chi sei?!" sibilò ancora.

La risposta sbalordì sia lui che i Cavalieri, lasciandoli senza parole. Una figura femminile si innalzò nel vorticare del cosmo di Erebo, comparendo sopra il nemico.

Calde lacrime affiorarono sugli occhi degli eroi, perché era una figura dallo sguardo colmo di amore che loro cinque conoscevano bene, e che non credevano avrebbero mai più rivisto.

"Lady... lady Isabeeeel!!!" urlò Pegasus.

Era proprio lei. Atena, la loro Dea, colei a cui si erano votati, colei che li aveva sempre sostenuti e incoraggiati, fino al momento del tragico trapasso. Rivederla aprì un fiume in piena di emozioni nei loro cuori.

"Uuh... sei tu, Atena!" mormorò la Prima Ombra, genuinamente impressionato. "Le Strane Sorelle avevano detto il vero, anche se ti ho assorbito la tua essenza sopravvive ancora..."

La fanciulla evanescente sorrise amorevolmente ai ragazzi, posando lo sguardo su ciascuno di loro. Era proprio come la ricordavano, la Lady Isabel che avevano conosciuto e protetto, aiutato e amato.

"No... non ci ha abbandonati..." mormorò Phoenix.

"E' sempre stata al nostro fianco..." singhiozzò Andromeda.

"Atena... la nostra Dea..." sussurrò Andromeda.

"Ci ha protetti finora..." disse Sirio.

"Atena... lady... Isabel... allora… anche dopo la morte, non hai mai rinunciato a combattere per noi... a donare a noi ed a tutta l'umanità il tuo immenso cuore ricolmo d'amore..." pianse Pegasus, sentendosi uno sciocco per non aver dato per scontato che avrebbe trovato un modo per tornare da loro.

La fanciulla sembrò udire le loro parole e annuì, gli occhi che brillavano come se anche lei stesse piangendo, commossa.

L'idillio non durò che pochi attimi, poi il cosmo di Erebo riprese ad agitarsi.

"Ti avevo sottovalutata, non credevo fossi dotata di una volontà talmente forte da perdurare dopo l'abbraccio del mio cosmo! Ma ora che so che è opera tua..." iniziò, lottando per liberarsi.

L'espressione di Isabel si fece sofferente, la bocca si aprì in un muto lamento.

A quella visione, i cosmi dei cinque Cavalieri esplosero.

"Pienezza del Dragone!!" urlò Sirio, liberando il colpo segreto ed unendolo agli altri, in uno spaventoso nucleo fumante di pura energia.

"Non ti permetteremo... di farle ancora del male!!" gridarono in coro gli eroi, i volti rigati da sangue e lacrime. "In nome della pace e dell'amore sulla terra, colpite cosmi che ardete nei nostri cuori!"

La Nebula Chain si mutò in vortice orizzontale e diresse verso l’impotente Erebo, creando un corridoio che fece esplodere contro di lui tutta la furia dei cinque colpi segreti.

Il contraccolpo fu devastante. Erebo venne travolto e spazzato via, mentre il raggio sfondava le mura del maniero e sfrecciava verso il cielo. La catena andò in pezzi, il castello tremò da cima a fondo, colonne e parte del soffitto crollarono, il pavimento si spaccò in enormi fenditure. I Cavalieri stessi vennero scagliati indietro dallo spostamento d'aria, sbattendo duramente contro la parete opposta.

Esausti, pallidi e spossati, crollarono in ginocchio, i cuori ancora in tumulto per quel che avevano visto. Tutto il dolore per la morte di Isabel si riaffacciò, lacrime e singhiozzi divennero impossibili da frenare.

Per diversi secondi, nessuno sentì di avere nulla da dire.

"Non può essere sopravvissuto ad un'esplosione del genere..." mormorò alla fine Sirio.

"E' finita..." sorrise Andromeda.

"Presto... torneremo dai nostri cari..." disse Cristal.

"Lady Isabel... ci ha visti? Abbiamo... vinto..." sussurrò Pegasus.

"Uh uh uh... vinto?" li derise una voce malefica, facendoli sobbalzare.

Diradando la polvere con una ventata di cosmo, Erebo ricomparve innanzi a loro.

Gli eroi si sentirono venire meno. L'assalto aveva avuto successo, per la prima volta l'armatura della Prima Ombra era coperta di crepe e spaccature, soprattutto a bracciali e coprispalla.

Ma nemmeno questo era bastato ad annientarlo.

"E' stato un valido tentativo, che per poco non vi ha donato il trionfo. Ma il dolore mi ha permesso di sottomettere lo spirito di Atena e difendermi con il mio cosmo!" spiegò, per poi alzare minacciosamente la mano. "E ora è di nuovo in catene! Adesso che non c'è più lei a proteggervi e frenarmi, sprofondate nelle tenebre: Fiat Nox!"

Totalmente inermi, i Cavalieri fecero appena in tempo a strisciare davanti all'indifeso Phoenix prima di venire travolti e sbalzati in aria senza alcuna possibilità di scampo.

Le armature rinate con il sangue divino, già danneggiate e messe a dura prova dallo sforzo per l'attacco combinato, esplosero completamente in pezzi. Una pioggia di frammenti arcobaleno alla cui vista Erebo scoppiò a ridere sguaiatamente, assaporando finalmente il trionfo tanto agognato.

Furono cinque colonne di luce a interrompere la sua risata. Cinque steli che, inattese, comparvero sul campo di battaglia, annullando la forza del Fiat Nox e salvando gli eroi.

Cinque nuove, rifulgenti armature, che si disposero sui loro corpi, abbagliando il Dio ancestrale e rischiarando come soli le tenebre del suo cosmo.

Riconoscendole, Erebo impallidì. "Non può essere... quelle sono..."

"La corazza divina di Ares!" mormorò Phoenix.

"La Surplice di Hades!" balbettò Andromeda.

"La protezione delle membra di Odino!" si meravigliò Cristal.

"Le vesti divine di Apollo!" disse Sirio.

"L'armatura del potente Zeus!" esclamò Pegasus.

"Forti della benedizione degli Dei, indossiamo ora le loro armature!"

***************

LA GRANDE GUERRA DI ASGARD

Epilogo – Quando gli Dei si scontrano

Sulle pendici del vulcano dell'Isola delle Nebbie, teatro del conflitto finale tra il bene ed il male, Loki osservò con vaga sorpresa la colonna d'acqua che si era innalzata di fronte a lui, sollevandosi dal fondo oceanico fino al cielo e perforando la roccia di Avalon. Al suo interno, con il tridente stretto nel pugno ed il mantello agitato dalla furia delle correnti, si stagliava Nettuno, ultimo tra gli Dei dell'Olimpo, lo sguardo fiero e determinato.

Ad un suo comando, le acque si chetarono e svanirono, lasciando l'Imperatore dei Mari di fronte al cosiddetto Principe degli Inganni.

"Ho udito delle tue trame, anche troppo a lungo ti è stato permesso di ordirle. Non c'è spazio né per loro né per te nella guerra contro Erebo. Abbandona queste terre per non farvi più ritorno, o porrò personalmente fine ad entrambi!" avvertì, guardandolo negli occhi con la massima serietà.

Loki sostenne il suo sguardo per qualche secondo, apparentemente impressionato dalla solennità del tono di Nettuno. Poi, senza alcun preavviso, scoppiò a ridere a crepapelle.

"Uh uh uh ah ah ah ah... quale onore, sono al cospetto del Dio passato alla storia per essere stato turlupinato da un uomo, e si prende persino la briga di minacciarmi! Guardami, l'armatura mi trema addosso per la paura!"

Di fronte a quest'evidente provocazione, Nettuno si incupì, lasciandosi avvolgere da un leggero alone di cosmo. In lontananza avvertiva un riverberare di cosmi che esplodevano ripetutamente.

"La battaglia contro Erebo infuria... devo liberarmi al più presto di lui o sarà stato tutto inutile..." pensò, trattenendo a fatica un brivido di collera al ricordo degli eventi dell'Olimpo, quando Zeus e tutta la sua stirpe era stata crudelmente massacrata. Stanco per la giornata trascorsa a resistere all'assalto di Oberon, in quell'occasione non era riuscito ad opporsi alla Prima Ombra, ma ora sarebbe stato diverso.

Prima però doveva liberarsi del nemico che aveva di fronte. La sua presenza era stata una sorpresa: dopo aver superato le difese di Avalon, si era accorto per puro caso di essere vicinissimo ad un cosmo celato quasi perfettamente. Pochi chilometri più lontano e di certo avrebbe proseguito senza notarlo. Forse sarebbe stato persino meglio, ma ormai la decisione era stata presa.

"Ti offrivo una speranza di salvezza, ma visto che preferisci ignorarla non mi lasci scelta!" disse, togliendosi il mantello con un ampio movimento del braccio e riponendolo a terra ai suoi piedi. Così facendo, rivelò per la prima volta la sua corazza, piena di crepe e danni. I coprispalla erano sfondati, il pettorale scheggiato e pieno di crepe, i bracciali ammaccati. Il dettaglio non sfuggì a Loki.

"E' con quell'armatura da rottamare che vorresti sconfiggermi?" ridacchiò, all'apparenza per nulla turbato. Solo dopo qualche istante sembrò calmarsi "Dimmi piuttosto, come sei sopravvissuto al massacro dell'Olimpo? Credevo che Erebo vi avesse uccisi tutti..."

Julian scrollò le spalle. "Come tutti i folli, è stato accecato dalla sua stessa arroganza. Mi ha scagliato giù dal Sacro Monte, senza curarsi di finirmi, un errore che si rivelerà fatale..."

Loki continuò ad osservarlo, curvando lentamente le labbra in un sorriso calcolatore.

"E' per lui che sei venuto, per riscattarti ed ucciderlo..." intuì, scrutando con attenzione i suoi occhi. Nettuno non rispose nulla, ma il Dio del Nord non se ne curò, anzi il suo sorriso si fece più ampio.

"Il silenzio ti tradisce, è proprio come ho detto... sei venuto per Erebo, ed hai incontrato me. Mi hai offerto la fuga, ma non sei noto per la tua generosità... è per timore che hai parlato..." insinuò, in tono sempre più sottile, gli occhi socchiusi nello studio dell'avversario. L'ombra che attraversò il viso di Nettuno non gli sfuggì.

"Ora guardandomi ti stai chiedendo «posso vincerlo?» e «se lo affronto, avrò ancora la forza per uccidere Erebo?» Dilemmi legittimi, uno scontro tra Dei ti sposserebbe..." sussurrò mellifluo.

Stavolta furono le labbra di Julian a curvarsi in un vago sorrisetto. "Devo arguire che hai una soluzione migliore?"

"Non è ovvio?" esclamò Loki, sbattendo le mani. "Unisciti a me, il nemico è lo stesso, e saprei ricompensarti! In fondo, non hai cercato anche tu di conquistare la terra qualche tempo fa? Non ti importa degli esseri umani, ciò è noto, ed i Cavalieri che ti contrastarono saranno presto perduti. E' un'occasione d'oro! Perché buttarla via sprecando energie contro di me?" propose, soddisfatto della propria arte oratoria.

Il sorrisetto sul volto di Nettuno si allargò. "C'è del vero in quel che hai detto, la sorte degli uomini non mi sta certo a cuore..."

Soddisfatto, Loki si avvicinò di un passo, allargando affabilmente le braccia.

"... nondimeno, ti sopravvaluti grandemente se pensi che annientare una piccola divinità tua pari possa affaticarmi in alcun modo!"

Nello stesso istante, il cosmo di Nettuno avvampò, travolgendo Loki con un'onda di luce e facendolo ruzzolare a terra.

"Ti sei preso gioco di me!" sibilò rialzandosi, solo per essere investito da un raggio del tridente e sbattuto di nuovo indietro.

"Tsk, vi è qualcosa di più patetico di un ingannatore che si lamenta per essere stato ingannato?" domandò Julian, sferrando un terzo raggio.

Stavolta però Loki spalancò gli occhi ed il suo corpo si dissolse in uno sciame di falene nere, per poi ricomporsi incolume alle spalle del nemico. "Complimenti, non mi aspettavo tanta arguzia da chi aveva come massima ambizione trasformare il mondo in un gigantesco acquario! Ma avresti dovuto accettare la mia offerta, perché non ne riceverai altre!" sussurrò, scagliando una mezza onda di luce.

Ruotando su se stesso, Nettuno sollevò il tridente e la contrastò con il proprio cosmo, disperdendola.

Al suo posto, a terra comparve un felino.

"Gatti di Svartalfheim!" sussurrò Loki.

Di fronte al perplesso signore dei mari, il micio agitò la coda ed iniziò a correre verso di lui, sdoppiandosi ad ogni tocco con il suolo finché non ve ne furono una ventina. Accortosi del pericolo, Nettuno cercò di distruggerli con una scarica di energia, ma molti di loro gli balzarono sulle braccia, sulle spalle o lungo le gambe, esplodendo al contatto con tanta forza da farlo barcollare.

Ridacchiando, Loki alzò di nuovo la mano. "I miei gatti sono affettuosi, non si fanno scacciare facilmente. Eccoteli di nuovo!"

Prima ancora che potesse usare la sua tecnica però, Nettuno fece scattare il braccio in avanti, colpendo il nemico al polso con un globo di energia e facendolo ritrarre. Nell'istante così ottenuto, Julian incrociò i polsi e sferrò una nuova scarica, raggiungendo ripetutamente Loki ai fianchi ed all'addome fino a spingerlo indietro con l'armatura fumante.

Il Dio di Asgard aggrottò le sopracciglia in un'espressione seccata e alzò ambo le mani, i palmi verso l'alto. Come obbediente ai suoi comandi, la superficie del vulcano si increspò e divise, per poi innalzarsi in due gigantesche mani di lava che afferrarono l'Imperatore dei Mari, sollevandolo a mezz'aria e imprigionandolo in una stretta.

Con il corpo bloccato e l'armatura che sfrigolava per il tocco della lava, Nettuno fissò sprezzante il nemico. "Come osi intrappolarmi in questo modo?!" sibilò, spalancando gli occhi e dissolvendo la lava con una sola emanazione del suo cosmo. Poi calò il tridente in un gesto dall'alto verso il basso, abbattendo sul nemico uno spaventoso fulmine di energia.

Ora sulla difensiva, Loki bloccò in qualche modo con il dorso del braccio, ma fu costretto a crollare su un ginocchio.

"La tua stessa natura ti tradisce, sei avvezzo a tramare nell'ombra, non a combattere in campo aperto!" accusò Julian, tornando a terra di fronte a lui e puntandolo di nuovo con il tridente.

In tutta risposta, Loki sferrò un fascio di energia, ma Nettuno lo intercettò senza sforzo con la punta del tridente, ruotandolo come ad avvolgerlo mentre imprimeva in esso parte del suo stesso cosmo. Un istante dopo lo lanciò di nuovo contro il nemico, investendolo in pieno e travolgendolo.

Barcollante, il Dio del Nord provò a rialzarsi. Julian però fu più svelto e, fatta girare l'arma nel pugno, la scagliò in avanti, trafiggendo l'avversario alla gamba destra. Urlando di dolore, Loki cadde al suolo sanguinante.

Subito, il Cronide torreggiò su di lui, la mano scintillante di energia per finirlo.

Con un moto di sorpresa, si accorse che il nemico stava sogghignando.

Senza preavviso, Loki scomparve, lasciando cadere il tridente a terra. Contemporaneamente, Julian avvertì un movimento alle sue spalle. Voltandosi, vide inorridito un centinaio di gatti di luce avvicinarsi di soppiatto. "Ma quando..."

Il Principe degli Inganni ricomparve, appoggiato alle pendici del vulcano.

"Uh uh, è sempre buona norma lasciare nelle retrovie uno dei miei cuccioli dopo il primo attacco, può tornare utile quando la guardia del nemico è scoperta, proprio come un'illusione creata ad arte per disarmarlo!" ridacchiò, indicando il tridente prima di dar loro l'ordine di attaccare. Conscio del pericolo, il Dio di Grecia fu costretto a dargli le spalle e spazzare l'aria con il braccio in una serie di onde concentriche che annientarono i Gatti di Svartalfheim prima che gli si potessero avvicinare abbastanza.

Proprio la contromossa che Loki si aspettava.

Congiungendo le mani, sferrò un devastante raggio di energia alla schiena di Nettuno, spaccando in qualche punto la sua armatura e facendolo crollare in avanti, per la prima volta sanguinante.

"Non hai onore?! Colpire alle spalle è indegno di una divinità, persino di una meschina come te!" sibilò adirato il signore dei mari, ottenendo in cambio solo uno sguardo divertito.

"Uh uh uh, Nettuno, sei uno sciocco e un arrogante come tutti gli Olimpici! Credi che io sia sopravvissuto così a lungo comportandomi lealmente? Preoccupandomi dell'onore? Thor lo ha fatto, era il suo orgoglio, e proprio per questo è caduto secoli fa. Io sono di ben altra pasta!"

"Una serpe! E' patetica una divinità che ricorre a tali bassezze. Non siamo esseri umani, il nostro agire dovrebbe essere pari alla nostra superiore statura!" ringhiò Nettuno, facendo esplodere attorno a sé una sfera concentrica di energia. Reagendo rapidissimo, il Principe degli Inganni fece lo stesso, e le due forze si scontrarono a mezz'aria, vibrando in equilibrio.

"Superiore, dici? Come avvertire Atena della situazione? Offrirle una speranza e dare tempo ai suoi Cavalieri di riorganizzarsi?" ironizzò Loki. "Poc'anzi mi hai definito non avvezzo alla battaglia, ma le guerre di cui tanto ti vanti non sono che giochi tra bambini dispettosi, passatempi e non reali conflitti!"

"Come osi?!" sibilò Nettuno.

"Come altro definiresti l'agire di chi annuncia il proprio ritorno, permette l'accesso al proprio regno, indica addirittura al nemico la strategia da seguire per la vittoria? «La Colonna Portante è indistruttibile finché i pilastri dei sette mari sono integri», ti sarebbe bastato mantenere questo segreto per ottenere una facile vittoria. I Cavalieri sarebbero giunti a te, impreparati e soli, massacrarli sarebbe stato facile!"

"Facile, sì, ma indegno di una divinità del bianco Olimpo, ed ingiusto nei confronti dei Generali che attorno a me si erano riuniti! Un ruolo nel mio trionfo era il compenso per la loro fedeltà!" notò Julian. Nel sentirlo, l'avversario scosse la testa schifato.

"Dignità, onore, lealtà... tutte sciocchezze! Che bisogno ha un Dio di guerrieri umani? A cosa servirebbe la loro ridicola forza in una vera guerra divina? Persino il più debole tra gli Dei dell'Olimpo probabilmente potrebbe spazzarli via con un solo gesto. Eppure lo fate, tutti voi. Ponete in campo eserciti e, assisi sui vostri scranni, li guardate affrontarsi. Le assurde regole che vi autoimponete denunciano i vostri conflitti per il gioco che realmente sono! Non vi interessa la vittoria, cercate solo distrazioni per sfuggire da un'eternità di noia! Perché è lei, la noia, il vero flagello di un'esistenza eterna" insinuò. "Per sfuggirle, non esitate a compiere massacri... e poi c'è chi dice che sono io il malvagio..."

Nettuno inorridì alle accuse del nemico, e per un istante sentì la collera ribollirgli in corpo. Approfittando di quel calo di concentrazione, la spinta di Loki si fece più pressante, vicina a prevalere.

"Menzogne, con cui cerchi di pungermi! La tua strategia è così trasparente da risultare ben prevedibile!" esclamò Julian, ritrovando la calma e bruciando ulteriormente il suo cosmo per ristabilire l'equilibrio. "La mia intenzione era tutt'altra, purificare la terra dal male degli esseri umani e renderla un nuovo paradiso. Quanto al mio esercito, è consuetudine di ogni divinità premiare in tal modo chi gli è fedele, Asgard non fa eccezione!"

"I Cavalieri di Asgard servono solo a mantenere viva la fede in Odino, egli non è mai sceso a combattere al loro fianco... il mio patrigno era un barbaro, sciocco ed insipiente, incapace di tessere la più semplice delle trame. Ma in una cosa aveva ragione: per noi divinità del Nord, l'esistenza è lunga ma non infinita. Non ha senso sprecarla in un ripetersi di giochi e svaghi, come fate voi Olimpici con le vostre infantili guerre. Le energie che buttate andrebbero piuttosto tese verso un unico, più grande, obiettivo!"

"L'ordire inganni e trame nascoste?!"

"Il pianificare la vittoria! E a tal proposito..." Ad un gesto di Loki, altri gatti di Svartalfheim uscirono da dietro una roccia, esplodendo attorno alle gambe di Nettuno e facendolo crollare in ginocchio. Improvvisamente incapace di sostenere la pressione della sfera del nemico, il Dio ne venne investito e fu scagliato contro la parete rocciosa.

Quando riaprì gli occhi e cercò di rialzarsi, si accorse di qualcosa che danzava nell'aria attorno a lui. Un luccichio, di istante in istante sempre più denso. Con gesto disperato tentò di disperderlo, ma si scoprì paralizzato.

"Specchio delle Norne!" sibilò Loki, disegnando un rettangolo in aria con le dita e lasciandolo viaggiare verso il bersaglio. Il luccichio attorno a Julian si agitò e compresse, mutandosi in quella che sembrava una sottilissima lastra di vetro sospesa a mezz'aria, sulla cui superficie vi era il riflesso di Nettuno.

Ma non si trattava di un riflesso. Il Dio in persona era infatti adesso prigioniero all'interno dello specchio creato dal Dio del Nord.

"Che maleficio è mai questo?!" esclamò, rendendosi conto della sua situazione. Cercò invano di liberarsi, ma il suo cosmo divino non obbediva più ai suoi comandi, anzi sembrava del tutto scomparso.

"La mia arma più insidiosa, lo Specchio delle Norne, il passaggio che conduce ai nove mondi di Yggdrasill! O che lo farebbe, se non ne avessi aperto una sola estremità. Prigioniero al suo interno, non sei che un riflesso senza alcun potere..." ridacchiò.

"Liberami, te lo ordino!" disse a denti stretti Nettuno, sforzandosi di muoversi abbastanza da sfondarlo dall'interno. "Liberami o ti giuro su tutto quel che è sacro che distruggerò prima il tuo specchio e poi te!"

"Distruggere lo Specchio? E' possibile, certo, in fondo esso è fragile come la brina dell'alba di Jotunheim. Ma se pensi che ti gioverebbe..."

Ad un suo cenno, un gatto di luce si lanciò sul cristallo, in corrispondenza del braccio sinistro di Julian, ed esplose a contatto. Lo Specchio in quel punto si spaccò in frantumi, ma non da solo: il bracciale dell'armatura di Nettuno andò in pezzi, dilaniando il braccio sottostante e facendo grondare una cascata di sangue.

Per la prima volta, il Dio non poté trattenere un grido di dolore. "A... allora..." realizzò.

"Qualsiasi danno inflitto allo specchio si ritorce sulle membra di chi vi è prigioniero. Mandalo in frantumi e distruggerai il tuo stesso corpo! Un maleficio degno di Loki, non credi?" sogghignò il figlio di Laufey. Poi schioccò le dita, ed una decina di gatti balzarono fuori, iniziando a passeggiare minacciosamente attorno a Julian.

"La tua fine è segnata dal momento in cui hai deciso di affrontarmi a campo aperto. Saresti dovuto restare nell'ombra, in attesa del momento propizio, e invece hai annunciato il tuo arrivo. Mi hai sottovalutato, convinto della tua superiorità come figlio di Crono, ed ora ne paghi il prezzo. Lo stesso che tutta la tua stirpe ha pagato prima di te!" esclamò.

"Non... pensare di potermi paragonare a te!" ritorse Nettuno, fissandolo con disprezzo. "Sono uno dei fondatori della terza generazione divina, con Zeus e Hades ho diviso il dominio sul creato! Non ho pari se non all'interno della mia famiglia!"

Loki sbuffò ed avvicinò il proprio viso allo specchio, i suoi occhi lontani solo pochi millimetri da quelli del nemico. "Lo credi davvero, non è così? Tu ne sei convinto! Come il giorno segue la notte, così tu sei certo dell'intrinseca superiorità della tua stirpe! Ptui!"

Lo sputo, diretto a terra, infastidì Nettuno più delle parole. Un dettaglio che non sfuggì a Loki. "Perdonami, una tale rozzezza non è gesto da divinità! Ma è proprio quest'arroganza il tallone di Achille di voi Dei di Grecia. Il Ragnarok che tutta la mia stirpe teme è in realtà una benedizione, senza di esso che simile a spada pende sul nostro capo, saremmo finiti a trascorrere l'esistenza sdraiati su lettighe tra ninfe e servitori, circondati da coppe di nettare e concerti d'arpa solista.

"Invece, come già ti ho spiegato, il Ragnarok ci rende simili agli esseri umani, consapevoli che il nostro tempo è limitato. E quando il tempo è poco, non v'è da sprecarlo con forma o convenzioni. Ora morirai, Imperatore dei Mari, perché hai ritenuto indegno di te attaccarmi di nascosto!" concluse, voltandosi e facendo cenno ai suoi gatti di lanciarsi sullo Specchio.

I primi felini obbedirono subito, schiantandosi su più punti della fragile prigione. Lo Specchio si spaccò, l'armatura di Nettuno andò completamente in frantumi, le carni di Julian ne vennero martoriate.

Barcollando, il Dio chiuse gli occhi.

"Devo fermarlo, il corpo del giovane Kedives sta per essere distrutto, e privo di esso il mio spirito tornerebbe al Tempio dei Mari. Il tempo, che mai mi è mancato, ora mi sfugge: non ho innanzi a me gli anni necessari a prendere pieno possesso di un nuovo corpo, e senza sarei inerme, Loki o Erebo per sempre fuori dalla mia portata... sarà stato tutto inutile! Ma l'alternativa... l'unica alternativa..." rifletté, dilaniato dal dubbio.

Le sale dell'Olimpo si riaffacciarono innanzi a lui, e con loro Zeus, subito prima dello scontro con Pegasus ed i suoi compagni. Nel pensare a lui, un senso di inadeguatezza si impadronì di Nettuno. "Fratello, non hai esitato a sottoporti all'onta del rito... tu che eri il primo e più possente da noi, hai saputo mettere da parte l'orgoglio... tu, così fiero per non aver mai versato sangue in battaglia, hai messo degli esseri umani in condizione di ferirti. Hai saputo seguire una strada costellata di rischi ed accettarne il prezzo senza un solo ripensamento... è questo che ha fatto di te il re dei re? E' questo che ti ha reso superiore a me che non riesco neppure a prendere una decisione?!"

Riaprendo in parte gli occhi, vide gli ultimi gatti pronti ad avventarsi sullo Specchio per distruggerlo completamente e finirlo. Dietro di loro, Loki si stava già allontanando.

"Tsk... e sia! Ora scopriremo se almeno una volta nell'esistenza il Principe degli Inganni ha detto la verità!" esclamò.

Nello stesso momento in cui gli ultimi gatti si gettavano sullo Specchio, una colonna di luce accecante riverberò sul campo di battaglia, spingendo Loki a voltarsi di scatto. Di fronte a lui, il tridente di Nettuno si pose da solo a difesa del suo padrone, intercettando i felini e distruggendoli prima che potessero colpire il loro bersaglio.

Ma non solo. L'arma brillava luminosissima e, avvolte in un'aura verdina, le sue forme stavano cambiando, fondendosi, allargandosi, arricchendosi di nuovi dettagli ed elementi. Sbalordito, Loki comprese cosa stesse accadendo.

"E'... un'armatura! Il tridente di Nettuno è in realtà un'armatura!!" realizzò.

Come a conferma, la luce scomparve, rivelando una corazza verde marina. Galleggiando a mezz'aria, essa si appoggiò a quel che restava dello Specchio e sembrò venirne assorbita. Un istante più tardi, la creazione di Loki esplose in frantumi, sovrastata da un cosmo immenso.

Una sagoma comparve dietro i frammenti.

"E' re Nettuno il mio nome celeste!" esclamò con voce tonante, mentre un'ondata di energia travolgeva il figlio di Laufey e lo scaraventava malamente a terra diversi metri più indietro.

Riaperti gli occhi, il Dio di Asgard guardò quel che aveva di fronte: il corpo di Julian era adesso protetto da vesti completamente diverse da quelle di prima. Grandi ali simili a pinne di cavallo marino sorrette da un'intelaiatura di coralli sormontavano l'armatura verdina ed oro. Pettorale, coprispalla e cintura avevano la forma ondulata di conchiglie, sormontata al centro del torace da una piastra liscia su cui era inciso il simbolo del tridente. Medesimo stemma era al centro della maschera, forse il pezzo più simile a quello della corazza precedente, mentre bracciali e schinieri erano aderenti e cilindrici, decorati da fregi a forma di spuma e coralli. Infine, un altro paio di alette squamate ornavano le caviglie.

"Il potere che si emana da quelle vesti è enorme... che esse siano..." intuì Loki.

"Le mie vesti divine, di ben altra fattura rispetto alla corazza di scaglie d'oro che hai appena distrutto! Per quanto di certo superiore a quelle dei miei Generali, l'armatura di scaglie non era che una difesa temporanea per il corpo che mi ospita... nulla a confronto delle celesti vestigia del mio empireo lignaggio! Con quest'armatura affiancai Zeus nelle guerre contro Tifone o i Titani, e con essa ora spazzerò via te che hai osato sfidarmi! Principe degli Inganni, ora che dispongo di nuovo dei miei pieni poteri, scoprirai cosa sia il terrore!"

Senza permettere al nemico neppure di ribattere, Nettuno fece scattare le mani in avanti, scatenando un'onda di energia devastante. Il coprispalla sinistro di Loki andò in pezzi, mentre il Dio veniva sbattuto contro la parete rocciosa. Subito, Julian lo incalzò con un secondo assalto, centrandolo stavolta all'addome e facendolo crollare in ginocchio.

Con la bocca segnata da un filo di Ichor, Loki rialzò la testa e fissò con odio il figlio di Crono. "Maledetto, non credere che sia così facile sconfiggermi! Gatti di Svartalfheim!"

"Non basteranno a salvarti!" rispose Nettuno, spalancando gli occhi e distruggendoli tutti con un'onda di luce. Poi alzò un dito verso il cielo e lasciò cadere una pioggia di colpi, bombardando non solo Loki ma anche la zona circostante. Diversi gatti luminosi uscirono da dietro le rocce tentando la fuga, ma vennero tutti centrati e polverizzati.

Con una smorfia di rabbia, il Dio di Asgard fece avvampare il suo cosmo e dissolse il proprio corpo in uno sciame di falene nere. Istanti più tardi, due dozzine di Loki circondarono Nettuno e sferrarono una serie di fasci di energia.

"Stolto! La spada e la Dunamis del potente Crio non riuscirono a frantumare questa mia armatura, credi forse di potervi riuscire tu, piccolo Asgardiano?!" tuonò Julian, lasciando infrangere gli assalti sulla sua corazza. Contemporaneamente colpì il suolo ai suoi piedi con un pugno, lasciando eruttare un anello di cosmo che dissolse le illusioni ed investì di nuovo Loki.

Con il nemico ormai vacillante, Nettuno fece esplodere la propria aurea, tempestandolo di migliaia e migliaia di dardi alla velocità della luce che raggiunsero il bersaglio al torace, l'addome, il viso e gli arti, scheggiandone in più punti l'armatura.

Poi congiunse i palmi, creando in mezzo a loro quello che sembrava un vorticante globo di acqua splendente, ed alzò di scatto le mani. "Vi era un gorgo temuto sopra ogni altro dalle umane genti che rischiavano la via del mare. Un vortice di divina potenza, frutto di forze superiori a quelle della natura. I marinai non osavano pronunciarne il nome, perché sapevano che udirlo sarebbe stato per loro l'ultimo atto. Questo è il colpo segreto del Dio che hai sfidato, e per mano sua ora cadrai. Che la tua vile esistenza giunga a termine tra i flutti del Maelstrom!"

La sfera si trasformò in un vortice devastante, un'energia senza pari che scagliò Loki in aria come se fosse un fuscello, imprigionandolo nel gorgo, strappandogli il coprispalla danneggiato, spaccando l'elmo e parte del pettorale. Il gorgo salì fino al cielo, aprendo uno squarcio tra le nebbie e le nubi. Solo dopo diversi secondi il Dio di Asgard si schiantò al suolo, con tanta violenza da aprire un vero e proprio cratere.

Avvicinandosi al bordo, Julian lo vide giacere in una pozza di Ichor. "La giusta fine per una serpe! Ma ora devo affrettarmi, la battaglia tra i Cavalieri ed Erebo è in pieno svolgimento!"

Nell'atto di girarsi ed andar via però, il Dio udì un flebile suono provenire dal cratere. Guardando di nuovo, si accorse che Loki si stava ancora muovendo, seppur in chiara agonia.

"Incredibile, sei sopravvissuto! Solo la stirpe di Urano, la seconda generazione divina, vi era mai riuscita!" commentò, non riuscendo ad impedire che la sorpresa trasparisse dalla sua voce.

Loki alzò la testa, i capelli imbrattati di linfa vitale. "Q... quell'armatura... non è solo una protezione..."

Julian annuì. "Anche in punto di morte, lo spirito d'osservazione non ti fa difetto. Hai ben detto, come le Soma dei Titani che un tempo erano le grandi armi della Madre Terra, così le mie vesti, come quelle di Ares e pochi altri, uniscono difesa ad offesa. Al fine di proteggere le mie membra, il tridente che mi dona il dominio sui mari cambia di foggia per diventare solida corazza! Grazie ad essa, posso eseguire il Maelstrom che ti ha annientato..."

"Un'arma davvero potente..." ammise Loki, incrociando lo sguardo con l'avversario. "Così potente da spingermi a chiedermi come mai tu non l'abbia usata prima, o nelle guerre contro Atena... perché hai preferito lasciarti ferire o sconfiggerti pur di non rivelarla... dubito sia solo per non farla impolverare. No, un tale atteggiamento può essere solo figlio dell'autopreservazione..."

Nettuno trasalì. Il Dio del Nord era palesemente moribondo, eppure qualcosa nei suoi occhi lo faceva rabbrividire. Era lo sguardo di un serpente, tanto inquietante quanto impossibile da leggere.

"Come... come hai fatto a sopravvivere?" domandò, ottenendo però in cambio solo un sorrisetto.

"No no... è buona norma rispondere ad una domanda prima di porne un'altra..."

L'istinto gli gridava di ignorarlo e finirlo ora che era inerme, ma lo sguardo di Loki era magnetico, distogliere l'attenzione quasi impossibile.

"Il... potere di quella corazza è difficile da sostenere per carni umane..." ammise alla fine.

Il sorriso del Principe degli Inganni si allargò in un ghigno. "Degno di me. Obbligato a soddisfare la mia curiosità, ti sei nascosto dietro una scusa. Una scusa plausibile e in parte veritiera, ma comunque incompleta. La vitalità di quell'armatura suggerisce ben altro... sì, credo di capire..." notò, alzandosi su un ginocchio. "Persino ad Asgard si vocifera che da tempo tu non possieda più un vero corpo".

Nettuno impallidì e indietreggiò di un passo, come schiaffeggiato. Di fronte a lui, Loki si rimise in piedi. Ma non solo: le sue ferite smisero di sanguinare e si richiusero, la corazza in pezzi tornò solida ed intatta.

"Ma come..."

"Le mie vesti divine sono state forgiate con la resina di Yggdrasill, l'albero dell'universo. Come il suo fusto, hanno il potere di rigenerare loro stesse ed amplificare le mie arti arcane, che a loro volta mi permettono di sanare ogni ferita se me ne viene lasciato il tempo. Oggetti utili le armature, non credi? Si prestano a molteplici compiti, anche quelli meno ortodossi..." insinuò con tono consapevole.

Il re dei mari deglutì nervosamente di nuovo, poi sospirò. "Inutile negarlo... il mio corpo divino venne distrutto nel corso della guerra contro Tifone, agli albori della storia..."

"E da allora, nei periodi in cui non possiedi un corpo umano ad ospitarti, la tua anima riposa nelle armature. Dopotutto, anche un Dio ha bisogno di un ricettacolo per potersi esprimere al meglio..." proseguì Loki, studiando bene le emozioni che passavano sul volto dell'avversario. "Due armature... sarebbe stato rischioso riporre tutto in una sola corazza viste le costanti schermaglie contro Atena. La sua distruzione ti avrebbe costretto a rimanere puro spirito, indifeso dallo spirare del Tartaro... dimmi, fu tua l'idea?"

"Fu di Zeus..." ammise Nettuno, ricordando le accorate parole del fratello. Dopo averlo convinto a forgiare l'armatura di scaglie, gli aveva anche consigliato di non usare mai l'originale se non in casi di estremo pericolo. Sopra ogni cosa, per nessun motivo avrebbe dovuto indossarla qualora la sua veste terrena fosse stata distrutta. "Perdi entrambe, e perderai te stesso..." era stato il suo monito.

Ancora una volta, Loki sembrò leggergli nel pensiero. "Zeus, certo, collima tutto. Suo dev'essere stato anche il suggerimento di tenere l'armatura sempre vicina, proprio come lui faceva con la propria, il trono del tredicesimo tempio... una buona idea, ma non infallibile. Atena deve aver sospettato, per questo dopo averti sconfitto, secoli fa, appose un secondo sigillo proprio sul tridente e lo nascose lontano, nella prigione di Capo Sounion".

"Sei... ben informato!" riconobbe Julian a denti stretti. L'altro scrollò le spalle.

"Avevo molto tempo tra le mani, e per chi come me brama il potere, le informazioni sono merce di prim'ordine!" sorrise. "E così hai scelto di rischiare tutto pur di vincermi, una decisione coraggiosa..."

"Mpf... prenditela con la tua eloquenza. Sei stato tu a parlarmi del valore di un'esistenza temporanea, ho solo deciso di ascoltarti. Ora combatto per la mia vita, proprio come te!" esclamò, avvolgendosi del suo cosmo. "E visto che non ho alcun desiderio di precipitare nell'abisso, non sorprenderti se ti finirò con tutte le mie forze!"

Loki balzò indietro di qualche metro ed allargò le braccia. "Specchi delle Norne!"

In tutta risposta, il cosmo di Nettuno esplose, dissolvendo il luccichio della tecnica del nemico prima che diventasse tanto denso da intrappolarlo. "Ormai conosco il tuo specchio, non funzionerà di nuovo. Preparati piuttosto a subire la furia del mio colpo segreto alla massima potenza: Maelstrom!"

Sferrato inaspettatamente in orizzontale, il gorgo degli abissi si abbatté frontalmente su Loki, scaraventandolo contro la parete rocciosa con tanta violenza da sfondarla e farlo rotolare lungo il pendio con l'armatura nuovamente in pezzi.

Nettuno lo vide sparire tra le rocce. Un po' in affanno, si appoggiò alla parete, riprendendo fiato. "Da millenni non imprimevo così tanta forza in un attacco, stavolta non può essere sopravvissuto!"

"Uh uh uh, ne sei convinto?" giunse la voce del Principe degli Inganni, facendolo trasalire. Fluttuando nell'aria, il Dio del Nord tornò di fronte a lui, il volto distorto in un'espressione trionfante.

"No! Come può essere?!" esclamò impallidendo. I danni alla corazza non si erano ancora riparati, le ferite non ancora richiuse, ma la vitalità del suo cosmo non era affatto calata.

"E non hai ancora visto niente..." sogghignò Loki allargando le braccia ad indicare qualcosa. Accanto a lui, era comparso uno specchio dall'aspetto ben familiare.

"Che significa... dovrei averlo distrutto!" balbettò confuso Julian. Lo stupore che aveva dipinto sul viso non faceva che aumentare l'insano divertimento sul volto del Principe degli Inganni.

"Non hai ben udito, poco fa non ho detto specchio, ma specchi! Tu non ne hai distrutto che uno solo!" gongolò.

Nettuno si guardò attorno con gli occhi sbarrati. Otto specchi erano comparsi sul campo di battaglia, alcuni sospesi a mezz'aria, altri a livello del suolo, uno persino orizzontale attraverso il cielo.

"Nove specchi per nove mondi, non te l'avevo forse detto? Ne hai distrutto uno, quello di Midgard, ma gli altri sono ancora qui ed il loro uso è molteplice! Assaggia ad esempio le fiamme dell'inferno di Surtur: Braci di Mullespheim!!"

Lingue di fuoco eruttarono senza alcun preavviso da uno degli Specchi, danzando attorno al corpo di Loki e concentrandosi nel palmo della sua mano, prima di esplodere contro Nettuno. Il giovane Kedives cercò di contrastarle con il suo cosmo, ma riuscì solo a smorzarle prima di esserne investito.

"Cosa ti succede, imperatore dei mari. Fa troppo caldo per te? Permettimi di aiutarti a spegnerle allora, con le Acque di Vanaheim!"

Turbini spumeggianti emersero da un altro degli specchi, unendosi al cosmo del figlio di Laufey e schiantandosi su Nettuno.

Punto sul vivo, il Dio di Grecia fece avvampare il suo cosmo, allontanando da sé i flutti. "La tua ignoranza è seconda solo alla tua superbia, speri di sconfiggere l'Imperatore dei Mari con un vortice d'acqua?!" ringhiò.

"Se fossi in te non sottovaluterei i fiumi della terra dei Vani..." sussurrò Loki. Nello stesso momento le acque si aprirono, e sciami di minuscole creature luminose alate simili a folletti si avventarono su Nettuno. Il suono prodotto dal loro battere di ali penetrò nella mente e nel corpo del Dio, facendo impazzire i suoi sensi umani. Senza neanche accorgersene, Julian crollò in ginocchio.

"Esula ogni logica! Sono uno dei tre signori del mondo occidentale, l'armatura che indosso compensa più che adeguatamente le mancanze di questo corpo mortale. Eppure..." pensò, scacciando le creature con un lampo di energia e tornando a fronteggiare il nemico, le cui ferite si stavano nel frattempo di nuovo richiudendo.

Incrociando i polsi, sferrò una serie di globi luminosi, ma a Loki non bastò che un gesto per annullarli.

"Non hai ancora compreso? Mio è adesso il potere dei nove mondi! Se è il cosmo nella sua forma più pura che cerchi, allora preparati a subire le Luci di Alfheim!"

Lo specchio accanto al Dio brillò come un sole, investendo Julian con una bordata di energia. L'armatura divina resse l'impatto, ma non poté impedire al Cronide di essere sollevato da terra e sbalzato rovinosamente al suolo, la bocca segnata da un rivolo di sangue. Con il cosmo totalmente impegnato nella lotta, le ferite ricevute durante la prigionia si erano riaperte e la linfa vitale sgorgava copiosa attraverso la corazza.

Accorgendosene, Loki incrociò affascinato le dita.

"Sei vicino alle soglie di Hel, concedimi di evocare coloro che ti accompagneranno. I loro cuccioli già li conosci, lascia che ti presenti le Ombre di Svartalfheim!"

Sagome nere e fumose emersero dall'unico specchio orizzontale. Creature dalle forme umane ma prive di lineamenti, con dita sottili e lunghi arti, i corpi neri come la notte, con la sola eccezione degli occhi, simili a tizzoni ardenti. Si avvicinarono a lui, sibilando suoni immondi.

Nella sua esistenza Nettuno aveva affrontato Titani e creato mostri leggendari, ma guardando questi esseri non poté fare a meno di rabbrividire. Tentò di rialzarsi, solo per scoprire che alcuni di loro già gli bloccavano gli arti.

"Gli spiriti degli elfi oscuri, cacciati da Alfheim e condannati ad esistere come empie ombre. Neppure Hel è concesso loro, vagano come spettri alla ricerca di vendetta, o di vite con cui saziarsi!" sibilò Loki.

Julian ne sentì il gelido tocco sul viso, le unghie penetrargli nella pelle per rubargli le energie ed il soffio della vita.

Si sentì venir meno, il fiato gli mancava. Con la coda dell'occhio guardò in direzione del castello di Oberon. La battaglia finale era ancora in corso, senza di essa Erebo avrebbe di certo avvertito da tempo i loro cosmi. Ma, d'altra parte, questo significava anche che il poco tempo a sua disposizione stava per scadere.

Al pensiero di Pegasus e gli altri che affrontavano da soli un nemico che lui non era riuscito neppure a raggiungere, un nemico che aveva sterminato i Numi del bianco Olimpo, la sua collera avvampò.

"E' così che dovrebbe concludersi l'esistenza di un figlio di Crono? Finito da spettri immondi, pedine di una serpe del Nord? No, non è per me una simile umiliazione!" pensò, facendo esplodere il suo cosmo con sorprendente vitalità.

Gli elfi oscuri cercarono di saziarsi di quell'energia, ma essa era troppa. Era il cosmo di un Dio, inadatto ad involucri effimeri come i loro. Gridando in agonia, si dissolsero, permettendo a Julian di rialzarsi in qualche modo.

"Ora a te!" esclamò, barcollando verso Loki ed avvicinando le mani in preparazione al suo colpo segreto. "Questa volta la furia del Maelstrom non ti darà scampo!"

A queste parole, il ghigno scomparve dal viso del Principe degli Inganni, e la sua espressione si fece infastidita. "Tsk, povero sciocco Olimpico, ti reputi ancora un'entità suprema e invece sei solo il re di pesci e molluschi! Nulla a confronto di colui che è destinato a portare il Ragnarok! Avevo in mente di farti sperimentare il tormento dei restanti mondi, ma inizio ad essere stanco della tua tracotanza. Ora ti mostrerò cosa sia la vera forza!" proclamò.

Con un gesto improvviso allargò le braccia, mandando in frantumi tutti gli specchi. Il suo cosmo avvampò, immenso e terribile, mutandosi in una spirale nera che attirava a sé i frammenti dei suoi costrutti. "Mira, signore dei mari, l'apocalisse che spazzerà via il creato. Avvento del Ragnarok!!"

Un'esplosione concentrica dalla potenza inusitata si abbatté sull'ultimo Dio di Grecia, dandogli appena il tempo di incrociare le braccia a difesa del viso ed avvolgersi del suo cosmo in una disperata difesa.

Anche così, i danni furono terribili. La maschera venne disintegrata, i coprispalla e i bracciali esplosero in pezzi, dilaniando la carne sottostante. La protezione per il fianco destro venne quasi strappata dal corpo, insieme alle placche più esterne del cinturino. Le ali si spezzarono e spaccarono all'attaccatura, venendo del tutto distrutte.

Tra flotti di sangue e frammenti di armatura, Julian precipitò al suolo. La corazza l'aveva salvato. Con indosso qualsiasi altra sarebbe sicuramente morto, ma anche così la sua vita era appesa ad un filo. Ogni fibra del suo essere pativa in preda ad atroci sofferenze, non aveva mai provato un dolore simile.

Persino più di quell'agonia era però l'incertezza a tormentarlo. Come poteva Loki possedere una simile tecnica? Forse neppure la folgore di Zeus avrebbe potuto ridurlo in quelle condizioni, era assurda tanta energia in un Dio noto per l'astuzia, ma non certo per la possanza. E come aveva fatto a sopravvivere per ben due volte al Maelstrom? La sua tecnica era mortale.

Dilaniato dai dubbi, tossì sangue e alzò stancamente il viso martoriato, scrutando il nemico.

Accorgendosene, l'Ingannatore scoppiò a ridere. "Che espressione impagabile! Guardati cercare di stendere la tua flebile mente alla ricerca della verità. «Come fa ad essere così forte?», ti stai chiedendo questo, non è vero? «Come può un piccolo Asgardiano ridurre così l'onnipotente signore dei mari?» Ah ah ah ah, tronfio ed ignorante, ti avevo ben giudicato. Eri così accecato dalla tua stessa luce che non ti sei mai curato di approfondire i segreti delle altre divinità, non è vero?"

"Che... intendi dire?!"

"Semplicemente che noi Numi di Asgard siamo diversi da voi in più di un aspetto. Della nostra mortalità ti ho già parlato, ma le profezie che ci vincolano non si limitano a questo. Quando il momento giunge, il fato stesso ci pone nelle migliori condizioni per compiere il nostro destino! Ed il destino di Loki è sempre stato quello di portare il Ragnarok!" dichiarò, strofinando le mani.

Un'ombra di comprensione attraversò il viso di Julian. Era assurdo, ma in questo modo, lentamente, tutto iniziava ad acquistare un senso.

"Hai capito, te lo leggo negli occhi! Durante l'apocalisse il mio cosmo è al culmine, al parossismo! Non sono mai stato così potente, neppure Odino in persona potrebbe vincermi ora! Le scritture sono chiare: se il mio patrigno fosse ancora vivo, nessuno tranne Fenrir avrebbe potuto affrontarlo, ma contro di lui i suoi colpi sarebbero stati inefficaci; la vulnerabilità al veleno di quel bestione Thor sarebbe centuplicata, perché era suo destino cadere contro Jormungander; ed Heimdall, il prode custode di Bifrost, sarebbe l'unico in grado di uccidermi!"

Nettuno rifletté sulla situazione. "Ma... se questo è ciò che il destino ha in serbo per voi, allora perché tu solo sei ancora vivo?"

"Perché le profezie sono creature infide, Odino e Zeus potrebbero confermartelo. Solo gli eventi del Ragnarok e pochi altri sono vincolati, ma prima di esso eravamo liberi di agire come più ci aggradava. E' questo il grande paradosso che nessuno ha mai colto: solo Fenrir potrebbe uccidere Odino durante il Ragnarok, ma nulla impediva ad altri di ucciderlo prima. Manipolando Hela ad eliminare Heimdall appena prima dell'inizio del conflitto finale, ho tolto di mezzo l'unico che avrebbe potuto fermarmi quando ancora era vulnerabile" spiegò.

"No, le tue sono solo menzogne! Hela è caduta, tu stesso l'hai ammesso, e non avverto i cosmi degli altri tuoi figli! Qualcuno li ha abbattuti!" insistette Nettuno, aggrappandosi alla logica per impedire alla disperazione di prendere il sopravvento.

Sembrò cogliere nel segno, per un momento un'ombra velò lo sguardo del Principe degli Inganni. "E' sempre stato vago il fato di Hela. Quanto a Fenrir e Jormungander... qualcosa di strano avvolge quei cinque Cavalieri di Atena... ed Erebo prima di loro. Qualcosa che neppure io so spiegare..." ammise. Poi però le ombre svanirono e Loki ritrovò la sua baldanza. "Qualunque cosa sia, non coinvolge anche te! Affrontandomi solo poche ore fa mi avresti sicuramente annientato, ma ora che i miei poteri sono al massimo, non hai scampo!" concluse, facendo esplodere un raggio di energia ai piedi del Dio e catapultandolo indietro.

"Che sia verità o menzogna non importa, la sua forza è reale!" pensò Nettuno nello sbattere rovinosamente a terra. Pietre acuminate gli graffiarono il viso, flotti di sangue grondarono dalle numerose ferite. Il dolore che gli sconvolgeva le membra era una sensazione ormai nuova, da millenni non la provava.

Loki gli si avvicinò, torreggiando su di lui e premendogli un piede sulla schiena.

"Ed ora che i tuoi dubbi sono stati soddisfatti, ho io una domanda: perché un Dio che ha cercato di conquistare la terra ora si schiera tra coloro che mirano a salvarla?"

"Non... fraintendermi..." rispose Nettuno, guardando stancamente in direzione del castello di Oberon. "La mia opinione circa gli esseri umani non è cambiata... sono indegni di questa terra che gli Dei gli hanno donato... e che stanno distruggendo con la loro sconsideratezza.... Ma ciò non mi rende avverso alla vita in sé, non voglio l'eterna oscurità di Erebo come non volevo quella di Hades... non resterò passivamente a vedere gli azzurri oceani mutati in aridi deserti...!"

Il Principe degli Inganni scoppiò a ridere. "Quanta poesia! Ma sei stato due volte sciocco, invece di manifestarti a me avresti dovuto attendere la fine della battaglia per approfittare della stanchezza del vincitore!" esclamò, accanendosi su di lui e riempiendolo di calci.

"Ti ho già detto... di non paragonarmi ad una serpe come te! Un Dio dell'Olimpo non striscia nell'ombra ma affronta i suoi nemici in campo aperto!" dichiarò con un moto d'orgoglio. Stringendo i pugni, fece esplodere il suo cosmo ed obbligò l'avversario a balzare indietro.

Vacillante, Julian si rialzò. L'aura che lo circondava era abbagliante nonostante tutto, per la prima volta dai tempi della guerra contro Tifone stava ardendo ai limiti massimi.

"La brama di potere ha avuto la meglio sulla prudenza. Hai... sbagliato a distruggere i tuoi Specchi... senza di essi non ti è possibile eseguire l'Avvento del Ragnarok. Ti sei privato da solo delle tue stesse zanne!" disse, sferrando una sequenza di fasci di energia che obbligarono Loki sulla difensiva.

"Sta bruciando il nono senso fino all'estremo!" notò l'Ingannatore, avvertendo la crescente potenza degli attacchi iniziare a spingerlo indietro, stridendo contro la sua armatura. Tentò di contrattaccare, quando un raggio colpì di striscio la sua mano umana. Immediatamente, Loki si ritrasse, un'espressione allarmata sul viso.

La cosa non sfuggì a Nettuno. "E' quello il suo punto debole!" pensò, concentrando i colpi in quella direzione. Non conosceva il segreto dell'arto impiantato dal Dio, ma il modo in cui lo riparava dietro l'altro braccio gli dava ragione.

"E' una guerra per la sopravvivenza la nostra! Una guerra tra vita e morte per il creato intero! Dici che solo Heimdall può ucciderti: ora Nettuno testerà personalmente questo assioma!" esclamò, avvicinando i palmi. "Maelstrom!"

Una traccia di sorriso si disegnò sul volto di Loki nel rivedere il colpo segreto cui già due volte era sopravvissuto, ma essa svanì rapida com'era venuta quando si accorse che stavolta l'energia era concentrata in un vortice più sottile, diretto alla sua mano.

L'esplosione fu devastante, talmente violenta da aprire una profonda spaccatura sul crinale del vulcano. Fiumi di lava iniziarono a scorrere verso valle, sollevando spirali di fumo e vapore.

A spazzarle via fu l'innalzarsi del cosmo di Loki, accompagnata dalla sadica risata dell'Ingannatore. Spalancando gli occhi, Julian si accorse il nemico sanguinava dal braccio, ma solo leggermente. Dinanzi a lui vi erano infatti i resti di una possente muraglia di quello che a prima vista sembrava ghiaccio.

"Nessun muro di ghiaccio, non importa quanto spesso, potrebbe contrastare il mio colpo segreto! Quale trucco è mai questo?!" si chiese l'Imperatore dei Mari.

"La più potente tra le barriere di tutti i nove mondi è giunta a proteggermi! I Cristalli di Nilfheim, da cui venne forgiata l'armatura di Odino!" proclamò trionfante il Dio del Nord. "Riconosco la tua forza, il Maelstrom ha perforato persino questa suprema difesa... ma purtroppo per te, la sua energia così ridotta non è bastata a danneggiarmi!"

Incredulo, Nettuno indietreggiò di un passo. "Come... come hai fatto ad evocare quella barriera?!"

"Tsk, così prevedibile..." sogghignò il Dio, facendosi da parte a rivelare uno Specchio alle sue spalle.

"Ma... ma quello...! Non è possibile!" balbettò il Cronide.

"Era una trappola, e ci sei caduto in pieno. Ti sei concentrato sulla mia forza, ma è l'astuzia che mi ha reso il più temuto degli Dei del Nord, il Portatore dell'Apocalisse! Dopo la distruzione dello Specchio di Midgard in cui ti avevo imprigionato, mi hai visto circondarmi solo degli altri otto ed hai concluso che, una volta frantumati, essi non potessero essere evocati una seconda volta. Ti ho inconsciamente indotto a pensare che le cose stessero così, non con parole ma con gesti ed azioni. Hai basato la tua strategia su un fondamento errato, ed essa è crollata come un castello di carte!" spiegò sardonico.

"Mi hai... manipolato!" realizzò Nettuno, inorridito.

Era stato giocato, trattato come una creatura inferiore. Come uno degli esseri umani che tanto poco apprezzava. Un senso di rabbia mai provato prima si impadronì di lui, i serafici lineamenti per una volta contorti in una maschera d'ira. Senza neanche pensarci, si gettò sul nemico.

"Ti annienterò con le mie mani!" gridò, tendendo il pugno verso il volto del nemico.

Loki sorrise, ed un lampo dorato spazzò l'aria, seguito istanti dopo da un grido di agonia.

Nel palmo dell'Ingannatore c'era un pugnale d'oro, che con un solo fendente aveva mozzato il braccio destro di Nettuno poco sopra il polso, tranciando carne ed armatura. Fiumi di sangue schizzarono in ogni direzione, chiazzando il viso ora cinereo del signore dei mari.

"La lama... di Crono!" la riconobbe atterrito.

Impotente, il Cronide barcollò indietro, lo sguardo incredulo fisso sul braccio mozzato che cadde nella lava, sfrigolò e scomparve.

Alla vista della sua espressione perduta, il sorriso del Principe degli Inganni si mutò in ghigno di trionfo.

"Ti ho manipolato, sì. Non crucciartene, non sei il primo, né di certo l'ultimo. Uomini, giganti, Dei, Flagelli! Che lo sappiano o meno, tutti gli esseri viventi sono solo marionette che ballano nel palmo di Loki! Per te però è giunto il tempo di tagliare i fili. Come direbbero gli esseri umani: scacco matto!"

Prima che Nettuno potesse fare qualcosa, il figlio di Laufey schioccò le dita, facendo comparire altri tre specchi accanto a sé.

"Acque di Vanaheim! Luci di Alfheim!"

I due colpi segreti esplosero all'unisono. I sensi di Julian, tesi al massimo per la battaglia, impazzirono rendendolo indifeso, mentre le onde di luce impattavano sulle sue carni martoriate. Con un grido di agonia, Nettuno venne travolto e cadde, immerso in una pozza di sangue.

"Il colpo di grazia: Ombre di Svartalfheim!"

Gli spiriti degli elfi oscuri emersero, strisciando verso Julian assetati di forza vitale. L'Imperatore dei Mari si accorse a stento del loro mortifero tocco. Pur sorretto da un cosmo divino, il corpo di Julian era umano, e le ferite ricevute fatali. Ormai i sensi mortali lo stavano abbandonando, facendolo scivolare nell'oblio per la prima volta dagli albori della storia.

"E' la fine... del regno... la fine delle azzurre onde.... Si chetano i canti delle sirene, tacciono le correnti... la quiete mi sovrasta! E'... è questo che hanno provato i miei Generali?" si chiese, a modo suo persino sorpreso che, in quegli ultimi momenti di esistenza, il pensiero andasse proprio ai suoi defunti seguaci.

Fu allora, quando i contatti con il mondo esterno erano ridotti al lumicino, che avvertì per la prima volta un pulsare. Un muto lamento, proveniente dalle profondità della terra.

Concentrandosi, udì il pianto anche nel vento, nel ribollire della lava, nell'aria stessa. Un dolore straziante, che gli arrivava direttamente al cuore.

"A... valon..." comprese. "L'isola piange... l'orrore in cui Erebo l'ha sprofondata... c'è quindi ancora una scintilla di vita in lei? Una fiamma che rifiuta di spegnersi?"

Come in risposta a quel richiamo, la sua armatura iniziò a risuonare. Flebilmente, ma abbastanza da impedirgli di perdere i sensi. Non solo, era come se il suono fosse entrato in sincronia con il lamento dell'isola, e poi con il cuore stesso del Dio, in una tragica eufonia.

Il messaggio era chiaro.

"La corazza forgiata agli albori della storia... non accetta l'ignominia della sconfitta... mi esorta a reagire... per sé stessa e per Avalon!" pensò, riaprendo stancamente gli occhi. Gli elfi oscuri erano ancora su di lui, ma Loki aveva iniziato ad allontanarsi, dandolo ormai per sconfitto. Indegno anche di fargli sporcare le mani.

"Triste è il giorno in cui gli Dei strisciano come vermi..." pensò amaramente. Poi spalancò gli occhi, improvvisamente illuminato da una nuova constatazione.

Quella realizzazione gli diede forza, infondendo nuova linfa al suo orgoglio di ultimo tra i Signori dell'Olimpo. Alla ricerca di appigli, di nuovo la mente andò alle generazioni di Generali degli Abissi che lo avevano servito nei secoli. "Erano esseri umani, ma di buon grado hanno accettato di donarmi le loro vite ogni volta che gliel'ho ordinato, combattendo fino all'ultimo afflato... come potrei fare di meno io che sono Divinità? Non lascerò... che queste poche forze che mi restano, mi vengano sottratte!" esclamò.

Dando fondo alle ultime energie, si issò sulle ginocchia, allontanando gli elfi oscuri di qualche passo. Fiumi di sangue grondavano copiosi, il respiro era affannoso e irregolare, la vista appannata. Circondandosi di quel che restava del suo cosmo, fissò lo sguardo sul nemico.

"Loki!!!" chiamò, spingendo l'Ingannatore a girarsi, a metà tra il seccato e l'intrigato.

"Uff, ancora? Non ho mai sofferto i cocciuti che non sanno stare al loro posto. Non sai ammettere di essere stato surclassato?"

Julian non rispose. Ondeggiò il torso avanti e indietro, lottando per non perdere i sensi, poi guardò in direzione del maniero di Oberon e un'idea iniziò a formarsi nella sua mente, spingendolo a sorridere.

Ignaro delle ragioni di quella smorfia, Loki si circondò del suo cosmo. "Disegna pure una strategia, non importa quale, tanto la fine sarà la medesima! Ormai dovresti sapere che posso anticipare ogni tua mossa, ma se è un'altra umiliazione che desideri..." iniziò.

Tossendo sangue, Julian fissò l'avversario negli occhi. "Anticipare ogni mia mossa... è vero, lo hai fatto durante quasi tutta questa battaglia. Ma a ribaltare la situazione... sarà l'unico atto che non avresti mai potuto prevedere: quello che non avrei mai creduto di compiere. Ti vincerò chiedendo aiuto!"

In un gesto improvviso, alzò il braccio ancora sano al cielo. "Sento il cuore pulsante di quest'isola addormentato dal cinereo cosmo di Erebo. A lei, ad Avalon e alle sue genti dono le poche forze che mi rimangono! Spezzate la magia oscura! Svegliatevi, figli di Avalon!"

Abbassando di scatto l'arto, conficcò la mano nel terreno ed impresse in essa la maggior parte del cosmo divino che gli restava, unita alla sua stessa forza vitale. Un'aura azzurra che impregnò la roccia, sprofondando al suo interno.

Con un secondo di ritardo, Loki comprese le sue intenzioni.

"No!" gridò, scattando verso di lui.

Prima che potesse raggiungerlo, un'onda di luce si propagò dal terreno, allargandosi dalla cima del vulcano in tutte le direzioni.

Per qualche istante non accadde nulla. Poi un bagliore etereo e pulsante illuminò la terra, rendendola luminescente come se una lampada fosse stata accesa dietro una patina traslucida. Il suolo si spaccò, lasciando fuoriuscire cascate di scintille di cosmo che si abbandonarono al vento, attecchendo su tronchi e sassi, terreno e rami.

Il cambiamento fu istantaneo, come se un velo nero fosse stato di colpo rimosso dall'Isola Sacra. I fiumi inariditi ripresero a scorrere colmando i letti di acque cristalline, nuovi germogli sbocciarono sugli alberi morti, i prati riacquistarono colore.

La vita era tornata ad Avalon.

Concedendosi un fugace sorriso alla vista dell'espressione di Loki, Julian alzò gli occhi al cielo e gridò con tutto il fiato che aveva.

"Genti di Avalon, ascoltate la supplica di Nettuno, ultimo tra gli Dei di Grecia! E' in tutta umiltà che vi invoco, nel nome del vostro signore Oberon! La stessa mano ci ha privati di coloro che amiamo, aiutatemi a vendicarli! Aiutatemi a scacciare le tenebre che sono scese sul mondo! Aiutatemi a respingere l'invasore!!"

Le sue accorate parole riverberarono nell'aria. Pochi momenti più tardi, l'inconfondibile suono delle voci di creature viventi si levò da più punti dell'isola. Sciami di folletti si alzarono in cielo, volando verso il vulcano. Spiriti di fuoco emersero dalla lava.

"Avete ascoltato il mio appello... vi... ringrazio!" sorrise Nettuno, accasciandosi carponi mentre Avalon stessa si ergeva alle armi. Gli elfi oscuri, impreparati alla battaglia, vennero assaliti e spazzati via.

"No!!!" ripeté di nuovo Loki, per la prima volta sinceramente sbalordito. Spiriti e folletti cercarono di sopraffarlo, ma li scacciò con una sola esplosione del cosmo, per poi guardare Julian con occhi ricolmi di odio.

"E' assurdo! Non credevo che qualcuno orgoglioso come te potesse mai abbassarsi a implorare soccorso! Non hai più dignità?!"

Il Dio di Grecia si concesse un sorriso tirato. Vedere la sorpresa stampata sul volto del Principe degli Inganni valeva il dolore che stava provando.

"Al contrario... solo che ora... il mio ruolo è cambiato. Era questo il mio errore... Continuavo a pensare da imperatore... invece il mio non dev'essere più l'orgoglio di un sovrano, ma quello di un guerriero, pronto a tutto... per la sua bandiera! Stavolta non sono altri... a combattere per me, sono io a farlo per una causa superiore... ho solo avuto bisogno di ricordare questo... e fare della dedizione delle mie armate marine... un esempio da segui... re... cough cough"

Tossendo sangue, Nettuno cadde in avanti, sotto lo sguardo furioso di Loki. In lontananza, udiva sempre più numerosi i rumori di esseri viventi che ripopolavano l'Isola, in molti casi dirigendosi verso il palazzo reale.

"Avalon è in sommossa, anche nella furia della battaglia Erebo non potrà non accorgersene! A causa tua sarà presto al corrente della mia presenza sull'isola... senza l'effetto sorpresa sconfiggerlo sarà molto più difficile, forse impossibile!" disse a denti stretti, il volto contorto dall'odio.

"Potresti essermi costato secoli di piani e sacrifici, non sfuggirai alla mia vendetta!" gridò, serrando la mano a taglio. Con un gesto colmo di rabbia, calò le dita verso il volto del Dio indifeso.

Non andò a segno. Attimi prima dell'impatto, una pioggia di aghi turchesi si conficcò nell'arto dell'Ingannatore, obbligandolo a ritrarsi con un sibilo di collera mista a sorpresa e guardarsi attorno.

"Strali Celesti!" esclamò una voce,

Una figura elfica era comparsa sospesa a mezz'aria sopra Nettuno, avvolta nel proprio cosmo.

"Ritira gli artigli! Ho udito le sue accorate parole, e Puck, Guardiano di Avalon, non ti permetterà di uccidere chi ci ha liberati!" proclamò il figlio di Oberon.

Sbalordito, Loki indietreggiò di un passo. "Puck, colui che ha affrontato il Cavaliere della Vergine sulle rive del Mar Nero!" lo riconobbe.

"Sei ben informato..." rispose distrattamente il Guardiano, girando delicatamente il corpo di Nettuno, sincerandosi delle sue condizioni. Era ancora cosciente, seppur a stento.

"Le mie spie hanno seguito per me gli eventi della guerra tra Avalon ed Atene. Dovresti essere morto, ucciso dalla tua stessa madre per non essere riuscito a custodire il sigillo! Come puoi essere qui?!"

Puck alzò gli occhi al cielo. "Mpf, chi lo sa... forse in fondo il cuore di Titania non aveva abbandonato del tutto il calore materno di un tempo... So solo che il vento ha riportato ad Avalon le mie membra ridotte in polvere, e, nelle profondità della foresta, esse si sono magicamente ricostituite, mutandomi di nuovo in una statua di pietra finché il cosmo di costui, nel purgare la nostra bella terra dall'oscurità che l'appesta, non ha liberato anche me!"

"Quindi è ignaro di quel che sta accadendo..." pensò Loki, scorgendo un'opportunità. Abbassò la guardia in segno di armistizio, cogliendo l'attenzione di Puck. "Se le cose stanno così, non abbiamo motivo di affrontarci. L'oscurità di cui parli è opera di Erebo, il Flagello degli Dei. Aiutami ad ucciderlo, e vendicherai tuo padre Oberon!" suggerì.

L'abilità affabulatoria dell'Ingannatore era grande: le sue parole sembravano sincere, lo sguardo era onesto, il corpo rilassato. Il Guardiano sembrò soppesare l'offerta e guardò tentativamente in direzione di Julian, che però era ancora immobile supino.

"Non fidarti di lui..." avvertì Loki. "Gli sei grato, lo comprendo. Sappi però che vi ha liberati, sì, ma solo per sfruttarvi per i suoi scopi. Per mandarvi allo sbaraglio e indebolire Erebo con il vostro sacrificio. Il suo nome è Nettuno, lo ha ammesso lui stesso. Se conosci le guerre sacre degli ultimi anni, saprai che è sua abitudine usare e manipolare il prossimo, ha già fatto lo stesso con la mia gente di Asgard. E' per questo che abbiamo combattuto, io sostenevo fosse meglio salvarvi solo a vittoria ottenuta, per non farvi correre alcun rischio..."

Il discorso era convincente, costruito ad arte su mezze verità. Loki sapeva bene che era proprio questo il segreto di una menzogna credibile, nasconderla in mezzo ad elementi certi e facilmente comprovabili, che dessero credito all'intero discorso.

"Qual è... il tuo nome?" domandò alla fine Puck, tentennando palesemente.

Il sorriso di Loki si allargò, caloroso e affabile. "Heimdall, custode del sacro Bifrost!" esclamò, porgendo la mano con un sorriso. Rilassandosi finalmente, il Guardiano ricambiò il gesto.

Non appena la mano di Puck fu stretta nella sua, l'espressione di Loki mutò ed il suo cosmo si accese minaccioso. Accortosi troppo tardi del pericolo, il Guardiano si dimenò invano per liberarsi. Con la mano libera, il figlio di Laufey disegnò a mezz'aria un rettangolo. "Sei un ingenuo, non credevo! Specchio delle Norne!" gridò, evocando la sua tecnica speciale ed imprigionandolo mentre ancora si agitava.

Alla vista della sua espressione dietro il cristallo, l'Ingannatore scoppio a ridere. "Ah ah ah, più facile del previsto! Mi dispiace, forse mi saresti potuto essere davvero utile contro Erebo, ma sarebbe stato difficile mantenere l'inganno e sei una mina vagante troppo rischiosa per poter essere lasciato libero! Gatti di Sv..."

Le parole gli morirono sulle labbra: l'immagine di fronte a lui era scomparsa, venendo sostituita da quella di Loki stesso, prigioniero all'interno dello specchio. Guardando meglio, si accorse che in realtà era un riflesso, e che attorno a lui non c'era più Avalon, ma un oceano di pece. Tentò di comprendere come ciò fosse possibile, solo per scoprire che anche pensare era divenuto difficile, concentrarsi impossibile.

"Specchio di Avalon!" risuonò una voce lontana. Materializzandosi dal nulla, Puck ricomparve, le braccia incrociate ed un'espressione sarcastica in viso. Con gli occhi chiusi, il figlio di Laufey giaceva ai suoi piedi, contorcendosi come in preda ad un incubo. "Uh uh uh, mi dispiace, Loki, ma a questo mondo c'è sempre chi è più astuto di te, l'ho imparato a mie spese dal Cavaliere di Virgo! Nel narrarti la mia storia non ti ho detto che solo il mio corpo era mutato in pietra, i sensi funzionavano perfettamente. So bene quel che sta accadendo! E poi come potrei ignorare l'aspetto dell'unico Dio a possedere una tecnica simile alla mia?

"Mi piacerebbe lasciarti in vita, da tempo cullavo il desiderio di mettere i nostri specchi a confronto, ma quel che mi hai detto vale anche per te: sei troppo pericoloso per poter restare in circolazione! Strali Celesti!!"

Decine di migliaia di aghi turchesi trapassarono il torace di Loki. L'Ingannatore arcuò la schiena e si contorse in agonia, poi giacque immobile.

Soddisfatto, Puck guardò in direzione di quella che un tempo era stata la sua casa. "Ed ora Erebo!" esclamò girandosi per allontanarsi.

Proprio in quel momento il cosmo di Loki esplose maestoso, con tanta violenza da farlo barcollare, ed una gelida lama d'oro gli affondò nel fianco.

Il Guardiano urlò di dolore e sputò sangue mentre l'arma veniva brutalmente estratta. Voltandosi, vide il Principe degli Inganni in piedi con in mano il pugnale che l'aveva appena trafitto.

"Non... non è possibile! Non può essere sopravvissuto ai miei Strali a distanza così ravvicinata, non può!" esclamò stupefatto.

"Sei meno informato di quanto pensavi: finché l'Apocalisse è in corso io sono immortale!" sibilò, prima di schioccare le dita e lasciar comparire nove Specchi attorno a sé. "Hai osato ingannare me, l'Ingannatore! Nessuno si era mai preso gioco di me a tal punto, la tua fine sarà atroce! Braci di Mullespheim, riducetelo in cenere!"

Rallentato dall'emorragia all'addome, Puck non riuscì neppure a schivare. Lingue di fuoco si avventarono su di lui, esplodendo contro le sue carni e gettandolo a terra ricoperto di ustioni, i bianchi capelli imbrattati di sangue.

Si sentì venir meno, il cosmo di Loki lo schiacciava impedendogli qualsiasi movimento.

"N... no... Strali..." mormorò il giovane Dio, rialzando la testa con uno sforzo di volontà, in un disperato tentativo di eseguire di nuovo il suo colpo segreto, ma il nemico gli calpestò la mano.

"La tua forza potrà sembrare terribile ai mortali, ma in confronto ad un vero Dio sei solo un bambino che si atteggia da adulto! E come tutti i bambini dispettosi, sarai punito!" lo derise il figlio di Laufey, ma non c'era ironia nel suo sguardo, solo crudeltà. Schioccando le dita, fece esplodere gli Specchi e ne assorbì il potere.

"La fine atroce che ti avevo promesso: Avvento del Ragnarok!"

Il colpo segreto esplose devastante, facendo tremare il cielo e la terra, ma proprio all'ultimo istante un'armatura dalle forme di tridente si frappose a difesa del Guardiano.

La corazza, già malridotta, andò completamente in pezzi, sbriciolandosi in migliaia di schegge e frammenti che vennero sparsi tutt'attorno ai contendenti. Il suo sacrificio tuttavia non fu vano, riuscendo a salvare il figlio di Oberon dalla distruzione.

Loki riconobbe subito quelle vesti. Sibilando, si guardò attorno, fino a posare gli occhi su Nettuno, strisciato ad alcuni metri di distanza come evidente dalla scia di sangue al suolo. Indossava solo i resti di una tunica, lacera e chiazzata di sangue.

"Tsk, folle fino all'ultimo! Avevi tentato la fuga per poi cambiare idea?!" domandò sarcastico. "Non ho preferenze, se desideri tanto essere il primo a morire, ti accontenterò!"

"Non... credo!" rispose Julian, spostandosi a mostrare il mantello di cui si era privato all'inizio della battaglia. "E non ho cercato di fuggire, sono solo venuto a raccogliere questa!"

Lanciando via il mantello, rivelò sotto di esso una brillante conchiglia di acquamarina, i bordi sagomati a catturare e riflettere migliaia di volte la luce del fievole cosmo del Dio.

La sua comparsa sembrò congelare il campo di battaglia, focalizzando l'attenzione di tutti.

"Non una comune conchiglia... non emette alcun potere, eppure guardandola sento che è un manufatto divino!" notò Puck, affascinato.

Loki la studiò un istante e si ritrasse, impallidendo. "No... quella..."

Con uno sguardo trionfante, Julian la sollevò nell'unica mano che gli restava. "Hai ben intuito: è la prigione ove presto cadrai! Atena non è l'unica ad avere i mezzi per intrappolare una divinità!"

"Un sigillo!" comprese Puck. Aveva sentito parlare della loro esistenza nelle guerre sacre degli Dei di Grecia, ma non credeva che ne avrebbe mai visto mai uno.

"E' la legge di Zeus! Egli non tollera lotte intestine tra i membri della sua famiglia. Quando le diatribe si mutarono in guerre, ci impose di non arrecare danno ai nostri corpi divini, usando involucri umani. Atena però non sopportava l'idea di mettere in pericolo uomini innocenti, così decise di non impossessarsi di un corpo umano, ma di rinascere sotto mortali spoglie. Inoltre, per non uccidere i corpi di coloro di cui prendevamo il possesso, creò dei sigilli che potessero imprigionare lo spirito senza ferire le membra. Preoccupato per lei, allo scoppio del primo conflitto divino, Zeus mi chiese di fare lo stesso, e così forgiai questa conchiglia.

"Il suo uso non fu necessario, allora come nei cimenti successivi. Gradualmente, Zeus, vessato dalle profezie del ritorno di Erebo, iniziò a prestare meno attenzione ai nostri scontri, il che permise ad Hades ed Ares di ricorrere a metodi più brutali. Io stesso quasi mi dimenticai della conchiglia, ed essa rimase per sempre nascosta nelle profondità del mio palazzo sottomarino. Resta comunque un'arma temibile, potenzialmente in grado di sconfiggere un più potente avversario. Dopo essere stato precipitato giù dall'Olimpo, ho capito che non avrei mai potuto sconfiggere Erebo con la forza, così mi sono recato nelle rovine del tempio alla sua ricerca!" spiegò, sforzandosi di impedire all'amarezza di emergere nella voce.

Quella conchiglia era la sua arma segreta contro la Prima Ombra, l'unica cosa che forse avrebbe potuto sopraffarlo, per questo aveva esitato così a lungo a sfoderarla, preferendo tentare prima qualsiasi altra tattica o strategia. Quando aveva finalmente deciso di farne uso, si era trovato troppo lontano e troppo malconcio per raggiungerla. Fino a quando, con il suo inatteso intervento, Puck non gli aveva permesso di strisciare fino a lei.

"L'hai sempre avuta con te, nascosta sotto il mantello!" sibilò Loki.

"Non potevo rischiare che andasse distrutta. Sapevo che, togliendomi il mantello, avrei attirato la tua attenzione sulla mia armatura in pezzi e non sul gonfiore sotto la stoffa. Ti sei vantato tanto della tua astuzia, ma il diavolo è nei dettagli, e sarà proprio il non aver prestato attenzione ad un dettaglio a costarti la sconfitta!" dichiarò.

Il viso del Principe degli Inganni si contorse in una smorfia di sfida. Allargò di scatto le braccia, la sua aura avvampò ed esplose. Nove specchi comparvero, solo per andare in pezzi subito dopo.

"Povero stolto, neanche quest'ultimo trucco ti salverà! Hai dimenticato un particolare importante: sono invincibile, mentre tu hai già un piede sulla soglia del Tartaro! Ti precipiterò nell'abisso con l'Avvento del Ragnarok!!"

Il risposta, il cosmo di Nettuno si accese senza preavviso, riflettendosi nella conchiglia ed illuminandola delle tinte del mare. Una spirale partì dalla bocca dell'oggetto, investendo l'assalto di Loki ed iniziando a trascinarlo a sé, a risucchiarlo insieme al Dio stesso.

"Ma... ma che cosa?! Come può essere, non è possibile!!" urlò l'Ingannatore, accorgendosi che il suo spirito stava iniziando ad essere separato dal corpo.

Julian sorrise sardonico. "Tu mi insegni che le profezie vanno prese alla lettera. Sei immortale, non invincibile, o non ti saresti preoccupato tanto di recuperare quel pugnale! Addio!!"

Con un'esplosione di luce abbagliante, la conchiglia emise il suo massimo potere, strappando completamente l'anima di Loki. Mentre il corpo, ormai ridotto ad un guscio vuoto, crollava a terra, il Dio ebbe appena il tempo di scoccare un ultimo sguardo ricolmo dell'odio più puro, poi il suo spirito venne imprigionato e scomparve.

Contemporaneamente, la conchiglia perse ogni traccia di luminosità, diventando grigia e opaca come una pietra. Nettuno chiuse gli occhi e la lasciò andare. Di fronte allo sguardo allibito di Puck, essa salì al cielo, scomparendo dietro l'orizzonte.

"Che... che è accaduto?" domandò sbalordito il Guardiano, avvicinandosi zoppicando.

"L'ho mandata... tra le rovine della Colonna Portante, il fulcro del mio regno. Per almeno qualche secolo... non dovremo preoccuparci... di lui..." spiegò Julian a fatica. Aveva vinto, ma non riusciva a gioirne. La sua tecnica per creare i sigilli era diversa da quella di Atena, più potente e duratura ma anche più complessa da replicare. Non avrebbe potuto crearne altre nelle condizioni attuali. Aveva riposto in quella conchiglia tutte le speranze per fermare Erebo, ed ora essa era inutilizzabile.

"Il cielo voglia che questa non sia stata solo una vittoria di Pirro. Forse, sigillando Loki, ho condannato tutti noi..." pensò amareggiato.

Guardò verso il castello, avvertendo i cosmi che esplodevano al suo interno. "Resistono ancora!" pensò, prendendo una decisione.

Barcollando, si avvicinò al corpo del Dio di Asgard e si chinò.

"Che stai facendo?" chiese Puck.

"Questo... è il pugnale deicida... di Crono. Loki deve averlo sottratto... alle armate di Atena. Se aveva ragione... potrebbe essere l'unica arma che ci rimane... per sconfiggere... Erebo..." spiegò nell'afferrarlo.

Incerto sulle gambe, iniziò ad avanzare verso il luogo dello scontro finale.

"Devo... fare in fretta! Prima che la battaglia si concluda... prima che questa vita mi abbandoni... devo portare questo pugnale... ai Cavalieri... di Ate... na...!" mormorò, vacillando.

Dopo appena tre passi le ginocchia cedettero sotto di lui, lasciandolo cadere. Al posto della dura roccia però, furono le braccia di Puck ad accoglierlo.

"Sono l'ultimo Guardiano di questa landa, permettimi di accompagnarti" gli sorrise.

Julian lo fissò un istante, poi fece un cenno di assenso.

Insieme, zoppicando, i due si incamminarono lungo il pendio.