E CADDERO GLI DEI…

"Mia regina!!" gridò un soldato, facendo ingresso trafelato nell'infermeria di Asgard, dove Ilda di Polaris si trovava insieme a Flare, Alcor, Mizar e Syria.

Nonostante l'allarme evidente nella sua voce, occorsero diversi secondi prima che qualcuno si voltasse verso di lui. Gli sguardi dei tre Cavalieri erano atterriti e increduli. Alcor aveva il braccio cinto attorno alle spalle di Flare che, in ginocchio sul pavimento, singhiozzava disperata nascondendosi il viso tra le mani. Persino Ilda, pur cercando di non darlo a vedere, era chiaramente sconvolta.

"Che… succede?" domandò, non riuscendo a impedire del tutto che le si spezzasse la voce.

L'uomo deglutì nervosamente, girandosi a indicare con la mano in direzione della piazza principale della cittadella.

"Un raggio… un raggio di luce è salito al cielo, partendo dalla corona della statua del sommo Odino!!" esclamò tremante, quasi come se non potesse credere a quel che aveva visto con i suoi stessi occhi.

Gli occhi della Celebrante si spalancarono, ed il poco colore appena tornato abbandonò di nuovo il suo viso.

"Possibile che sia…"

*****************

Sulle coste di Scozia, regnava un silenzio assoluto. Non il verso di un uccello nè il soffiare del vento lo spezzavano, e persino le onde del mare sembravano essersi improvvisamente acquietate in segno di rispetto. In cima alla scogliera che si affacciava sulle acque in cui, più al largo, si trovava la mistica Avalon, i Cavalieri d'Oro erano prede del dolore, con gli occhi sbarrati e rigati da fiumi di lacrime.

Il dolore di nuove ferite, immensamente più profonde di quelle sostenute durante le lunghe battaglie contro i Guardiani agli ordini di Oberon, li stava torturando, tanto più acuto perchè del tutto inatteso, e giunto quando ormai la vittoria sembrava conquistata.

I loro cuori, ancora sconvolti dal sacrificio di Kanon, erano stati improvvisamente trafitti con lame roventi quando, dall'isola delle nebbie, la dolce aura di Atena aveva dato il suo addio al mondo, scomparendo dopo un ultimo bagliore. Meri minuti dopo, medesima sorte era toccata ai cosmi di Pegasus, Sirio, Cristal, Andromeda e Phoenix, che solo pochissimo tempo prima erano volati alla corte di Oberon per porre fine alla guerra contro di lui.

Solo pochi minuti, e tutti coloro che i Cavalieri d'Oro avevano lottato fino allo stremo per salvare, rischiando le loro stesse vite, erano morti. La loro Dea, fonte di luce, calore e speranza, indispensabile per loro come il sole e l'acqua lo sono per la terra, e cinque amici che ormai amavano come figli e fratelli.

"Non è possibile… non ci credo… Atena non può essere morta…!" singhiozzò Scorpio, in ginocchio, strappando con la mano un ciuffo d'erba dal suolo.

"Nulla più è rimasto… del suo leggiadro cosmo…" sussurrò Mur, in piedi ma con la testa chinata.

"Ha brillato… come una meteora che illumina il cielo al suo passaggio… e poi è scomparso, inghiottito dall'oscurità! La morte… forse non è la fine di tutto… ma certamente è triste… così triste…" ammise Virgo, anche lui in piedi, gli occhi chiusi incapaci di impedire alle lacrime di scorrere copiose sul suo viso.

"Anche Pegasus… e Andromeda… e gli altri… anche i loro cosmi sono svaniti nel nulla!" disse Toro.

"Sirio… non posso credere che tu sia morto… eri la mia speranza, il mio futuro… che cosa dirò a Fiore di Luna…?" pianse amaramente Libra.

"Kanon… Bres… Sirio… Andromeda… Cristal… Phoenix… Pegasus… e persino la Dea Atena… Che razza di destino può aver permesso al sole di sorgere su un giorno così infausto, fonte di troppi lutti, di troppe lacrime! A che cosa sono serviti i grandi Cavalieri d'Oro?! Non siamo riusciti a salvare nessuno… nè la nostra Dea nè i nostri amici… siamo stati miseri spettatori impotenti di una marcia funebre!" si torturò Ioria, serrando i pugni con tutte le forze, arrivando persino quasi a incrinare i bracciali della sua già malridotta armatura.

Con gli occhi carichi di frustrazione, il Cavaliere fissò il mare all'orizzonte, e la sua espressione si mutò in una di rabbia.

"Virgo! Mur! Dev'esserci un modo per raggiungere Avalon, non possiamo lasciare impunito un tale aberrante delitto! Chiunque sia l'assassino di Atena, dovrà pagare!" ringhiò.

I due Cavalieri si scambiarono uno sguardo, ma la loro espressione restò mesta.

"Avalon è impossibile da raggiungere per degli esseri umani come noi… non più solida e reale di un evanescente miraggio. Attraverseremmo il mare inutilmente, o vagheremmo per sempre tra le nebbie che la circondano…" disse alla fine Mur, ma per una volta sembrò faticare a mantenere calma e piatta la voce.

"Neppure la vendetta ci è concessa!" sibilò Ioria tra i denti.

"La vendetta è arma che solo i forti possono impugnare! A voi miseri insetti, così giovani e ignari di cosa sia il vero potere, è concesso solo di sognarla!" tuonò in quel momento una voce, così fredda da raggelare loro il sangue nelle vene, ed un attimo dopo un cosmo immenso comparve al largo del mare, avanzando rapidamente verso la costa.

Sbalorditi di fronte a quell'aura di cui non avevano mai avvertito eguale, e dall'oscurità senza fine che da essa si sprigionava, i Cavalieri d'Oro si misero sulla guardia, per quanto le gambe sembrassero rifiutare di volersi muovere.

"Questo cosmo…" esclamò Toro spalancando gli occhi.

"E' lo stesso che ha ucciso la Dea Atena ed i Cavalieri!" ringhiò Ioria serrando il pugno.

Accanto a lui, Virgo unì le mani dinanzi al petto, Libra chiuse il pugno e Scorpio sollevà l'aculeo della Cuspide Scarlatta.

"Uh uh uh, così inutili sono le armi che levate… " proclamò la medesima voce, ed avvolto da un vorticante alone di oscurità, Erebo comparve sulla scogliera di fronte ai Cavalieri d'Oro.

Il lacero mantello che portava in spalla si agitava persino in mancanza di vento, liberando fumi neri. Ai suoi piedi, l'erba avvizzì al solo contatto, e persino la luna parve ritrarsi e non osare illuminarlo con la sua luce.

Nello stesso momento, le gambe dei ragazzi si piegarono contro la loro volontà, ed i sei si prostrarono a terra, in ginocchio.

"Non è possibile… quale stregoneria è mai questa?!" mormorò Scorpio, sforzandosi di rialzarsi insieme agli amici.

"Uh uh… non si tratta di stregoneria o inganno, ma della semplice reazione a colui che avete di fronte: Erebo, la Prima Ombra, signore dell'oscurità!" sorrise sinistramente il Dio.

"Erebo, l'antica divinità della notte!" trasalì Virgo, mentre anche gli altri Cavalieri osservavano sbalorditi il loro nemico, tentando ancora inutilmente di rimettersi in piedi.

"Come può essere questa una reazione alla tua presenza?!" esclamò Libra, le cui gambe sembravano scolpite nella pietra e del tutto prive del dono del movimento.

"Gli esseri umani sono per loro natura miseri servitori tremanti! Essi temono l'oscurità… ma vi siete mai chiesti il perchè? E' un ricordo, marchiato a fuoco nella parte più profonda del loro essere. L'istinto li spinge a credere che nel buio si celi un essere a loro superiore, qualcosa che non possono sconfiggere con le loro forze, e ad esserne terrorizzati! Io sono quell'essere, l'incubo più antico e profondo della vostra razza!" spiegò il Dio con voce gelida

"I vostri compagni avevano raggiunto un cosmo abbastanza potente da proteggerli dall'influsso di quel che è Erebo… ma voi, incatenati dai legacci della vostra stessa natura, siete spinti a prostrarvi in ginocchio alla ricerca del perdono! Vuote sono le vostre parole di sfida, non si dica pronto ad affrontare le tenebre, chi non ha mai visto la notte!"

La Prima Ombra pronunciò queste parole con lentezza, lasciando che il loro effetto scivolasse nell'animo dei Cavalieri, e sorridendo alle espressioni di rabbia, umiliazione e impotente frustrazione che comparivano sui loro visi.

"E ora, consapevoli della vostra pochezza, è tempo che lasciate questo mondo! Ben altri nemici intendo affrontare, ben altri luoghi raggiungere con le mie tenebre! La mano che ha ucciso Atena e quei ragazzini, prenderà anche le vostre vite!" disse, sollevando il braccio verso di loro per finirli.

In quel momento però, i cosmi di Virgo e Ioria avvamparono, seguiti un istante dopo da quelli di Libra, Mur, Toro e infine Scorpio.

"Non sottovalutarci! Saremo anche dei semplici uomini, ma in passato persino le divinità hanno dovuto cedere il passo di fronte a noi! Non cadremo in ginocchio come vittime sacrificali!" ringhiò il leone, ora completamente avvolto da bagliori dorati, e finalmente le sue gambe ricominciarono a muoversi, permettendogli di rialzarsi.

"Per quanto fitte siano le tenebre al tuo comando, la luce dei nostri cosmi saprà disperderle!" avvertì Mur, a sua volta di nuovo padrone dei movimenti, come anche i compagni.

"Tu che ti glori di essere l'assassino di Atena, conoscerai ora la collera dei Cavalieri d'Oro!!" minacciò Scorpio, tramutando l'unghia dell'indice in un aculeo cremisi.

Lampi dorati e scariche elettriche circondarono i custodi del Grande Tempio, alle cui spalle sorsero i simboli delle rispettive costellazioni. Il grande toro e il possente leone, lo scorpione ed i draghi di Cina, il Buddha e l'ariete dal folto manto si innalzarono minacciosi contro Erebo, che tuttavia li fissò con il più evidente disinteresse, come se non fossero altro che i giochi di luce di bambini petulanti.

"Così insignificanti sono i cosmi di cui siete padroni, non meritate neppure che sia la mia mano a precipitarvi nell'abisso!" commentò in un sussurro.

"A tal punto ci reputi inferiori?! Bada, che la tua arroganza ti conduca alla sconfitta!" gridò Ioria, sollevando il pugno e lanciandosi all'attacco dalla destra del nemico "Prendi, il ruggito della grande fiera! Per il Sacro Leo!!"

"Unita alla carica del possente toro! Selvaggia Corrente delle Pleiadi!!" gli fece eco il Cavaliere della seconda casa, correndo al suo fianco.

"Il venefico aculeo che non lascia scampo! Cuspide Suprema!!" esclamò Scorpio.

"Che il canto degli spiriti gioiosi ti sia guida nell'oltretomba! Abbandono dell'Oriente!!" disse Virgo, colpendo frontalmente.

"Le fauci del possente signore d'Oriente, che vendichino il mio amato allievo! Colpo dei Cento Draghi!!" urlò Libra, attaccando Erebo dalla sinistra. Accanto a lui vi era anche Mur.

"La luce sfavillante delle stelle, capace di mondare ogni ombra! Starlight Extinction!!".

Le sei esplosioni di energia saettarono concentriche verso Erebo, ma neppure questo bastò a cambiare la sua espressione.

Con il più piccolo dei gesti, il Dio spazzò l'aria con il braccio, sollevando un vento nero e tempestoso che si abbattè sui colpi segreti, annegandoli nel buio e disperdendoli come se fossero sabbia, per poi avvolgere i Cavalieri.

"Esseri indegni, incapaci di temere una forza che neppure capite, sparite dalla mia vista!" proclamò, investendoli in pieno e disperdendoli nel cielo. Tre comete dorate scomparvero verso Occidente, altre due verso Oriente.

Quando il vento si fu placato però, Erebo fu lievemente sorpreso di vedere ancora un nemico di fronte a se, avvolto in una cupola protettiva coperta di crepe.

"Il Khan! Le fiamme di Garuda capace di repellere ogni male mi hanno protetto dal tuo gelido vento!" esclamò Virgo, ansimante.

"Le fiamme dell'uccello d'Oriente non sono nulla a me paragonate! Innalzando quella barriera, hai gettato via l'ultimo scampolo di vita che il destino ti aveva concesso!" minacciò Erebo, sollevando la mano.

"Il mio destino, lo affronterò come si conviene ad un Cavaliere di Atena!" rispose il ragazzo, spalancando gli occhi e facendo esplodere il cosmo frettolosamente accumulato dalla fine del duello con Titania "Per il Sacro Virgo!!".

Un'onda di luce accecante si allargò verso la Prima Ombra, le cui labbra si curvarono di una frazione.

"Ora lo vedo… vi è una parvenza di divinità in te, hai trasceso i limiti della tua natura umana …" commentò, aprendo il palmo verso l'esterno "Ma incalcolabili eoni dovranno trascorrere prima che un così misero potere possa impensierirmi!"

A queste parole, un'onda oscura partì dal palmo del Dio, scontrandosi con quella del ragazzo e annientandola senza alcuno sforzo, per poi investire in pieno il Cavaliere. Il pettorale ed i coprispalla dell'armatura d'oro della Vergine esplosero in frantumi, e flotti di sangue schizzarono dalle carni dell'eroe, tingendo di tinte scarlatte l'erba di Scozia.

"Si spegne il ben dei sensi… cedono le membra… Io che aspiravo ad essere divinità… sono impotente! Troppo grande è il cosmo di costui, troppo ampio l'abisso che ci separa, un baratro che attira a se ogni luce! E' troppo forte… non affrontatelo… mettetevi in salvo… ami…ci…" pensò con le sue ultime forze il Cavaliere d'Oro, mentre le gambe cedevano sotto il suo peso.

Con un solo grido di dolore, gli occhi ancora aperti e le pupille ormai vitree, Virgo, custode della sesta casa e guardiano della porta eterna, crollò supino al suolo, il corpo quasi fumante per il calore dell'energia che l'aveva investito.

Senza degnarlo più di uno sguardo, come se non fosse altro che un insetto abbattuto dalla pioggia, Erebo lo superò, dirigendosi verso Sud.

Fu solo allora che qualcosa attirò la sua attenzione, spingendolo a sollevare la testa verso la luna.

Di fronte al luminoso satellite, simile ad una sottile macchia nera, la sagoma di una barca a remi priva di vele o alberi si stagliava nel cielo. A prua, ritta dietro il parapetto ma con il capo chino in segno di rispetto, una figura sorrideva in direzione del Dio ancestrale.

Vedendola, Erebo sorrise veramente per la prima volta, senza tracce di allegria ma con una certa soddisfazione. Poi riprese il cammino, compiendo ancora due passi e svanendo nella notte.

*****************

Sull'Olimpo, gli Dei riuniti al tredicesimo tempio erano immobili in silenzio, con gli occhi chiusi, attenti a sentire il cosmo fluire di nuovo dentro di loro.

"E' completo! Gli effetti del Rito sono totalmente scomparsi, siamo di nuovo padroni dei nostri pieni poteri!" disse ad un tratto Zeus, riaprendo gli occhi. Contemporaneamente, la discussione che si era interrotta solo pochi istanti prima riprese.

"I cosmi di Atena e dei suoi Cavalieri sono stati annientati! Non possiamo lasciare impunito un tale affronto!" affermò Eracle con enfasi, rivolgendosi a tutte le altre divinità.

"Uno strano discorso il tuo, o nobile fratello… Non abbiamo forse cercato noi stessi di uccidere quegli umani fino a poche ore fa?" osservò Dioniso.

"Frena la tua lingua velenosa, Dio dell'ebbrezza! Quel che è stato non ha più alcun'importanza! Atena è caduta vittima di un attacco esterno, e chi leva la mano su una divinità dell'Olimpo è come se levasse la mano su tutti noi!" disse acidamente Artemide.

"Atena non è "caduta vittima", è andata ad Avalon di sua iniziativa, conscia del pericolo, per proteggere quegli insulsi Cavalieri! La sua fine non ci riguarda!" intervenne Era, che sembrava aver ritrovato un pò della sua tradizionale autorità.

Eracle la guardò torvo, ma non rispose nulla, sondando invece i volti delle altre divinità, ed in particolar modo quello di Ares, che stranamente non aveva ancora preso le parti della madre e del fratellastro. Sul viso del Dio della Guerra era dipinta un'espressione quasi bramosa, incapace di attendere, simile a quella di chi, a lungo digiuno, si trovasse improvvisamente di fronte a una tavola imbandita.

"Che c'importa di Atena e di quei ragazzini? Il cosmo comparso su Avalon è ebbro di oscura possanza, finalmente un nemico degno di ingaggiare battaglia con me! Permettetemi di andare, e vi porterò la sua testa!" disse con un sorriso folle, che fece quasi rabbrividire le altre divinità.

"Come sempre sei vittima dei più bassi desideri! Quell'essere non è da sottovalutare, prima di Atena persino Oberon è stato abbattuto dal suo cosmo di tenebre!" ricordò Efesto, non mancando di evidenziare una punta di disprezzo nei confronti di Ares, e ricevendo in cambio uno sguardo infastidito.

"Nessuno di voi affronterà quell'essere senza un mio ordine! Egli è creatura dalle origini ancestrali, sottovalutarlo sarebbe un errore fatale!" tuonò Zeus, zittendo tutti per qualche secondo.

"Erebo… la Prima Ombra… è divinità molto antica, persino più dei Titani che tanto a lungo seppero impegnarci. Sottovalutarlo sarebbe invero una grave leggerezza…" sottolineò allora Estia, anche se con un certo distacco, come se parlasse di un problema che non la riguardava direttamente.

"Un essere oscuro… più del Tartaro stesso! Eppure sappiamo così poco di lui…" riflettè Eolo, voltandosi verso il suo signore "Sommo Zeus, perdoni l'ardire della mia domanda… ma non posso fare a meno di pensare che lei sapesse di questa creatura. Per primo ne ha riconosciuto il cosmo… e poi la presenza di Nettuno, il Rito, e tutti gli accadimenti delle ultime ore…".

Nove paia di occhi si spostarono sul signore dell'Olimpo, e soltanto Nettuno rimase indifferente all'insinuazione del maestro dei venti. Consapevole di quegli sguardi, il Dio sospirò.

"Vi è del vero nelle tue parole: la ricomparsa di colui che ora porta il nome di Erebo non mi è giunta del tutto inattesa… anche se non credevo che il momento sarebbe arrivato così presto…" rispose Zeus, con lo sguardo perso nel vuoto e la memoria al lontanissimo giorno in cui tutto era incominciato, con una preoccupante profezia nelle sue stanze.

L'immagine di quella sera gli tornò davanti. La discussione con Atena, le conversazioni con Oberon ed Odino, la comparsa di quelle tre strane sorelle, capaci di confondere persino i loro sensi, e le parole che avevano pronunciato "l'Emissario di Colui che fù, che è e che sarà, di Colui che di tutti è Signore, rialzerà il capo… Quel giorno, il giudizio finale sarà decretato e l'ago della grande bilancia penderà!".

Parole che Zeus non aveva mai rivelato alle altre divinità della sua corte, con l'unica eccezione di Nettuno. Era stato proprio il terrore mostrato dal signore dei mari nell'apprendere la minaccia insita in quei versi, unita alla totale mancanza di indizi su cosa potessero significare, a convincere il Dio a tenerli segreti, affinchè gli altri numi non vivessero secoli, forse millenni di paura e preoccupazione.

Della correttezza di questa decisione non aveva mai dubitato, se non durante le visite ad Asgard quando, nel vedere il supporto che Freya offriva a Odino, la dolcezza con cui lo confortava e la fermezza con cui lo sosteneva, esitava.

Il pensiero di qualcuno che con il suo amore sollevasse una frazione del fardello dalle sue spalle era tentazione quasi irresistibile. Ma ogni volta che provava a immaginare come sarebbe potuto essere ricevere qualche parola di dolce conforto, era costretto a concludere che ciò gli era per sempre negato.

Era non era Freya. I suoi sentimenti avevano la forza sfrenata della passione, ma non la profondità dell'amore, capace di rafforzarsi nelle traversie e di permettere di affrontare le avversità con occhio sereno. Forse era stata questa la causa della sua passata infedeltà. Delle continue avventure e tradimenti con cui aveva costellato per secoli la sua vita, prima che la profezia lo portasse a riflettere meglio, ed a dedicare ogni forza verso un fine ben più importante del mero piacere.

O forse, ed era questo il dubbio che lo tormentava maggiormente, non aveva mai realmente capito il cuore di sua moglie, incapace di andare oltre i riflessi della superficie per trovare i sentimenti che si celavano in profondità. Quel che le aveva sentito dire nel corso della battaglia contro Andromeda e Phoenix aveva certamente rafforzato questa sua ben celata paura.

Era un dubbio che si era portato dentro per secoli, mentre seguitava a cercare una soluzione e portava avanti i suoi piani, perdendo man mano i contatti con Oberon, e poi anche con Odino. Ma ora, tutti quei piani prudentemente preparati, erano caduti come un castello di carte. Ed il signore dell'Olimpo si sentì improvvisamente solo, senza nessuno in cui poter confidare, ad un passo dall'apocalisse.

"E' tempo che vi riveli ogni cosa…" disse alla fine, guardandoli tutti negli occhi.

Prima che potesse cominciare a parlare però, Apollo, che finora era rimasto nel più completo silenzio, gemette di dolore, con gli occhi completamente spalancati.

"Sta avendo una visione!" disse Efesto, con discreta calma.

Artemide tuttavia lo ignorò, avvicinandosi allarmata al fratello.

"E' diverso! La sua seconda vista non gli ha mai causato dolore!" esclamò, tendendo una mano verso di lui per sostenerlo. Prima che potesse raggiungerlo però, gli occhi del Dio del Sole divennero completamente bianchi, la sua espressione si mutò in una di puro terrore, e con un ultimo fremito, Apollo si schiantò a terra, privo di vita.

"Fratello!!" gridò inorridita la Dea della Caccia, mentre gli altri numi fissavano sbalorditi il corpo esanime, scambiandosi occhiate confuse.

Prima che chiunque di loro potesse dire qualcosa però, un cosmo immenso comparve sull'Olimpo, portando con se il gelo della notte.

"Ha visto il suo destino, ed esso si è immediatamente avverato! Lo spettacolo delle proprie carni martoriate dev'essere stato troppo da poter sopportare! Ma non piangete per lui, ha ricevuto qualcosa di cui nessun altro godrà: il beneficio di una morte indolore!" risuonò una voce sferzante, facendo voltare di colpo tutte le divinità, ancora sbalordite dalla fine di Apollo.

Vi fu un rombo assordante, e per un attimo il cielo stesso parve tremare ed essere sul punto di spezzarsi. Poi, circondato da un manto di tenebra ed avvolto dal suo cosmo, Erebo comparve fragorosamente sul piazzale dell'Olimpo, osservando attraverso occhi sottili i Numi di fronte a lui, immobili e quasi spaventati dall'aura minacciosa che spirava dal suo corpo.

"Non ho mai sentito un'energia così oscura… neppure Hades era paragonabile!" disse Estia, per la prima volta realmente concentrata su quel che stava accadendo.

"Dal suo corpo ululano gli abissi del Tartaro, uniti a strida di dolore di cui non si è udito eguale in alcun campo di battaglia…" mormorò Ares.

"E' come… se la morte stessa fosse comparsa di fronte a noi…" balbettò Efesto.

Il solo fissare gli occhi scintillanti di colui che avevano di fronte sembrò privare gli Dei di tutto il loro coraggio, lasciandoli quasi immobili e tremanti, vittime del tremendo terrore che proviene da ciò che non si conosce. Per un breve secondo, a molti di loro la fuga sembrò l'unica alternativa possibile.

"Erebo!!" tuonò improvvisamente Zeus, con voce rabbiosa, ma anche salda e sicura, che spezzò l'incantesimo, scuotendo tutti loro "Dopo aver ucciso Atena, osi mettere piede persino qui, sulle pendici dell'Olimpo?! Sappi che mai oscurità ha avvolto questo sacro monte, e mai l'avvolgerà, finchè la folgore di Zeus continuerà a risplendere!".

"Presto, allora, scenderà la notte, perchè presto tu non sarai più, signore del Fulmine! Voi Dei bambini avete a lungo regnato, ciechi nella convinzione di essere superiori, ma ora finalmente le tenebre otterranno il posto di dominio che loro spetta!" sibilò minacciosamente Erebo, sollevando una mano.

"Questo non sarà mai! Finchè un solo Dio di Grecia combatte, il tuo regno non avrà mai luogo, demonio!" ringhiò Eracle, espandendo il suo cosmo e lanciandosi per primo all'attacco, spazzando l'aria con la propria clava.

Velocissimo, Erebo impugnò una delle lame che aveva dietro la schiena, parando a mezz'aria il fendente del Dio della Forza, generando un'onda d'urto che frantumò il marmo ai suoi piedi. La Prima Ombra poi affondò il pugno nell'addome del nemico, facendolo piegare in due.

"Nemea…!" balbettò Eracle, avvertendo la propria corazza scricchiolare minacciosamente, ma prima che potesse fare qualcosa, la mano libera di Erebo calò su di lui, lasciando esplodere di fronte al suo volto una sfera di energia nera che lo fece barcollare all'indietro.

Immediatamente, il signore delle tenebre sollevò la spada per colpire, ma in quel momento qualcosa saettò verso di lui, colpendolo violentemente alla spalla con un forte clangore. L'oggetto andò in pezzi, e l'impatto bastò appena a far barcollare Erebo, ma diede ad Eracle il tempo di rotolarsi su un lato e vibrare un colpo con la clava, raggiungendo il nemico al fianco.

"Efesto!" sorrise il custode temporaneo del nono tempio, riconoscendo nell'oggetto che lo aveva salvato il martello del fabbro degli Dei.

"Al tuo fianco! Erebo è rivale di noi tutti!" esclamò il Nume accorrendo in suo soccorso con il pugno levato.

"Erebo non ha nemici, Erebo ha soltanto vittime!" sibilò allora la Prima Ombra, calando la spada contro Eracle, che fu obbligato ad alzare la clava per proteggersi.

Stavolta però essa non bastò: spinta dal cosmo tenebroso del suo padrone, la lama tranciò da parte a parte l'arma nemica, conficcandosi nella spalla del Dio, che urlò di dolore.

"Lascialo andare, maledetto!! Maglio Divino!!" gridò Efesto, scagliando il suo colpo segreto.

Voltandosi nella sua direzione, Erebo spazzò l'aria con il braccio, parando l'assalto con il dorso e scatenando una pioggia di dardi d'ebano con cui investì in pieno il fabbro Olimpico. Nello stesso momento, ignorando un tentativo di montante di Eracle, sollevò la propria spada, ancora conficcata nella spalla del Dio della forza, e scaraventò quest'ultimo contro Efesto.

Sorridendo sinistramente, li indicò con il palmo della mano, scatenando una sfera d'energia nella loro direzione. Muovendosi con una velocità inaudita però, Ermes lo precedette, trascinando in salvo i due fratellastri.

Contemporaneamente, un oceano di fuoco esplose contro l'imperatore delle ombre, avvolgendolo completamente.

"Vortice di Fiamme Divine!!" gridò Estia, attaccando dall'alto, con le braccia avvolte da vampe fiammeggianti.

Per un istante, Erebo scomparve tra le fiamme, ma poi esse vennero annegate da un vento nero, ed una tremenda esplosione di energia investì la Dea del Focolare, scaraventandola in aria sanguinante, circondata da frammenti della sua armatura.

"N… non serve a niente…" balbettò Dioniso, spaventato dal vedere la custode del secondo tempio così impotente.

"Hai scelto di riporre il tuo tedio, Estia?" la provocò la Prima Ombra, afferrandola a mezz'aria per il volto e graffiandone il viso con le unghie, prima di scaraventarla violentemente a terra.

La Dea afferrò subito il suo polso, riversando su di esso le proprie fiamme, senza tuttavia riuscire a scalfire l'armatura nera che Erebo indossava.

"Lasciala andare!" comandò in quel momento Zeus, colpendo in pieno petto il nemico con un fulmine, talmente potente da obbligarlo a lasciare la presa su Estia. Con uno sguardo torvo, l'assassino di Atena si rialzò, ma improvvisamente un violentissimo tornado esplose attorno a lui, oscurando la sua vista con la furia dei venti.

"Soffio Divino!!" gridò Eolo a mani giunte, scatenando il suo potere. Le pietre del piazzale si sgretolarono e staccarono da terra, strappate dalla forza del vortice, e persino il cielo parve contorcersi attorno al tornado.

"Ben fatto, signore dei venti!" esclamò Ermes, superandolo e lanciandosi a testa bassa nel vortice, affiancato da Artemide, sul cui viso era evidente una cupa determinazione. Contemporaneamente, Eolo plasmò le correnti, in modo che li risparmiasero dalla loro furia, limitandosi ad accarezzarne i corpi.

Fu proprio la Cacciatrice la prima a raggiungere l'avversario, immobile nell'occhio del ciclone, incurante della forza distruttiva dei venti, ed i suoi occhi si accesero di collera.

"A causa tua Atena e mio fratello Apollo sono caduti! Non mieterai altre vittime! Dardi Divini!!" disse, sferrando il suo colpo segreto e tempestando Erebo di fasci luminosi. Nessuno dei suoi strali però scalfì minimamente il corpo o l'armatura del Dio ancestrale, che in tutta risposta l'investì con il pieno peso del suo sguardo.

Stringendo i denti, Artemide diede un colpo di reni, compiendo una capriola all'indietro a mezz'aria ed atterrando sulle gambe, pronta ad un nuovo assalto. Erebo però fu subito su di lei, calando le dita della mano come se fossero artigli, ed obbligandola a schivare con un salto laterale, prima di tentare di nuovo i Dardi Divini, senza alcun risultato.

"E' con arma così misera che speri di conquistare la tua vendetta? Troppi millenni hai passato tra fiere e bestie!" la schernì, prima di aggiungere "Quel vigliacco di tuo fratello aveva visto l'esito della battaglia, nessuno di voi ha scampo contro la mia oscurità!"

A queste parole, alla leggerezza con cui suo fratello era stato nominato, al tono quasi borioso che il Dio aveva usato, tipico di chi non ha alcun dubbio o incertezza, Artemide strinse i denti, correndo di nuovo in avanti, dimentica di qualsiasi strategia.

"L'Olimpo non si inchinerà mai a te! Raggio Lunare!" minacciò lanciando il suo attacco più potente direttamente verso il volto del nemico. Con un movimento fulmineo però, Erebo tagliò l'aria con la spada, generando un'onda d'urto che recise in due il fascio di luce, ferendo Artemide alla gamba.

Sbilanciata, la Dea barcollò per un attimo, e subito il nemico l'afferrò per l'avanbraccio, torcendolo con un movimento netto fino a spezzarlo. Artemide gridò di dolore, cercando subito di risanare la ferita con il suo cosmo divino, e accorgendosi con orrore di non poterlo fare. L'aura oscura del nemico ormai la sovrastava, avvolgendola nelle ombre ed impedendole di usare del tutto i suoi poteri.

Strattonandola per il braccio rotto, Erebo la sollevò fino a portarla a pochi centimetri dal proprio viso "La collera offusca il tuo discernimento, tentare un attacco frontale contro di me equivale a sicura condanna a morte!" sibilò, stringendo la presa sull'avambraccio, che iniziò a fumare e fondersi per il potere del suo cosmo, facendo contorcere di dolore la Dea della Caccia.

"Conserva le tue oscure minacce, spergiuro! Molti in passato hanno cercato di conquistarci, ma nessuno ha mai alzato il proprio stendardo di vittoria! Noi che combattiamo per la salvezza del sacro monte non cadremo mai di fronte all'invasore! Turbine Divino!!" gridò improvvisamente Ermes, comparendo a mezz'aria alle spalle di Erebo e lanciando il suo colpo segreto a distanza ravvicinata, raggiungendo il nemico in piena schiena.

L'impeto del suo assalto fece barcollare per un attimo la Prima Ombra, ed un accenno di sorriso si allargò sul volto del messaggero degli Dei, ma non durò che un attimo. Senza neanche lasciare la presa sul braccio di Artemide, Erebo colpì Ermes con una gomitata, spaccando la sua armatura divina e lacerandogli il fianco con lo spuntone in cui terminava il suo bracciale.

Sputando Ichor, il custode del primo tempio barcollò in avanti con gli occhi sbarrati, incredulo di fronte al fatto che il suo colpo segreto non avesse neppure ferito il signore delle tenebre.

Intuendo i suoi pensieri, Erebo sorrise, e, conficcata al suolo la spada, lo afferrò per la gola, in modo da tenere lui ed Artemide alla stessa altezza con entrambe le braccia. Al sol contatto, la carne del collo di Ermes iniziò a sfrigolare e sanguinare, facendo gridare il Dio di dolore.

"Questo monte di cui siete tanto fieri è già condannato, se volessi potrei facilmente ridurlo in macerie fumanti! Ogni vostro tentativo è vano! Non potete fermarmi nè sconfiggermi, solo la morte vi rimane!" sibilò, stringendo la presa su entrambi.

"Questo… non sarà mai! R… Raggio Lunare!" disse Artemide a denti stretti, lanciando il suo colpo segreto con la mano libera e dirigendolo direttamente al volto del nemico.

Non avendo scelta, Erebo fu costretto a indietreggiare di scatto, lasciando la presa sui due, che caddero a terra sanguinanti. Ermes barcollò, ma Artemide afferrò subito la spada che l'invasore aveva lasciato conficcata al suolo, impugnandola con la mano sinistra ancora sana e vibrando un fendente.

A pochi centimetri dal volto del bersaglio però, spuntoni acuminati uscirono improvvisamente dall'elsa, trapassando il palmo della mano della Dea, che fu obbligata a lasciar cadere il gladio.

"Sei una sciocca, Dea della Caccia, a sperare che le mie stesse armi oserebbero ferirmi. Esse conoscono bene il loro signore e padrone, troppi millenni abbiamo trascorso insieme, sigillati negli abissi più profondi!" la derise Erebo, spalancando gli occhi nella sua direzione ed investendola con una nuova ondata di energia, stavolta abbastanza forte da crepare la sua armatura divina facendo schizzare flotti di sangue.

"Artemide!!" gridò Ermes, cercando di aiutarla ma venendo investito da una scarica nera, che frantumò completamente il suo coprispalla, costringendolo in ginocchio.

Sorridendo, Erebo sollevò la spada per finirlo, quando, con un ringhio selvaggio, più simile ad una bestia che ad un Dio, Ares comparve alle sue spalle, gettandosi all'attacco senza un attimo d'esitazione.

Con un movimento straordinariamente fluido, Erebo si voltò verso di lui, sferzando l'aria con il braccio ed annullando i fasci di energia del Dio della Guerra, per poi investirlo con una corrente nera.

Ares sorrise minacciosamente e chinò il capo, lanciandosi nella corrente. Anzichè cercare di pararla o evitarla, l'affrontò infatti a testa bassa, affidandosi alla difesa della sua armatura, che stridette per l'impatto ma non subì danni, permettendo al custode del sesto tempio di portarsi a ridosso di Erebo.

"Non importa quanto antico tu sia, i millenni che hai trascorso a dormire hanno visto l'ascesa di un nuovo re della Guerra! Massacri, terrore ed eccidi, li rivendico per me!" sibilò il Dio, sollevando il capo e mostrando una luce folle negli occhi, prima di far esplodere il cosmo che aveva accumulato nelle mani a distanza ravvicinata "Urlo di Guerra!!"

Per un istante, Erebo sembrò scomparire di fronte alla terribile esplosione del cosmo di Ares, ma poi il sorriso beffardo del figlio di Zeus si trasformò in una smorfia d'incredulità. La Prima Ombra aveva infatti bloccato il suo attacco con il solo palmo della mano, stringendo poi la presa attorno al suo pugno destro.

"I sogni dei bambini, siano essi uomini o Dei, sono destinati a cessare al calar della notte! L'effimero regno che hai costruito non è nulla di fronte al mondo di tenebre che io creerò!" sussurrò, serrando ulteriormente la presa e frantumando il bracciale dell'armatura divina e le ossa della mano di Ares, che ululò di dolore. Sorridendo della sua agonia, Erebo calò la spada, trapassandolo di netto alla spalla.

Barcollandò all'indietro, il custode del sesto tempo incrociò lo sguardo di derisione del nemico, e quella visione gli fece ribollire il sangue nelle vene. Dimentico del dolore, il suo cosmo avvampò ed i muscoli si contrassero, intrappolando la lama nera al loro interno.

"Nessuno può osare prendersi gioco del Dio che la guerra comanda!! Il mio nome è stato invocato per millenni con rabbia e disperazione, da infiniti campi di battaglia di sangue ricolmi! Non ti cederò il mio dominio!!" ringhiò, strattonando la spada e sferrando un pugno con il sinistro "Distruzione dell'a…"

Senza neppure lasciagli il tempo di finire, Erebo lo centrò al volto con un manrovescio, frantumando il suo elmo e facendogli sputare sangue, poi riacquistò la presa sulla spada e la sollevò di scatto, dilaniando i muscoli della spalla fin quasi a mozzarla di netto.

Ares cercò di ritrovare l'equilibrio e fermare la caduta, ma un nuovo attacco lo raggiunse, stavolta in piena schiena, scaraventandolo a terra.

Contemporaneamente però, altre due aure cosmiche esplosero attorno a lui, saettando in direzione di Erebo.

"Raggio Lunare!!"

"Turbine Divino!!"

"Soccorso da due Dei come Ermes e Artemide… quale… orribile… smacco!" si rammaricò un pò a fatica Ares, crollando in ginocchio e lanciando un'occhiata infastidita verso i due Dei giunti in suo aiuto. Entrambi erano visibilmente malconci, ma le loro energie brillavano lucenti.

Digrignando i denti e versando flotti di Ichor, Ares strinse il pugno, cercando di far bruciare di nuovo il cosmo in suo possesso per tornare all'attacco.

Prima che potesse farlo però, Erebo, ignorando totalmente gli attacchi di Artemide e Ermes, allargò le braccia verso l'esterno, scatenando un'esplosione tremenda, che travolse le tre divinità e le lanciò fuori dal vortice creato da Eolo.

Atterriti, il signore dei venti e gli altri Numi videro i tre compagni cadere al suolo grondando sangue, a stento ancora in vita, circondati da schegge e frammenti di corazze.

"La forza di costui è grande, ma l'etereo Olimpo non ha mai ceduto all'invasore! Vortice di Fiamme Divine!!" esclamò Estia, scagliando il suo colpo segreto verso il tornado creato da Eolo. Alimentate dal vento, le fiamme si moltiplicarono a dismisura, mutando il mulinello in un inferno di fuoco.

"Non abbassare la guardia, il cosmo di quel demone non è affatto scemato!" disse Era, muovendosi verso di lei.

Non appena ebbe compiuto due passi però, il turbine cambiò forma, sembrando schiacciarsi ai poli ed espandersi nel centro, poi esplose del tutto, dilaniato dall'interno da un'eruzione di energia nera che investì in pieno Estia ed Eolo, scaraventandoli diversi metri indietro.

Nello stesso momento, Erebo comparve davanti ad Era con la spada sollevata, e per un breve istante gli occhi della regina degli Dei incrociarono quelli della Prima Ombra, rabbrividendo di fronte al buio e al gelo che spirava da quelle due cavità senza fondo. Lo spirito combattivo della donna scomparve, schiacciato da un istinto di sopravvivenza che per millenni non aveva avuto ragione d'esistere.

"Libero da secoli di prigionia, il mio cosmo non scemerà mai! Il suo destino è accrescersi sempre di più, fino ad avviluppare l'universo intero nelle sue spire! L'oblio è destinato a chi spera di fermarmi! L'età dell'Olimpo è giunta a termine!" sibilò, calando la spada assassina verso la Dea ancora tremante.

"Finchè un solo Dio si ergerà ancora a combattere, l'Olimpo non cadrà mai!" ribattè fieramente la voce di Nettuno, comparendo a difesa della sorella e intercettando la lama nera con il proprio tridente in un clangore metallico.

Le sue ginocchia tremarono all'impatto tra le armi, strappandogli una smorfia, ma le mani rimasero salde attorno alla presa sul tridente, che era ora circondato da un alone di luce azzurra.

Nel vedere l'imperatore dei mari, per la prima volta un'ombra indecifrabile attraversò il volto di Erebo, che si ritrasse istintivamente. Debole e affaticato però, Nettuno non potè pressare l'offensiva, e fu obbligato a restare immobile respirando affannosamente.

"Nettuno, figlio di Crono! La tua millenaria saggezza è mera millanteria se è con un corpo umano che speri di affrontarmi!" lo derise Erebo, riacquistando la comune espressione e sollevando di nuovo la spada.

"Il corpo non è che mero simulacro, incalcolabili generazioni di esseri umani ci hanno insegnato che è nel cosmo che risiede la forza che conduce alla vittoria!" ribattè Nettuno, donando un fugace pensiero ai Generali e i Cavalieri, nei cui panni per la prima volta sentiva adesso di trovarsi, messo di fronte ad un nemico all'apparenza invincibile, il cui cosmo lo soverchiava completamente.

"Umani che ora sono morti, dilaniati dalle tenebre di cui sono sovrano, proprio come Atena!" sibilò Erebo, tempestandolo con una pioggia di fendenti sempre più violenti, che obbligarono il Dio dei mari a stringere il tridente con entrambe le mani.

"Manterrò… la mia promessa!" pensò Nettuno stringendo i denti, ed impresse il suo cosmo nel tridente, colpendo il nemico in pieno petto.

La Prima Ombra venne spinta indietro di qualche passo appena, senza che la sua armatura subisse alcun danno. Il mantello alle sue spalle iniziò ad agitarsi, allungandosi verso il figlio di Crono come un manto d'ombra.

Consapevole di non poter perdere l'attimo di vantaggio, Nettuno espanse il suo cosmo, dilaniando le ombre ed indicando Erebo con la punta del tridente, da cui partì un raggio di energia turchese.

In tutta risposta, l'essere ancestrale fendette l'aria con la spada, disperdendo l'attacco e facendo scontrare ancora le lame. Nello stesso momento sollevò il braccio libero in direzione del sovrano degli abissi, investendolo con una terribile ondata di energia, che crepò la sua armatura, spingendolo indietro. Erebo allora spalancò gli occhi, rafforzando ancora di più l'offensiva e travolgendo in pieno il nemico, la cui maschera volò via.

"Neanche lui può nulla! Trascende ogni immaginazione, neppure un essere ancestrale come costui può aver ragione così facilmente degli Dei dell'Olimpo ora che il nostro cosmo non è più sigillato! Se anche fosse più forte di ciascuno di noi, nessuna creatura che abbia mai calcato questa terra può essere superiore alla nostra possanza congiunta! Eppure la spada di Erebo si fa largo tra le nostre fila come una falce tra le messi… in pochi minuti di combattimento siamo riversi al suolo, piegati e sanguinanti, vittime di un carnefice cui non abbiamo arrecato neanche il più mero graffio! Possibile che per la nostra dinastia sia davvero giunto il tramonto?! Che una nuova divinità stia per sorgere dalle rovine del nostro regno?!" si chiese Era, trovandosi di nuovo faccia a faccia con gli occhi gelidi della Prima Ombra.

"E' così! La vostra sorte è segnata, si adempie oggi un destino già scritto da secoli!" disse Erebo, colpendola con il dorso della mano e spingendola a terra sanguinante, per poi trapassarle il fianco con la spada, perforando senza alcuna fatica l'armatura e facendola urlare di dolore.

"Ti credevo più combattiva, regina dell'Olimpo, ma dopo la sconfitta subita al dodicesimo tempio, la tua sicurezza è in frantumi! Prima cadrai tra i difensori di questo monte, come si addice ai sovrani!" sibilò cupamente.

"Dicoti no!!" tuonò in quel momento una voce imperiosa, al cui comando persino il cielo parve obbedire, ed una tempesta di fulmini colpì Erebo in pieno petto, spingendolo indietro, e scaraventandolo a terra per la prima volta.

Con un balzo, Zeus comparve a difesa della sposa, lo scettro sollevato e circondato di energia.

"Perdona la mia esitazione, troppo a lungo sono rimasto nelle retrovie a riflettere alla ricerca di una soluzione che continua ad eludermi! Se l'intelletto non mi è alleato, lo sarà la forza!" esclamò con fermezza il signore dell'Olimpo.

Sollevata, Era alzò la testa verso di lui, alla ricerca dello sguardo fiero e maestoso che ben conosceva, e che tante vittorie aveva preannunciato in passato, sin dai tempi della Titanomachia. Quel che vide però la deluse e turbò profondamente: la sicurezza della voce di Zeus non si estendeva ai suoi occhi, velati da timore e preoccupazione.

In quel momento però, Eracle, Eolo, Efesto ed Artemide lo superarono di corsa, lanciandosi contro la Prima Ombra avvolti nelle aure dei loro cosmi.

"Che ne sarebbe del nostro onore se da solo ti lasciassimo combattere contro l'invasore? Che ne sarebbe di tutti noi, se tu cadessi? Concedici il privilegio della battaglia, ben più importante delle nostre è la tua vita!" disse il Dio della Forza.

"Dice il vero il prode Eracle! Già una volta in passato abbandonammo la difesa del Sacro Monte, vittime di insana paura! Ripristineremo il nostro onore quest'oggi, scacciando il bieco demone che ha turbato l'Olimpica quiete! Lo faremo, anche in nome di nostra sorella Atena!" aggiunse Eolo.

"Tutti voi…!" balbettò Zeus, impressionato dal coraggio dei suoi sudditi e figli. Ma allo sguardo di Era non sfuggì che il manto di preoccupazione che velava i suoi occhi non si era affatto sollevato.

"Stolti, degli insetti che si gettano nel fuoco avrebbero maggiori speranze di salvezza! La mie tenebre non sono cosa che possa essere dissolta da sì puerili tentativi!" li criticò Erebo, portando la mano dietro la schiena e impugnando l'intera piastra esagonale sul cui bordo erano fissate le altre tre spade.

Prima ancora che gli Dei potessero capire cosa il nemico intendesse fare, Erebo sferzò l'aria e le lame si allungarono a dismisura, saettando verso di loro e conficcandosi nel suolo, al cui contatto si moltiplicarono a dismisura, creando un vero e proprio reticolato mortale e imprevedibile che li trafisse in più punti agli arti ed ai fianchi. Nello stesso momento, il coso nero della Prima Ombra corse sulle lame, bruciando le ferite e fulminando i Numi con scariche di energia, obbligandoli a urlare in agonia.

"Gridate… gridate per me! Le vostre urla sono un canto di trionfo, una lode alla mia possanza!" rise Erebo, godendo nel vederli soffrire.

"Demone del Caos che gioisci delle altrui sofferenze, non vi è dunque in te alcun rispetto per il dono della vita?! Accanto al nostro è posto il tuo nome nei miti, ma in verità non c'è in te nulla di divino, sei la completa negazione di ciò in cui la maggior parte di noi crede!" lo accusò Estia, comparendo alle sue spalle circondata da vampe incandescenti "Vortice di Fiamme Divine!!".

Un turbine di fuoco dal calore persino superiore agli attacchi precedenti investì Erebo, incendiando l'aria attorno a lui e sciogliendo la pietra ai suoi piedi, che si mutò in lava ribollente.

Incurante dell'inferno che lo circondava però, il signore delle ombre ritirò con calma a se le lame, agganciandole di nuovo dietro la schiena e lasciando cadere gli Dei feriti, poi avanzò verso Estia con la lama stretta nel pugno, fino a torreggiare imponente e minaccioso sopra di lei.

"Io non sono nè Dio nè demone… sono la notte più buia, la paura più profonda e ancestrale, la tenebra più fitta in cui si annegano sogni e speranze, coraggio e valore! Sono la Prima Ombra, portatore del caos, antico quanto l'universo stesso! Piccola Dea, non esiste fiamma capace di rischiarare la mia oscurità!" sibilò, affondando la sua spada nel petto della custode del secondo tempio, e trapassandole il cuore da parte a parte. Flotti di sangue gorgogliarono dalla bocca di Estia. Poi, con gli occhi ancora sbarrati, la Dea crollò priva di vita senza emettere un suono.

"N… non è possibile… Estia non è Atena, vincolata dai legacci di un corpo umano… forte del suo corpo divino… ella è immortale!" balbettò incredulo Dioniso, finora rimasto in disparte ai margini dello scontro.

"Di fronte al potere di Erebo, non esiste immortale!" disse l'essere ancestrale, abbassando la mano in direzione del corpo della Dea.

Dopo alcuni istanti, da esso e da quello di Apollo si levarono numerosi sottili colonne di un fumo tenue e rossastro, che danzarono nell'aria fluendo lentamente in direzione di Erebo. A pochi millimetri da lui, sembrarono vorticare, come in un disperato tentativo di allontanarsi, e nello stesso momento le fauci del teschio capovolto sulla cintura del mostro si aprirono in un ghigno terrorizzante e famelico. Di fronte agli occhi sbalorditi degli Dei, le colonne di fumo vennero completamente ingoiate, scomparendo tra quelle nere fauci, e la bocca si richiuse.

"Ha assorbito… le loro essenze divine!" trasalì Era con gli occhi sbarrati, un'espressione che in quel momento si rispecchiava sui volti di tutti i Numi. Vedendola, Erebo ghignò soddisfatto.

"E quella di Atena prima di loro! Prive di un corpo in cui risiedere, dimentiche della loro essenza e natura, trascorreranno l'eternità sprofondando in un gelido oceano di tenebre e buio! Sprofondando negli abissi della notte, che è dentro di me! Tale è il destino che attende tutti voi!" minacciò, indicandoli con la lama sanguinante della spada, tesa in direzione del signore dell'Olimpo.

Numerosi cosmi si infiammarono, circondando gli Dei di bagliori multicolore. Il loro stesso sangue sembrava risplendere di luce propria, mentre i custodi del sacro monte si preparavano a riprendere lo scontro.

"Vana sarà ogni resistenza, l'abisso che da me vi separa è ben più grande di quel che divide da voi il più infimo dei mortali! E Zeus sapeva, altrove aveva infatti riposto le sue speranze!" insinuò Erebo, curvando le labbra in un sorriso di scherno.

Numerose paia di occhi guardarono di sottecchi in direzione del padre degli Dei, che però non disse nulla, limitandosi a stringere i denti e serrare il pugno con rabbia e frustrazione.

"Ma quelle speranze sono state distrutte, ridotte a cenere di cenere tra le nebbie di Avalon! Nulla vi salverà da me!" concluse minaccioso.

Per alcuni istanti, nessuno osò muoversi, come in soggezione di fronte a quella promessa di morte. Poi il cosmo di Ermes avvampò lucente.

"Ostenti molta sicurezza, demonio, ma l'Olimpo non è ancora caduto!!" gridò, lanciandosi all'attacco "Turbine Divino!!".

Un tornado di energia esplose verso la Prima Ombra, che però non ne fu affatto turbato.

"La misura della vostra forza mi è ben nota ormai, è tempo di porre fine a questa farsa!" proclamò, lanciando in avanti il pugno e liberando un immenso raggio dal color della pece. In un solo istante, il Turbine venne totalmente distrutto e l'energia investì in pieno Ermes, spingendolo indietro e mandando in frantumi il pettorale della sua armatura divina. Con il torace fumante, il custode del primo tempio abbattè una delle colonne del tempio di Zeus e crollò privo di vita tra le macerie.

La vista del compagno caduto sembrò scuotere gli Dei, che si lanciarono contemporaneamente all'attacco.

"Distruzione Divina!!" gridò Eracle con quanto più fiato aveva in gola, guidando la carica. Il suo colpo segreto impattò a piena potenza contro l'armatura di Erebo, senza però riuscire neppure a rallentarlo.

In tutta risposta, il signore della notte calò la mano con un gesto diagonale, sfregiando il volto del Dio con gli artigli e scheggiando la sua corazza. Contemporaneamente, lo colpì con un calcio all'addome, ed alla testa con l'elsa della spada, mandando in frantumi l'elmo con l'effige del Leone Nemea.

Sputando sangue, Eracle barcollò, ma prima che Erebo potesse fare di più, Efesto fu su di lui, con il pugno carico di energia. "Maglio Divino!!" gridò, mirando all'apertura nella maschera del nemico.

Con un sorriso beffardo, la Prima Ombra fece un minimo movimento laterale, lasciando che l'assalto si infrangesse vanamente contro il suo elmo. Nel frattempo gli spuntoni sul coprispalla si agitarono e allungarono come dotati di vita propria, trapassando perpendicolarmente il pugno e il braccio del fabbro degli Dei, fino ad uscire dalla spalla. Efesto gridò, ancora sbilanciato in avanti, ed Erebo lo colpì alla schiena con il taglio della mano, imprimendo in essa il suo cosmo e spingendolo malamente a terra, dove frantumò i marmi del piazzale tingendoli di rosso.

In quel momento, il cielo tuonò fragoroso, anticipando della più misera frazione di secondo una pioggia di scariche che colpirono in pieno petto e addome la creatura ancestrale, spingendola indietro di qualche passo.

Con un grido di rabbia, Zeus fu su di lui, colpendolo al volto con il proprio scettro e riuscendo a farlo barcollare per un attimo. Approfittando immediatamente del momento, sollevò entrambi gli indici al cielo, per poi calarli di scatto e gridare "Tempesta di Fulmini!!".

Un assalto persino più forte dei precedenti si abbattè su Erebo, che dopo aver cercato di incrociare le braccia per difendersi, venne spinto via contro la parete del tempio, facendola crollare in una nuvola di polvere e detriti.

Sorrisi di rinnovata speranza comparvero sui volti delle divinita, ma, consapevole che non era ancora finita, Zeus spiegò le ali della sua armatura divina, lanciandosi in avanti per continuare l'assalto.

Nello stesso momento però, dalla polvere emersero gli artigli del demone, acuminati e velocissimi, e trafissero il signore dell'Olimpo alla coscia sinistra, trapassandola da parte a parte.

Zeus gridò di dolore, ma non ebbe neppure il tempo di cercare di fare qualcosa che un fascio di energia simile a quello che aveva ucciso Ermes saettò verso di lui, colpendolo in pieno alla spalla destra e frantumando il coprispalla e l'ala. Contemporaneamente, le unghie si ritrassero e uscirono dalla ferita, accompagnate da schizzi di sangue.

Il viso del re dell'Olimpo si contorse in una smorfia di dolore, il braccio si fece debole e pesante, le dita si aprirono, ed il Dio perse la presa sul proprio scettro, che cadde a terra.

Di fronte a lui, Erebo lo guardò trionfante, prima di svanire nel nulla, come assorbito dall'ombra che era ai suoi piedi. Un istante dopo, ricomparve alle spalle di Zeus, emergendo dalla sua ombra.

Percependo il pericolo, il figlio di Crono si voltò, incrociando il proprio sguardo in quello del nemico, e vedendo riflessa nello scintillio dei suoi occhi la propria disfatta imminente.

Erebo calò un fendente diagonale, aprendo un taglio sanguinante sul pettorale dell'armatura dell'avversario, e conmporaneamente lo colpì all'addome con un pugno, spaccando la protezione della sua corazza e facendolo piegare in avanti, con in bocca il sapore del sangue.

Prima che potesse sferrare il colpo di grazia però, Eracle, Artemide, Eolo, Ares, Efesto ed Era si gettarono disperatamente sul nemico, attaccando da tutti i fronti. Vedendoli arrivare, la Prima Ombra sollevò di scatto le braccia, scatenando una corrente nera che investì le numerose divinità, sbalzandole in aria e facendole ricadere con violenza sui marmi del piazzale.

Fu Ares il primo a rialzare la testa, il volto grondante sangue da numerosi tagli al labbro, la fronte, le guance e gli zigomi, l'espressione disperatamente furiosa.

"Ereboooo!!!!" gridò con tutta la collera che aveva in corpo per le umiliazioni subite, per la maniera netta in cui stava venendo sopraffatto, senza riuscire a restituire nemmeno un colpo. Senza neppure riflettere, si lanciò sul nemico facendo esplodere il suo cosmo.

"L'ira impotente della goccia che per la prima volta scopre l'immensità dell'oceano, cosa vi è di più patetico?" commentò con tono crudelmente derisorio il demone ancestrale, sollevando di scatto la spada.

Di fronte agli sguardi sconvolti dei presenti, la testa di Ares fu mozzata di netto dal collo, girando in aria per qualche istante, prima di cadere e rotolare sui marmi del piazzale. Il silenzio che accompagnò quella macabra visione fu tombale.

"N… no… no… no…" balbettò tremante Dioniso, indietreggiando di qualche passo e fissando gli occhi ora vitrei di Ares, il cui viso era rimasto per sempre immortalato in uno strano sorriso. Perdendo il controllo, il Dio dell'Ebbrezza si girò di scatto e iniziò a correre verso le scalinate per i templi inferiori.

Non ebbe percorso pochi passi che Erebo sollevò il palmo verso di lui, scatenando una tempesta di dardi neri che investirono alla schiena, le spalle e gli arti il Nume, perforando in più punti la sua armatura.

Dioniso barcollò, ma continuò ancora disperatamente ad avanzare verso la scalinata, ormai a pochi passi.

"Martoriati sulla schiena, così cadono i vigliacchi che fuggono volgendo le spalle al nemico. Le ferite sul tuo corpo saranno eterno marchio della tua codardia!" proclamò la Prima Ombra, per poi lanciare un raggio più potente dei precedenti, che perforò da parte a parte le membra del Dio. Il cadavere tremò per un attimo, poi cadde lungo la scalinata, rotolando verso il dodicesimo tempio.

Soddisfatto da quella nuova vittima, Erebo si girò verso gli Dei rimasti, venendo immediatamente investito da una sfera di energia di Era, lanciatasi improvvisamente in avanti.

Ignorando l'offensiva come se fosse un misero spruzzo d'acqua, il massacratore afferrò la donna per il polso, tirandola a se e colpendola al fianco con un pugno, poi la gettò a terra e le calò con violenza il piede sulla schiena, crepando la sua corazza e strappandole un grido.

Zeus si mosse immediatamente per andare in soccorso della sposa, ma fu Efesto il più veloce, gettandosi letteralmente contro il nemico per spingerlo indietro con il peso del proprio corpo.

Dopo essere stato sbilanciato per un attimo, Erebo afferrò il fabbro per la gola, scrollandoselo di dosso e marchiandogli l'impronta delle proprie dita nella carne, prima di sbatterlo a terra con una violenza tale da aprire un piccolo cratere sotto di lui.

"A…frodite…" sussurrò il Dio, cercando nel pensiero dell'amata la forza per rialzarsi.

Udendolo, Erebo sorrise malignamente.

"Non temere, il suo corpo senza vita già giace sulle pendici del monte, accanto a quello di Demetra! Per prime hanno incrociato il mio cammino!" sibilò direttamente nel suo orecchio.

A queste parole, un'espressione di infinitò dolore attraversò il volto del fabbro celeste, che per un istante raddoppiò furiosamente i propri sforzi per liberarsi. La mano del demone però si accese di luce nera, colpendolo con una sfera di energia che lo spinse ancora più in profondità a terra, facendolo quasi affondare.

Più del dolore dell'attacco però, Efesto percepì l'assenza del cosmo di Afrodite, comprendendo che il nemico aveva detto il vero. Improvvisamente privo di ogni forze, si appoggiò a terra, gli occhi ricolmi di lacrime, spezzato.

Senza dir nulla, Erebo lo trafisse alla gola con la spada, voltandosi poi in direzione degli Dei ancora in piedi, e fissando lo sguardo su Eolo e Artemide, ritti uno accanto all'altra.

Accorgendosi di ciò, i due si irrigidirono, espandendo quel che restava dei loro cosmi.

"Vorresti fare di noi le tue prossime vittime? Non credere che resteremo fermi ad aspettarti!" minacciò la Dea della Caccia, concentrando la propria aura nel braccio "Raggio… Lunare!!".

"Fino all'ultimo afflato: Soffio Divino!!" l'appoggiò il signore dei Venti.

I due colpi segreti saettarono fianco a fianco, prima di fondersi in uno solo ed abbattersi verso Erebo. Con un balzo però, la Prima Ombra li schivò e salì a mezz'aria, portandosi direttamente sopra i nemici ed aprendo in avanti entrambe le mani.

"Che le tenebre calino su di voi! Fiat Nox!" disse, abbattendo su di loro un'ondata di pura oscurità. Eolo e Artemide ne vennero completamente avvolti, e le loro grida si spensero nell'ombra.

Qualche attimo dopo, la sfera nera che li aveva circondati si dissolse, ed i cadaveri delle due divinità si schiantarono a terra, circondati dai frammenti delle loro armature.

A questa visione, gli occhi di Zeus si chiusero in una fessura, ed una strana espressione gli attraversò il volto per una frazione di secondo.

"Non è ancora finita!!" gridò in quel momento Eracle, il cui volto sanguinava ancora copiosamente per la ferita subita poco prima, strappando letteralmente una delle colonne del tempio del fulmine e calandola contro il nemico come se fossa una gigantesca mazza.

"La disperazione ti rende stolto oltre ogni dire, trucchi del genere conservali per i mostri selvaggi cui sei abituato…" lo schernì Erebo, disegnando un fendente di ombra in aria con la spada e tranciando in due la colonna, che si sbriciolò tra le mani del Dio. La forza del colpo inoltre proseguì fino a raggiungere il guerriero stesso, aprendogli un profondo taglio sulla spalla.

Stringendo i denti, Eracle sfruttò però quell'istante per gettarsi sul nemico e colpirne con tutta la forza la mano, che perse la presa sulla spada.

"E ora che sei privo del tuo gladio…" minacciò con un sorriso trionfante, girandosi per colpire di nuovo.

Prima che potesse anche solo finire la frase, un dolore lancinante gli perforò il costato, e abbassando lo sguardo si accorse con orrore che la spada si era mossa da sola da terra, trafiggendolo alle spalle.

"Già l'ho detto poc'anzi, io e la mia armatura siamo una cosa sola! Anche se non è certo lei l'unica arma in mio possesso!" avvertì il demone, incrociando le braccia sopra la testa e poi allargandole di scatto "Croce dell'Ebano!"

Un crocesegno di energia nera si schiantò sul torace del Dio della Forza, frantumando quel che restava della sua armatura e trapassandone le carni.

"Fuggi… pa… dre…" sussurrò l'eroe leggendario con il suo ultimo respiro, prima di crollare a terra privo di vita. Ancora in ginocchio per la ferita alla gamba e sostenuto da Era, Zeus non potè trattenere un gemito.

Impassibile, Erebo liberò la propria spada dal corpo, stringendola di nuovo saldamente in pugno. Voltatosi verso i soli tre Dei rimasti, Zeus, Nettuno ed Era, sollevò la mano libera sopra la testa. Sottili colonne di fumi multicolore emersero dai cadaveri di cui era adesso costellato il piazzale, irrimediabilmente attratte dall'aura della Prima Ombra. Ancora una volta, la macabra bocca sulla sua cintura si aprì per assorbirle.

"Uuh… non te lo permetterò!" gridò Nettuno, puntando il nemico con il tridente e sferrando un raggio di luce.

"Cosa credi di poter permettere tu, che sei privo persino del tuo corpo divino! Anche dopo la morte, le spoglie di questi Dei resteranno per sempre intatte, memento eterno alla mia grandezza! Ma, proprio come Atena, tu non avrai neppure questa ultima misera consolazione, le tue membra torneranno alla madre terra come cibo per vermi!" lo provocò la Prima Ombra, annullando il raggio del tridente con un fendente di spada, e fissando con forza il suo sguardo su Julian, che venne investito da un'ondata di energia e spinto indietro sanguinante.

"Forse è come dici tu… forse la mia sorte è già scritta… ma Nettuno, Imperatore dei Sette Mari, l'accoglierà combattendo! Le gesta dei Cavalieri di Atena hanno dimostrato che finchè la fiamma della speranza continuerà ad ardere, qualsiasi miracolo può ancora accadere!" disse con fervore facendo esplodere come mai prima il suo cosmo, che si manifestò sotto forma di immensi cavalloni marini.

"Anche la speranza più luminosa alla fine può solo essere soffocata dalla notte!" commentò impassibile Erebo, tendendo in avanti il palmo e creando un'enorme sfera nera, che si scontrò contro il cosmo del Dio dei Mari.

Dopo alcuni istanti di equilibrio, l'energia della notte ebbe il sopravvento, disperdendo il potere degli abissi e piombando su Nettuno, il cui coprispalla andò in pezzi. Stringendo i denti, Julian cercò di resistere, mettendo tutto se stesso nel proprio cosmo, ma la Prima Ombra aumentò ancora la spinta, prendendo il sopravvendo e travolgendo del tutto il nemico, che venne scaraventato in aria, ricadendo privo di sensi a pochi passi dal bordo del piazzale.

Resosi conto di ciò, Erebo sorrise sinistramente.

"Precipitò a terra dall'alto del cielo l'incauto Icaro, che aveva creduto di poter raggiungere il sole. Stessa sorte toccherà ora a te, che hai sperato di sconfiggermi!" proclamò, investendo il Dio con un'altra ondata di energia, e spingendolo ben oltre l'estremità del piazzale.

"Nettuno!!" gridò Zeus, liberandosi dall'abbraccio protettivo di Era e cercando di correre in suo soccorso, ma venne colpito da una folata del cosmo di Erebo, che lo spinse indietro.

Riaperti gli occhi, il signore del fulmine fu costretto a vedere impotente il fratello che, dopo aver fluttuato in aria per qualche secondo a causa della spinta del colpo subito, iniziò a cadere e scomparve tra le nuvole, precipitando sulla Terra dalla cima del Monte Olimpo.

Soddisfatto, il demone si voltò verso il signore del fulmine, fissandolo negli occhi e allargando trionfalmente le braccia attorno a se.

"Mira, Zeus! Contempla la devastazione che è Erebo! Del glorioso Olimpo più nulla è rimasto: la tua stirpe è in rovina, il tuo regno è ridotto in macerie! Tutto quel che hai impiegato millenni a costruire, io ho distrutto nel breve arco di pochi minuti! La morte per te giungerà come liberazione!" esclamò sollevando la spada, ed affondandola in avanti.

Preda dello sconforto per la prima volta da millenni, piegato dall'aver visto i figli a lui fedeli cader l'un dopo l'altro, abbattuto dalla distruzione del suo regno e dal crollo dei suoi piani, Zeus si sentì mancare, e avvertì ogni forza residua abbandonare il suo corpo divino.

"E' la fine di tutto… i miei figli, i miei sudditi, le mie speranze… tutto è perduto per sempre! E' evento immutabile dell'ordine naturale delle cose che anche il sole più luminoso alla fine tramonti, cedendo il passo alla notte. Forse… è stata arrogante follia da parte mia tentare di oppormi a questa verità…" pensò, crollando in ginocchio, incapace di abbozzare una difesa, in attesa della fine.

"Non tutto è ancora perduto!!" lo scosse improvvisamente una voce, e nello stesso momento qualcosa si erse a sua difesa, intercettando con il proprio corpo la lama d'ebano.

"Era!!" la riconobbe Zeus, rabbrividendo nel vedere la spada che le aveva trapassato di nuovo il fianco, facendo grondare abbondanti rivoli di sangue.

"Misera creatura infelice, brami a tal punto la morte da gettarti su di essa di tua volontà?" commentò Erabo, tirando per liberare l'arma.

Era però indurì i muscoli, ed afferrò la lama con una mano, stringendo il braccio del nemico con l'altra ed espandendo il suo cosmo.

"Che vuoi fare?!" domandò il demone, cercando di liberarsi. Ignorandolo, la Dea piegò leggermente la testa verso lo sposo, ancora incredulo a terra.

"Colpisci adesso, Zeus! Abbatti su di lui la tua arma più potente, libera l'Olimpo ed il mondo da questo flagello!" lo supplicò con voce rotta.

"Era!!" esclamò sbalordito il Dio, non riuscendo a trattenere un fremito "Sei forse impazzita, colpirei anche te!!"

"Il… il mio destino sarebbe comunque segnato se tu morissi. Ti prego, non esitare… " insistette la donna, stringendo i denti per il dolore proveniente dal fianco e dalle mani, dove il cosmo e la lama di Erebo le stavano ustionando le carni.

"Noi due non siamo… mai riusciti a capirci, a leggere ciascuno i riflessi del cuore dell'altro, come Odino e Freja, o Oberon e Titania… L'amore che ci ha unito era solo passione, accecante e travolgente, fonte di dolore e godimento… Ma è stato bello… così bello… vivere al tuo fianco!" continuò, mentre le lacrime le rigavano il viso.

"Hai deciso di sacrificarti per lui?!" ringhiò Erebo, torcendo la spada per liberarsi. Il cosmo della Dea però avvampò luminosissimo, resistendo ed abbagliandolo al punto da causargli dolore.

"Non ho mai realmente vissuto da tua consorte, il demone della gelosia dettava ogni mia frase, guidava ogni mio gesto! Anche quando hai smesso di rincorrere i piaceri della carne, l'acredine per l'affetto e la cura che dedicavi ai mortali mi ha reso sorda e cieca, ma anzichè tentare di parlartene, di capirti, mi sono rifugiata nella solitudine e nell'orgoglio! Mai un mio gesto è stato volto agli altri, al bene del nostro regno, alla difesa degli esseri umani! Non ho vissuto da sovrana, ma ti prego, dal più profondo del cuore, concedimi almeno di morire come la regina dell'Olimpo!" lo supplicò.

In quel momento, Erebo riuscì a liberare una mano, e la colpì in pieno volto con il dorso pugno, spaccandole la maschera ed aprendole un taglio sulla guancia.

Vedendo che la Dea continuava a mantenere testardamente la presa, la Prima Ombra distese allora le dita, conficcandola la nuda mano nello stomaco. Flotti di sangue grondarono dalla bocca della donna.

"Era!!!" gridò Zeus, cercando disperatamente un modo per poter colpire il nemico senza coinvolgere la propria sposa. Ma i due erano troppo vicini, qualsiasi attacco abbastanza potente da avere una speranza di successo, avrebbe dovuto per forza uccidere anche lei.

"Non esitare… fallo…!" pregò la regina con un filo di voce.

Serrando i pugni, Zeus chiuse gli occhi, bruciando il suo cosmo divino.

"Era… sulle tue spalle hai portato il fardello del peccato… ma anche e soprattutto mia è la colpa! Quanto più felice sarebbe stata la nostra vita se mi fossi fidato di te… se ti avessi aperto il mio cuore. Sia maledetto il destino che solo adesso, sulle soglie della morte, apre i nostri occhi! Che solo adesso… mi fa capire… che ti amo…!" balbettò in lacrime, mentre il suo scettro si illuminava brillante come una stella.

"Zeus…" sussurrò Era, e nonostante il dolore, sul suo volto la sorpresa lasciò spazio ad un fugace sorriso sereno.

Ancora bloccato, Erebo si dimenò, trafiggendo il corpo della Dea con tutti gli spuntoni e le lame della sua corazza, senza però riconquistare la libertà.

Poi Zeus riaprì gli occhi, ogni traccia di amarezza scomparsa, sostituita dalla determinazione del re degli Dei.

"Erebo! Questa è l'arma che ha precipitato i Titani negli abissi del Tartaro! Folgore Tonante!!"

Accompagnato dal boato del tuono, lo scettro di Zeus si mutò in una lama di luce e saettò contro il nemico. Nello stesso momento, con un ultimo sorriso, Era fece esplodere il cosmo che ancora le restava, unendolo alla deflagrazione dell'ultimo colpo segreto di Zeus.

La detonazione che seguì fu assordante, e generò un'onda d'urto tale da far tremare il tredicesimo tempio divino, abbattendone alcune pareti e colonne, e sollevando una fitta nuvola di polvere.

Ansimante, Zeus rimase in attesa, lo sguardo fisso sul punto in cui si trovava il nemico, in attesa che la polvere calasse.

Quando ciò avvenne però, a terra vi era soltanto il corpo straziato e senza vita di Era, circondata da frammenti di armatura. Erebo era scomparso.

"Croce…" sibilò una voce all'orecchio del Dio da dietro le sue spalle, spingendolo a cercare di voltarsi di scatto "… dell'Ebano!!"

Il colpo di energia nera lo travolse in pieno, frantumando lo schienale e quel che restava delle ali della sua armatura, e sfregiandone le carni. Zeus venne scaraventato per vari metri in aria, e poi cadde malamente a terra, frantumando il marmo sotto il suo corpo.

Aprendo faticosamente gli occhi, vide il nemico avanzare verso di lui, totalmente incolume.

"Com'è possibile… nessuno può rimanere indenne dopo aver subito la Folgore Tonante, nemmeno tu! Come… come hai fatto?!" domandò disperato.

"Non lo immagini?" sussurrò Erebo, sorridendo malignamente e trafiggendolo al braccio con la spada "Eppure la risposta è stata davanti ai tuoi occhi, per millenni ti sei tormentato ripetendola! La profezia che secoli orsono ti gettò negli abissi della disperazione portava già con se i semi della tua sconfitta!"

A queste parole, gli occhi di Zeus si spalancarono sbalorditi. "Come fai a sapere della profezia?!"

"L'ho vista nei ricordi di Oberon: leggere la sua mente, assorbire la conoscenza di quel che era accaduto nei millenni in cui ero stato prigioniero è stata la prima cosa che ho fatto al mio risveglio! E nei suoi ricordi, ho visto la notte in cui tutto è cominciato, attraverso le misteriose parole delle Strane Sorelle!

"Per tutto questo tempo, vi siete concentrati esclusivamente sui versi della profezia, ma era un'altra la frase cui avreste dovuto prestare maggiore attenzione, perchè in essa era nascosta l'ineluttabilità della mia vittoria! «Nessuna mano divina potrà scalfirne le carni…»" recitò.

"Uh… uuh… ma… allora…" balbettò Zeus.

"Vedo che hai capito, finalmente! Per quanto molto più potente di ciascuno di voi, neppure io sono più forte di tutti voi messi insieme! Ma la mia vittoria non è una questione di forza: per supremo decreto di Colui che è Imperatore di noi tutti, il mio corpo è immune al potere divino! Quand'anche tutti gli Dei del creato mi muovessero guerra, non troverebbero che la morte senza essermi riusciti ad arrecare il più mero graffio!" disse trionfante.

Sconvolto, Zeus chinò il capo, non trovando parole atte a ridargli forza. Anzichè attaccarlo però, Erebo si piegò su un ginocchio, avvicinando il proprio volto a quello del nemico e spellandone la guancia con gli artigli.

"Ma prima che ponga fine alla tua vita, lascia che ti dica un'ultima cosa, Zeus figlio di Crono. Io, debbo ringraziarti!" sorrise.

"Ri… ringraziarmi?!" balbettò il Dio confuso.

"Proprio così, perchè avresti potuto indebolirmi oltre ogni dire, e non l'hai fatto, permettendomi invece di diventare più forte nonostante la prigionia!" ammise.

"Ti prendi gioco di me, come posso io averti rafforzato ?!" esclamò Zeus, frustrato dal modo in cui il nemico si stava chiaramente prendendo gioco di lui. Alla sua domanda, il sorriso sul volto del demone si allargò.

"Io sono Erebo, la Prima Tenebra, sovrano ancestrale dell'oscurità! Ogni volta che un essere umano ha paura di uscire solo nella notte, ogni volta che il suo cuore sobbalza alla vista di un vicolo ombroso, ogni volta che, camminando nel buio, guarda dietro le proprie spalle e affretta il passo, io mi rafforzo. E' questa la più grande forza delle tenebre, il terrore dell'ignoto che portano con se, la paura dei pericoli che esse potrebbero celare! Gli uomini hanno fatto molto per me in questi millenni, ogni criminale e assassino che ha fatto dell'ombra il proprio scudo ha accresciuto il mio potere, ogni codardo che si è lasciato sopraffare dalla paura della notte ha aumentato la mia grandezza! Se anzichè voltare le spalle all'umanità e dedicarti ai tuoi piani, in questi secoli avessi impiegato i tuoi poteri per rendere la Terra un luogo scevro da ogni male, in cui la paura non avesse ragione d'esistere, la mia forza non sarebbe mai divenuta così grande. Di questo ti sono grato!" spiegò, mentre Zeus lo fissava atterrito.

"Ma ancora di più, ti sono grato per aver messo in moto con la tua stessa mano gli eventi che mi hanno riportato qui oggi, liberandomi da millenni di prigionia! Perchè se non fosse stato per te, sarei ancora sigillato adesso!" insinuò.

"Io… liberato te?" balbettò il Dio impallidendo.

"Pensa, signore d'Olimpo! Timoroso della profezia, hai condotto qui i Cavalieri di Atena per addestrarli, e affinchè essi avessero una speranza di sopravvivere, hai sottoposto te e gli altri Dei al Rito di Sigillo! Queste due azioni hanno fornito ad Oberon l'opportunità che bramava da secoli, spingendolo ad attaccare con le sue legioni! Nel conflitto che è seguito, egli ha fatto ricorso al Rito della Chiamata, indebolendo le mie catene abbastanza da permettermi di liberarmi! Ma se tu non avessi mai portato qui i Cavalieri…"

Intuendo cosa il nemico intendesse, Zeus impallidì con gli occhi sbarrati, ma Erebo lo ignorò, proseguendo

"Oberon non avrebbe mai osato attaccare se tu non gli avessi offerto un'occasione così ghiotta, e Titania non gli avrebbe permesso di eseguire il Rito finchè i Guardiani fossero ancora in vita! La situazione sarebbe rimasta immutata, forse per l'eternità! Ma alla disperata ricerca di un modo per impedire il compiersi della profezia, sei stato tu stesso a muovere i fili che le hanno permesso di avversarsi!" esclamò all'apice della gioia, ridendo dell'espressione sconvolta del Dio.

"Non è possibile… la profezia…" balbettò Zeus

"Le profezie sono creature infide! Serpi che nascondono al proprio 'interno le loro stesse uova! Il mio ritorno… la profezia non si limitava ad annunciarlo, ne era anche imprescindibile strumento! Proprio come te…" sibilò Erebo.

Nel sentir ciò, nel capire il modo in cui era stato manovrato, il signore dell'Olimpo venne meno e, con gli occhi ancora sbarrati, lasciò cadere la fronte nella polvere.

Sorridendo, la Prima Ombra si rialzò in piedi "Tutte le tue speranze sono in polvere, proprio come i miseri esseri umani in cui le avevi riposte! E' la sorte che meriti per aver creduto in creature così insignificanti! Esseri inferiori persino ai tuoi stessi figli: hanno subito lo stesso colpo che ha massacrato Eolo e Artemide, ma di loro non è rimasta che polvere!" disse.

A queste parole, il ricordo di un fugace dubbio riemerse dalla memoria di Zeus, che alzò di nuovo lo sguardo.

"Che… vuoi dire?!" domandò.

"Prive della natura divina, le loro carni non sono state risparmiate! Il Fiat Nox che ha ucciso i tuoi figli, non si è accontentato delle loro vite, di loro non ha lasciato che cenere di cenere!" affermò, sorridendo nel vedere gli occhi e la bocca di Zeus aprirsi leggermente.

"Ed ora…" minacciò, sollevando la spada.

Ma in quel momento, il cielo stesso sembrò esplodere di collera, illuminandosi di lampi tempestosi e risuonando del boato assordante di centinaia di tuoni.

"Che il tuo cuor sia saldo, vecchio amico, la speranza non è ancora perduta! Avanti, Tanngnjostr! Forza, Tanngrisnir! Portatemi in battaglia!!" gridò una voce nella tempesta, e nello stesso momento un raggio azzurro accecante investì Erebo, sbattendolo tra le macerie molti metri più indietro.

Riconoscendo il cosmo giunto in suo soccorso, Zeus alzò la testa al cielo. Alla guida di un carro da guerra trainato da due caproni, con in mano la spada Balmung ed indosso la sua armatura divina, Odino era sceso in campo.

"Tu… come mai qui?" domandò il signore del fulmine, guardando incredulo il compagno nel suo carro volante.

"Perchè tanto stupore?" gli sorrise Odino, continuando nel contempo a spronare in avanti i due caproni "Non avevi forse predetto che ci saremmo rivisti prima della fine? Erebo è una minaccia per il mondo intero, l'Olimpo e Asgard combatteranno insieme per debellarla!"

Detto questo, il Dio nordico sollevò con fierezza la spada sopra la testa, incitando gli animali, che si diressero a tutta velocità in rotta di collissione contro Erebo, appena rialzatosi.

Tanngnjostr e Tanngrisnir piegarono in avanti le teste, lanciandosi alla carica con le corna spianate, e con un nuovo boato si schiantarono sul nemico, che non riuscì a celare una smorfia di dolore nel venire travolto.

Saltando agilmente, Odino abbandonò il carro da guerra prima che andasse in pezzi, atterrando di spalle davanti a Zeus, con la spada in pugno.

"Tanngnjostr e Tanngrisnir sono immortali, finchè ne saranno conservate la pelle e le ossa, potrò riportarli in vita più tardi!" disse, anticipando la domanda dell'amico.

Poi il Dio di Asgard si guardò attorno con la coda dell'occhio, contemplando addolorato la devastazione che li circondava. Dello splendore del più bello dei templi divini non era rimasto niente, ovunque vi erano solo sangue, macerie e cadaveri.

"Sembra che la falce della morte in persona sia passata di qui, che razza di demonio abbiamo di fronte?" si chiese, osservando Erebo rialzarsi spingendo via i resti del carro ed i cadaveri dei caproni.

"Tanngnjostr, che fa scricchiolare i denti, e Tanngrisnir, che fa stridere i denti! Sei ridotto ad usare le cavalcature di tuo figlio Thor, Odino?" lo derise la Prima Ombra.

"Sono serviti al loro scopo: spingerti nella polvere!" ribattè a testa alta il Dio, stringendo la spada con entrambe le mani. Una traccia di sorriso però comparve sul volto di Erebo.

"Non mentire con me, Dio senza più corte! Conosco bene le ragioni per cui se qui da solo adesso, privo dei tuoi figli più fedeli e persino del tuo destriero, Sleipnir! I ricordi di Oberon mi hanno svelato la verità" insinuò.

Aggrottando le sopracciglia, Odino non rispose nulla, ed Erebo proseguì

"Il signore dei cavalli, il tonante Thor dal mitico Mjollnir, Balder il puro, Tyr il coraggioso, e centinaia di altri sudditi… tutti loro sono caduti, secoli fa, nella grande battaglia ai confini del mondo, incrociando le spade con l'esercito dei Giganti del ghiaccio, guidati da Ymir e da Loki, la serpe che covavi in seno! Due eserciti che si sono massacrati a vicenda, lasciandosi alle spalle morte e desolazione. Tu soltanto ti sei salvato quel giorno… ma cosa vi è di più patetico di un Dio senza più regno? Solo Freja, che dell'arte della guerra non è certo maestra, ed Heimdall, che fu lasciato a guardia di Bifrost, ti sono rimasti!" ricordò.

Per qualche secondo, Odino rimase impassibile, costretto contro la sua volontà a rivedere il momento in cui, affondata la propria spada nel cranio di Ymir, si voltò per scorgere attorno a se soltanto morte. Le armi dei Giganti, intinte nel letale veleno di Jormungander, non avevano lasciato scampo agli eroi di Asgard, e persino Thor alla fine era caduto, con il martello ancora in pugno, circondato da un numero sconfinato di nemici abbattuti.

Ma in quella devastazione, Odino aveva saputo trovare una piccola fonte di speranza, perchè le morti di Loki, Tyr, Balder e Thor, così diverse da quelle profetizzate dalle leggende, avrebbero dovuto impedire l'avvento del Ragnarok, il Crepuscolo degli Dei che avrebbe condotto alla fine del mondo. E in effetti, le grandi bestie dell'apocalisse erano rimaste intrappolate, e sino al risveglio di Erebo, nessun segno aveva fatto presagire che la fine fosse vicina.

Forte di questa sicurezza, Odino tenne testa allo sguardo derisorio del nemico "Non credere che le tue parole possano abbattermi, Thor e tutti gli altri sono caduti per una giusta causa! Con le loro vite, hanno impedito all'ignobile armata di Loki di devastare Asgard e Midgard! Mai padre è stato più fiero della propria prole, mai sovrano più orgoglioso dei suoi sudditi! Anche se senza di loro oggi combatto, saprò contrastarti!" disse con sicurezza, lanciando un fendente di energia con la spada ed obbligando Erebo a difendersi.

Intonando un canto di guerra, Odino scattò contro il nemico, e le due lame cozzarono in aria.

Schivato un affondo del massacratore dell'Olimpo con un movimento laterale, il signore di Asgard ruotò sui talloni e vibrò un fendente a spazzare in direzione della gola dell'avversario. Erebo però si chinò di scatto, facendo contemporaneamente partire un affondo dal basso verso l'alto che strisciò sulla guancia di Odino, aprendogli un sottile taglio.

Spostando il baricentro all'indietro, il Dio sferrò un calcio nell'addome dell'avversario, sbilanciandolo leggermente, ma dovette poi allontanarsi di scatto per evitare l'improvviso allungarsi delle sue unghie. Nel balzare indietro però, sollevò il palmo verso la Prima Ombra, lasciando partire una corrente gelida con cui lo investì, depositando un sottile strato di brina sulla sua corazza.

Scrollandosela di dosso, Erebo espanse il suo cosmo, creando un'enorme bolla di energia nera ed indirizzandola verso Odino. Vedendola arrivare, il Padre di Tutti fece lo stesso, concentrando la sua aura in una sfera dai riflessi azzurri ed argentei, ed i due poteri si scontrarono a mezz'aria, in apparente equilibrio.

"Demone massacratore! Io che sono stato chiamato Vidurr e Grimnir, Kialar e Hàrbardr, Pror e Svipall, giuro su quanto ho di più caro che non ti permetterò di estendere la tua oscurità sui Nove Mondi! In nome dell'eterna Asgard, io ti fermerò!" gridò con rabbia il Dio del Nord, imprimendo maggiore energia nel suo assalto, e spingendo di qualche passo indietro la creatura ancestrale.

Dopo un istante però, l'aura di Erebo triplicò di energia, ristabilendo l'equilibrio e cominciando persino a prevalere. "Sei avvezzo alla battaglia e signore dell'arte guerriera, ma ciònonostante non potrai mai sconfiggermi! Quel che ho detto a Zeus vale anche per te: i tuoi colpi non possono arrecarmi danno permanente! E anche se così non fosse, l'immenso cosmo della notte è ben superiore a qualsiasi tua risorsa!" esclamò, tendendosi in avanti e frantumando la sfera di Odino, che venne scaraventato a terra.

Rialzatosi immediatamente, il Dio conficcò Balmung nel suolo fino all'elsa, spostando poi tutto il proprio peso in avanti e liberandola di scatto, in un fendente azzurro che tagliò la terra e l'aria, costringendo Erebo a difendersi incrociando le braccia. Il sovrano di Asgard poi sollevò la mano sopra la testa, concentrando in essa il suo cosmo e calandola in avanti.

Una tormenta di neve persino più forte della precedente spirò contro il nemico, e dal suo interno uno stormo di corvi neri come la pece sembrò materializzarsi dal nulla, saettando verso il bersaglio con gli artigli tesi. All'ultimo momento, essi si mutarono in raggi di energia, che però, anzichè schiantarsi direttamente su Erebo, ruotarono attorno a lui, colpendolo di striscio al collo e la testa, cercando di prendere di mira gli occhi.

Dopo averne allontanati alcuni con le mani, la Prima Ombra allargò le braccia, generando un'ondata di energia che disperse le nevi ed i corvi, spingendo indietro lo stesso Odino. Poi, troppo veloce perchè il Dio potesse difendersi, gridò "Croce dell'Ebano!", colpendolo in pieno addome e scaraventandolo malamente a terra.

Strisciando sulla schiena per alcuni metri, Odino sbattè contro le rovine del tredicesimo tempio. Senza dargli respiro, Erebo fu subito su di lui e, afferratolo per il volto, lo trascinò a se e tempestò di pugni, facendogli sputare sangue ed aprendo numerose piccole ferite sul viso.

La barba bianca del re del Nord si tinse di cremisi, ma stringendo l'unico occhio rimastogli, Odino concentrò il proprio cosmo nella mano, che iniziò a brillare di una luce bianca intensissima.

"Trafiggi i miei nemici senza tregua, Gungnir!" ordinò, e l'aura nella sua mano si mutò in una lancia di luce, che colpì Erebo all'addome, spingendolo indietro. Con sommo stupore di Odino però, il demone non cadde ed anzi rimase saldamente in piedi, privo di ferite apparenti.

"Che inganno è mai questo?! Nessuno è mai sopravvissuto al taglio di Gungnir, tantomeno a distanza così ravvicinata!" esclamò sbalordito, il sovrano di Asgard, e nello stesso momento sollevò la mano sopra testa, lanciando l'arma in avanti.

Sorridendo sinistramente, Erebo l'intercettò a mezz'aria con la propria spada, mandandola in pezzi.

"«Nessuna mano divina potrà scalfirne le carni…»" ripetè la Prima Ombra, trionfante "E adesso preparati, perchè prenderò la tua vita! Fiat…"

La minaccia insita in queste parole fece rabbrividire Odino, che strinse Balmung con entrambe le mani, preparandosi allo scontro finale.

Prima che Erebo potesse sferrare il suo colpo mortale però, una saetta volò contro di lui, obbligandolo a interrompere l'offensiva per deviarla con il dorso del braccio.

Voltandosi, i due videro Zeus, nuovamente in piedi.

Il signore dell'Olimpo guardò in direzione dell'alleato, concedendosi un sorriso tirato e stanco.

"Ti ringrazio, amico mio! Se vi è ancora un barlume di speranza a questo mondo, il tuo intervento potrebbe un giorno rivelarsi determinante…" disse enigmatico. Poi, con il sorriso ancora sulle labbra, sollevò lentamente la mano fino a portarla davanti al viso e, con un gesto improvviso, si cavò l'occhio destro, di fronte agli sguardi sbalorditi di Odino ed Erebo.

"Zeus…" balbettò incredulo e confuso il Dio del Nord.

Dopo aver osservato per un istante il bulbo oculare, ancora intatto tra le sue dita, Zeus lo lanciò via tra le macerie del tempio, avviandosi fino ad arrivare accanto all'amico, con lo scettro ben saldo in mano ed il volto grondante sangue.

"Sei impazzito in vista della fine? La certezza del fato che ti attende ti ha privato del ben della ragione?" lo derise Erebo, ma Zeus lo ignorò, voltandosi piuttosto verso Odino.

"Preparati amico mio, perchè questo sarà l'ultimo scontro. Attaccheremo Erebo insieme, e che la sorte ci sia propizia!" lo esortò, sollevando lo scettro.

Il Dio di Asgard lo osservò perplesso in silenzio per alcuni secondi, poi annuì, facendo comparire nuovamente Gungnir nella mano destra, e sollevando Balmung con la sinistra.

"Avete deciso di dare il vostro addio al mondo in un duello all'arma bianca? E sia, vi accontenterò!" disse Erebo, portandosi la mano dietro la schiena e staccando una seconda lama, in modo da avere ora due spade. Avvolgendole dell'oscurità del suo cosmo, le incrociò dinanzi a se.

Con un ultimo sguardo d'intesa, Zeus e Odino sospirarono, facendo esplodere maestosamente i loro cosmi. Bagliori splendenti d'oro e turchese rischiararono la notte, illuminando il piazzale del tredicesimo tempio.

"In nome della giustizia, e di tutte le vittime dell'oscurità, si compia adesso il nostro destino! Folgore Tonante!!!" gridò Zeus

"Per Asgard, e tutti gli Dei nei secoli caduti per arrestare l'avanzata del male, vola, Gungnir!!!" lo affiancò Odino.

"Che le tenebre troppo a lungo domate assumano il posto che gli spetta di diritto nel cielo! Croce dell'Ebano!!" comandò Erebo, correndo loro incontro a spade incrociate.

Con un'esplosione talmente maestosa da essere udita persino sulla terra, in un tripudio di luce ed ombra, i tre poteri si scontrarono.

Quando tutto fu tornato normale, per la prima volta sui coprispalla ed i bracciali di Erebo erano ben evidenti delle scheggiature, sottili e profonde. Ignorandole, egli si voltò.

Qualche metro alle sue spalle, lo scettro di Zeus andò in pezzi tra le mani del suo padrone, cadendo accompagnato da frammenti di armatura e flotti di sangue. Il pettorale del Dio era infatti completamente sfondato all'altezza del cuore e del fianco destro, ed una spaccatura orizzontale ne attraversava il torace.

"Era… figli miei… vengo… da voi…" sussurrò il signore dell'Olimpo, chiudendo l'occhio ed accasciandosi a terra, privo di vita.

Accanto a lui, con la mano, il fianco ed il lato sinistro del torace martoriati, Odino agganciò Balmung alla cintura e barcollò in avanti.

"Mia armatura… vola… ad Asgard…" disse in un filo di voce, prima di crollare esanime.

Obbedendo all'ultimo ordine del suo signore, la corazza si staccò dal suo corpo, riassemblandosi e svanendo nella notte.

Con un sorriso trionfante sul viso, Erebo ripose le due spade dietro la schiena e sollevò la mano al cielo, attirando a se le essenze di Era, Zeus e Odino. Queste ultime due in particolare sembrarono agitarsi e tentare la fuga, ma non poterono sfuggire all'attrazione dell'aura della Prima Ombra.

Quando anche loro furono assorbite, lo Sterminatore dell'Olimpo scoppiò in una risata fragorosa, ebbra di una gioia selvaggia, che risuonò spaventosa ovunque nel mondo.

"I Numi del cielo sono caduti, non esistono più Dei nell'alto Empireo! Io, la Prima Ombra, portatore del Caos, ho vinto!! Risvegliatevi e venite a me, voi tutte creature dell'Apocalisse! Il regno di oscurità e tenebre di Erebo ha oggi inizio!! Ah ah ah ah ah!!!"