Questa volta il periodo di pace fu più lungo dei precedenti. I cavalieri ebbero modo di rimettersi dalle loro ferite e finalmente poterono passare del tempo in tranquillità. Per prudenza comunque i ragazzi fecero riparare le armature dal Grande Mur, anche se tutti loro speravano di non doverle più indossare. Per rilassarsi, il gruppo, eccetto Phoenix, scomparso come suo solito, si recò in una delle ville di campagna di Isabel, dove potevano divertirsi con lunghe passeggiate nei boschi. Purtroppo, anche stavolta la pace non durò ed una nuova minaccia si presentò ai cavalieri nei panni di Apollo, Dio del sole, venuto a riprendersi sua sorella Atena prima di distruggere la terra con terremoti ed eruzioni. Insieme ad Apollo vi erano i suoi tre cavalieri, Atlas, Jao e Berenice, ed incredibilmente anche Gemini, Capricorn, Fish, Acquarius e Cancer, resuscitati dai poteri del Dio e con indosso armature esteticamente identiche a quelle d'oro originali.

La presenza del Dio e degli antichi nemici causò smarrimento in Andromeda e gli altri, ma ancora di più lo fece la decisione di Isabel di seguire spontaneamente il fratello e di lasciare che Pegasus venisse duramente colpito da Atlas senza intervenire o permettere agli altri di farlo. Sbalordito, Andromeda vide Isabel allontanarsi insieme ad Apollo, seguita dai cavalieri d'oro e dai cavalieri del Dio del sole. Confuso e demoralizzato dalla decisione di Isabel, Andromeda tornò insieme agli altri alla darsena, alla casa di Pegasus dove, oltre a discutere la situazione, curò le ferite dell'amico, uscito malconcio dalla schermaglia con Atlas, specie visto che Isabel gli aveva inspiegabilmente ordinato di non difendersi. Riflettendo, il ragazzo ricordò di aver percepito una grande vicinanza tra i cosmi di Atena ed Apollo, e non potè fare a meno di chiedersi se il loro legame fraterno non fosse tale da spingere la Dea ad abbandonarli. La conversazione comunque si concluse bruscamente quando Pegasus, abbattuto persino più dei compagni, ebbe uno sfogo di rabbia e disperazione e poi corse via in lacrime.

Non avendo alternative, Andromeda tornò nella sua casa, consapevole in cuor suo che il peggio doveva ancora succedere. Purtroppo le sue previsioni si rivelarono esatte, quella stessa notte, dopo ore insonni passate sul letto a pensare, il ragazzo avvertì il cosmo di Atena che si spegneva, segno inequivocabile della morte della Dea. Lacrime di disperazione sgorgarono dagli occhi del cavaliere, che per la prima volta in vita sua era stato incapace di proteggere Atena da un nemico. La mattina dopo però portò una nuova determinazione, che spinse Andromeda a partire per la Grecia, dove si trovava il tempio di Apollo. Per di più, Andromeda era in ansia per Pegasus, che non era più a casa sua, e temeva che fosse partito da solo andando allo sbaraglio. Con in spalle lo scrigno della sua armatura, l'eroe raggiunse le scoscese montagne che circondavano il tempio del Dio, luogo inaccessibile da secoli, ed iniziò la scalata. Le correnti ascensionali e le rocce dotate di ben pochi appigli però lo misero in difficoltà ed il ragazzo rischiò di cadere. A salvarlo per una volta non fu Phoenix ma Sirio, deciso a sua volta a cercare di raggiungere il tempio di Apollo, ed insieme a lui vi era anche Cristal. Riunitisi, i tre misero insieme quel che sapevano, in particolare riguardo l'avventata partenza di Pegasus, e si chiesero che speranze potessero avere da soli contro un Dio potente come Apollo.

Pur condividendo i dubbi dei due amici, Sirio li esortò a non perdere la speranza, ricordando loro quante e quali avversità avevano superato in passato, ed alla fine i due annuirono e decisero di tentare ancora la sorte. Per avere più speranze di raggiungere Apollo, i tre amici indossarono le armature e si separarono, dandosi appuntamento al tempio del Dio. Dopo una lunga corsa, Andromeda si ritrovò in un sentiero erboso, delimitato da due colonnati. Colpito dalla bellezza del posto, si avvicinò ad alcune rose che erano cresciute attorno ad una delle colonne e ne prese in mano una, ma l'attimo di tranquillità venne improvvisamente interrotto da una rosa rossa, lanciata contro di lui. Dalle colonne emerse Fish, che rimproverò Andromeda per aver dimenticato il pericolo composto dalle rose. Osservando il sangue che scorreva da un taglio alla mano, provocato dalle spine, Andromeda inorridì, ma Fish lo rassicurò, affermando che quei fiori non erano avvelenati (vedi Note). Subito dopo però l'antico cavaliere d'oro attaccò sul serio, con una pioggia di rose rosse. Usando la catena, Andromeda riuscì a salvarsi dal primo assalto, ma poi, memore del modo in cui la sua arma era stata distrutta da Fish la prima volta, decise di ricorrere subito alla Nebulosa. Prima di attaccare, Andromeda chiese a Fish di arrendersi, ma l'uomo rifiutò, spiegando che la sconfitta subita la prima volta aveva offeso la sua bellezza e che quindi doveva essere vendicata. Non avendo scelta, Andromeda attaccò con la Nebulosa, senza rendersi conto di aver commesso il più basilare degli errori: usare una tecnica che il suo nemico conosceva già. Fish, usando la nebbia provocata dal polline delle rose, riuscì a schivare il vortice del nemico, e nello stesso momento gli conficcò una rosa bianca nel cuore.

Incapace di estrarre il fiore per via del polline delle rose rosse, respirato durante lo scontro, Andromeda si ritrovò inerme e crollò a terra, mentre il suo sangue tingeva di rosso l'erba sottostante. Con un disperato sforzo di volontà, l'eroe tentò di avanzare ancora e riprendere lo scontro, ma Fish lanciò contro di lui altre rose bianche, che solo l'intervento provvidenziale di Phoenix fermò. Il cavaliere della Fenice tolse la rosa bianca dal petto di Andromeda, salvandolo, e dopo averlo rassicurato circa la situazione di Atena, che poteva ancora essere salvata, affrontò Fish in una breve battaglia, dalla quale uscì facilmente vincitore. Notando che Andromeda era troppo debole per camminare, Phoenix lo prese per portarlo in spalla, ma dopo pochi passi i due vennero attaccati improvvisamente da Atlas. Per proteggere Andromeda, Phoenix lo gettò a terra e subì in pieno la maggior parte del colpo, perdendo i sensi. Andromeda subì l'esplosione solo in maniera minore, anche se l'energia fu abbastanza da frantumare alcuni pezzi della sua armatura.

Ore più tardi, quando ormai era calata la notte, Andromeda si riprese e si incamminò verso il tempio di Apollo trascinando con se Phoenix, troppo malridotto per camminare da solo. I due arrivarono giusto in tempo per salvare Cristal da Atlas, ma non poterono niente contro la forza del cavaliere di Apollo. Atlas infatti usò la catena stessa per tirare Andromeda verso di se e poi lo colpì a mezz'aria, lanciandolo contro la scalinata di pietra del tempio con l'armatura completamente distrutta. Oramai completamente esausto, il ragazzo potè solo assistere al resto della battaglia, alla quale si unirono anche Sirio e Pegasus. Fu proprio la ritrovata determinazione di quest'ultimo a dare ai cavalieri la forza di non arrendersi e di raggiungere il settimo senso, che fece comparire le armature d'oro. Come già contro Nettuno, Andromeda non indossò alcuna corazza dorata, ma rimase a guardare mentre Pegasus, Sirio e Cristal abbattevano Atlas e si lanciavano contro Apollo.

Contro il Dio del Sole nemmeno la forza dei nuovi cavalieri d'oro sembrava bastare, ma alla fine Andromeda e gli altri unirono i loro cosmi a quello di Pegasus, permettendogli di riportare in vita Lady Isabel, la cui anima era in procinto di entrare in Ade. Risollevato dall'avere di nuovo Isabel accanto, Pegasus seppe persino trovare la forza di sconfiggere Apollo con la freccia di Sagitter. Vittoriosi anche contro questa minaccia, i cavalieri poterono tornare a sorridere ed a guardare al futuro con una speranza. D'altra parte, quell'esperienza aveva mostrato la necessità di essere sempre pronti a combattere, e così ancora una volta gli eroi fecero riparare le loro corazze da Mur.

Una nuova minaccia non tardò ad arrivare, stavolta nei panni di Lucifero, l'angelo decaduto che, dopo essere stato condannato a secoli di prigionia da Atena ed altre divinità, era tornato per vendicarsi insieme ai suoi quattro demoni. Per testimoniare la sua venuta Lucifero fece sconfiggere i cavalieri d'oro di Atene superstiti e decapitò una delle statue della Dea presenti al Grande Tempio. Ovviamente, Isabel venne ad investigare insieme a Pegasus, Cristal ed Andromeda, e fu così che il ragazzo si trovò per la prima volta di fronte a Lucifero ed i suoi seguaci. L'angelo rivelò di avere in se i poteri di Apollo, Nettuno e Discordia e di essere pronto a distruggere l'umanità se Atena non si fosse consegnata a lui. Nel sentire queste parole Andromeda e gli altri attaccarono ma, privi delle loro armature, vennero facilmente sconfitti e feriti dai guerrieri nemici. Per salvarli, Isabel li fece ricoverare in un ospedale di Atene, dove i tre vennero raggiunti da Sirio, che li informò che Isabel aveva accettato le condizioni del nemico e stava andando a consegnarsi. Nonostante le loro precarie condizioni, Andromeda e gli altri insistettero per seguire Dragone verso il palazzo del nemico, apparso dal nulla tra le montagne greche.

Indossate le armature, i quattro iniziarono a seguire i passi di Isabel, che però era molto più avanti di loro. Per di più le ferite subite si facevano sentire, ed in particolare Andromeda faticava a camminare. Nel corso del cammino gli amici vennero attaccati a più riprese dai demoni di Lucifero. Dopo aver lasciato i primi due a Sirio, l'unico del gruppo a non avere ferite recenti, Andromeda si offrì di affrontare da solo il terzo nemico che sbarrò loro la strada, Eligor della Mantide, per far proseguire Pegasus e Cristal. A malincuore i due accettarono e lasciarono ad Andromeda il nemico. Eligor però si rivelò ben più forte di quanto sembrasse, le sue mani, affilate come le chele di una mantide, erano capaci di respingere la catena del cavaliere, che fu costretto a cambiare strategia. Memore dello scontro con Kira e di come la disposizione a tela di ragno avesse intrappolato la libellula, Andromeda decise di usarla di nuovo contro la mantide, sperando di ottenere gli stessi effetti. Eligor però mostrò di essere facilmente capace di spezzare le catene e di liberarsi, lasciando Andromeda disarmato.

Non avendo alternative, il ragazzo fu costretto sulla difensiva, ma la forza e la velocità di Eligor ebbero rapidamente il sopravvento, frantumando la sua armatura ed obbligandolo a cercare di schivare affondi sempre più mortali. Avvertendo che anche Cristal era in difficoltà, Andromeda tentò di farsi forza e reagire, ma lo sforzo fu vano ed Eligor gli conficcò la mano nel torace, ferendolo quasi a morte. Ancora una volta in aiuto di Andromeda dovette venire Phoenix, che sconfisse con facilità Eligor grazie al suo Fantasma Diabolico. Stavolta però il cavaliere della Fenice non soccorse il fratello, ed anzi lo rimproverò duramente per non essere stato capace di sconfiggere da solo il suo avversario, come invece avevano fatto Sirio e Cristal. Il rimprovero di Phoenix, che poi corse via senza voltarsi indietro, colpì profondamente Andromeda, che comprese di non poter contare ogni volta su di lui. Facendo affidamento solo sulle sue forze quindi, Andromeda si risollevò e barcollò verso il palazzo di Lucifero. Lungo il cammino il ragazzo trovò anche Cristal, svenuto al suolo dopo lo scontro col suo nemico, e lo aiutò a rimettersi in piedi. Sorreggendosi a vicenda, i due ripresero il cammino che li portò fino ai piedi del trono di Lucifero, dove arrivarono appena in tempo per salvare Pegasus da Belzebù, l'ultimo demone ancora in vita.

Alla fine, come già contro Apollo, Andromeda unì il suo cosmo a quello degli amici per sostenere Pegasus e permettergli di invocare l'armatura del Sagittario, con la quale l'eroe salvò Isabel e sconfisse Lucifero.

Dopo questa nuova vittoria, i cavalieri sperarono davvero di non dover più combattere, e per questo decisero di non far neanche riparare le armature, che quindi rimasero piene di crepe e spaccature. Per di più, Andromeda riprese ad indossare il ciondolo con la scritta "Yours Ever" che credeva fosse un dono di sua madre, e che in passato aveva lasciato in un cassetto per timore di perderlo in un combattimento. Quando Sirio e Cristal partirono rispettivamente per i Cinque Picchi e la Siberia, e Phoenix scomparve di nuovo, non volendo restare da solo Andromeda si trasferì al palazzo di Isabel, che a sua volta era ancora in Grecia, al Grande Tempio, per rimettersi dalle fatiche delle ultime battaglie. Quando anche Pegasus partì per Atene per vedere la sua istruttrice Castalia, Andromeda rimase solo a palazzo con Mylock. I primi giorni passarono così tranquilli, ma una notte il ragazzo ebbe in incubo in cui vide una bambina da lunghi capelli corvini. Seppur ignaro che quella bambina fosse in realtà Pandora, della quale non aveva nessun ricordo, Andromeda si svegliò di soprassalto e con l'ansia nel cuore. Attimi dopo, il ragazzo sentì un cosmo maligno provenire dalla Grecia, e decise di precipitarsi lì con lo scrigno dell'armatura in spalla.

Incredibilmente, la strada gli venne sbarrata da Mylock, che, armato della sua spada di bambù, gli disse che, per ordine di Isabel, lui doveva restare a palazzo e non andare mai più al Grande Tempio. Queste parole lasciarono di sasso l'eroe, incapace di capirne il senso e la ragione. Ciononostante, Andromeda ritenne fosse suo dovere di cavaliere andare e quindi proseguì, mettendo fuori combattimento Mylock senza comunque ferirlo gravemente. Senza ulteriori esitazioni, Andromeda corse verso l'aeroporto privato di Isabel, attraversando la zona del porto, ma all'improvviso di rese conto di essere inseguito da tre nemici. Contro ogni previsione, i tre si rivelarono essere Orione, Dedalus ed Argetti, tre cavalieri d'argento che Pegasus aveva ucciso molto tempo prima, quando Ioria lo aveva attaccato in ospedale. Il comprensibile stupore del ragazzo non sfuggì ai tre, che rivelarono di essere stati riportati in vita da Hades, signore dell'aldilà ed eterno nemico di Atena, e di essere stati inviati per ucciderlo.

Prima di poter fare qualcosa, Andromeda, ancora troppo stupito per reagire, subì i colpi segreti di ciascuno dei tre e venne atterrato. Il pensiero di suo fratello, di Isabel e di tutti gli altri cavalieri però lo spinse a reagire e, nonostante detestasse l'idea, il cavaliere indossò ancora una volta la sua armatura. Come sempre desiderono di non arrecare morte, Andromeda cercò di far desistere i tre, ma alla fine fu obbligato a difendersi e ad usare la catena contro di loro, sconfiggendoli con un colpo solo. Argetti e Dedalus morirono senza un commento, Orione invece stranamente sorrise al nemico prima di spegnersi nuovamente. Ora consapevole della minaccia di Hades, Andromeda si precipitò all'aeroporto e convinse uno dei piloti privati della Fondazione a portarlo al Grande Tempio, con uno dei nuovi jet supersonici (vedi Note). In questo modo il viaggio durò solo un paio d'ore ed il cavaliere arrivò ben presto ad Atene. Lasciato il jet, Andromeda corse verso il Grande Tempio, ma dopo pochi passì incontrò Cristal, in arrivo dalla Siberia. Il cavaliere del Cigno raccontò di essere stato attaccato anche lui da nemici creduti morti e di essere venuto ad indagare perché aveva sentito un cosmo malvagio provenire dalle dodici case.

I due amici scelsero di proseguire insieme, ma, entrati nella zona sacra, si resero conto che la situazione era molto diversa da come l'avevano lasciata e che la Meridiana era di nuovo accesa. Alla ricerca di risposte, i due si incamminarono verso la prima casa, ma a metà strada, vicino al cimitero dov'erano sepolti i cavalieri morti in antiche battaglie, si imbatterono in Asher, Black, Aspides e Tisifone. I tre guerrieri di bronzo furono felici di vedere gli amici, ma Tisifone li accolse freddamente ed ordinò persino loro di andarsene, ripetendo quanto Andromeda aveva già sentito da Mylock, e cioè che Atena non li voleva più al Grande Tempio. La sacerdotessa era persino pronta ad affrontare i due, e Cristal sembrò altrettanto pronto a reagire, ma Andromeda lo fermò, ricordando ad entrambi che erano tutti dalla stessa parte. Nel corso del viaggio per la Grecia inoltre il ragazzo aveva avuto modo di riflettere sulle parole di Mylock, ed aveva capito che Atena non voleva farli soffrire ulteriormente dopo tutte le battaglie passate, e solo per questo stava cercando di lasciarli fuori dalla nuova guerra che si stava preannunciando. Ciononostante, e sebbene questo andasse contro la sua natura, Andromeda era pronto a combattere in quanto cavaliere di Atena. Le sue parole e la determinazione di Cristal fecero cambiare idea a Tisifone, che accettò di lasciar proseguire i due verso la prima casa.

Non molto lontano dal tempio dell'Ariete, i due sentirono un potente scontro di cosmi, ma quando arrivarono scoprirono che l'antico edificio era completamente distrutto ed al suo posto non era rimasto che un cratere. Per di più, dei due cosmi che si erano scontrati non era rimasto nulla. Non potendo far nulla, Andromeda e Cristal proseguirono verso il secondo tempio, ma dopo pochi passi vennero attaccati da una sfera di energia. Schivatala con un balzo, i cavalieri incontrarono il loro assalitore, Sirio, che li aveva aggrediti credendoli dei nemici. Dragone, visibilmente preoccupato, chiese agli amici se avessero visto Libra, che aveva combattuto alla prima casa, e quando i due gli dissero cos'era successo al tempio dell'Ariete, corse via per controllare di persona. Andromeda fu tentato di chiamarlo per farlo tornare indietro ma Cristal gli fece cenno di no, ed in effetti dopo pochi secondi Dragone tornò indietro di sua iniziativa, scusandosi per il suo gesto e prendendo la guida dei compagni. Sirio inoltre li informò della presenza di vari nemici decisi ad uccidere Atena e consigliò loro di indossare le armature. Seguendo il consiglio, Andromeda e Cristal indossarono le loro corazze e raggiunsero la casa del Toro, dove trovarono una brutta sorpresa: al suolo vi erano i pezzi dell'armatura d'oro del cavaliere, ma di lui non c'era traccia, segno che era caduto in battaglia contro i nemici.

Non potendo fare nulla per il compagno, Andromeda e gli altri proseguirono e, superata la terza casa, incustodita, raggiunsero la quarta, semidistrutta per motivi che il ragazzo ignorava. Sebbene avessero avuto l'impressione di percepire tre cosmi all'interno, tra cui quelli di Pegasus e Mur, una volta entrati non trovarono nessuno. Pensando di essersi sbagliati, Andromeda e Cristal proseguirono, seguiti da Sirio, che era più esitante. Poco dopo però i tre percepirono di nuovo dei cosmi scontrarsi e decisero di tornare indietro ad investigare. Stavolta i loro sospetti si rivelarono fondati ed i cavalieri trovarono Pegasus, svenuto per la fatica. Il ragazzo, appena ripresosi, corse via, preoccupato per Atena, ma gli altri lo convinsero ad aspettarli, ricordandogli che la loro forza era il legame d'amicizia che li univa. Sorridendo, Pegasus annuì ed i quattro guerrieri ripresero la loro corsa insieme. Nel corso del cammino Pegasus spiegò loro la situazione, nel Grande Tempio si trovavano Gemini, Acquarius e Capricorn, resuscitati da Hades proprio come Argetti e gli altri ed inviati ad uccidere Isabel. Per di più, era arrivato anche un plotone dei soldati regolari di Hades, gli Spectre, la cui forza rivaleggiava con quella dei cavalieri. Allarmati da queste notizie, i cavalieri corsero il più velocemente possibile verso il palazzo del Leone.

A metà strada però gli eroi trovarono qualcosa di interessante, i cadaveri di tre Spectre, privi delle loro armature e con segni di ferite mortali. I ragazzi passarono alcuni minuti ad esaminare i corpi e per questo motivo giunsero al palazzo del Leone troppo tardi per la battaglia. Ioria, che aveva già ucciso vari nemici, avvisò che gli altri avevano proseguito verso il tempio della Vergine. I quattro amici si prepararono a continuare l'inseguimento, ma Ioria li fermò, informandoli di avere un brutto presentimento e di temere che Virgo voglia morire affrontando i nemici. Preoccupati da queste parole, i cavalieri chiesero spiegazioni, ma Ioria rispose che la sua era solo una sensazione e poi decise di correre con loro alla sesta casa, dove già avvertiva i cosmi dei contendenti scontrarsi.

Durante la corsa i guerrieri avvertirono i cosmi degli Spectre che scomparivano, segno che era con Gemini e gli altri che Virgo stava combattendo ora, ma avvertirono anche l'accumularsi di una terribile energia, che Ioria comprese essere quella che preludeva all'Atena Exclamation, la tecnica proibita dei cavalieri in cui tre guerrieri si uniscono per ucciderne uno solo. Preoccupati, i cavalieri accellerarono il passo, ma raggiunto il tempio della Vergine vennero fermati da Mur, che sbarrò loro la strada, dicendo che Virgo era deciso a morire in quello scontro. Interdetti, Andromeda e gli altri esitarono, ed attimi dopo vi fu una terribile esplosione di energia nel luogo in cui la battaglia era in corso. Subito dopo, tutti poterono percepire la scomparsa del cosmo di Virgo.

La caduta del più potente tra i cavalieri d'oro produsse un senso di smarrimento nei ragazzi, oltre che di rabbia nei confronti dei cavalieri traditori. Le loro lacrime però vennero interrotte dall'arrivo di Gemini, Capricorn ed Acquarius, molto malconci per lo scontro ma ancora vivi. Nel vedere i tre, Andromeda potè immediatamente percepire un profondo dolore provenire dai loro cuori, ma prima di poter indagare Ioria li attaccò, furioso e determinato a vendicare Virgo. Con l'arrivo di Scorpio, che aveva lasciato la stessa casa per il medesimo motivo, la battaglia divenne sempre più accesa, finché Gemini, Capricorn ed Acquarius non stupirono tutti mostrando di voler usare di nuovo l'Atena Exclamation per eliminare tutti i nemici. I cavalieri di bronzo furono presi alla sprovvista, ma Mur, Ioria e Scorpio risposero con un gesto altrettanto definitivo e presero anche loro la posizione dell'Atena Exclamation. La direzione in cui la battaglia stava andando spaventò Andromeda e gli altri, consapevoli che l'Atena Exclamation aveva una potenza simile a quella del Big Bang, e che lo scontro di due colpi del genere avrebbe distrutto l'intero Grande Tempio. I quattro quindi cercarono di convincere i due gruppi a fermarsi, ma i loro sforzi risultarono inutili, ed i due Atena Exclamation vennero lanciati.

L'energia prodotta dallo scontro dei due colpi fu inaudita e creò un globo di energia che sprigionava una luce accecante. Siccome le due forze erano in perfetto equilibrio il potere non esplose subito, ma tutti si resero conto che non appena uno dei due gruppi avesse preso il sopravvento, lo scoppio sarebbe stato inevitabile. Inizialmente Andromeda e gli altri furono spinti indietro dal vento prodotto dalle energie cosmiche, ma poi decisero di intervenire ed unirono i loro cosmi a quelli di Mur, Scorpio e Ioria. Il vero scopo dei quattro amici comunque era disperdere l'energia dell'Atena Exclamation e così, guidati da Pegasus, si disposero in circolo attoro al globo di luce, cercando di contenerlo con i loro cosmi, nonostante così facendo rischiassero la vita dal momento che senza un'armatura d'oro erano indifesi. Nello stesso tempo, gli eroi parlarono a compagni e nemici, chiedendo il perché di uno scontro così inutile. Andromeda disse di poter sentire chiaramente il dolore nel cuore dei presunti traditori, e di essere sicuro che anche gli altri potessero fare lo stesso, quindi quello scontro tra cavalieri di Atena non aveva alcun senso. Le parole del ragazzo e dei tre amici commossero i sei contendenti, ma ormai era troppo tardi per fermare l'Atena Exclamation. I quattro eroi allora bruciarono i loro cosmi al massimo, raggiungendo ancora una volta il potere dei cavalieri d'oro, e scagliarono i rispettivi colpi segreti contro il globo, cercando di lanciarlo verso il cielo. Alla fine il loro sforzo ebbe successo e l'Atena Exclamation scomparve nel cielo notturno di Atene, ma non senza causare una violenta esplosione, che travolse e ferì i quattro amici, lasciandoli sotto le macerie della sesta casa.

Più tardi, Andromeda riprese i sensi, e scoprì con gioia che anche gli altri erano sopravvissuti. Mur e gli altri però sembravano spariti, e Pegasus aveva improvvisamente un terribile presentimento, quindi i ragazzi si avviarono più velocemente possibile verso la statua di Atena. Andromeda si occupò persino di sostenere Pegasus, in condizioni peggiori degli altri, ma quando però i cavalieri erano oramai vicini alla statua, una certezza improvvisa e terribile li pervase, il cosmo di Atena era scomparso, Isabel era morta. Incredibilmente, gli eroi ebbero da subito la sensazione che, per un motivo a loro ignoto, la fanciulla si fosse suicidata.

Disperati, i cavalieri raggiunsero lo spiazzo sotto la statua, ma vi trovarono solo il pugnale con cui Isabel si era uccisa ed una chiazza del sangue della fanciulla. Questa visione gettò tutti loro nello sconforto e nella disperazione, Andromeda e gli altri si convinsero di aver fallito nel loro compito di protettori della Dea e piansero la loro inutilità. Tra tutti, Pegasus fu quello che la prese peggio, ed i tentativi di Andromeda di consolarlo furono vani. Le lacrime degli eroi però vennero interrotte dall'arrivo di un uomo, che Sirio riconobbe essere Sion, l'ex Grande Sacerdote di Atene, il maestro di Mur nonchè colui che aveva affrontato Libra alla prima casa. Sion rise delle lacrime e della disperazione dei quattro, e queste parole, da parte di chi si comportava da traditore, fecero infuriare persino Andromeda, che si gettò contro di lui insieme agli altri. Sion comunque non si fece impressionare, e mostrò subito la sua forza travolgendo i quattro con un colpo solo. Dopo questo gesto però, il vecchio sacerdote decise di spiegare tutta la verità ai cavalieri.

Sbalorditi, gli amici videro Sion piangere sul sangue di Atena. Pegasus, ancora furioso, cercò di attaccare di nuovo, ma Andromeda, tornato in se, lo fermò, esortandolo ad ascoltare l'uomo. Prima di iniziare a parlare però, Sion lanciò alcune gocce del sangue di Atena sulla statua della Dea, che incredibilmente divenne subito minuscola e luminosa. Osservandola, l'uomo disse che quella era l'armatura di Atena, necessaria per sconfiggere Hades, e poi rivelò che nessun cavaliere aveva mai realmente giurato fedeltà al Dio della morte, tutti loro avevano solo finto, in modo da poter far capire ad Isabel il modo in cui sconfiggere il nemico, ovvero morire. Soltanto da morti infatti sarebbe stato possibile entrare nell'aldilà ed uccidere Hades, ma al tempo stesso era necessario qualcos'altro, qualcosa che permettesse alla Dea di restare in vita nel mondo della morte, dove altrimenti sarebbe stata soggetta ai poteri del re degli inferi. Questo qualcosa era l'ottavo senso, ed era stato per raggiungerlo che prima Virgo e poi Isabel avevano apparentemente posto fine alle loro vite. In realtà, ora, con i loro corpi, stavano continuando a battersi nell'aldilà. Per ottenere ciò, Gemini e gli altri avevano sacrificato tutto, accettando persino la nomea di vigliacchi che è legata per sempre a chi usa l'Atena Exclamation. Nel comprendere la fedeltà di coloro che avevano creduto traditori, Andromeda e gli altri piansero lacrime di commozione e finalmente compresero il profondo dolore provato dai cavalieri resuscitati.

Sion poi aggiunse che il sangue di Atena era necessario per risvegliare l'armatura della Dea, nascosta da due secoli con le sembianze della statua, al punto che anche Isabel ne ignorava l'esistenza, e che ora era necessario che qualcuno la portasse fino a lei nell'aldilà. Le dodici ore concesse a coloro che erano stati riportati in vita però erano ormai vicine alla conclusione, quindi questa delicatissima missione sarebbe andata ad Andromeda e gli altri. Per dare loro più aiuto possibile, Sion bagnò le loro corazze, ormai in frantumi, col sangue di Atena, provocando una straordinaria trasformazione. In un lampo di luce, le corazze cambiarono aspetto, e divennero più forti e resistenti che mai. Grati e sbalorditi, i cavalieri ringraziarono Sion, poi, presa l'armatura di Atena, bruciarono i loro cosmi e, muovendosi alla velocità della luce, raggiunsero un castello in Germania, da dove sentivano provenire i cosmi di Ioria, Mur e Scorpio.

Nemmeno il tempo di arrivare che Andromeda dovette usare la sua nuova catena per salvare Ioria, gravemente ferito e gettato in un burrone da un nemico sconosciuto. Costui si rivelò essere Rhadamante, uno dei tre giganti dell'aldilà, e la sua forza apparve perfino superiore a quella dei cavalieri d'oro. Pegasus fu subito pronto a guidare i compagni contro il nuovo avversario, ma i cavalieri d'oro chiesero di concludere loro la battaglia, e per mostrare la loro determinazione fecero da scudo agli amici contro i colpi di Rhadamante. Andromeda, dopo aver visto Ioria usare le sue ultime forze per proteggerlo, accettò di lasciare ai cavalieri d'oro la battaglia e, seppur a malincuore, seguì Pegasus e gli altri all'interno del castello. Attimi dopo, il ragazzo avvertì i cosmi di Ioria, Mur e Scorpio che svanivano e comprese addolorato che i tre eroi erano caduti. Sorretto dalle parole di Sirio e Pegasus però il ragazzo continuò a correre, fino a raggiungere insieme a loro il lucernario in cima all'edifio e ad entrare nel salone principale.

All'interno, i cavalieri trovarono uno spectre, Zelos, e Gemini, Capricorn ed Acquarius, ormai in fin di vita perché le dodici ore concesse da Hades erano vicine alla conclusione. Andromeda corse subito a soccorrere Gemini insieme a Pegasus e fu testimone dell'ultimo sorriso dell'ex cavaliere, che chiese loro perdono per non poterli assistere nella battaglia imminente e gli affidò la salvezza di Atena. In lacrime, Andromeda vide Gemini e gli altri scomparire in polvere di cosmo e non potè fare a meno di ammirare quei valorosi compagni che avevano continuato a combattere per la giustizia anche dopo la morte.

Dopo aver lasciato Zelos a Cristal, il ragazzo sentì dei passi provenire da una sala laterale, ed entrato vide una donna dai lunghi capelli corvini scendere una lunghissima scala a chiocciola. Vedere il volto della fanciulla diede una strana sensazione al cavaliere, ed i due si fissarono senza parlare per lunghi secondi prima che la donna ricominciasse a scendere la scala. Ignaro che quella ragazza era in realtà Pandora, colei che aveva cercato di rapirlo tanti anni prima, Andromeda cercò di inseguirla, ma fu fermato da Pegasus, che non voleva lasciarlo andare da solo. Prima che i due potessero discutere la situazione, un rumore li fece tornare nella sala principale, dove trovarono Rhadamante, sopravvissuto allo scontro con i cavalieri d'oro ed apparentemente illeso. Le parole di disprezzo di Rhadamante nei confronti di Ioria e gli altri fecero infuriare Andromeda, che tese la catena pronto alla battaglia. Rhadamante tuttavia si mostrò un guerriero straordinario e dopo aver usato la catena del ragazzo contro Cristal, lo centrò con un calcio volante, atterrandolo.

Nel vedere Pegasus in pericolo però, Andromeda trovò la forza di rialzarsi e riprendere la battaglia. Bruciando al massimo il suo cosmo, l'eroe scatenò la sua Nebulosa insieme all'Aurora del Nord di Cristal ed al Drago Nascente di Sirio, ma neppure questo attacco di gruppo bastò a mettere fuori gioco Rhadamante, che riuscì a contrastarlo col suo colpo segreto Greatest Caution. Colpito in pieno, Andromeda crollò esausto al suolo e per un secondò sembrò sul punto di lasciarsi andare all'oscurità. Fu il pensiero dei cavalieri d'oro ed il desiderio di volersi mostrare degno di loro a dargli la forza di rialzarsi ancora una volta insieme agli amici e di continuare a bruciare il suo cosmo. La vitalità degli eroi stupì persino Rhadamante, che decise di mettersi al sicuro scatenando un nuovo attacco, col quale scaraventò i ragazzi fuori dal castello, ormai in rovina per la battaglia in corso. Andromeda cadde nel crepaccio antistante l'edificio, ma riuscì a salvarsi con la catena.

Ormai tagliato fuori dal combattimento, Andromeda potè sentire il cosmo di Pegasus continuare lo scontro, fino a raggiungere il settimo senso e scomparire insieme a Rhadamante. Nonostante ciò però, il ragazzo continuò ad aver fiducia nell'amico ed intuì che, bruciando il proprio cosmo fino al limite, avrebbe potuto raggiungere l'amico anche nell'aldilà. Mentre il castello e la montagna su cui si ergeva crollavano in pezzi, Andromeda raggiunse l'orlo del baratro per l'aldilà insieme a Sirio e Cristal e, raggiunto col proprio cosmo il livello dei cavalieri d'oro, si preparò a balzare dentro.

In quel momento, sopraggiunse il cavaliere di Libra, che fermò i ragazzi prima di farli saltare. Il guerriero spiegò nuovamente loro che, per restare in vita nell'aldilà, e quindi essere liberi di mantenere il proprio corpo e combattere contro Hades, è indispensabile risvegliare l'ottavo senso, senza il quale entrare nel passaggio sarebbe voluto dire morte certa. Nel sentir ciò, Andromeda temette per la vita di Pegasus, ma poi si convinse che l'amico era sicuramente riuscito a risvegliare il proprio ottavo senso e raggiungere Ade sano e salvo. Nonostante i dubbi di Libra, Andromeda, Sirio e Cristal decisero di proseguire nel loro intento e, poco prima del crollo finale del castello, bruciarono al massimo i loro cosmi e si tuffarono nella voragine.

Il passaggio dal mondo dei vivi a quello dei morti fece perdere i sensi al cavaliere. Al risveglio, Andromeda si ritrovò su un'arida superficie rocciosa. Accanto a lui vi era Pegasus, vivo e incolume, mentre di Cristal e Sirio non c'erano tracce. Andromeda parlò all'amico del discorso fatto da Libra, e ben presto, i cavalieri compresero di essere riusciti ad entrare in Ade conservando i loro cosmi, come già avevano fatto Virgo ed Isabel. Pur se preoccupati per gli amici, Pegasus e Andromeda decisero di cercare di raggiungere Isabel per portarle la sua armatura e si incamminarono nelle desolate lande dell'aldilà. Ben presto, i due si trovarono davanti ad un arco, su cui era scritto in greco antico "lasciate ogni speranza voi che entrate". Quel monito, il cui scopo era spingere i dannati nella rassegnazione, convinse i due a non arrendersi mai ed a non perdere la speranza, qualsiasi cosa accadesse. Fattisi questa promessa reciproca, i ragazzi varcarono la porta e si trovarono sulle sponde dell'immenso fiume Acheronte, grande quanto il mare.

A testimonianza di ciò, una gondola si avvicinò alla riva, guidata da uno spectre che si presentò come Caronte, nocchiero dell'aldilà. Nel riconoscere i due come cavalieri di Atena, Caronte li attaccò, mostrandosi in grado di tenere testa a due nemici contemporaneamente. Pegasus e Andromeda si protessero a vicenda per le prime fasi dello scontro, ma ben presto Caronte si stancò di un combattimento dal quale non avrebbe guadagnato nulla e promise loro che, se gli avessero dato dei soldi, li avrebbe portati sull'altra sponda del fiume. Pegasus, per nulla incline ad accettare, si preparò a riprendere la battaglia, ma Andromeda, sperando di evitare della violenza non necessaria, accettò l'offerta e, non avendo del denaro, decise di privarsi del suo ciondolo. Il ragazzo spiegò a Pegasus cosa quel ciondolo, (presunto) ricordo di sua madre, rappresentasse per lui, ma quando l'amico si oppose alla sua decisione di darlo via, gli rispose che per lui la cosa più importante era la vita umana, e che quindi era felice di rinunciare a quel pendaglio per evitare uno scontro. Colpito, Pegasus accettò la scelta dell'amico e smise di combattere. A sua volta, Caronte accettò il ciondolo come pagamento ed imbarcò i due.

La traversata dell'Acheronte sembrò durare ore e soprattutto Pegasus parve subire la noia di quel viaggio. Arrivati al centro del fiume però, Acheronte affermò che il ciondolo valeva solo fino a quel punto e riprese le ostilità, scaraventando Pegasus in acqua, dove i dannati che popolavano quelle acque cercarono di trascinarso sul fondo. Nonostante Caronte fosse disposto a lasciar proseguire Andromeda, il ragazzo usò subito la sua catena per salvare l'amico, incurante delle minacce del nocchiero. Quando però Pegasus, tornato sulla barca, fu sul punto di sconfiggere lo Spectre, Andromeda volle credere in lui e convinse l'amico a smettere di combattere. Inizialmente la generosità di Andromeda sembrò malriposta visto che Caronte, approfittando del momento, attaccò di nuovo Pegasus, ma poi la nobiltà dei suoi occhi colpì il nocchiero, il quale decise di interrompere l'attacco ed affermò di non aver mai visto occhi puri come quelli del suo avversario. Caronte aggiunse che una persona dall'animo nobile come Andromeda forse avrebbe persino meritato di andare nel paradiso dell'Elisio dopo la morte, ed il solo fatto di aver incontrato un uomo così lo convinse a restituire il ciondolo ed a portare entrambi i cavalieri fino all'altra sponda. Arrivati, Caronte sfidò Pegasus in un duello leale, dal quale ebbe la peggio. Superato l'Acheronte i due cavalieri poterono così correre verso la prima tappa del loro cammino, la prima prigione. I cavalieri infatti avevano appreso da Caronte che per raggiungere la Giudecca, il luogo dove risiedeva Hades e dove probabilmente si stava dirigendo Atena, era necessario superare le otto prigioni ed i vari gironi in cui era diviso l'Inferno.

La prima prigione si rivelò essere il tribunale nel quale venivano giudicati i dannati. I cavalieri furono accolti prima da un servitore, Marchino, e poi dal guardiano di quel luogo, Lune di Barlon. Costui, dopo aver compreso le loro identità, li attaccò e precipitò Pegasus in una delle prigioni più lontane. Grazie alla sua catena, Andromeda salvò l'amico, ma si ritrovò da solo contro Lune. Guardandolo bene, lo Spectre si accorse che, eccetto che per il colore dei capelli, il suo avversario assomigliava a qualcun altro di sua conoscenza, ma dopo alcuni attimi di esitazione attaccò comunque con la sua frusta, capace di fare a pezzi un corpo umano. Andromeda si difese con la catena, ma prima di contrattaccare, colpito da tutte le azioni che secondo lo Spectre erano peccati, gli chiese come potesse un uomo, anche se nobile, essere esente da colpe e quindi meritevole di passare. Il cavaliere, dopo aver ricordato che molto spesso si commettono azioni malvagie senza volerlo, concluse che dunque anche vivere sarebbe il male. Lune comprese il dilemma del suo nemico, ma non seppe controbattere e si limitò a dire che solo Dio potrebbe rispondere a quella frase. Subito dopo il giudice lanciò la frusta, con la quale superò la difesa della catena ed avvolse Andromeda. Resosi conto di essere condannato, Andromeda pianse per tutte le persone che era stato costretto ad uccidere in battaglia e chiese perdono ai compagni, poi Lune ritirò la frusta ed il suo corpo andò in pezzi.

Inspiegabilmente, poco più tardi Andromeda riprese i sensi e scoprì di essere incolume accanto a Pegasus. Incapaci di capire cosa fosse successo, i due superarono la prima prigione e si diressero verso la seconda. A metà strada però incontrarono Kanon, con indosso l'armatura d'oro dei Gemelli, impegnato in battaglia contro Lune e Rhadamante. I due furono felici di vederlo, ma Kanon li atterrò subito, affermando che, anche se ha giurato fedeltà ad Atena, non è un loro compagno. Il cavaliere, consapevole di quanto era successo alla prima prigione, disse ad Andromeda di non esitare mai in battaglia e di accettare le conseguenze delle sue azioni, necessarie per la salvezza degli uomini. Colpito, Andromeda comprese che il cavaliere voleva renderlo più forte e lo ringraziò. Protetti da Kanon i due poi ripresero la corsa, arrivando fino alla seconda prigione, protetta dal mostruoso e gigantesco cane Cerbero e dallo Spectre Pharaoh di Sfinge.

Usando la catena Andromeda riuscì a ferire Cerbero, che poi venne abbattuto del tutto da Pegasus, ma i due amici si ritrovarono impreparati davanti ai poteri di Pharaoh, capace di usare la musica della sua enorme cetra come arma. Incapaci di difendersi, i due rischiarono la vita, ma l'attacco di Pharaoh venne fermato dall'arrivo di un altro uomo, che si presentò come Orfeo, cavaliere d'argento. Pharaoh rivelò che Orfeo era in Ade di sua iniziativa, come servitore di Hades, ed il cavaliere sembrò confermarlo abbattendo i due con un solo attacco.

Al risveglio, Andromeda si trovò in un giardino fiorito. Guardandosi attorno, lui e Pegasus videro una fanciulla, la cui metà inferiore del corpo era pietrificata. Incredibilmente, la fanciulla poteva parlare e raccontò di essere Eudirice, la donna amata da Orfeo. Proprio per cercare di riportarla in vita, Orfeo era sceso in Ade ed aveva incontrato Hades, ottenendo il permesso di riportarla sulla terra a patto di non voltarsi a guardarla finché non fossero tornati nel mondo dei vivi. A causa di un raggio di luce però l'uomo aveva infranto il patto e per questo Euridice era rimasta in parte pietrificata. Compreso che era per questo motivo che Orfeo era rimasto nell'aldilà, Andromeda e Pegasus cercarono di convincere il cavaliere, appena sopraggiunto, ad unirsi a loro, ma al suo rifiuto decisero di continuare da soli. Il sopraggiungere di Pharaoh però cambiò la situazione, ed alla fine Orfeo uccise lo Spectre e si schierò dalla parte dei cavalieri di Atena. Per aiutarli, il ragazzo nascose Pegasus ed Andromeda in una cassa di fiori e li portò alla Giudecca, dove era atteso per suonare al cospetto di Hades.

Sfortunatamente per i tre cavalieri, alla Giudecca si trovavano anche Pandora ed i tre comandanti dell'aldilà, Rhadamante, Aiace e Minosse. La donna, sospettosa, aprì la cassa e trapassò i fiori col suo tridente, ma mancò i due amici e provocò solo un taglio superficiale alla mano di Andromeda, del quale comunque non si accorse. Convinta che non ci fossero rischi, la donna si sedette insieme ai comandanti ed iniziò ad ascoltare la musica di Orfeo. Inizialmente il cavaliere suonò normalmente, ma poi, quando si accorse che Hades era arrivato e sedeva sul suo trono, nascosto da pesanti tendaggi, usò uno dei suoi colpi segreti per far addormentare Pandora ed i comandanti, in modo da poter attaccare il Dio. L'espediente funzionò solo in parte in quanto Rhadamante, non avendo orecchio per la musica, era risultato immune all'attacco di Orfeo, ma la contemporanea presenza di Andromeda e Pegasus diede una speranza ai cavalieri di Atena. Andromeda vide Orfeo lanciarsi contro Hades e spostare le tende, ma, quando il Dio dell'Aldilà fu davanti a loro, incredibilmente, scoprì di essergli assolutamente identico. Questa rivelazione sbalordì tutti, a parte il colore dei capelli Hades era il sosia di Andromeda, ed aveva persino il suo stesso ciondolo a forma di stella. Fra i cavalieri, Orfeo fu il più veloce a riprendersi dalla sorpresa e reagì attaccando il Dio con le corde della sua cetra, ma senza alcuna spiegazione il corpo di Hades andò in pezzi e scomparve.

Approfittando dello stupore del momento, Rhadamante afferrò Orfeo, che poi sacrificò la vita per permettere a Pegasus di colpire lo Spectre. Nel vedere il cavaliere morire, Andromeda pianse per lui, soffrendo della caduta di un uomo così nobile e valoroso. Nenche questo gesto estremo però bastò a fermare Rhadamante, che si preparò a riprendere le ostilità contro i cavalieri di Atena. A fermarlo fu Andromeda, non con le armi ma con un ordine stentoreo. Inizialmente, Rhadamante credette che il cavaliere stesse bluffando, ma poi, guardandolo in faccia, si rese conto che la sua espressione era cambiata ed ora era carica di solennità. Osservando l'amico, persino Pegasus si rese conto che Andromeda non era più in se, ormai era diventato in tutto e per tutto l'incarnazione di Hades. Obbedendo agli ordini del suo signore, Rhadamante smise di combattere. Pegasus invece cercò di risvegliare l'amico, ma, a conferma della mutazione, i capelli di Andromeda cambiarono colore, passando dal verde al rosso sangue. Oramai in possesso del corpo di Andromeda, Hades ordinò a Rhadamante di sbarazzarsi di Pegasus, e lo Spectre, approfittando dello stupore del nemico, lo atterrò con un colpo solo.

Andromeda, oramai del tutto in trance, venne accolto da Pandora e gli altri comandanti, ripresisi dal colpo di Orfeo, poi si tolse l'armatura e, indossata una tunica nera si sedette sul suo trono, dove ben presto si addormentò. A risvegliarlo fu, circa un'ora più tardi, un cosmo aggressivo ed ardente come il fuoco, che si era improvvisamente materializzato nell'aldilà. Il calore e la familiarità di quel cosmo scossero per un attimo il cuore di Andromeda, che ordinò a Pandora di portare il cavaliere al suo cospetto.

Pandora obbedì e così Phoenix si materializzò davanti ad Andromeda. Nel vedere il fratellino e Pandora, Phoenix riacquistò i ricordi di quanto era successo anni prima e comprese che il ciondolo a forma di stella aveva legato Andromeda ad Hades. Sperando di liberarlo, Phoenix frantumò il ciondolo e prese ripetutamente a schiaffi Andromeda, che all'inizio non reagì minimamente. In quel momento infatti la personalità di Hades era prevalente, ed al Dio non interessava particolarmente se il corpo di Andromeda era ferito superficialmente. Per evitare danni più gravi comunque Hades allontanò Phoenix da Andromeda, e poi, sorridendo, gli spiegò il suo piano: grazie ai suoi poteri divini stava allineando i pianeti del sistema solare, in modo da creare un'enorme eclisse, che avrebbe oscurato il sole per sempre, causando una nuova era glaciale e gettando la Terra nell'oscurità. Nel profondo della sua anima, Andromeda sentì le parole che Hades pronunciava usando il suo corpo e cercò di reagire, ma la volontà del Dio degli inferi parve troppo forte. Solo quando Hades continuò a colpire Phoenix, arrivando quasi ad ucciderlo, Andromeda riuscì a riprendere il controllo almeno parziale del suo corpo e si strinse una mano alla gola.

Davanti agli occhi esterrefatti di Phoenix, lo spirito di Andromeda comparve dietro il suo corpo e con un sorriso chiese al fratello di ucciderlo per salvare l'umanità dai piani di Hades. Andromeda infatti si era accorto del cosmo di Hades che cercava di possederlo, e non aveva opposto resistenza per poter dare agli altri cavalieri una possibilità di vittoria, anche se questo avrebbe significato la sua morte (vedi Note). Fedele a se stesso ed ai suoi principi, il ragazzo preferiva morire piuttosto che causare anche indirettamente la morte di altre persone, ed al tempo stesso voleva proteggere i suoi amici da una pericolosa battaglia contro Hades. Felice perché il suo sacrificio sarebbe servito a qualcosa, Andromeda esortò Phoenix ad ucciderlo senza esitare, anche perché l'anima di Hades stava cercando con sempre maggior forza di riprendere possesso del suo corpo. Per permettere al fratello di colpire senza problemi, Andromeda telepaticamente ordinò persino alla catena difensiva di proteggerlo dagli attacchi di Pandora. Dopo quest'ultimo sforzo il suo spirito iniziò a venir meno, ma Phoenix, compresa la generosa volontà del fratello accettò di ucciderlo.

Alla fine però, il cavaliere della Fenice non ebbe il cuore di uccidere il fratello e fermò il suo pugno. Andromeda comprese il suo conflitto interiore, ma non potè dargli altre possibilità perché ormai lo spirito di Hades stava per prendere completamente il sopravvento. A conferma di ciò, i capelli del ragazzo cambiarono colore e divennero nero corvino, segno che ormai di Andromeda non era rimasto nulla. Lo spirito ed il cosmo del cavaliere scomparvero e vennero intrappolati nelle profondità della sua psiche, incapaci di riemergere e contrastare ulteriormente Hades. In queste condizioni, Andromeda perse anche il contatto con la realtà e non si rese più conto degli eventi che accadevano intorno a lui.

A permettergli di riemergere ironicamente fu colei che il ragazzo era venuto in primo luogo a salvare, lady Isabel, finalmente giunta alla Giudecca insieme a Virgo e decisa ad affrontare Hades. Nel corso dello scontro col Dio la fanciulla si ferì la mano, ed il suo sangue divino risvegliò lo spirito ed il cosmo di Andromeda, che iniziò a lottare con tutte le sue forze per scacciare Hades dal suo corpo. La battaglia tra le due volontà fu violenta e dolorosa, ma alla fine Andromeda riuscì a trionfare ed espulse lo spirito di Hades. Con i capelli tornati al loro colore originario, esausto, il cavaliere crollò al suolo, e prima di perdere i sensi fece appena in tempo a vedere Hades che assaliva Isabel e la portava via. A confermare il suo rinnovato status di cavaliere di Atena comunque, l'armatura di Andromeda si ridispose sul suo corpo nonostante il ragazzo fosse svenuto.

Poco più tardi, il ragazzo venne svegliato da Pegasus, riuscito a fuggire dalla prigione in cui era stato intrappolato e giunto alla Giudecca seguendo il cosmo di Atena. Rimessosi in piedi, Andromeda indicò a Pegasus la via presa da Hades ed Atena, che tuttavia era sbarrata da un poderoso muro. Davanti alla barriera i due trovarono Virgo, che gli spiegò come quello fosse il Muro del Pianto, che poteva essere attraversato solo dagli Dei e che separava l'Inferno dall'Elisio. Il Muro si rivelò impenetrabile agli sforzi di Virgo di abbatterlo, al punto che il cavaliere d'oro pensò persino di sacrificarsi nel tentativo in modo da permettere a Pegasus e Andromeda di proseguire. L'arrivo di di Libra e di Mur, Scorpio e Ioria, fuggiti dalla loro prigione grazie al cosmo di Atena, fece desistere il custode della sesta casa da questa idea, ma neppure le forze congiunte di cinque cavalieri d'oro e le armi della Bilancia sembrarono poter niente contro il Muro del Pianto, che secondo la leggenda solo un raggio di sole poteva abbattere. In quel momento sopraggiunsero anche Sirio e Cristal, ma, a risolvere questa situazione disperata fu l'arrivo delle sette armature d'oro mancanti e la resurrezione degli spiriti degli altri cavalieri d'oro. Micene, Toro, Gemini, Cancer, Capricorn, Acquarius e Fish comparvero davanti al Muro del Pianto, pronti a dare il loro contributo. Nel vedere Gemini, Andromeda comprese che Kanon era caduto, e non potè fare a meno di soffrire per la scomparsa di un altro alleato.

Andromeda fu comunque felice di ritrovare i compagni perduti, e riuscì persino a scambiare qualche parola con Fish, il nemico di un tempo, che si congratulò con lui per la forza che riusciva a dimostrare quando voleva davvero. In quel momento, Micene impugnò la freccia d'oro del Sagittario e, osservandolo, Libra comprese che, unendo i cosmi di tutti i dodici cavalieri d'oro, le cui costellazioni si trovano sulla traiettoria che il sole percorre ogni anno, sarebbe stato possibile riprodurre la luce dell'astro ed abbattere il muro. Al tempo stesso però ciò sarebbe costato la vita dei dodici cavalieri d'oro. I difensori del Grande Tempio accettarono serenamente di sacrificarsi e dissero ad Andromeda, Pegasus, Sirio e Cristal di allontanarsi per non subire gli effetti dell'esplosione che il loro attacco avrebbe generato. In lacrime, i quattro obbedirono, e nell'allontanarsi, Andromeda vide i cavalieri d'oro sorridere per l'ultima volta. Uscito, Andromeda non potè fare a meno di ripensare ai valorosi compagni, ricordando le antiche battaglie, ma anche il modo in cui i custodi dorati avevano eletto lui, Pegasus, Sirio e Cristal, loro successori e cavalieri della speranza.

In quel momento, Andromeda e gli amici vennero attaccati da Minosse, l'ultimo giudice ancora in vita. Lo Spectre li stese facilmente, ma, quando stava per eliminarli, venne travolto dalla terribile esplosione, che abbattè quasi completamente la Giudecca. Entrati nell'edificio ormai in rovina, Andromeda e gli amici videro un enorme apertura nel Muro del Pianto, segno che i cavalieri d'oro avevano avuto successo, ma subito dopo si accorsero che dei loro amici non erano rimaste che le armature d'oro vuote. Profondamente amareggiato, Andromeda pianse la scomparsa dei valorosi cavalieri d'oro, che in nome di Atena avevano dato tutto. Consci di essere gli ultimi cavalieri a poter salvare Atena, i quattro si diressero verso il varco del Muro del Pianto. Sirio però rimase indietro ad affrontare nuovi nemici, e così furono solo Andromeda, Cristal e Pegasus a raggiungere l'altro lato del muro, che si apriva su un vero e proprio spazio cosmico. Non avendo scelta, Andromeda e Pegasus saltarono nel vuoto dimensionale, mentre Cristal rimase sul ciglio del muro per combattere contro Micene, sopravvissuto all'esplosione e deciso a fermarli. Andromeda, forse non volendo perdere un altro amico, gli gridò di evitare lo scontro e seguirli, ma Cristal rimase fermo nella sua decisione. A sua volta, Andromeda si ritrovò alle prese con la strana atmosfera dello spazio interdimensionale, la cui pressione si fece ben presto insopportabile. Non avendo appigli a cui lanciare la catena, Andromeda rischiò di essere travolto, ma venne salvato da Pegasus, alla cui armatura di bronzo erano spuntate le ali, rinate grazie al sangue di Atena. Sorretto da Pegasus, Andromeda potè volare fino all'ingresso per i Campi Elisi.

Una volta arrivati, i cavalieri poterono ammirare l'Elisio, un immenso giardino fiorito in cui gli unici edifici erano i templi degli Dei. Per trovare Atena più in fretta, i due si separarono, ma ben presto Andromeda avvertì che Pegasus era impegnato in un combattimento contro un nemico molto potente e tornò sui suoi passi per aiutarlo, arrivando giusto in tempo per salvarlo con la catena. Viste le gravi condizioni in cui ora versava Pegasus, Andromeda cercò di affrontare il suo nemico, il terribile Thanatos, Dio della Morte. Contro i poteri del Dio però sia la catena di attacco che quella di difesa si rivelarono inutili e vennero rapidamente frantumate. Incapace di reagire, Andromeda rischiò di essere ucciso da Thanatos, ma venne salvato dal tempestivo arrivo di Dragone.

Il Dio della Morte però si rivelò troppo potente anche per Sirio, e neppure Cristal e Phoenix, sopraggiunti poco dopo, poterono cambiare l'equilibrio della battaglia. Sperando di aver maggior fortuna attaccando insieme, i cavalieri si rialzarono, ma Thanatos li stese con un colpo solo e frantumò le loro armature di bronzo. Allo stremo delle forze, Andromeda pensò fosse giunta la fine, ma improvvisamente cinque armature d'oro giunsero in difesa sua e degli altri e si scomposero per essere indossate. Per la prima volta, anche Andromeda indossò un'armatura d'oro, quella della costellazione della Vergine. Orgoglioso di ciò e desideroso di mostrarsi degno di portare le vestigia dei cavalieri d'oro, Andromeda si preparò a riprendere la battaglia. Thanatos tuttavia non temeva minimamente le corazze dorate, e per dimostrarlo le distrusse con un colpo solo. Sbalordito e senza più forze, Andromeda ricadde a terra, ormai quasi rassegnato alla fine.

A riaccendere le sue speranze fu Pegasus che, sostenuto da Atena, bruciò il suo cosmo come mai prima e fece evolvere i frammenti della sua armatura di bronzo in armatura divina, la più potente tra le corazze. Ora quasi invulnerabile e sorretto da nuove energie, Pegasus si dimostrò superiore a Thanatos e lo uccise con facilità. Per cercare di fermarlo, in campo scese Hypnos, Dio del Sonno e fratello di Thanatos. Per permettere a Pegasus di correre da Atena, intrappolata in una giara nel mausoleo di Hades, Phoenix cercò di trattenere il nuovo nemico, ma privo di armatura rischiò di essere ucciso con facilità.

Vedendo il fratello in pericolo, Andromeda bruciò al massimo il suo cosmo, rigenerando la catena, con la quale fermò Hypnos. La catena però non era che l'inizio, il cosmo di Andromeda, espanso fino ai limiti dell'universo ed unito ai poteri del sangue di Atena, fece evolvere anche la sua armatura in armatura divina. Ora pronto ad affrontare il Dio ad armi pari, Andromeda disse a Phoenix di correre ad aiutare Pegasus al tempio di Hades, poi iniziò la battaglia. Le sue catene si rivelarono ora capaci di ferire persino Hypnos e la vittoria sembrò arridere al giovane eroe. Il Dio del Sonno però non commise l'errore di sottovalutare il nemico ed usò subito contro di lui il suo colpo segreto Eternal Drowsiness, col quale lo fece cadere in un sonno profondo. Consapevole che l'armatura divina lo avrebbe presto risvegliato, Hypnos cercò di finirlo, ma venne fermato da Sirio e Cristal i quali, raggiunto a loro volta il cosmo massimo ed indossate le armature divine, lo uccisero combinando i loro colpi.

Come Hypnos aveva previsto, poco più tardi Andromeda si riprese, e subito scoprì che nei pochi minuti in cui era stato addormentato la situazione era precipitata in quanto Hades in persona si era risvegliato usando il suo vero corpo ed ora stava affrontando Pegasus e Phoenix. In ansia per loro, il cavaliere corse insieme a Cristal e Sirio verso il tempio del Dio, al quale i tre arrivarono giusto in tempo per salvare i compagni dal potentissimo nemico, la cui spada era capace di danneggiare persino le armature divine. Andromeda corse subito a soccorrere il fratello, che nel frattempo aveva a sua volta indossato un'armatura divina, poi, accertatosi delle sue condizioni, si unì ai compagni per un attacco congiunto. Bruciando al massimo i loro cosmi in nome della giustizia e delle persone amate, i cavalieri scagliarono insieme i loro colpi segreti e travolsero il Dio, che a sua volta reagì con una violenta scarica di energia. L'attacco di Hades fu tale da danneggiare le armature divine, ma il colpo congiunto dei cavalieri riuscì comunque a ferire il Dio, che per la prima volta dopo secoli sanguinò.

Hades tuttavia poteva ancora gioire, la Greatest Eclipse era infatti completa e, una volta eliminati i cavalieri, il mondo sarebbe stato suo. Quasi privo di forze, Andromeda non riuscì a rialzarsi e rimase a terra mentre Hades attaccava Pegasus, l'unico ancora in grado di combattere. In soccorso del cavaliere giunse però il cosmo di Atena, e nello stesso momento Andromeda si accorse di essere protetto da una sfera luminosa, proprio come quella che tanto tempo prima lo aveva salvato dall'inabissarsi dell'Isola della Regina Nera. La sfera era opera di Atena che, liberatasi dall'urna in cui era imprigionata, voleva usarla per portare Andromeda e gli altri in salvo sulla Terra. Indossata la sua armatura, Atena attaccò Hades, ma il Dio dell'aldilà, forte dell'usare il suo vero corpo, si rivelò più potente e riuscì ad atterrarla.

Dalla sua sfera, Andromeda vide Hades sollevare la spada per finire la nemica, poi Pegasus saltare verso la fanciulla per proteggerla ed infine il Dio volare via per la potenza del colpo subito. La gioia per una possibile vittoria tuttavia venne sostituita in pochi attimi da una visione terribile, Pegasus era infatti stato trafitto al cuore dalla spada di Hades. Sconvolto, Andromeda pianse disperato e contemporaneamente avvertì il cosmo di Pegasus che svaniva. Furioso e deciso a vendicare Pegasus, Andromeda frantumò la sfera che lo proteggeva ed insieme agli altri si lanciò contro Hades, unendo il suo cosmo a quello di Isabel. Grazie al loro potere, Atena riuscì a superare l'energia di Hades ed a trafiggerlo col suo scettro. Sconfitto, il Dio scomparve nel nulla, affermando però che anche l'aldilà sarebbe stato distrutto in seguito alla sua caduta. Ignorandolo, Andromeda, oramai completamente prosciugato, dedicò la vittoria a Pegasus, poi lui e gli altri si raccolsero accanto ad Isabel, che usando il suo cosmo li riportò sulla Terra.

1° serie

1°-2° OAV, Asgard, Nettuno

Tenkai, ND, Omega, Assassin, Note

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